Giovani del 2000

Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio

ANNO XXIV numero IV (87) dicembre 2022

Direttore
Alessandra Delle Fave
Vice Direttore
Maurizio Martini
Capo Redattore
Mario Lorenzini
Redattori
Massimiliano Matteoni
Luigi Palmieri
Giuseppe Lurgio
Sito web
Mario Lorenzini
sede
via Leonardo Fibonacci 5, 50131
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Telefono e fax 055 580523
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Sito internet www.gio2000.it
Tipologia: periodico trimestrale
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.

Rubriche


In questo numero:

Editoriale
Dove siamo? di Mario Lorenzini
Cucina
Storia generale dell’Alimentazione di Renata Calzone
Cultura
L’Olocausto ebraico veniva dalla Siberia e Guernica sarebbe un falso storicodi Stefano Pellicanò
Giovanni Dionigi Galeno, il calabrese ammiraglio dei turchi di Stefano Pellicanò
Cinque mandorle al giorno per rimanere giovani a lungo? di Anadela Serra Visconti
Detersione del viso "Eco-friendly di Anadela Serra Visconti
I sanguinari protagonisti dell’integralismo cattolico. Quanti roghi e omicidi in nome della fede! di Stefano Pellicanò
Filosofia
IL SENSO DELL'UOMO (leggenda ebraica trasmessa da Rudolf Steiner in Cristo e l'anima dell'Uomo (traduzione di Jean-Christophe Démarais) di Alessio Begliomini
COS'È LA CABALA (brevi cenni) di Franco Giovi
Lettera ai poveri di Papa Celestino VI di Giovanni Papini
"Non Ce Ne Sono Di Passi Perduti" di Alessio Begliomini & André Breton
Informatica
Foxit PDF reader, ora anche in italiano e accessibile di Mario Lorenzini
Medicina
Novità in Farmacopea: XXVI parte di Stefano Pellicanò
Novità in Medicina: XXVI parte di Stefano Pellicanò
Novità in Sanità Pubblica: XVII parte di Stefano Pellicanò
La rivincita (postuma) del prof. Luc Montagnier: dimostrate infezioni per colpa della vaccinazione SARS-CoVid-19 di Stefano Pellicanò
Racconti e poesie
Nuvola curiosa di Antonella Iacoponi
Piccoli frammenti di Annalisa Conte
Fiorenza tu sei nel sentiero del primo risveglio di Massimo Scaligero
Rinascita... di Maria Teresa Montanaro
Elios di Patrizia Carlotti
Riflessioni e critiche
Ancora sui corrieri: DHL di Mario Lorenzini
Fastweb: forse fibra veloce ma non senza intoppi di Mario Lorenzini
Tempo libero
Corsica, l’isola della bellezza di Gianfranco Pepe
La manna non piove dal cielo di Annamaria Comito
Per sorridere un pò di Giuseppe Lurgio
Interviste
Diana Miele, the voice! di Giuseppe Lurgio
La fabbrica dell’immortalità. Intervista a Corrado Malanga di Mario Lorenzini
Libri
ERESIA: Riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di covid-19 di Mario Lorenzini
Amici a quattro zampe
Una storia di ordinaria “follia” che ci auguriamo si ripeta spesso di Renata Calzone

Editoriale

Dove siamo?

di Mario Lorenzini

Arrivati? O in che paese effettivamente abitiamo? Queste due domande, che poi sono un tutt’uno, di questi tempi che richiedono di fare il punto della situazione. Il nostro paese, il nostro stato è ancora intatto? È ancora quello? Dopo l’inizio della pandemia nel 2020, niente è stato più come prima. La vita pare mutata in una emergenza perenne. Dopo quella sanitaria siamo passati a quella bellica (anche se per il nostro establishment la SARS-COVID-19 imperversa ancora…). Avete mai pensato che ciò non sia normale? Il nostro cammino non deve essere per forza, d’ora in poi, con il fango alle caviglie, per non dire alle ginocchia. O forse non vi ricordate della quotidianità di circa tre anni fa? Non dico che i problemi non ci fossero: le tasse, il caro prezzi, qualche acciacco e i noti politici di sempre che rubacchiavano dietro le quinte e si spartivano le cadreghe (do ut des). Insomma, si vivacchiava, nella nostra Italia. Adesso è ancora il “Bel Paese” sì, ma… per gli altri. Per la UE, che ci vorrebbe imporre il semaforo alimentare, selezionando cibi salubri o insani. Un elenco dettato più dall’invidia delle nostre prelibatezze mediterranee, piuttosto che da un reale equilibrio dietetico e gusto appagato. Per gli extracomunitari, clandestini o non aventi diritto di rifugiati, ma che siamo costretti ad accettare. Anche qui l’Europa è libera di rifiutare il sistema di redistribuzione volontaria dei migranti, con la scusa banale che Calabria e Sicilia sono a due passi dal nord Africa. Per i criminali, i ladri che, a vari livelli, delinquono e restano impuniti o soggiornano giusto un giorno o due nelle nostre carceri. Mai come negli ultimi tempi casi di stupri sono stati in aumento, eppure i colpevoli, identificati a tempo di record, la fanno franca. Lo stesso dicasi per gli occupanti abusivi che non si riesce a mandar via dalle abitazioni (ma, “l’ordine” non va d’accordo con le Forze dell’Ordine). Per chi richiede (e ottiene) aiuti militari, nonostante la scarsa potenza economica italiana (e le armi costano). Sapevate che una percentuale variabile tra il 65 e il 70% degli italiani è sempre stata contraria all’invio di armamenti all’Ucraina? Eppure, non più di pochi mesi fa, il nostro ex premier Draghi ci comunicava che: «L’Italia ha deciso l’invio del tot pacchetto di armi…»» Beh in realtà lo aveva deciso lui, dicesi governo di Unità nazionale. E quando poi siamo giunti alla campagna vaccinale, tutti in fila, stile lebbrosario, per ricevere un medicinale coperto da segreto militare, ma che ha avuto un’alta percentuale di adesione. Numeri che sono stati ottenuti grazie a forti pressioni e ricatti. Anche qui, come sopra, la “democrazia” è ben in vista. Conclusioni: tutte decisioni prese da pochi, per lo più esterni alla nostra nazione, o da presuntuosi semidei dell’economia mondiale che hanno pressato i vertici della nostra politica come marionette. Tra noi, il Plebeo che ha capito certi concetti e vorrebbe ristabilire gli equilibri, e il Patrizio, illuso che quel pizzico di ricchezza in più sia la libertà. Ma la verità non è necessariamente quella, come ci dimostrano storici che hanno parlato dell’Unità d’Italia su queste pagine. E potrete conoscere anche altre versioni comprovate scientificamente, come quella nell’intervista al Prof. Malanga di questa uscita. Due semplici consigli, non originali, non farina del mio sacco ma, a mio avviso, degni di attenzione: di tanto in tanto, fermatevi a riflettere e dubitate, su ciò che accade, su ciò che vedete e sentite, o vi viene raccontato dai più comuni mezzi di informazione. Non fa mai male. Buona lettura


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Cucina

Storia generale dell’Alimentazione

di Renata Calzone

Fin dalla preistoria l’allevamento ha permesso di disporre di latte, formaggio, burro e piccoli animali. Un miliardo di anni fa l’Homo erectus imparò a utilizzare il fuoco e diecimila anni fa l’agricoltura permise una produzione razionale dei prodotti vegetali alcuni dei quali, i cereali, potevano essere immagazzinati, trasformando l’Homo sapiens in una specie sedentaria. L’introduzione, circa trentamila anni fa, di arco e frecce ha reso più facile l’uccisione delle prede permettendo nello stesso tempo la sopravvivenza anche degli individui più gracili. La primitiva forma di cucina neandertaliana, mezzo milione di anni fa, fu la semplice cottura degli alimenti, iniziando dall’arrostire la carne sulla fiamma viva, poi sulla brace e quindi in buche dove carni e radici, avvolte in foglie, subivano una primordiale cottura a vapore. Dal VI sec. a. C. si cominciarono a usare recipienti di terracotta mentre al Neolitico inferiore risalgono il pane non lievitato, i primi stufati di carne e cereali, le polente di cereali tostati e macinate in modo grossolano e la scoperta del fenomeno della fermentazione che consentirà di produrre il vino; il pane lievitato (in Egitto) e la birra in Mesopotamia. L’alimentazione nell’antico Egitto Le carni provenivano o dalla caccia (principalmente volatili) e pesca o dall' allevamento, bovini e uccelli da cortile. I campi disposti lungo le rive del Nilo producevano anche verdure, legumi e una grande quantità di frutta. Come dolcificante si utilizzava il miele o il succo dei datteri; il sale veniva ricavato dai depositi del Wadi Natrun, nel deserto libico e era usato principalmente per conservare le carni. L'olio, utilizzato per alimentazione, come unguento e per illuminazione veniva ricavato dai semi di sesamo, ricino e dai gigli (il più pregiato) mentre quello d’oliva era in gran parte importato dalla Siria. Le bevande usate erano l’acqua, i succhi di frutta e la birra che si otteneva facendo fermentare pagnotte d’orzo nell’acqua e forse con datteri. La birra aveva anche un valore rituale e veniva offerta ai defunti e alle divinità, insieme al pane e alle carni. Il vino era conosciuto dall’età più antica; i vigneti più antichi erano nel Delta ma anche nelle oasi e in Nubia. Nella tomba di Tutankhamon sono state trovate 26 giare di vino, ognuna con il nome del produttore, la data e il luogo di produzione. I nobili prediligevano il pane lievitato che veniva preparato usando farine di vari cereali. Gli uccellini si mangiavano crudi in salamoia o stufati mentre anguille, carpe, muggini e pesci persici venivano anche salati e essiccati. Come in Mesopotamia, si preferiva la carne ovina a discapito di quella suina come gli Ebrei e gli Arabi oggi. Fin dall’antichità l’uomo ha attribuito a alcuni alimenti anche proprietà salutistiche-medicamentose. Così nel papiro di Ebers, 1534 a. C., a es., viene suggerito di consumare la cipolla come diuretico e aglio come anti-infettivo e anti-parassitario, proprietà attribuite dalla scienza moderna al solfuro di allile; per i problemi gastro-intestinali era consigliato bere cicoria tostata, come anche da Aristofane (450 a. C.), Orazio e Ovidio. L’alimentazione in Mesopotamia In Mesopotamia si bolliva tutto, in particolare la carne con cipolla, porri, aglio, sangue, formaggio fresco o anche con samidu e shuhutinnu, piante aromatiche per insaporire. Come dolcificante si utilizzavano miele e frutta, che era anche mangiata fresca mentre come condimento venivano usati l'olio di sesamo o di oliva. Bevande molto diffuse erano la birra che, presumibilmente, si diffuse poi in Egitto e in tutta l'Asia minore e il vino. La birra, aromatizzata col succo di datteri, era consumata come dissetante, nelle feste e veniva anche consigliata come ricostituente. L’alimentazione in Israele Anche fra gli Ebrei (1000 a.C.) il pane era alla base dell'alimentazione e, oltre al lievitato, ne veniva preparato uno senza lievito o azimo. Questa cucina è Casher, un modo di cucinare secondo le regole della Torah, cioè le leggi e i precetti ricevuti da Mosè sul Sinai quindi macellai specializzati o shochet nominati dalle autorità rabbiniche uccidevano l'animale in modo da non farlo soffrire e in modo che poi fosse perfettamente dissanguato. Nella cucina ebraica sono escluse le carni di maiale, cavallo, coniglio; è possibile mangiare solo il pesce con pinne e squame, quindi sono esclusi crostacei e molluschi. La carne e il latte non possono mai comparire sulla stessa tavola e nelle stesse stoviglie perciò l’uso dei grassi è limitato all’olio e in parte al midollo. Giornalmente si consumavano legumi, frutta e formaggio; come bevande si usavano il vino e anche bevande ricavate dalla fermentazione di orzo, miele e mele . L’alimentazione in Ellade In Grecia il pranzo (“ariston”) era veloce, basato su pane di orzo, olive, pesce fritto o formaggio. Si conoscono 72 tipi diversi di pane, tra cui: il “daraton”, senza lievito; il “phaios”, scuro; il “semidelites”, fatto con fior di grano senza lievito; il “caibanites”, composto da varie farine e poi pani con olive, uva passa e fichi secchi. La carne era considerata un cibo da ricchi e era preferita quella di maiale, di lepre, degli uccelli, frattaglie e sanguinacci mentre la selvaggina da pelo veniva lessata, arrostita allo spiedo e accompagnata da salse grasse e dolci; il pesce era consumato alla brace, fritto, in zuppa e al forno condito con olio, formaggio e cumino (triglie), cacio e aceto (saraghi). Le famiglie semi-povere avevano a disposizione principalmente pane e legumi oppure pesci sotto sale o affumicati e usavano il “garon”, una specie di salsa a base di pesce e erbe aromatiche. Le famiglie molto povere consumavano pane e frutta come ciliegie, uva e fragole mentre le pesche, di origine persiana, furono importate dopo il IV sec. a.C. Come bevande c’erano il vino, che si consumava anche nei “thermopolia”, i bar dell'epoca e il kikeon, a base di farina d' orzo, semi di coriandolo e lino, vino, formaggio grattugiato e foglioline di menta. Gradualmente l’arte culinaria assunse un notevole rilievo sociale che spinse le famiglie nobili a rivaleggiare in lusso e raffinatezza, modello culturale che venne poi esportato a Roma dove dalla fusione di queste culture originarono alcune ricette che si ritrovano oggi, con le modifiche legate al diverso gusto, in tutto il bacino del Mediterraneo. L’alimentazione in Fenicia I Fenici mangiavano zuppe di farro o di legumi come lenticchie, fave o ceci. Insieme al pane, fatto con farina di orzo, si consumavano cipolle, radici commestibili, cetrioli o lattuga. I ricchi gustavano anche la selvaggina; i poveri il pesce. Conservavano le pietanze facendole essiccare o mettendole sotto sale. I frutti più diffusi erano fichi, uva. datteri o melagrani. Come condimento usavano l’olio; per i dolci sesamo e miele; bevevano birra e vino. L’alimentazione in Etruria Gli Etruschi (VII e il IV sec. a.C.) amavano mangiare, erano un popolo godereccio che fino al VI sec. mangiavano abitualmente seduti e da soli; successivamente quando il pranzo diventò momento anche di gestione del potere si banchettò insieme, sdraiati su triclini come i Greci ma ai banchetti vengono ammesse le donne mentre gli schiavi servivano e suonavano il doppio flauto e la lira. Durante le feste e le cerimonie funebri si consumava carne e si beveva vino mescolato a molta acqua o con pecorino grattugiato. La cucina era basata sulla farinata di cereali e insieme a questa anche farro, orzo, fave, piselli, fichi, frutti selvatici, latte e formaggio di capra. La carne più usata era quella di maiale ma venivano arrostiti anche cervi, lepri e qualche orso. Sulla costa si usava il pesce, come piccoli tonni, pescespada e razze. Il popolo consumava pane fatto col frumento siligo e olive, diverse farine cotte simili a polenta, verdure cotte o crude, pesci in salamoia, frattaglie, conserve sotto aceto e castagne e frutta che veniva anche esportata verso la Gallia [Francia]. Le loro bevande preferite erano il vino e un'altra bevanda, fatta con latte fermentato, molto rinfrescante. I servi consumavano moltissimo aglio e cipolle crude; i condimenti erano soprattutto animali ma dal VII sec. venne usato anche olio d’oliva, prima usato solo nell’industria di unguenti e profumi. La carne veniva consumata in poche occasioni; il ceto medio-alto mangiava cacciagione arrosto, pollame, carne e ventresca di maiale. Il maiale era l’animale più allevato vista la grande quantità di cerri e quercie e quindi di ghiande. In Italia l’uso delle carni suine trasformate risale probabilmente a questa epoca. L’alimentazione a Roma Anche a Roma il pane era alla base dei pasti, ma dal II sec. a.C. perché prima si mangiava una specie di pappa di farro e grano (puls) consumata con legumi come fave, lenticchie e ceci o con carne allo spiedo e si consumavano carni di bue, agnello, vitello, asino, ghiro, cinghiale, fagiano e pavone. Nelle villae si allevavano i pesci, la selvaggina e gli uccelli. I funghi venivano cucinati col miele; i piccioni con datteri, pepe, miele, aceto, vino, olio e senape e le pesche venivano preparate come le attuali anguille marinate. Si trattava di una cucina in cui venivano mescolati sapori dolciastri e pungenti: nelle stesse pietanze, accanto all'aceto e alla menta, si usavano il miele, il mosto cotto e la frutta ridotta a purè. Il vino era la bevanda preferita, bevuto caldo anche nei “bar”, che, a giudicare da Pompei, erano parecchio diffusi. La prima colazione (“jentaculum”) si basava su pane, formaggio, uova, carne, frutta fresca e un bicchiere d’acqua; a mezzogiorno il “prandium”, un pranzo leggero con carne fredda, pane, frutta e vino mentre il pasto principale era la cena (“coena”) che durava dalle 15-16 anche fino all’alba seguente preparata in stanze (triclinia) con tre divani su cui si sdraiavano tre invitati, posizione ritenuta più comoda della seduta. La tavola con il cibo era al centro, i commensali designavano un “soprintendente” che tra l’altro sceglieva i vini e l’adeguata proporzione per diluirlo con acqua. Lavate le mani con acqua profumata si iniziavano gli antipasti e stuzzichini (“gustatio”), il pranzo vero e proprio (“primae mensae”) di almeno sette portate e si concludeva con la “secundae mensae” in cui si gustavano stuzzichini per stimolare la sete e durante il quale si assisteva alle esibizioni di mimi e cantanti. Si utilizzavano piatti comuni, il cibo si prendeva con le mani e si usavano cucchiai di forme diverse mentre l’uso della forchetta sarà introdotto successivamente mentre i coltelli non servivano perché il cibo era tagliato dai servi. Gli schiavi sedevano a terra, ai piedi dei divani (“pueri ad pedes”) mentre le donne solo in età imperiale potranno partecipare a pranzi con invitati. Presso i Romani il farro assunse forti connotazioni socio-simboliche a partire dalla “conferreatio” cioè l’offerta di una focaccia di farro fatta dalla madre dello sposo alla nuova coppia e inoltre faceva parte del vettovagliamento dell’esercito e veniva utilizzato per fare la puls, minestra di cereali bolliti o focacce senza lievito. Già in questa epoca si mangiava una antenata della pizza, una specie di focaccia di grano. Orazio nel 37 a. C. appuntava che ad Altamura esisteva il “miglior” pane del mondo con una crosta spessa che durava quindici-trenta giorni. In epoca repubblicana la cucina fu rudimentale e frugale mentre in epoca imperiale ci fu una forte attrazione per gli alimenti rari, esotici e stravaganti. Agnello e manzo, cinghiale, maiale, cervo, lepre, sgombri, tonni, uova e lenticchie venivano imbottiti di spezie e erbe aromatiche, coperti di miele, mosto, aceto e vino speziato e serviti col garum o liquamen una forte salsa di pesce fermentato perché lo scopo del cuoco era quello di travestire gli alimenti. Si ritiene che furono i Piceni a utilizzare per primi la farina di frumento per la produzione del pane. Nè Greci nè Romani poterono coltivare la canna da zucchero; i Crociati la trovarono in Palestina, coltivata dagli Arabi anche in Egitto, dopo che le invasioni barbariche e la fine dei commerci con l’Oriente ne avevano fatto dimenticare l’esistenza agli europei. Nei secoli successivi i Veneziani importarono zucchero grezzo da Africa e Asia fino al 1600 quando la canna introdotta in America prosperò facilmente. L’alimentazione nel Medioevo Il cibo principale nel Medioevo (XI-XV sec.) era la selvaggina, cotta allo spiedo e accompagnata da un vino molto forte. Erano abitualmente presenti le salse forti, infatti si faceva un uso massiccio di spezie, sia nei cibi che nelle bevande. Si potevano anche assaggiare cigni e gru; formaggi, verdure e frutta completavano i banchetti. I poveri consumavano verdure, frutta e uova sode. Comunque alla base dell' alimentazione c'era sempre il pane e come bevande la birra soprattutto, il vino e il sidro mentre si assiste all’impoverimento delle tecniche di cottura con la sopravvivenza della cottura su fiamma viva, allo spiedo o in marmitta e l’abbandono di quella al forno e a fuoco moderato. La cucina dei nobili era soprattutto basata su carne lessa, arrostita e trattata con salse, spezie, erbe odorose, miele e garum. Alla fine del XIII secolo 1201 veniva riscoperta la cottura al forno e in umido. I primi ricettari risalgono al 1300 con una cucina sobria che comincia a valorizzare le verdure, le minestre e salse non pesanti che verrà propugnata dagli ambienti umanistici per motivi dietetici, medici e etici. Nel « Libro per cuoco » di Anonimo veneziano (1300) viene descritto il gusto orientale della cucina veneziana e ricette anche attuali della cucina altoatesina. Alla fine del secolo nel « Libro della cocina » di Anonimo toscano vengono riportate 57 ricette che rappresentano la più antica e organica testimonianza della letteratura gastronomica nazionale. La cucina medioevale non è stata rozza e poco raffinata, in realtà almeno nel tardo Medioevo mangiare era una costante ricerca di abbinamenti, sapori e colori finalizzati al massimo piacere possibile e era pertanto considerata una vera e propria arte. A questa epoca risalgono l’agrodolce, il fascino esotico di spezie dimenticate, la scoperta di sapori inconsueti come quelli dell’acqua di rose, la delicatezza del latte di mandorla e verso la metà del ‘300 in Toscana comparve la porchetta che arriverà in Francia nel 1500. In questa epoca di forti mangiatori c’erano enormi quantità di portate con predilezione della sovrapposizione dei sapori, come l’agrodolce e il largo uso di spezie e zucchero. È durante il periodo feudale che le varie cucine italiche cominciarono a differenziarsi a causa del frazionamento dei territori, della mancanza di comunicazioni e dell’economia curtense, cioè chiusa, autarchica dei feudi che costrinsero a utilizzare solo le risorse locali. Ogni luogo ebbe così i suoi piatti tipici e le sue specialità che ancora oggi sono caratteristici. L’alimentazione nel XV secolo Nel Quattrocento Bartolomeo Sacchi, il Plastina (1421-1481) nel « De onesta voluptate et valetudine » descrive, tra l’altro, ricette emiliane e tenta una distinzione tra meloni e poponi, all’epoca motivo di accese dispute mentre nel « Libro de arte coquinaria » di Maestro Martino sono descritte ricette emiliane, liguri e sicule, i saltimbocca e i maccheroni alla romana diversi dagli attuali per l’abbondante uso di burro e spezie dolci. « Avveniva che un pranzo con ospiti di riguardo si prolungaa etiam per magna parte de lo pomeriggio. La tavola composta ea da assi, poggiati suso cavalletti di sostegno disposta a “U” lungo le pareti del salone principale, mentre ne lo spazio al centro si alternavano musici che sonavano et cantaano; buffoni, jolly atque giocolieri ac trovatorj che declamaano poesie et canzoni che divertiano i convitati tutti. I signori di Wols cum gli ospitj presero posto al tavolo centrale, suso una predella [“tavola alta“], mentre li altri comensalj seguendo vna rigorosa gerarchia sociale. Lo pranzo venne aperto cum vn aperio [aperitivo] di natura calda e secca, secondo i dettami di Γαληνός [Galeno, medico romano] da Bergama [Pergamo], ‘ndi li convitati assunsero confetti di spezie come zenzero, carvi et semi di anice, finocchio aut cumino glassati cum zucchero aut miele, accompagnati da vino addolcito corretto cum latte. Agli ordini dello scalco, che ha deciso forma et contenuto del banchetto, li cuochi aveano realizzato le ricette privilegiando tutto ciò che raro et costoso est, ‘spirandosi alla pittura coeva. I paggi cominciaronro a servire pria gli ospitj et poscia le damæ con parecchie portate, abbellite cum ogni mezzo, come sformatj di cereali con spezie e carne spezzettata, brodo con abbondanti pezzetti di pane oltre a minestre, pasticci, verdure, patè, pesci, selvaggina ac carni cotte allo spiedo aut al forno affogate ‘n salse aro matiche, che aveano lo scopo di ravvivare vel correggere lo gusto, et offriano vn’ampia scelta fra colori diversi e servite in ciotole dalle quali li comensalj sceglieano, ‘n base alla piacevolezza cromatica. I cuochi che per un piatto necessitavano del bianco, abbinavao riso, mandorle o carne di pollo mentre per il giallo usavono tuorlj d’ovo et zafirano. Le spezie, prodotti multo lussuosi, venivano usate in combinazione per ottenere un sapore composto, a es. prezzemolo e chiodi di garofano o pepe e zenzero. I convitati mangiavano magna parte de li cibi prendendoli con le mani, dall’unico piatto, et solo agli at tuali ospiti di axoluto riguardo venne fornito vn coltello riservato [L’uso delle forchette decaduto con la caduta dell’Impero romano, riportato nel 1003 dall’Impero d’Oriente, venne bandito dalla Chiesa perché ritenuta oggetto del diavolo fino a metà 1700. In Italia cominciò a diffondersi nel XIV sec., nel Regno di Napoli, un punteruolo di legno per mangiare la pasta, tanto che in Calabria in dialetto si chiama broccia (dal francese broche, spiedo). I primi cucchiai, invece, sono stati la ligula e il cochleam, prima in osso e poi in metallo, il cui manico nel '600 è stato progressivamente allungato]. Alcune porzioni di cibo eano servite su gran fette di pane sine nessun appogio e condivise con i vicini di tavo la. Le mani veniano pulite lavandole, ogni tanto, cum aqua de rosa, passata da li paggi o strofinandole sul mantello dei canj, che gironzolavano, in attesa de li ossi o direttamente sulle lunghe tovaglie, che ogni tantum venivano mutate aut ponendo l’alimento su vna specie di tovaglia di pane, per pulirsi con la mollica ‘ntatta. Poscia aver spolpato li ossi, ea segno di bona educazione gittarlj sul pavimento ricoperto cum giunchj profumati con basilico et arte misia, per profumare l’ambiente. Anche a Wols le preoccupazioni, riguardo alla sua purezza, le raccomandazioni mediche e il suo scarso prestigio, facevano sì che all’acqua si preferissero le bevande al coliche, sic i paggi servivano birra; vino anche il Saggio di melograno e di more; sidro di pere e me le; il prumellé, fatto con le prugne selvatiche [slivoviz]; l’idromele, con o senza alcool, a base di miele; il kumis, ottenuto dalla fermentazione di latte di cavallo o cammello. Madonna Isadora gustò particolar mente una portata et ne chiese la ricetta a monna Guenda: Pigliarai cascio et grattalo, quanto est piu grasso tanto est meglio; poi habi de le vietole, petrosillo et maiorana; et nettate et lavate che l’a vrai, battile con un coltello, et uniscele al cascio me scolando cum le mani tanto che siano bene incorporate, agiongendovi quattro ova, pepe quanto basti et un pocho di zafrano item di bono strutto o butiro fresho, mescolando molto bene . Li cuochi prepararon etiam lo “pastello volativo”, due croste sovrapposte da cui, all’apertura della superiore, uscirono alcuni uccelinj vivi con stupore et gaudio dei convitatj tucti et la torta di Wols, vn dolce consistente ‘n vna perfetta riproduzione del castello, in questo caso di Targor, sormontato dallo stemma del principe Eliano, portato a tavola su vn vassoio d’argento da vn cavaliere che montava vn belissimo Frisone nero. Madonna Isadora, entusiasta, ne chiese la ricetta alla principessa Guenda: Mettere 14 ovi ‘n vna bilancia, pesando dall’altra parte altrettanto zucchero fino, levare indi da la bilancia lo zuccaro, mettendo tanta farina quando peseranno sette ova, indi romperle, mettendo i bianchi in un vaso a parte con lo zuccaro pesato, con alquanto di cedro raschiato, fiori di cedro abbrustoliti e triti, sbattere il tutto assieme per mezz’ora poscia mischiare i bianchi, pria sbattuti ben bene, aggiungendovi alfine la farina a poco a poco in vna casseruola mezzana profonda, freghata cum butino raffinato, asciugandola bene con un pannolino, indi m ettere del butirro raffinato, facendo che si stenda da per tutto; poi fare cuocere a d’un calor moderato, per un’ora e mezzo; cotto che sarà riversarlo dolcemente supra un piatto e, se sarà di un bel colore dorato, va servito ma si avesse preso troppo colore bisogna ghiacciarlo in bianco, cioè con zucchero finissimo, un bianco d’ovo ed il succo di mezzo cedro, sbattendo il tutto in un vaso di maiolica con vn cucchiaio di legno e, fintanto che il ghiaccio sia ben bianco, coprire la focaccia et non servirefinché il ghiaccio sia ben secco ». (Da Chronicon Umpsariense, Historia Medioevale, di S. Pellicanò, ISBN: 978-88-97215-16 -5). L’alimentazione nel XVI secolo La vera arte nella preparazione dei cibi inizia nel 1500. Con la scoperta dell'America e i contatti più facili con Asia e Africa, arrivano patate, riso, mais, asparagi, spinaci, pomodori, ecc. Tra il XVI e il XVII sec., il mais diventa l'alimento di base dei contadini, soprattutto nell'Italia settentrionale, sotto forma di polenta. Al regno di Luigi XV (1715-1774) risalgono il consommé e la fricassea di pollo e di piccione, la besciamella e la maionese. Il caffè, il tè e la cioccolata chiudevano i pranzi più importanti. In epoca Rinascimentale e Barocca si raggiunge l’apice dell’arte culinaria e della cucina elaborata, si assiste al ritorno a una cucina artificiosa che tende a nascondere i sapori naturali e gli alimenti si somigliano a causa delle frollature interminabili, cotture ripetute, salse complicate e uso di spezie. La cucina dell’Italia rinascimentale raggiunge i massimi livelli di prestigio e raffinatezza anche se per il 1500 non possiamo parlare di sua prevalenza sulle altre come invece succederà nel 1700 per quella francese. In quest’epoca fioriscono ricettari di cucina ma anche manuali di comportamento, sulle vivande e su come apparecchiare. Bartolomeo Scappi scrive del risotto, dolci e zuppe della cucina lombarda e della maestria dei napoletani a preparare pizze (diverse ovviamente dalle attuali) mentre Marco Cesare Nannini documenta la produzione emiliana di cotechini e zamponi. Castel Durante nel « De bonitate et vitio alimenorum canturia » (1565) consigliava che l’olio extravergine fosse di almeno due anni a differenza della nostra epoca. Nel 1581 nel «Trinciante » di Vincenzo Cervio vengono descritte regole di galateo gastronomico mentre Mattia Giegher pubblica « Li tre trattati » ricco di illustrazioni. Cristoforo di Messinburgo nel « Banchetti » descrive varie ricette regionali, come quella del “farro alla siciliana” e “dei maccheroni alla romana” (antenate delle attuali) mentre nella « Composizione de li più importante vivande » fornisce, fra l’altro, ricette napoletane, torte tedesche, antenate di quelle alle mele e strudel altoatesine oltre a torte d’erbe alla ferrarese e della mortadella bolognese. La cucina del Rinascimento presenta piatti nuovi e pratiche rinnovate ma di ispirazione medioevale con rielaborazione di molte ricette del passato; soggetta all’alternanza per motivi religiosi dei giorni di magro e grasso svilupperà però una cucina magra più ricca e elaborata dell’epoca precedente. Il gusto dominante è quello dolce anche perché l’uso dello zucchero è un segno di distinzione sociale. Rispetto al Medioevo nei pasticci in crosta troviamo carni disossate e non più animali interi o addirittura vivi o anche animali ricomposti e rivestiti del loro piumaggio o pelo variamente colorati; si prediligono salse leggere con piante aromatiche o a base di frutta che impiegano molliche, pane abbrustolito, farine varie, mandorle o uova, succhi acidi e miscele di spezie. Nel 1500 in Spagna la capitale fu spostata da Toledo al villaggio Madrid e da questo spostamento venne anche la spinta al cambiamento della gastronomia europea che smise di essere influenzata notevolmente dalle spezie orientali poiché dalle Americhe arrivarono patate, pomodori, melanzane, fagioli, caffè, cacao che risolsero i problemi delle fasce sociali più deboli, creò nuove mode nelle fasce più elevate come quella del tabacco e della cioccolata e questi nuovi alimenti diffusi gradualmente anche negli altri Stati europei ne modificarono radicalmente moda, economia e gusto. L’alimentazione nel XVII secolo Nel Seicento « Lo scalco alla moderna » di Antonio Latini è il riepilogo della precedente letteratura gastronomica, dagli esordi della gastronomia umanistica ai trattati di Messisburgo, Panunto, Scappi, Cervio e Stefani rappresentando la fine dell’egemonia della letteratura gastronomica nazionale. Frà Francesco Fulvio Frugoni (1620-1686) pubblica « Libreria dè Gastrimargi » un catalogo di libri immaginari sulla cucina ligure mentre nel 1666 Bartolomeo Stefani scrive « L’arte di ben cucinare » basato su ricette emiliane. L’alimentazione nel XVIII secolo Nel Settecento la gastronomia francese nacque alla corte del Re Luigi XIV (1643-1715) a opera del cuoco Pierre La Varenne che fondò le moderne salse bianche precursori della besciamella e gettò le basi della cucina francese distaccandosi dall’italiana. Nei primi anni del secolo in Francia si afferma così la “cuisine moderne” o “nouvelle cuisine” o “cucina borghese” che scopre gli alimenti freschi, le verdure, il confine netto dei sapori e le salse delicate. Il pranzo diventa un'occasione per riunirsi e a Parigi viene aperta la prima trattoria. In questa epoca cambia anche la struttura del pranzo e il servizio “alla francese” che prevedeva la presentazione di tutti i piatti nello stesso tempo viene sostituito da quello “alla russa” con i piatti portati uno dopo l’altro secondo una gerarchia predefinita. Vincenzo Corrado (1734-1836) scrive il « Cuoco galante », ricco di ricette napoletane, usando termini francesi spesso italianizzati in modo incomprensibile, espressione del predominio della cucina francese; il trattato « Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi » di Anonimo riflette la situazione culinaria di alcune regioni italiane mentre l’« Apicio moderno » di Francesco Leonardi è una vera enciclopedia gastronomica dove per la prima volta c’è la storia della nostra cucina dall’epoca romana a quella dell’autore, epoca dell’egemonia francese. Verso il 1740 il francese Margraf scoprì che lo zucchero era estraibile anche dalla barbabietola che cresce nei climi temperati. L’arte della conservazione dei cibi fa enormi progressi e si hanno marmellate, formaggi di molte qualità, salumi e salsicce. Nasce l'arte dolciaria con torte, pasticcini e meringhe. Giovanni Felice Luraschi nel « Nuovo cuoco milanese economico » descrive la cucina parmense e milanese; Giovanni Vialardi fornisce un ricco repertorio di ricette nazionali e estere nel « Trattato di cucina pasticcera »; « La nuova cucina economica » di Vincenzo Agnolotti ci tramanda ricche informazioni sulla cucina emiliana e ligure e infine Pellegrino Artusi (1820-1911) nella « Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene » tratta ricette soprattutto emiliane evidenziando che ogni città usa un ripieno caratteristico. L’alimentazione nel XIX secolo Nel 1800, in seguito alle scoperte scientifiche scientifiche applicate all'industria e all’agricoltura, l'alimentazione cambia profondamente. All'inizio del secolo viene impiantata in Francia la prima industria di lavorazione della barbabietola per cui è possibile avere lo zucchero in tavola. Le teorie di Pasteur sulla fermentazione permettono progressi in campo enologico-caseario, quindi migliora la qualità dei vini e dei formaggi e l'abitudine del pranzo come occasione di riunione e festa si diffonde in tutti i ceti sociali. Verso il 1800 il riso arrivò dall’Asia tropicale. L’alimentazione nel XX secolo Nel Novecento in Francia nasce la “Guida Michelin” che illustra le caratteristiche dei ristoranti mentre nel 1909 in Italia compare la descrizione delle ricette regionali. L’avvento dell’era industriale, con le sue enormi possibilità di conservazione e di immagazzinamento, ha immesso sul mercato alimentare nuovi prodotti rompendo i vecchi equilibri con problemi di sovralimentazione o alimentazione squilibrata nei paesi ricchi e di sottoalimentazione nei paesi poveri, fino ad arrivare ai cibi transgenici. Con l’ingresso della donna nel mondo del lavoro il minor tempo dedicato alla cucina porta alla sostituzione dei piatti a lunga preparazione con cibi a rapida preparazione o pronti e surgelati. Dagli anni settanta si assiste alla ripresa delle tradizioni regionali anche in ambito gastronomico, al successo di una cucina dietetica che utilizza nuovi sistemi di cottura come il vapore e di nuovi strumenti come il forno a microonde e la cottura sottovuoto.  Oggi i nostri pasti si vanno sempre più semplificando, sempre più spesso il pranzo è uno spuntino, si può scegliere tra hamburger, pizzette o panini al bar. I pranzi importanti, quelli con tante portate e piatti raffinati, sono ormai riservati alle occasioni particolari. L’alimentazione nel XXI secolo Lo squilibrio sempre maggiore tra incremento della popolazione e risorse disponibili, associati con la crisi energetica, con i cambiamenti climatici e l’arresto della crescita economica mette in discussione la capacità della Terra di soddisfare l’imponente domanda di cibo. Quattro elementi appaiono essenziali per un suo corretto inquadramento: a) le cause dell’insicurezza alimentare, causa e effetto della povertà e del sottosviluppo, che interessa 1/3 della popolazione del Sud del mondo, quindi necessità per ognuno di 2.000 calorie/die; b) l’evoluzione dell’agricoltura nei Paesi industrializzati (U.E., USA, Giappone) che ha risolto il problema dell’autosufficienza alimentare, almeno a partire dagli anni Sessanta ma ha determinato anche gravi contraddizioni come la sostituzione di un’economia rigenerativa della natura (economia contadina) con una dissipativa della tecnica (utilizzo massiccio di sostanze chimiche) che ha provocato il saccheggio della fertilità dei terreni agricoli originando il fenomeno dell’erosione. Il luogo dove si produce il cibo, un tempo habitat salubre per eccellenza, è diventato una delle fonti dell’inquinamento globale dell’aria, dei fiumi, dei laghi e dei mari; c) la Nuova Ruralità: mentre lo sviluppo agricolo produce gravi contraddizioni, disagi e vari disturbi, compare in U.E., negli anni Settanta quando un’altra grande crisi, che precede l’attuale, incrocia la nuova rivoluzione tecnologica pertanto il modello di sviluppo adottato qualche decennio prima, mostra le prime avvisaglie della propria insostenibilità. Il fenomeno si manifesta in modo diverso a seconda delle tradizioni della ruralità. La Nuova Ruralità Continentale è prevalentemente conservazionistica e ricreativa perché fa leva su di una tradizione rurale di tipo agraria-naturalistica e esprime il riemergere di bisogni ancestrali legati alle relazioni uomo-terra e uomo-cibo che si erano determinate nell’ambito di assetti comunitari e di forme collettive di utilizzazione delle risorse naturali, considerate da tempi immemorabili come beni comuni. La Nuova Ruralità Mediterranea si pone, invece, in continuità con una tradizione caratterizzata per una maggiore integrazione tra città e campagna e per una diffusa presenza di pratiche civili comunitarie, di attività plurime e di economie informali. Non si manifesta come nostalgia di un lungo ciclo rurale ormai giunto a compimento e di cui serbare la memoria valorizzandone le vestigia ma è una tradizione che permane nella modernità come un insieme sia di attività in più settori, che di soggetti sociali di diversa estrazione e provenienza, legati tra loro da relazioni di tipo collaborativo. Intorno alle attività legate alla cultura del cibo locale, tipo km zero, farmer’s market, agricoltura hobbistica, orti urbani, presidi di prodotti tradizionali, agriturismo e itto-turismo, si creano le Comunità di Cibo, costruendo reti sempre più ampie in un’ottica cooperativa e di scambio culturale. Una delle loro idee fondanti è che piacere e salute vanno intesi nel segno dell’alleanza e del reciproco vantaggio; d) i dilemmi delle politiche agricole europee alla vigilia della loro ridefinizione. Appare evidente che una rete istituzionale per affrontare questi problemi va disegnata e costruita attraverso accordi tra Stati sulla base di proposte elaborate dalla politica e dalla società civile in una dimensione globale. La cucina, da sempre focolare domestico, nel XXI secolo conferma la sua centralità nell’abitazione e si trasforma però in uno spazio versatile, iperconnesso e salutare in cui, oltre alla tradizionale preparazione dei pasti, ci si prende cura di se stessi, del proprio benessere, dell’ambiente, si socializza, si condivide sui social media e perché no, si lavora. In questo secolo, infine, si assiste al notevole calo quantitativo delle botteghe tipo panetterie, macellerie e pescherie disponibili adesso all’interno di supermercati e iper- mercati aumentati quantitativamente e provvisti di grandi posteggi.


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Cultura

L’Olocausto ebraico veniva dalla Siberia e Guernica sarebbe un falso storico

di Stefano Pellicanò

Riteniamo che compito degli Storici imparziali deve essere quello di sottoporre la Storia a continua revisione perchè la Storiografia è una sua costante riscrittura alla luce di nuovi documenti. L’Olocausto ebraico veniva dalla Siberia? Lo sterminio degli ebrei tedeschi ha un precedente nel genocidio di classe operato dai sovietici negli anni ’20, quindi un’origine asiatica, pertanto la primogenitura appartiene all’URSS. La differenza tra le due tragedie è di tipo tecnologico, precisamente i sovietici sterminarono intere popolazioni nei gulag compresi gli ebrei con sistemi “artigianali” mentre i nazisti lo fecero su scala industriale con le camere a gas. Come logica e tragica conclusione il «giudizio storico e morale» coinvolgerebbe quindi anche i sovietici con la loro orribile primogenitura. Guernica sarebbe un falso storico Guernica è un dipinto di Pablo Ruiz y Picasso (1881-1973), olio su tela, di 349,3×776,6 cm, esposto al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (Spagna). L'ispirazione per l'opera arrivò dopo il “bombardamento” del 26 aprile 1937. Picasso compose il grande quadro due mesi (1 maggio-4 giugno 1937) e lo espose nel padiglione spagnolo dell'Esposizione universale di Parigi (maggio-novembre 1937.  Si è ritenuto per 83 anni, dall’aprile 1939 che in un giorno di mercato, Guernica, cittadina a trenta km di Bilbao, fosse stata bombardata e distrutta da aerei tedeschi mentre i contadini portavano i loro prodotti al mercato mentre le campane delle chiese annunciavano a stormo l’imminente attacco aereo condotto, si disse, con intento terroristico. Le ricostruzioni dell’americano Jeffrey Hart del Dartnough College (Nuova Inghilterra) sono giunte a conclusioni sconvolgenti in quando l’episodio sarebbe un falso storico, il massacro non sarebbe mai avvenuto in quanto gli aerei tedeschi non l’hanno mai bombardata come sostenuto da una raffinata fabbrica della menzogna, uno dei tanti « non fatto » di cui abbonda la storia e molti documenti « storici » sarebbero palesemente falsi. Guernica non era la « pacifica cittadina » descritta ma parte integrante della piazzaforte di Bilbao, posizione-chiave sul fronte settentrionale dei repubblicani, alla cui periferia c’erano fabbriche di armi e munizioni, una ferrovia, il Q.G. di una Divisione, vi confluivano otto strade evi passavano le « riserve rosse » per il fronte. La sua periferia in quei giorni fu bombardata ripetutamente a differenza del centro della cittadina ma tutti dichiararono che era stata distrutta. Autorevoli testimonianze franchiste e non (tra cui il militare spagnolo Luis Nolin, il Times, l’agenzia francese Havas) hanno affermato che non c’erano crateri di bombe e le facciate delle case superstiti non presentavano segni di schegge. Le case erano distrutte ma le vie erano intatte come se le bombe, nel «bombardamento a tappeto» avessero schivato l’asfalto mentre i giardini e i fiori, non interessati allo spostamento d’aria, erano rimasti intatti. In realtà Guernica sarebbe stata bruciata dai suoi difensori per fare « terra bruciata » quindi dai « rossi repubblicani » e non dei «nazionalisti fascisti ». I piloti tedeschi dichiararono che in quei giorni non poterono effettuare voli di ricognizione per i fumi degli incendi. Secondo questa sconvolgente ma documentata e credibile ricostruzione si trattò di una raffinata e gigantesca ben riuscita operazione di mistificazione e intossicazione politica organizzata per distrarre l’opinione pubblica internazionale dall’imminente disfatta repubblicana di Bilbao e attivare un’ondata universale di indignazione antifascista orchestrata con successo dal tedesco Wilheim Muenzenberg «Willi » (1889-1940) principale agente del Comintern o III Internazionale Comunista, l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti attiva dal 1919 al 1943 per l’Europa occidentale (fonte: agenzia Havas). Alcuni AA. hanno scritto che «Willi» sapeva creare situazioni come un prestigiatore; le meraviglie talvolta sono emozionalmente più reali della realtà.


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Giovanni Dionigi Galeno, il calabrese ammiraglio dei turchi

di Stefano Pellicanò

Il mar Mediterraneo è ancora l’ombelico del mondo occidentale nel XVI sec., epoca di passaggio dalle grandi scoperte geografiche alla rottura dell’unità dei cristiani, all’affermazione degli “stati mezzani”, tra i grandi e i piccoli, epoca in cui è ancora protagonista della Storia, prima che lo diventino le rotte atlantiche. Sul trono di Costantinopoli siede Solimano I il Magnifico o il Legislatore (1494-1566) mentre Carlo d’Asburgo (1500-1558) eredita dai genitori un immenso impero che governa come Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero e Carlo I come re delle Spagne. La Corte di Francia stringe alleanza con gli Ottomani, consentendo ai pirati barbareschi sistematiche incursioni sulle coste dei possedimenti spagnoli sul Mediterraneo. Giovanni Dionigi Galeno nacque nel piccolo borgo del mar Jonio Castella di Isola Capo Rizzuto nei pressi di Cutro, vicino Crotone, nel 1519 (o 1520), figlio di Birno, originario di Motta Sant'Agata (RC) e di Pippa di Cieco, chiamata Pippa della Castella, contadina. All’epoca Castella e Cutro facevano parte della Contea di S. Severina, che aveva raggiunto il massimo splendore con Andrea Carafa della Spina, conte di S. teoricamente Severina (?-1526) che aveva costruito sulla collina un poderoso castello che con quelli di Crotone e di Le Castella, costituiva un triangolo perfetto per difendersi dalle incursioni saracene. La cattura Domenica 29 aprile 1536 il corsaro albanese ottomano e bey [signore] di Algeri Khayr-ad-Din, il Barbarossa al comando di trenta galere, piombò su Le Castella, feudo di Galeotto Carafa. Gli abitanti opposero una strenua resistenza, asserragliati nella fortezza restaurata nel 1512 da Andrea Carafa, zio di Galeotto ma i turchi, vinta la loro resistenza, si abbandonano a saccheggi e alla cattura di braccia per i remi delle galee. Tra i catturati c’è il sedicenne Giovanni Dionigi Galeno, che voleva farsi monaco, andato a messa quando all’orizzonte apparvero le navi col vessillo nero-bianco sui pennoni. Sua madre si precipitò a cercarlo in chiesa ma non lo trovò perché si era rifugiato con la sua compagna Maria in una vicina cantina. Aveva capito che tra i due ragazzini c’era simpatia pertanto quando li vide abbracciati chiuse la porta della cantina. Giovanni venne catturato probabilmente per nascondere Mari La prigionia Fatto quindi prigioniero e messo al remo, dopo alcuni anni rinnegò la religione cristiana per poter uccidere un marinaio napoletano che lo aveva schiaffeggiato e non essere, di conseguenza, ucciso in base alla legge islamica col nome Uluç Alì [“Ali il tignoso”], per la sua malattia. Impegnato a combattere per la gloria e il potere non ebbe grandi amori, considerando l’amore un’abitudine o un privilegio, sposò Bracaduna, la figlia del sultano, calabrese di origine, Ja’far Pascià, uno dei re della guerra di corsa nel Mediterraneo e sfruttò la sua esperienza marinara per farsi notare dal suocero quale ottimo stratega pertanto iniziò la propria carriera di corsaro con grande successo imperversando in tutto il Mediterraneo. La sfolgorante carriera Nel mondo ottomano non essendo la gerarchia sociale determinata dalla nascita, la «fortuna» poteva far ascendere alle più alte cariche dell’Impero anche un oscuro suddito, testimoniata dalle parallele vicende di altri rinnegati, come il genovese Scipione Cicala (1545/1552- 1605), catturato da Uccialì e divenuto, dopo l’abiura, il pirata Cagaloglu Yusuf Sinan Kapu-dan Pasa. Divenne comandante della flotta di Alessandria, poi pascià di Tripoli e infine bey [governatore] di Algeri (1568).Catturò la galera di Pietro Mendoza nei pressi di Favignana (1555 ca.) e di Vincenzo Cicala e Luigi Osorio a Marettimo (1561). Il suo nome è legato a numerose incursioni sulle coste italiane, soprattutto dello spagnolo Regno di Napoli, forse trattando con cospiratori calabresi per unire la Calabria ai domini turchi. Partecipò alla battaglia di Gerba, nel sud-est della Tunisia (1560) e, successivamente, cercò di catturare il duca Emanuele Filiberto di Savoia presso Nizza. Nel 1564 partecipò ai ripetuti assalti e ai saccheggi di Civezza [oggi prov. di Imperia]. Guadagnata una discreta somma, la investì per armare una propria nave e unirsi alle scorrerie dell’ammiraglio “Capitan pascià” e corsaro ottomano Dragut (1485-1565), il successore di Khayr al-Din Barbarossa, viceré di Algeri e signore di Tripoli e al-Mahdiyya. Nel 1562 nominato dal Sultano capo della guardia di Alessandria organizza con Dragut una spedizione a Napoli, capitale del vicereame. Nei documenti non risulta questo sbarco, anche se i napoletani si erano preparati a accoglierli con fuochi d’artificio, trik-trak e mezzelune fabbricate a Pozzuoli ma si tramanda che con alcuni fedelissimi sbarcò a Ischia mentre si svolgeva la festa dell’Incoronata. Tra canti, suoni e amori sulla riva per una notte ci fu l’incontro con le donne dell’isola pertanto nacquero ragazzi di bella fattura chiamati i turchi. In seguito Occhialì scrisse al vicerè di Napoli: “Avrei potuto saccheggiare e vincere. Il vostro popolo non è fatto per la guerra, ama la pace e mi avrebbe ricevuto con corone di fiori. Ma non sono sbarcato perché a Ischia, in una notte d’amore, ho capito che a Napoli e dintorni sono le donne che comandano con la loro allegria. E contro le donne non si combatte”. Questa lettera venne affissa anche nelle case di appuntamento e le prostitute la conservavano nel petto come una reliquia. Subentrò a Dragut a capo della flotta ottomana, quando questi morì durante l'assedio di Malta del 1565, fu quindi autore di rilevanti imprese belliche, tra le quali l'assalto e il successivo assedio nell'agosto 1571 di Curzola (Dalmazia). Dopo il fallito tentativo dei cristiani di conquistare Tripoli e la “spedizione punitiva” ottomana su Messina, che della congiura era stato il perno, Uccialì diventa “Padrone della Barberia”, protagonista indiscusso della guerra di corsa, durante la quale più volte ritorna nel natio borgo calabrese ove rivede la madre. Il suo valore gli guadagna il governatorato di Tripoli. Il nuovo sultano Selim II, il Biondo (1524-1574), da sempre suo ammiratore, gli accorda la sua protezione, fino a affidargli nel 1568 il governo di Algeri. La commovente visita al borgo natio Il 21 maggio 1562 sbarcò a S. Leonardo di Cutro, vicino al luogo di nascita, si recò a Castella e andò al cimitero, dove pur essendo adesso musulmano entrando si fece il segno della croce e pregò la Madonna (venerata anche nella sua nuova religione). Qui erano sepolti i suoi genitori e sorge su una collina, rivide come in sogno in lontananza la colonna di Hera Lacinia, le fiamme dei camini della legna della Sila e gli comparvero i ricordi dell’infanzia felice, ovviamente anche di Maria, mai dimenticata. Lasciato il cimitero si recò al paese avvolto in un silenzio irreale perché gli abitanti terrorizzati erano fuggiti verso Cutro. Si recò alla casa del suo amore di gioventù, spalancò la porta e nella penombra vide una donna accartocciata su una sedia, immobile perché paralizzata. Era Maria ma lui non la riconobbe e lei non fece nulla per farsi riconoscere per lasciargli il ricordo della fanciulla di tanti anni prima quando si era concessa, vergine, al compagno di giochi in una cantina mentre i turchi sbarcavano. Qualcuno gli disse che Maria era morta ma il grande ammiraglio turco ebbe sempre dei dubbi in proposito. La partecipazione alla battaglia di Lepanto L’espansionismo turco ormai dilagava nel Mediterraneo e Veneziani e Genovesi erano costretti a cedere territori su territori. La cristianità si organizzò, il lavoro diplomatico era intenso per superare le rivalità tra le potenze cristiane, con la mediazione di papa Pio V (1566-1572), fino a giungere a una Lega tra Impero, Papato, Spagna e Venezia che armò una potente flotta, sotto il comando di don Giovanni d’Austria, fratello del re delle Spagne Felipe II, in quanto figlio illegittimo di Carlo V, nel frattempo defunto. Lo scontro avvenne il 7 ottobre 1571 presso Nafpatos (Lepanto), nel golfo di Patrasso. Uccialì comandava l’ala sinistra dello schieramento ottomano e aveva di fronte la flotta genovese comandata da Gianandrea Doria. Con un capolavoro tattico, aggirò l’ala destra cristiana e si spinse a minacciare le potenti galee di don Giovanni, fece prigionieri tra le galee cristiane, tra cui lo scrittore Miguel Cervantes, autore del Don Chisciotte, riportè in salvo una trentina di navi turche recando ad Istanbul, come trofeo, lo stendardo dei Cavalieri di Malta, dopo una precipitosa fuga durante l'infuriare della battaglia e si diresse verso Algeri, inseguito dal Doria. Il comportamento nella disastrosa battaglia di Lepanto gli fece meritare il grado di «Kapudan Pasha o kapudan-ı derya» [“ammiraglio in capo dell’armata” o “ della flotta turca” ] e l'appellativo di Kılıç Alì (Alì la Spada) avendo simbolicamente spezzato come una spada l’accerchiamento del nemico. Forte della nuova carica ricostruì in un anno la flotta distrutta a Lepanto e nel 1572 riuscì a sfidare ancora le flotte cristiane, anche se con scarso successo. Gli ultimi anni e la morte Nel 1574 riconquistò Tunisi, che era stata espugnata l'anno prima dalla flotta cristiana e alla ripresa del dominio sul Mediterraneo e sul Mar Nero, unendo all’abilità militare quella diplomatica, passando gli ultimi anni della sua vita a corte. Costruì sulla collina di Top-Hana, presso Costantinopoli, sul mar Bosforo, un sontuoso palazzo e una grande moschea. Qui morì il 21 giugno 1587 o a luglio 1595 a 84 anni tra le braccia di una prostituta calabrese. Il suo corpo fu deposto tra quattro torce secondo l’antico rito cristiano e poi sistemato nella moschea.”. Secondo alcuni resoconti, in punto di morte sarebbe tornato alla fede cristiana ma gli storici turchi negano questa eventualità, visto che già in vita gli erano stati offerti feudi e ricchezze in terre cristiane che egli aveva sempre rifiutato, preferendo la libertà di costumi di cui godevano i cristiani convertiti all'Islam. L’eredità Lasciò ai suoi numerosi schiavi e servitori case e beni di proprietà, concentrati in un villaggio da lui fondato e chiamato la «Nuova Calabria».


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Cinque mandorle al giorno per rimanere giovani a lungo?

di Anadela Serra Visconti

Potremmo chiamare le mandorle un elisir di lunga vita: ci aiutano a mantenere giovane la pelle, i capelli, il cervello, il sistema immunitario e le arterie. Tra la frutta secca oleosa le mandorle sono "regine" del benessere: ricche di omega 3 e omega 6, di vitamina E (antiossidante) di minerali quali il calcio, lo zinco, il magnesio, ricche in fibre e proteine, potremo considerarle un vero e proprio integratore alimentare naturale. Ecco perché consiglio di tenerle a portata di mano in borsa, in ufficio o nel cruscotto della macchina. Anche come mini-spuntino antifame, al posto di una gomma americana o una caramella. Il loro contenuto in olio vegetale ricco di acidi grassi insaturi, omega e di tociferolo (vitamina E) idrata e mantiene giovane la pelle, agendo da antiossidante e anti-aging, favorendo la formazione del film idrolipidico cutaneo, la barriera che mantiene idratata la pelle. Ottime le mandorle secche anche per avere capelli lucenti, per mantenere giovani le arterie e il cuore, prevenendo i depositi di colesterolo. Le meravigliose mandorle, tra l'altro, grazie al magnesio ed agli omega 6, ed alle loro proteine vegetali, hanno un buon influsso sul nostro umore, quindi, ci aiutano nei periodi di stress psicofisico. Non dimentichiamo però che dalle mandorle si estrae l'olio, poiché per il 70% sono costituite da grassi, quindi sono altamente caloriche: 100gr di mandorle secche apportano circa 580 calorie, equivalente ad un piattone di pastasciutta. Quindi attenzione! Un po’ di matematica per tenere sotto controllo il peso: una mandorla apporta circa 15 calorie. Perciò, se non volete incidere sul peso, la dose ideale è di 5 mandorle al giorno (75 kcal). Sceglietele sempre bio e con la pellicina esterna: apportate più fibre, utili per l'intestino. Per un “total body” adottate anche l'olio di mandorle dolci, perfetto per idratare il corpo, per struccare il viso, per un impacco ai capelli. 5 mandorle al giorno. Attivate il pensiero, quando le gustate, masticandole lentamente: vi farete un piccolo regalo quotidiano di felicità!


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Detersione del viso "Eco-friendly"

di Anadela Serra Visconti

Quanto detergiamo il viso in armonia con la natura? La pulizia del viso é un rituale necessario, soprattutto la sera, più che per rimuovere il trucco per eliminare lo smog cittadino. Il segreto di una buona detersione? Raddopiare la pulizia. Il primo passaggio elimina il trucco e lo smog, il secondo rimuove il sebo e le cellule morte della superficie cutanea. Fermo restando che i detergenti di buona qualità (latti, gel, acque micellari) svolgono egregiamente il loro compito, possiamo anche noi facilmente realizzare le nostre proprie lozioni detergenti in forma “eco-friendly” con alcuni ingredienti che troviamo in casa, compatibili sia con la natura che con la pelle. Ecco alcuni esempi di preparazioni per la pulizia della pelle, da applicare sul viso con movimenti rotatori e successivamente da risciacquare con acqua. Esfoliante al succo di limone e yogurt: indicato per pelle grassa e/ispessita. Mescolare 1 cucchiaio di yogurt intero con qualche goccia di limone fresco. È un soft peel che pulisce leviga la pelle. Detergente all'aloe: indicato per pelle sensibile. Mescolare 2 cucchiai di gel d'Aloe Vera con 1 cucchiaio di latte di soia. Rimuove impurità e anche il trucco. Polvere bio-scrub: utile per rimuovere le cellule morte. Mescolare 1 cucchiaio di germi di grano, 1 di farina di mais e 1 di crusca d'avena in un barattolino pulito e chiuso. Usate settimanalmente 2 cucchiaini di questo mix imbevuto d'acqua, utilizzando questa “pasta” per massaggiare viso e collo. Per rendere anche antiossidanti e anti-aging questi detergenti naturali, basta aggiungere una punta di cucchiaino di the matcha (the in polvere giapponese) ad ogni preparazione. Dopo la detersione, sarà indispensabile la crema idratante.


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I sanguinari protagonisti dell’integralismo cattolico. Quanti roghi e omicidi in nome della fede!

di Stefano Pellicanò

Questo articolo è un parziale raccapricciante elenco che mette in fila, come in una processione, solo alcune vittime dell’integralismo cattolico. A fine lettura sembrerà di aver assistito a uno di quei strabilianti cortei di ecclesiastici, nobili e dignitari che, snodandosi per Roma, tra S. Pietro e S. Giovanni presentavano ben ordinato per gerarchia il mondo che accompagnava il Papa purtroppo, però, quello che percorre la descrizione sembra piuttosto un corteo firmato dal regista e ta e sceneggiatore spagnolo Joan Bosch Palau (John Wood, 1925-2015), tali sono gli orrori che vi sfilano. Grandi nomi come Ipazia, Giovanna d’Arco, G. Savonarola ecc. giganteggiano a scandire una lunga teoria di martiri che accompagnano anche anonime vittime, un kolossal ma anche un horror, con tanto di scene di massa, tipo la benedizione impartita alla Tratta dei Neri o tutte quelle conversioni forzate, obbligate se non si voleva essere uccisi: streghe, prostitute, omosessuali, eretici, Templari, Catari, Patarini,Valdesi ridotti in cenere su quei roghi dove venivano sparse erbe aromatiche affinchè l’odore di bruciato non desse troppo fastidio agli spettatori (il termine finocchio per gli omosessuali si riferiva che con loro questa erba veniva bruciata assai). Già nel 391 Teodosio (347-395), convinto da S. Ambrogio da Milano, mise fuori legge tutti i culti pagani, ne chiuse e requisì i templi; due secoli dopo l’imperatore Flavio Pietro Sabbazio Giustiniano I il Grande (527-565) fece dello Stato di Bisanzio un vero e proprio mattatoio. Da notare che mentre a tante vittime innocenti nessuno ha chiesto scusa, due beatificazioni fatte da Giovanni Paolo II (1978-2005) hanno suscitato molte polemiche: Pio IX (1846-1878) fù l’ultimo Papa Re, usò il pugno di ferro, si oppose a democratizzazione e liberalismo, condannato col Sillabo, fautore della pena di morte, vietò la politica ai cattolici e costrinse gli ebrei nel ghetto; Pio XII (1939-1958, fig. ) firmò lo scioglimento delle organizzazioni politiche cattoliche tedesche, favorendo così quelle nazionalsocialiste, bloccò l’enciclica del predecessore Pio XI (1922-1939) incentrata sulla condanna del nazionalsocialismo, non si accorse dei massacri, della deportazione degli ebrei romani e dei Francescani, mitra alla mano, a fianco dei nazisti slavi che massacrarono oltre un milione di serbi. A) Ipazia di Alessandria d’Egitto (373 - 415) Ipazia, di abbagliante bellezza e integrità morale (vedi Ipazia: storia di un femmicidio politico-religioso del IV secolo, anno XVII, n°3, 58, settembre 2015), nacque dopo che era stato consentito il ritorno al Paganesimo, dopo che il Cristianesimo era stato eletto unica religione dell’Impero e fu imposto con le armi e i massacri. Tra l’altro mise in discussione la cosmologia tolemaica, intuì la relatività dei moti e l’ellitticità delle orbite dei pianeti. Nel 412 divenne vescovo il violento Cirillo (370 - 444), Santo e Dottore della Chiesa che in tre anni sparse il terrore prima contro i Novaziani (“Puri”) , vietandone il culto e perseguitandoli poi contro gli ebrei fino alla loro cacciata infine contro i neoplatonici, pertanto fu pianificato l’assassinio di Ipazia così una sera del marzo 415 un gruppo di fanatici cristiani la sorprese mentre tornava a casa, la tirò giù dalla lettiga e la trascinò in una chiesa sul Cesareion dove, dopo averla denudata, le cavò gli occhi, la straziò con valve d’ostrica o cocci o tegole, scorticandola fino alle ossa quindi i resti furono bruciati rimanendo impuniti per “mancanza di testimoni” e la sua uccisione fu una macchia indelebile sul Cristianesimo. Ipazia venne considerata nell’agiografia cristiana come S. Caterina di Alessandria d’Egitto martire. B) Il massacro dei Sassoni (772) Carlo I (742-814), re dei Franchi dal 768, dei Longobardi (774) e dall'800 primo Imperatore dei Romani fondando l'Impero carolingio, I fase del Sacro Romano Impero. I Sassoni, popolazione stanziata oltre il fiume Reno, nella zona settentrionale dell’odierna Germania, erano da secoli una delle popolazioni più agguerrite dedite al saccheggio. Carlo intorno al 772 intraprese una serie di campagne estremamente sanguinose per la loro sottomissione e cristianizzazione forzata che durarono oltre un trentennio. Nel gennaio 782 dopo che venne bruciata una chiesa nei pressi di Deventer, odierna Olanda, Carlo ordinò la strage o “massacro di Verden”, nell’ottobre 782 e 4.500 Sassoni furono decapitati per aver rifiutato la fede cristiana, macchia sulla sua reputazione, quindi, in Sassonia fu instaurato una specie di regime marziale, “Capitolare Sassone”, abrogato nel 791, dove era prevista la pena di morte per chi rifiutava il battesimo. sacramento che deve essere impartito, per precetto evangelico, da genitori cristiani e la conversione di un pagano non poteva essere ottenuta con la minaccia delle armi. C) Fra Dolcino da Novara (1250 ca-1307) É stato un predicatore che nel 1291 entrò nel movimento degli Apostoli, che rientrava nel novero dei gruppi pauperistici [poveri] e millenaristici [credenza nell'arrivo di una trasformazione della società, dopo la quale “tutto sarà cambiato”]. Non si è certi che abbia pronunciato i voti, forse “fratello” nell'ambito del movimento. Gli Apostoli furono repressi dopo la condanna per eresia da papa Onorio IV nel 1286 (1285-1287, fig..). Nel 1303, predicando nei dintorni di Trento, conobbe la giovane bellissima Margherita Boninsegna che divenne la sua compagna e lo affiancò nella predicazione arrivando a contare tra i 5.000 e i 10.000 aderenti che conducevano una vita di frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo l'elemosina, senza imposizione di celibato. L’ accoglienza dei nuovi seguaci prevedeva che pubblicamente si mostrassero nudi, per rappresentare la propria nullità davanti a Dio (come avrebbe fatto s. Francesco). Predicavano l'obbedienza alle Scritture, affermavano il dovere di disobbedire anche al Papa quando allontanato dai precetti evangelici, il diritto dei laici a predicare, l'imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione dei costumi ecclesiastici e la necessità di vivere in assoluta povertà scatenando l'ira della Chiesa. Dolcino, ispirandosi a Gioacchino da Fiore (1130-1202), riteneva che la storia della Chiesa si dividesse in IV epoche e che fosse imminente l'ultima, in cui si sarebbe ristabilito l'ordine e la pace dopo le sue degenerazioni. Nel 1306 contro di loro fu bandita una crociata dal vescovo di Vercelli Raniero (o Rainero) degli Avogadro, con il beneplacito di papa Clemente V (1305-1314). I dolciniani resistettero a lungo ma infine furono sconfitti nella Settimana Santa (23 marzo) del 1307 e passati per le armi. Dolcino, processato a Vercelli e condannato a morte, fu condotto su un carro attraverso la città, torturato ripetutamente con tenaglie arroventate e gli furono strappati naso, lingua e pene ma sopportò tutto senza lamentarsi infine il 1° giugno fu issato sul rogo e arso vivo di fronte alla Basilica di 0000000Sant'Andrea, dopo avere assistito al rogo di Margherita sulle rive del torrente Cervo che scorre vicino a Biella. Alcuni teologi della Riforma protestante videro in lui un loro antesignano. D) L’Inquisizione medievale (1179/1184- metà XVI sec.) Il termine deriva dal verbo latino inquirere [investigare, indagare] infatti conduceva le indagini per accertare l'eresia dei cristiani e, scopertala, tentava con tutti i mezzi (compresa la tortura) di convincere l'indagato a ritrattare (abiura), quando non ci riusciva lo rimetteva a un tribunale civile. Nel 1179 il concilio Lateranense III indetto da papa Alessandro III (1159-1181) stabilì regole precise per evitare ulteriori scismi e il canone 27 dettava regole per contrastare l'eresia. Dato che all’inizio la ricerca degli eretici era affidata ai vescovi locali si parla di Inquisizione vescovile (1184-1231). Nel 1229 il Concilio di Tolosa istruisce la santa Inquisizione che Gregorio IX (1227-1241) affida prima a cistercensi poi a Domenicani e Francescani e da quando (1231) papa la affidò a dei giudici nominati inviati da lui stesso, quindi suoi legati, si parlò di Inquisizione legatina o pontificia che operò soprattutto nel sud della Francia e nel nord Italia, aree dov'erano maggiormente presenti Catari e Valdesi, in Germania (fatta dai Luterani), in Scandinavia e in Spagna. Innocenzo IV (1243-1254), il 15 maggio 1252, la rende più efficiente autorizzando la tortura con la bolla Ad extirpanda. Tra 500 e 600 la ruota dell’Inquisizione si mise a girare a più non posso stritolando con efficienza parossistica migliaia di vittime. Sangue, roghi e censure bloccarono la diffusione della Bibbia di Lutero appena tradotta. Tomás de Torquemada (1420-1498) era un Domenicano spagnolo. In 15 anni (dall’ottobre 1483) i processi furono 100.000 (18 al giorno) con 2.000 condanne a morte. L’esperienza dell’Inquisizione può dirsi conclusa a metà del XIV sec., cioè alla scomparsa del movimento cataro La crociata contro i Catari-Albigesi I Catari costituirono un movimento diffuso soprattutto nella Francia meridionale; uno dei loro centri principali fu la città di Albi (in Occitania da cui il no nome di Albigesi), fin dall’XI sec. La loro dottrina dualista si fondava sul rapporto oppositivo tra materia e spirito, bene e male; negavano la divinità e umanità di Cristo, attribuendogli una natura angelica (un Eone emanato dal Dio e dalla Luce, come Maria), operante con un corpo apparente, non vero redentore ma maestro; ripudiavano l'Antico Testamento, come i Marcioniti e i Manichei, attribuendo la creazione a un essere malvagio e erano ferocemente intolleranti contro la chiesa cattolica, come continuazione della sinagoga e perché corrottasi con la donazione di Costantino. Con i cattolici era vietata ogni relazione, tranne che non diretta a convertirli; sfidavano spesso con successo i preti battendoli soprattutto sul loro modello di vita. Poiché la materia (il corpo) era malvagia, l'anima poteva trovare il suo bene solo nel suo sciogliersi, da qui il loro ascetismo, fino a lasciarsi morire di fame (endura) per ottenere questa liberazione; condannavano anche il lavoro, il possedere beni terreni e il guerreggiare, anche se per necessità. La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava il rifiuto del battesimo, dell'eucaristia e del matrimonio, suggellato dall'unione carnale; era proibito ogni alimento originato da un atto sessuale (carni di animali a sangue caldo, latte, uova), a eccezione del pesce [non era conosciuta la riproduzione sessuale]. Il Nuovo Testamento era commentato in senso contrario alla tradizione cattolica e tradotto in volgare. Il Catarismo venne condannato nel III Concilio Lateranense (marzo 1179), da papa Alessandro III. Per contenere l'estendersi del fenomeno Domenico di Guzmán (1170-1221) fondò l'ordine domenicano ma, vista l'inefficacia di questi interventi non violenti, papa Innocenzo III (1198-1216) bandì nel marzo 1208 una crociata, la prima indetta da cristiani contro cristiani. Vinte a prezzo di molto sangue le resistenze eretiche, la crociata doveva considerarsi finita ma i cavalieri settentrionali pensarono di sostituire la nobiltà meridionale e che dovessero prenderne il posto nei possessi e nei feudi, pertanto, la guerra continuò contro i suggerimenti pontifici conseguendo carattere di conquista personale mentre la lotta contro l'eresia veniva condotta con forme strettamente ecclesiastiche. Il IV Concilio lateranense del 1215 condannò gli Aalbigesi. La questione dei feudi del devastato Sud della Francia fu definita col trattato di Meaux (1229), a vantaggio della monarchia francese, stroncando la florida autonomia della regione. Con l'unificazione della Francia meridionale sotto Luigi IX (1226-1270), venne meno la protezione dei feudatari locali nei confronti dei Catari, che furono costretti alla clandestinità o alla fuga. Secondo i legati papali ne furono massacrati circa 20.000 mentre i crociati, affermarono di aver sterminato “almeno un milione di persone” tra cattolici, catari, ebrei, uomini, donne, bambini, anziani. La Chanson de la Croisade albigeoise così descrive il massacro di Marmande del 1219: «[…] Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume ». L’abate cistercense Cesario di Heisterbach riporta che, durante il massacro di Béziers, dei Catari trovarono rifugio con dei Cattolici nella chiesa Santa Maddalena e secondo Pietro di Vaux de Cernay, 7.000 furono massacrati in quanto il legato pontificio, non potendo distinguere gli eretici ma risoluto a non porre fine al massacro, ordinò: «Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius» [«Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi»]. La crociata contro gli Albigesi, un vero e proprio genocidio, terminò nel 1229 con strascichi che si protrassero fino al 1244 con la caduta della roccaforte catara di Montségur dopo un anno di assedio quando un traditore, forse per denaro, rivelò agli assedianti una via d'ascesa segreta a una torre poco sorvegliata. I crociati riuscirono a impadronirsene inducendo i difensori della fortezza alla resa quindi oltre 200 persone furono arse vive il 14 marzo 1244 nella località Pratz dels crematz [Prato dei cremati]. Per rimediare all'inefficacia religiosa della crociata papa Gregorio IX e Innocenzo IV crearono i sanguinari Tribunali dell'Inquisizione che impiegarono settant'anni a estirpare il catarismo dal sud della Francia. La repressione dei Catari in Italia Il Catarismo era diffuso anche in Italia. Già nel 1028, l'arcivescovo di Milano catturò un'intera comunità eretica dualistica arroccatasi nelle Langhe, a Monforte d'Alba. Nella seconda metà del XIII sec. la repressione colpì dove, fino a allora, i Catari erano protett dall'imperatore Federico II di Svevia (1220-1250, fig…) in funzione anti-guelfa. Dopo la sua morte con l'ascesa di Carlo I d'Angiò (1266-1285) e la sconfitta delle forze ghibelline, la presenza catara fu soffocata contemporaneamente a Firenze, Milano, Orvieto, Vicenza, Viterbo, Treviso; a Piacenza nel 1230 una feroce repressione ne condannò numerosi al rogo; nel 1233 furono arsi oltre 60 nobili; esecuzioni si ebbero anche a Concorezzo e a Desenzano nel 1276 a opera degli Scaligeri; il 13 febbraio 1278 furono arsi circa 170 tra uomini e donne all'interno dell'Arena di Verona. Nei primi decenni del Trecento, in Italia e in Provenza, il Catarismo si estinse. La repressione contro i Valdesi I Valdesi traggono il nome da Valdo (1140-1206 ca.) un ricco mercante di Lione che aveva aderito all’ideale di povertà donando tutti i suoi beni ai poveri e iniziato un’attività di predicazione itinerante per richiamare i Catari e la Chiesa, all’aderenza al messaggio biblico. La corrente valdese del Cristianesimo nacque (XII sec.) come movimento cristiano laico, costituito da contadini e in genere da poveri, che precedette di poco quello di Francesco Giovanni di Pietro di Bernardone d’Assisi (1181/1182-1226). Denunciavano la sacralizzazione della cristianità e la pretesa che l’ineguaglianza tra signori e servi fosse di diritto divino; a differenza dei Catari contestavano le forme storiche del Cristianesimo avvalendosi di testi tra i quali l’Antico Testamento. Sorta come movimento pauperistico per la predicazione, la fedeltà a Alessandro III è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del III Concilio Lateranense che non riconobbe la loro richiesta di predicare il Vangelo, riservata solo agli ecclesiastici e ai chierici. Le loro comunità erano organizzate sui “perfetti” o barba (“zio”, in contrapposizione al “padre” cattolico), che seguivano i tre voti monastici di povertà, castità e obbedienza e erano predicatori itineranti e i semplici fedeli, detti “amici” o “noti”. Osservavano la liturgia delle Ore e i digiuni, celebravano la Cena del Signore (in Linguadoca con pane, vino e pesce) e la sera del Giovedì Santo praticavano la lavanda dei piedi. Nel 1180, nel sinodo a Lione, dichiararono la loro “ortodossia” e al contempo esposero gli “errori” dei Catari. Nel Concilio di Verona (1184) arrivò la scomunica, con la bolla Ad abolendam di papa Lucio III per la “presunzione” di voler predicare in pubblico ma il movimento si diffuse soprattutto nell’Italia settentrionale, nella Francia meridionale, Italia (Piemonte, Lombardia, Puglia e Calabria), giungendo anche in Germania, Svizzera, Austria, Spagna, Ungheria, Polonia e Boemia. Dopo la scomunica il movimento iniziò a sfaldarsi. La prima grande scissione avvenne nel 1205 ca., quando una parte consistente dei valdesi del nord Italia, influenzati da Patarini, Arnaldisti e gli Umiliati, dette vita al gruppo autonomo dei Poveri Lombardi (Pauperes Lombardi). Tra il 1205 e il 1207 Valdo morì senza essere riuscito a ricomporre lo scisma e la frattura con Roma. Quando il Concilio Lateranense IV (1215) definì la dottrina della transustanziazione [presenza reale e “sostanziale” di Cristo nell'eucaristia], non trovò consensi tra i Valdesi fino alla comparsa del nuovo ordine anticlericale dei Poveri Cattolici (Pauperes catholici). La Chiesa invece riconobbe nel 1210 i Poveri Riconciliati. Nel giro di pochi anni i Poveri Cattolici e Riconciliati si esaurirono o si fusero con altri ordini. La separazione tra le tendenze del Valdismo continuò per gran parte del Duecento ma finì per perdere progressivamente di significato e, a fine secolo, si notò una loro convergenza. I Valdesi furono duramente perseguitati anche nei secoli successivi ma, a differenza dei Catari, sopravvissero all'Inquisizione e aderirono alla Riforma protestante calvinista col sinodo di Chanforan (1532) ma la persecuzione nell'aprile 1545 li costrinse alla clandestinità. Oggi sono una componente importante del Protestantesimo italiano. d) La caccia alle streghe È stato un fenomeno di superstizione o isteria di massa consistente nella ricerca di persone praticanti la stregoneria. Già nel II millennio a.C. il Codice di Hammurabi condanna i danni di maghi e stregoni. In Grecia, intorno al 338 a.C., Teoride di Lemno fu giustiziata con i figli perché accusata di incantesimi. L’Antico Testamento riflette il rifiuto degli Ebrei nei confronti di magia e stregoneria, che li distingueva dai popoli circostanti (Babilonesi, Cananei, Egiziani). Nel Cristianesimo delle origini non vi furono persecuzioni organizzate; il fenomeno della caccia alle streghe avvenne a opera del popolo o di tribunali laici. Nell'immaginario popolare la strega veniva rappresentata come una vecchia di brutto aspetto di classi sociali inferiori con qualche caso di nobildonna condannata, come a es. Sidonia von Borcke. La maggioranza delle accusate era innocente, spesso levatrici o prostitute o curatrici con piante officinali, che affiancavano la costosa medicina ufficiale. I processi contro la magia/stregoneria comprendono tre periodi: il I, tra 1300 e 1435, diviso ulteriormente in tre parti (1300-1330, 1330-1375 e 1375-1435), delle quali l'ultima, a causa dell'introduzione nei tribunali locali della procedura inquisitoria, vide un aumento delle accuse di adorazione del demonio rispetto a quelle di magia politica (diffuse nel I trentennio del XIV sec.) e a quelle di maleficio e rituale magico (peculiari nella fase 1330-1375); il II (1435-metà XVI sec.), è caratterizzato da un aumento dei processi che durerà fino al 1520 ca. e da un loro successivo calo fino a tutto il 1550, da ricondursi anche alla diminuita pubblicazione di nuovi trattati demonologici e alla minore diffusione di quelli già esistenti; nel III periodo (1580-1650) i processi aumentarono considerevolmente in alcune aree della Svizzera, della Germania, della Scozia e della Francia. Secondo alcuni AA. si concentrò soprattutto tra fine 1400-prima metà del Seicento con un’ondata dal 1480 al 1520 e l'altra dal 1560 al 1650, più o meno dal 1450 al 1750 e comprende l'era della Riforma protestante, della Controriforma e della Guerra dei trent'anni. Durante il Medioevo le persecuzioni erano rivolte soprattutto contro gli eretici (Albigesi, Catari o Valdesi), contro “fedi altre” (Ebrei e Musulmani) accusate in qualche caso di concubinaggio con il diavolo e contro i lebbrosi, la caccia (“genocidio” o “olocausto”) comincia quando nasce l'Umanesimo e appare la stampa. La maggior parte dei roghi in Italia si ebbe nella prima parte del Cinquecento, soprattutto nell'Italia settentrionale e in Toscana, con un solo caso a Benevento, nessuno a Roma. La condanna al rogo era inflitta dall'autorità civile, che faceva sua una sentenza dell'autorità ecclesiastica, emetteva una propria sentenza di condanna e provvedeva all'esecuzione. La stregoneria era assimilabile all'eresia e, poiché questa era considerata anche un reato civile, portava alla condanna capitale. Le condanne per stregoneria si fondavano sul versetto del Vangelo secondo Giovanni (15,6): Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio che si secca e poi bruciato. La condanna per le streghe nasceva da una errata traduzione del cap. 22°, versetto 18° del Libro dell’Esodo: Maleficos non patieris vivere [“Non lascerai vivere colei che pratica la magia”]. Raramente esponenti della Chiesa parteciparono in modo diretto ai processi e quando avvenne lo giustificarono con bolle pontificie e altri testi teologici e demonologici. Di fronte a guerre, carestie, povertà e fame risultò utile trovare un capro espiatorio in streghe e stregoni. In seguito alla Riforma Protestante l'unità della fede in Europa cadde e la logica delle persecuzioni e delle condanne assunse caratteristiche particolari secondo Paesi e culture. Moltissime donne ritenute streghe vennero torturate e bruciate vive con le motivazioni più diverse, spesso in base a interessate delazioni anonime; ottenendo confessioni sotto tortura venivano fatti nomi di persone benestanti con la confisca dei beni dei condannati. Non è possibile calcolare con esattezza il numero delle vittime durante i due secoli in cui i tribunali dell'Inquisizione che della Riforma luterana condussero al rogo, per la perdita di documenti affidabili dei processi ma anche perché, per paura che gli immensi archivi inquisitoriali cadessero nelle mani degli avversari della Chiesa, molti di questi vennero dati alle fiamme o vennero rubati dai francesi a Roma. Si ipotizzano in Europa circa 50.000 vittime. Il 15 giugno 2004 il Vaticano pubblicò il volume “L'Inquisizione” dove su 100.000 processi effettuati da tribunali civili e ecclesiastici “le condanne al rogo sono state 4 in Portogallo, 59 in Spagna, 36 in Italia: in tutto, quindi, meno di 100 casi”. Altre stime parlano di circa 110.000 processi in Europa, secondo altre le esecuzioni capitali al 55% dei processi, con un totale di 60.000 giustiziati in tre secoli, l'80% di sesso femminile mentre in Islanda (90%), Russia (68%) e Estonia (60%) ci fu una predominanza maschile. E) Conquistadores e il mistero dell’Eldorado Il termine spagnolo/portoghese “conquistatori” si riferisce a soldati, esploratori e avventurieri che portarono gran parte delle Americhe sotto il controllo dell'impero coloniale spagnolo tra il XV e il XVII sec. in nome del regno di Castiglia. La maggior parte erano poveri, nobili (hidalgos) decaduti o cadetti dediti alle armi, le cui prospettive in Spagna dopo il 1492, anno della sua unificazione, a seguito della Reconquista, erano estremamente limitate. Molti considerarono poi la conquista del Nuovo Mondo una crociata contro i “pagani”, da convertire al Cattolicesimo. I più famosi furono Hernán Cortés (1485-1547) e Francisco Pizarro Gonzales (1475 ca-1541, fig. ) per le loro vittorie rispettivamente sull'Impero azteco in Messico e quello Inca in Perú. Subito dopo la scoperta del 1492 si evidenziarono le prime incomprensioni con i nativi. Alla superiorità tattica dei conquistadores (armi da fuoco che, all’inizio, terrorizzavano col rumore; acciaio; gli indigeni non avevano mai visto i cavalli e quando erano cavalcati dagli uomini li scambiavano per creature ibride; i cani usati per rastrellare gli uomini nascosti nelle foreste) si contrapponeva quella numerica indigena, fino a 100 volte il numero degli spagnoli. Per genocidio dei nativi americani o indiano o olocausto americano si intende il calo demografico e lo sterminio dei nativi, tra 55 e 100 milioni anche per la diffusione di nuove malattie come morbillo, vaiolo e varicella, verso le quali i nativi non possedevano difese immunitarie, mentre molti furono oggetto di deliberato sterminio poiché considerati barbari. Il massacro dei nativi continuò nel corso degli anni e la vera Storia non è sempre quella scritta dai vincitori ma emerge magari dopo secoli. La Guerra Dakota del 1862 era già iniziata quando quattro guerrieri, il 17 agosto, dopo avere fallito una battuta di caccia, avevano tentato di rubare delle uova in una fattoria, con la morte di cinque coloni. I Dakota stavano letteralmente morendo di fame, perché i trattati del 1851 non furono mai rispettati dal governo americano. Avevano ceduto il loro territorio, accettando di confinarsi in una riserva, in cambio di beni e denaro ma gran parte del risarcimento previsto non arrivò mai, in parte perché mai inviato (il governo era alle prese con l’imminente guerra civile), in parte perché rubato dall’Ufficio degli affari indiani. Quelle poche risorse rimaste venivano poi consegnante direttamente agli “agenti indiani”, bianchi che vendevano le merci ai nativi, a fronte dei debiti da loro contratti. Un sistema corrotto e iniquo che li portò alla fame e all’esasperazione, col terreno della riserva non coltivabile mentre bisonti, (usate come merce di scambio) erano spariti per la caccia indiscriminata dei bianchi. Le tensioni aumentarono nel corso dell’estate del 1862 e esplosero quando l’agente indiano Andrew Myrick, si rifiutò di dare ai nativi cibo a credito, così esprimendosi: “Per quanto mi riguarda, se hanno fame, lasciate che mangino l’erba o i loro escrementi”.Il 18 agosto attaccarono la Lower Sioux Agency, uno dei primi a morire fu proprio Andrew Myrick, poi trovato con dell’erba in bocca. In un succedersi convulso di eventi, i Dakota continuarono a attaccare i coloni fino al 23 settembre quando, a Wood Lake furono sconfitti. La guerra, durata sei settimane, aveva lasciato sul campo circa 600 tra civili e soldati statunitensi e un centinaio di nativi. Il 26 dicembre 1862, giorno dopo Natale i cittadini di Mankato (Minnesota) assistettero alla più grande esecuzione di massa nella storia degli USA: 38 nativi Dakota-Sioux vennero impiccati contemporaneamente su 307 condannati su 498 processi sommari (alcuni durati anche meno di 5 minuti). Nessun nativo fu rappresentato da un avvocato difensore e nessuno spiegò loro il procedimento. I guerrieri che non erano stati catturati fuggirono lontano, mentre circa 1.600 persone che si erano arrese, donne, bambine e anziani, furono chiusi in campo di concentramento dove durante l’inverno ne morirono circa 300, per le pessime condizioni igieniche e le malattie. Negli anni seguenti i Dakota si dispersero, molti fuggirono, molti furono forzatamente trasferiti in riserve lontane e molti di quelli rimasti furono uccisi per riscuotere la taglia di 25 $ sul loro capo. Dichiarazione del governatore del Minnesota:“I Sioux del Minnesota devono essere sterminati o spinti per sempre oltre i confini. Se qualcuno sfuggirà all’estinzione, il residuo miserabile deve essere spinto oltre i nostri confini e la nostra frontiera presidiata con una forza sufficiente per impedirne per sempre il ritorno”. Dopo una serie di innumerevoli battaglie, nel 1890 il massacro di Wounded Knee pose fine alla resistenza dei Sioux, “uccisi come conigli da lupi mai sazi”. Eldorado: terra leggendaria di tesori perduti Nel 2010 è stato svelato il mistero dell’Eldorado, la favolosa città d’oro cercata dai Conquistadores nel Brasile occidentale al confine con la Bolivia (fonte: Antiquity, 2010). Una specie di antica metropoli con oltre 200 strutture circolari e poligonali disposte in un preciso ordine geometrico per oltre 250 km, forse 1/10 di quando costruito da una civiltà precolombiana esistita per alcune migliaia di anni, alcune del 2000 a. C., altre del 1283: circa 10.000 edifici nascosti nella boscaglia orientati verso nord a significato astronomico. Le strutture delle pianure sono uguali a quelle zone collinari quindi costruite da un’identica civiltà. Un’antica leggenda sull’Eldorado o El Dorado o uomo dorato racconta che l’indio neoeletto capo della tribù Cibcia, nei pressi di Bogotà, dopo l’immersione nel lago Gualavita durante una cerimonia rituale spalmava il corpo nudo di resine o colla di pesce e sopra ina polvere purissima diventando “el ombre dorato” mentre gli spettatori gettavano nel lago i loro ornamenti d’oro. I conquistadores e mercenari tedeschi cercarono inutilmente il lago perché la cerimonia era caduta in disuso da tempo. Molti morirono contribuendo alla nascita della leggenda dell’uomo dorato. Secondo un’altra leggenda, più moderna, i superstiti lo identificarono con tutti i sovrani indigeni così El Dorado – Eldorado, la città d’oro dove tutto era d’oro. Anche Francesco Pizarro González (1475 ca.-1541) e Gonzalo Pizzarro (1512 ca.-1548) lo cercarono inutilmente nel 1539. F) Giovanna d'Arco, la Pulzella d’Orleans (1412-1431) A tredici anni iniziò a udire “voci celestiali” talvolta con bagliori e visioni dell'arcangelo Michele, di s. Caterina e di s. Margherita. Partecipò alla Guerra dei cent'anni, che opponeva il Regno di Francia al Regno d'Inghilterra-Borgogna. A inizi 1429 gli inglesi erano ormai prossimi a occupare completamente la strategica Orléans, sotto assedio dall'ottobre 1428. Sollecitata dalle “voci” corse in aiuto di Carlo VII, Delfino di Francia, il Vittorioso o il Ben-Servito (fig…) . Orléans venne liberata dall’assedio, recuperò alla Francia parte del territorio perduto durante la Guerra dei cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi e partecipando alle battaglie di Jargeau, Meung-sur-Loire, Beaugeney, Patay e Compiègne. Catturata dai Borgognoni davanti a Compiègne, fu venduta agli inglesi da Giovanni di Lussemburgo, vassallo del re d'Inghilterra. Dopo quattro mesi di prigionia nel castello di Beaurevoir, il vescovo di Beauvais si presentò a Jean de Luxemborg versando nelle sue mani l’enorme cifra di diecimila lire tornesi (per raccoglierla era stato decretato un aumento delle imposte in Normandia, provincia allora in mano inglese), a nome del re d'Inghilterra e, contemporaneamente, rivendicando il diritto a giudicarla secondo il diritto ecclesiastico. Il pagamento del riscatto di un prigioniero aveva lo scopo di restituirgli la libertà in questo caso, invece, Giovanna fu venduta agli inglesi, cui fu consegnata il 21 novembre 1430, come prigioniera di guerra e trasferita, tra novembre e dicembre, in diverse piazzeforti, finchè il 23 dicembre, giunse a Rouen. Secondo alcuni ormai divenuta troppo popolare, fu abbandonata al suo destino da Carlo VII ma secondo altri, il re avrebbe tentato segretamente di liberarla. La detenzione nel castello di Rouen fu durissima. Sorsero varie difficoltà nell'istruire il processo in quanto non era detenuta nelle prigioni ecclesiastiche come per i processi d'Inquisizione; la sua cattura era avvenuta forse fuori della diocesi retta da Cauchon; l'Inquisitore generale di Francia si dichiarò indisponibile e il vicario dell'Inquisizione di Rouen, rifiutò di partecipare al processo per « la serenità della propria coscienza e perché si riteneva competente solo per la diocesi di Rouen ». Il processo ebbe inizio formalmente il 3 gennaio 1431, “per stregoneria”, poi passò “per eresia”. La carcerazione non aveva fiaccato lo spirito di Giovanna, l'interrogatorio si svolse in maniera convulsa, perché l'imputata era interrotta continuamente e perché alcuni segretari inglesi omettevano ciò che fosse a lei favorevole; a partire dal 10 marzo 1431 le udienze furono a porte chiuse. Il 27 e 28 marzo furono letti i settanta articoli dell'atto di accusa, molti palesemente falsi o non suffragati da testimonianza, meno che mai dalle risposte dell'imputata. Essi, condensati in dodici come da norma, in base ai quali era considerata « idolatra », « invocatrice di diavoli », « blasfema », « eretica » e « scismatica », furono inviati a famosi teologi e diverse furono le voci discordanti. Il 16 aprile 1431 Giovanna fu colpita da un grave malessere accompagnato da febbre violenta, dopo aver mangiato del pesce, col sospetto di un tentato avvelenamento. Da notare che più di una volta si era appellata al Papa, sempre negato nonostante la contraddizione, essendo impossibile essere eretici e riconoscere al contempo l'autorità pontificia. Inoltre, come d’uso, l'appello avrebbe dovuto interrompere la procedura inquisitoriale ma la questione venne liquidata sostenendo che il Papa era troppo lontano. Il Tribunale decise infine di non ricorrere alla tortura, per il timore che riuscisse a sopportare la prova e forse anche per non rischiare di apporre sul processo una macchia indelebile. Giovanna firmò l’abiura lunga otto righe, nelle quali s'impegnava a non riprendere le armi, né portare abito d'uomo, né capelli corti mentre agli atti il documento è di quarantaquattro righe in latino. Il 30 maggio 1431, dopo essersi confessata chiese il sacramento, di norma non possibile a un eretico ma, fu accontentata, condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen vestita di un lungo abito bianco e, data lettura della sentenza ecclesiastica, fu condotta dove il legno era già pronto, incatenata al palo, sopra una gran quantità di legna in tal modo che difficilmente avrebbe perso i sensi per asfissia, sarebbe dovuta ardere viva (!) quindi fu uccisa direttamente dalle fiamme, contrariamente a quanto solitamente per i condannati a morte, che erano soffocati dall'inalazione dei fumi della combustione del legno e della paglia. Del suo corpo rimasero ceneri, qualche frammento osseo e il cuore che, per quanto zolfo, olio o carbone il carnefice vi mettesse, non accennava a ardere; i resti del rogo furono gettati nella Senna. Papa Callisto III (1455-1458) autorizzò la revisione del processo che durò dal 7 novembre 1455 al 7 luglio 1456 dove Giovanna fu riconosciuta innocente. Venne beatificata il 18 aprile 1909 da papa Pio X (1903-1914) e proclamata santa da papa Benedetto XV (1914-1922) il 16 maggio 1920; nel 1922 fu dichiarata patrona di Francia. G) Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola (1452 -1498) É stato un Domenicano e predicatore che asseriva di aver avuto il dono della profezia. Nei suoi scritti annuncia, in nome di Dio, i flagelli per Firenze, l'Italia e per la Chiesa propugnando un modello di governo popolare “largo” per la Repubblica fiorentina instauratasi dopo la cacciata dei Medici. Il 12 maggio 1497 fu scomunicato da Alessandro VI (1492-1503) ma in anni recenti è stato dimostrato che quella scomunica era falsa, emanata dal cardinale arcivescovo di Perugia, su istigazione di Cesare Borgia, che assoldò un falsario per crearla. Alessandro protestò col cardinale e minacciò Firenze di Interdetto affinché gli fosse consegnato il frate, così che potesse salvarlo ma era talmente succube del figlio Cesare né rivelò mai l'inganno. L'anno dopo, venutogli meno l'appoggio francese, la domenica degli Ulivi il convento di S. Marco fu assediato dai Palleschi, i fautori del partito mediceo e anti-savonaroliano; la porta fu bruciata e il convento preso d'assalto. Savonarola fu catturato e rinchiuso nell'Alberghetto, la cella nella torre di Arnolfo e subì interrogatori e torture. Il processo fu palesemente manipolato, alla fine venne condannato a essere bruciato in piazza della Signoria. All'alba del 23 maggio 1498, vigilia dell'Ascensione, dopo la degradazione e la rimozione dell'abito domenicano fu avviato verso il patibolo, innalzato nei pressi dove poi sorgerà la fontana del Nettuno. Vestito di una tunica di lana bianca fu impiccato e fu appiccato il fuoco alla catasta. Nel bruciare, il braccio destro si staccò e la mano parve alzarsi con due dita dritte, come per “benedire l'ingrato popolo fiorentino”. Le ceneri del frate, del palco e d'ogni cosa arsa furono gettate in Arno dal Ponte Vecchio, per evitare che venissero fatte oggetto di venerazione. Dopo 61 anni, nel 1559, le sue opere furono inserite nell'Indice dei libri proibiti ma i suoi scritti sono stati riabilitati nei secoli seguenti fino a essere considerati in trattati di teologia. La causa della sua beatificazione è stata avviata il 30 maggio 1997, oggi è considerato servo di Dio. H) Giordano Filippo Bruno (1548-1600) Nella sua epoca il Sud faceva parte del Regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola e fu battezzato col nome di Filippo, in onore ell'erede al trono di Spagna Filippo II. Un convento non era esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di eletti, infatti, solo dal 1567 al 1570, nei confronti dei frati di s. Domenico Maggiore furono emesse diciotto condanne per scandali sessuali, furti e omicidi; ostentò sempre il suo disprezzo nei confronti dei frati, ai quali rimproverò in particolare la mancanza di cultura. Il suo pensiero, inquadrabile filosoficamente nel naturalismo rinascimentale, nasceva dalla commistione di diverse discipline teoretiche-filosofiche, improntato sull’idea che l'infinito, inteso come universo infinito e composto da infiniti mondi, fu realizzato da un Dio infinito, da amare infinitamente, Dio da un lato trascendente, in quanto supera ineffabilmente la natura ma nello stesso tempo immanente, in quanto anima del mondo pertanto Dio e Natura sono un'unica realtà da amare alla follia. Nel 1592 ammise all'inquisitore veneziano di aver «dubitato circa il nome di persona del Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre» ma considerando il Figlio, neoplatonicamente, l'intelletto e lo Spirito, pitagoricamente, l'amore del Padre o l'anima del mondo, non dunque persone o sostanze distinte, ma manifestazioni divine. Nel 1576 subì un processo per eresia, abbandona l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fuggì peregrinando in Italia (a Padova, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio), poi in Europa, tra l’altro a Ginevra depone nuovamente il saio e aderisce al Calvinismo. Arrestato per diffamazione, viene processato e scomunicato. A Praga (aprile 1588), sede del Sacro Romano Impero, all'interno delle sue opere cominciò a inserire le incisioni “sigilli” di oscuro significato, tranne il nome. A Helmstedt nel luglio 1589 viene scomunicato dalla Chiesa luterana per motivi ignoti pertanto colleziona le scomuniche delle maggiori confessioni europee: cattolica, calvinista e luterana. 43enne, considerato «omo universale», pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo, a fine marzo 1592 si stabilì in casa del patrizio veneziano Giovanni Francesco Mocenigo (1558-1607) che l’aveva invitato affinché gli insegnasse « li secreti della memoria e li altri che egli professa, come si vede in un suo libro » ma quando il 21 maggio Bruno lo informò di voler tornare a Francoforte per stampare delle sue opere questi, pensando fosse un pretesto per abbandonare le lezioni, il giorno dopo lo fece sequestrare e il 23 lo denunciò all'Inquisizione di Venezia tra l’altro per blasfemia, di disprezzare le religioni, di praticare arti magiche e di credere nella metempsicosi. La stessa sera fu arrestato e incarcerato. Giordano si dichiarò disposto a ritrattare. L'Inquisizione romana chiese però la sua estradizione, che venne concessa e il 27 febbraio 1593 venne rinchiuso nelle carceri del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, confermarono le accuse e ne aggiunsero di nuove. La sua disponibilità a abiurare, a condizione che le proposizioni fossero ex nunc [d’ora in poi], venne respinta. Una successiva applicazione della tortura fu respinta da Clemente VIII (1592-1605). L'8 febbraio 1600 fu costretto a ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scacciava dal foro ecclesiastico e lo consegnava al braccio secolare. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi, il 17 febbraio, con la lingua in giova [serrata da una mordacchia perché non possa parlare] venne condotto in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo, arso vivo [«Egli volse il viso pieno di disprezzo quando ormai morente, gli venne posta innanzi l'immagine del Crocefisso»] e le sue ceneri gettate nel Tevere. Malgrado la messa all'Indice dei suoi libri del 7 agosto 1603, questi continuarono a essere presenti nelle biblioteche europee. Il 18 febbraio 2000, dopo 400 anni, papa Giovanni Paolo II espresse profondo rammarico per quella morte atroce, pur non riabilitandone la dottrina, perché “il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana”. I) Galileo Galilei (1564-1642) É considerato il padre della scienza moderna, con il sostegno alla teoria copernicana mentre in ambito filosofico introdusse il metodo sperimentale nell'indagine scientifica grazie a cui la scienza abbandonava la predominante posizione metafisica, per acquisire una prospettiva realistica e empiristica, volta a privilegiare, attraverso il metodo sperimentale, più la quantità (attraverso la determinazione matematica delle leggi della natura) che la qualità (frutto della passata tradizione indirizzata solo alla ricerca dell'essenza degli enti) per elaborare una descrizione razionale oggettiva della realtà fenomenica. Sospettato di eresia e di voler sovvertire la filosofia aristotelica e le Sacre Scritture, il 23 settembre l'Inquisizione romana sollecitava quella fiorentina perché gli notificasse l'ordine di comparire a Roma entro ottobre ma, in parte perché malato, in parte perché sperava che vi fosse un processo, ritardò per tre mesi finchè il 20 gennaio 1633 partì per Roma in lettiga dove fu processato, condannato e costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura, proibito il Dialogo, condannato al confino nella sua villa a Arcetri (FI) e alla recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni. Nel corso dei secoli il valore delle sue opere venne gradualmente accettato dalla Chiesa e 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992, papa Giovanni Paolo II, riconobbe “gli errori commessi”, riabilitandolo. L) Giovan Domenico Tommaso Campanella o Settimontano Squilla (1568-1639) Frate domenicano, nacque a Stilo, un piccolo borgo della Calabria Ulteriore (Regno di Napol, oggi provincia di Reggio di Calabria). Si riallaccia al naturalismo di Bernardino Telesio (1509-1588), sostenendo che la natura andava conosciuta nei suoi tre principi di caldo, freddo e massa corporea (materia). Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli esseri della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura della natura è comune a tutti gli enti ma mentre Telesio riteneva che anche i sassi possono conoscere, Campanella sostiene che anche i sassi conoscono, perché vi ritroviamo i tre principi frutto della creazione divina: «Dio prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore [...] e vi pose la materia, che è la mole corporea [...] poi vi seminò due principi maschi attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono femmine e passivi. Questi maschi, da materia divisa, combattendo, formano i due elementi cielo e terra che, combattendo tra loro, dalla loro virtù nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le tre influenze Necessità, Fato e Armonia, che portano l'Idea». Le tre primalità, che corrispondono alle tre nature divine, costituiscono il triplice carattere di ogni essere e nulla muore veramente. Dio attraverso la Potenza dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di conoscere il Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei processi naturali e infine l'Amore permette l'Armonia tra gli esseri, perché questi amano essere come sono. Tutte le cose hanno sensibilità. Fu sottoposto a cinque processi dall'Inquisizione romana per eresia (nel terzo fu torturato) e nel 1594 fu confinato ai domiciliari per due anni. Un quarto processo si concluse il 17 dicembre 1597: nella sentenza, fu assolto dalle imputazioni e diffidato dallo scrivere finché, consegnato ai suoi superiori, per confinarlo in convento. Dai primi mesi 1599 cominciò a predicare di cacciare gli Spagnoli della Calabria, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi ma, scoperto, il 17 agosto fuggì dal convento di Stilo, progettando di imbarcarsi da Roccella ma venne tradito e consegnato il 6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a Castelvetere, il 10 settembre firmò una confessione nella quale faceva i nomi dei principali congiurati, negando ogni sua partecipazione all'impresa smentito dai suoi complici. Trasferito a Napoli fu rinchiuso in Castel Nuovo, il Santo Uffizio non ottenne il trasferimento a Roma e papa Clemente VIII (1592-1605) nominò come giudici nel processo il nunzio a Napoli, un ecclesiastico e il vescovo domenicano di Termoli, già consultore nel primo processo per favorirlo, poiché prudentemente era antispagnolo. Durante il processo sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e poiché, in quanto relapso [falso convertito], era passibile della pena capitale si finse pazzo, poiché un eretico insano di mente non poteva essere messo a morte. I giudici, dubbiosi, abboccarono dopo la terribile “veglia” [40 ore di corda alternata al cavalletto] che superò, anche se rimase poi tra la vita e la morte per sei mesi. Trascorse 27 anni in prigione a Napoli dove scrisse le sue opere più importanti tra cui La città del Sole (1602), in cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale e la coraggiosa Apologia di Galileo (1616). Fu infine scarcerato nel 1626, grazie a Urbano VIII (1623-1644), che intercedette presso Filippo IV di Spagna (1605-1665). Campanella fu portato a Roma, presso il Sant'Uffizio e liberato definitivamente nel 1629 dove per cinque anni fu il consigliere papale per le questioni astrologiche. Nel 1634 una cospirazione in Calabria di un suo seguace, lo costrinse a fuggire in Francia, alla corte di Luigi XIII (1641-1643) e, protetto dal cardinale Richelieu (1585-1642), visse nel convento parigino di Saint-Honoré. Il 25 aprile 1994 gli è stato dedicato l’asteroide, della fascia principale, 4653 Tommaso, scoperto nel 1976.


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Filosofia

IL SENSO DELL'UOMO (leggenda ebraica trasmessa da Rudolf Steiner in Cristo e l'anima dell'Uomo (traduzione di Jean-Christophe Démarais)

di Alessio Begliomini

Rudolf Steiner Qual è il senso di tutta l'esistenza? Perché siamo, noi uomini, inseriti in questo modo nell'esistenza? Una leggenda straordinariamente interessante dell'antichità ebraica ci dice che si aveva già coscienza, in quella antichità ebraica, che questa domanda angosciosa sul perché della vita, e in particolare sul perché dell'Uomo, riguardava non soltanto gli uomini ma anche altri esseri ben diversi. Questa leggenda è straordinariamente istruttiva e racconta così... Quando gli Elohim si accinsero a creare l'uomo a loro immagine e somiglianza, i cosiddetti angeli, servitori degli Elohim, ossia certi spiriti di un ordine inferiore agli Elohim stessi, domandarono a Jahve o Jehova: Perché gli uomini devono essere creati a immagine e somiglianza d'Iddio? Allora Jahve radunò le bestie e le piante che, prima ancora che l'uomo esistesse nella sua forma terrestre già crescevano, e poi Jahve o Jehova radunò ancora gli angeli, i cosiddetti angeli servitori, vale a dire quelli che prestavano servizio direttamente alla dipendenza di Jahve o Jehova. Egli mostrò dunque loro le bestie e anche le piante, e chiese loro come quelle piante e quelle bestie si chiamassero, quale nome avessero. Ma gli angeli non sapevano né i nomi delle bestie né i nomi delle piante. Allora fu creato l'uomo, così com'era prima della caduta nel peccato. E di nuovo Jahve o Jehova radunò gli angeli, le bestie e le piante e, alla presenza degli angeli, chiese all'uomo come si chiamassero le bestie che Egli faceva sfilare innanzi ai suoi occhi, quali nomi avessero, ed ecco che l'uomo fu capace di rispondere: questa bestia si chiama così, quell'altra ha questo nome, questa pianta si chiama in questo modo, quella in quell'altro. E allora Jahve o Jehova chiese all'uomo: qual è il tuo nome? L'uomo allora disse: In realtà io dovrei chiamarmi Adamo; Adamo proviene da adàm e significa: di 'fango terrestre', essere fatto di terra, così deve essere tradotto Adamo. E come devo Io stesso essere chiamato? chiese poi Jehova all'uomo. -Dovrai essere chiamato ADONAI, tu sei il Signore di tutti gli esseri creati sulla Terra, rispose l'uomo, e gli angeli ebbero allora un presentimento di qual senso possa avere l'esistenza dell'essere umano sulla Terra.


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COS'È LA CABALA (brevi cenni

di Franco Giovi

Con l'evolversi del pensiero, almeno a un certo livello di cultura, vanno sparendo le associazioni mentali che venivano suggerite dai termini come Cabala, Alchìmia ecc. Ancor oggi, nel caso dell'alchìmia, dopo che questa era stata sinonimo di cialtroni o ingenui primitivi chini a bollire sterco aspettandosi da esso la trasformazione in oro sonante, vige negli ambienti accademici il giudizio di Kopp e Lippmann che la giudicano -bontà loro- come una preistoria bizzarra della moderna chimica. Il pensiero-a-metà si è imbevuto un tale giudizio, basta leggere cosa c'è scritto sotto la voce "alchimia" nell'autorevole enciclopedia Treccani. Per quanto riguarda la "cabala" che veniva attribuita al gioco del lotto, i pochi ebrei e diffidenti ne avevano rilevato il carattere irrazionale, frutto di spontanei moti popolareschi di reazione alla sistematicità del pensiero filosofico. Forse Gerschom Scholem è stato il primo studioso che applicando il rigore storico e filologico trova radici e divisioni e sviluppi che vanno dalla mistica della Merkabah al moderno Hassidismo. Qui esprimo solo cenni conoscitivi su di un tema o, per meglio dire, su di una parola che lo studioso di esoterismo spesso incontra ma che, fuori dall'ebraismo (e spesso anche al suo interno), resta parola vuota di senso. Perciò non mi addentro nell'assai complessa ascesi: preferisco solo che un pensiero nebuloso venga un po' sostituito con qualche concetto chiaro. Solo alla fine di questa nota indicherò, con poche righe, una curiosa e impressionante indicazione in cui mi sono imbattuto leggendo lo Sepher Bahìr, testo all'origine della Cabala (o Kabbalàh). Secondo gli studi di Scholem, l'inizio documentale della Cabala risale alla metà del Dodicesimo Secolo con il testo chiamato Sepher Bahìr, poi soppiantato all'inizio del Tredicesimo Secolo dallo Zohar. Il primo risulta redatto come un insieme di varie nozioni di svariate provenienze le più antiche; tutte però di provenienza gnostica; perciò con il Sepher Bahìr il pensiero gnostico entra (o rientra) nel Giudaismo, divenendone elemento vitale il più profondo, nella religione e nella cultura: questa è la Cabala. Essa possiede i caratteri distintivi della gnosi: il valore esoterico della conoscenza e la segretezza distintiva per quelli che ne sono partecipi, la nozione che all'interno dell'uomo esista una scintilla divina (neshamàh) oltre la psiche individuale (nefesh). A ciò si aggiunge la concezione cosmica degli gnostici grechi: che il Pleròma (nella Cabala, Malè) si dispiega in manifestazioni (in greco Eòni, in ebraico Sephiroth), dalle quali, in un dramma cosmico, esce l'inferiore mondo della materia. Il dramma consiste nella scissione di una primigenia unità. essa va riparata sia nell'Uomo che nel Cosmo con una lunga opera reintegrativa. Martin Buber definisce la Cabala come Gnosi del Giudaismo, e osserva come essa sia l'unico modello di gnosi antidualistica poiché tende all'integrazione dell'eòne malefico nella complessa unità delle sefiròt. La mistica corrente espressa dalla Cabala può venir messa in relazione a diversi movimenti, come e soprattutto all'Alchimia, alle dottrine cataro-albigesi, all'alta magia (o teurgia) e allo Yoga. Accenni a pratiche alchemiche si trovano nello Zohar e nello stesso Bahìr. In un testo di anonimo cabalista italiano, libro intitolato Esh Mezaref (fuoco trasmutatore), risalente al Sedicesimo Secolo, ritroviamo addirittura la sequenza dei rapporti tra sostanze alchemiche e Sefiròt. Ketèr corrisponde alla radice metallica, Hokmah al piombo, Binàh allo stagno e così via. Nel gioco del comparativismo possiamo trascinare dentro pur i principj indiani rajas, tamas e sattva ma credo inutile appesantire cenni già poco digeribili. Insomma, la cabala è una via reintegrativa al mondo spirituale ma essenzialmente interna alle esigenze dell'anima ebraica. Ed è solo malaffare ("i segreti della cabala", "lezioni di cabala", introduzione alla cabala ecc.: statene lontani) che essa, non altrimenti che lo Yoga o lo Zen, sembri essere stata aperta, ma ciò è del tutto falso, alle smanie dei cantanti di successo e alla stupidità di chi non è migliore di loro. Di un certo interesse pare la fonte provenzale della miscellanea che è il Bahìr, la quale cita la MACHSHAVÀ TEHORÀ, ossia il Pensiero Puro. La pura MACHSHAVÀ, nel Bahìr è portata al più alto grado, più alto ancora della Sophia d'Iddio; la qualità del pensiero è messa in rilievo: l'illimitato, come concepito nel Bahìr, collega il pensiero umano a quello divino. Le due specie di MACHSHAVÀ indicano che l'una conduce all'altra: il pensiero puro dell'uomo, scartando ogni contenuto concreto, e meditando non solo su un determinato oggetto ma, soprattutto, su sé medesimo, conduce al pensiero divino ed entra in comunione con esso. In ciò (guarda il caso...) inizia un metodo di meditazione che non ha più bisogno dell'apparato della dottrina degli eòni, ma si lancia tutto dritto e sufficiente verso la sua mèta spirituale, "poiché la volontà divina li ha uniti l'uno all'altro" (Avrahàm bar Chjià: Hegjòn Hanéfesh). Molti dei cabalisti del Tredicesimo Secolo si servirono dell'espressione "puro pensiero" come di un termine tecnico fisso, in materia di ascèsi interiore. Anche sul tema del pensiero ho detto ben poco, ma immaginate ridurre la Filosofia Della Libertà a poche righe oppure lo Yoga Integrale di Aurobindo a una frase.


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Lettera ai poveri di Papa Celestino VI

di Giovanni Papini

PROLOGO di Alessio Begliomini L'incontro fraterno col prossimo, di sprone personale alla gioia e all'avvenire della comunità umana, ha forgiato Giovanni Papini, genuino lottatore contro questo tempo. Ateo giovane ribelle ha visto, di strada in colle, a primavera, passare per la Via Crucis l'incolte genti di Bulciano, e il cuore gli ha detto: «io non li considero inferiori a te, anche se hanno la loro stanza meno arredata della tua». Giovanni Papini faceva allora spesso ritorno a Bulciano -lì ov'era nata la sua giovanissima sposa Giacinta-, negli anni suoi d'anarchia prometeici, di poi tempestoso crepuscolo, disperati blasfemi, raccosto la grande guerra da lui auspicata, sulla sua eclettica e ipernazionalista rivista, Lacerba, bagno di sangue malthusiano rigeneratore. A Bulciano, di giorno in giorno, l'umili presenze d'allora lo vigilano, lo incalzano, affabili o severe: ne accompagnano il faticoso ricordo a famigliare sollievo, a mite aìre fra gente e gente in francescana letizia: fedeltà del Poeta e con lui radiante messaggera levazione spirituale.  Scritte alla poetessa piemontese nel 1912 tempo con lei lacerbiano di breve intenso idillio, di Papini a Sibilla Aleramo le lettere d'amore -belle d'un sentire non passionale, arcano- eccole, nel turbine, già veniente testamento di questo spirito con lui di fedeltà. «Sibilla! Quando il cielo sarà tutto chiuso, sopra e da ogni parte, sì che nessuna preghiera potrà romperlo e salire; quando i fiumi saranno ridotti a grandi strade di fango, quando il sole di primavera non avrà più la forza di strappare le foglie verdi delle gemme sicure; quando tutto sarà perfetto e alla vigilia della morte -anche allora io ti vorrò vicino co' miei occhi fluviali perché fiorisca sulla tua bocca un sorriso». Per Sibilla, amore è vincere «le atroci sofferenze sterili indissolubili dal retaggio fin qui consacrato in forza di virtù negative, di bontà cieche, d'istinti deboli sopraffatti d'artifici sentimentali».La corrispondenza amorosa di Giovanni con Sibilla, disvéla straordinarie armonie, di questa fedeltà cui la sollecita prossima manifestazione diverrà rinunzia stessa, ad accompagnar Sibilla più oltre ove lei -pubblicamente- chiede. C'è la cosciente sorpresa, o forse il semplice ma radicale presentimento, di un assoluto potere di destino (il destino non è il fato) che domanda personale sacrificio, al Poeta, per ciò la cui pienezza ulteriore trascende il senso stesso d'immediato compiersi d'attese giustificabili nell'umano. L'uomo Papini è stato l'audace lottatore contro la volgare resa del nostro tempo alla religione dello “spirito convenzionale”: contro il vincolo, farisaico, di borghese avversione a richiami coscienti per le realtà d'apice, viventi, nell'essere umano la sua (nostra!) dignità vocata cosmica, sì che crudo, appena materiale miraggio ne ottunde, con seduzioni (e dispendiose!)  di tragica  banalità  senza rimedio, aspro coraggio; e questa di Celestino Sesto lettera ai poveri, pensava e vergò, nel '45, sul finire d'altra guerra, che ha versato nel crogiuolo del tempo pacificazione precaria di mondane scelte che le democrazie malate di quest'Europa, mercantile, oggi riduce, finalmente, in polvere (:residui, di un fato già senile); e questa epistola d'agonismo evangelico, di Papini ci illumina il coraggio con la sua forza di saggezza, la sua superiore esemplare compassione. LETTERA AI POVERI DI CELESTINO SESTO Fratelli miei, Figli miei a voi mi rivolgo con più fidente tenerezza che agli altri uomini perché sono anch'io dei vostri. Voi sapete ch'io nacqui di famiglia poverissima, di origine umile se pur non ignobile. La mia prosapia, fin dove risalgono i ricordi, è fatta di gente povera che pagò a gran prezzo di fatica il poco pane e le rozze vesti. Come pupillo prima e più tardi come prete vissi in mezzo a voi, simile a voi. Divisi con voi lo stento e il contento, conobbi da vicino le vostre debolezze, le vostre grandezze, le vostre tristezze. Quando Iddio volle chiamarmi alla dignità del triregno non dimenticai che il mio Re, il cui regno non è di questo mondo, amò i poveri, dimorò trai poveri, e che a loro, più che agli altri, promise la beatitudine. Trovandomi ad essere, sia pur senza merito, il Vicario di quel Re, ecco sono e sento d'essere il padre di tutti ma, con alacre sollecitudine di voi poveri, perché Cristo medesimo disse che sotto la figura vostra rimarrebbe tra noi. Non vi ho mai dimenticati, ho cercato di fare per voi quel che l'Evangelo comanda ed il mio cuore m'ispira. Accolsi voi con più lieto viso che non quei Grandi che a voi chiedon soltanto obbedienza e reverenza. Vivo in vasto palazzo ma nulla, assolutamente nulla, posso dir mio. La mia mensa non è più fornita della vostra; le mie vesti non hanno altro lusso che un'immacolata bianchezza. Il dorato triregno che pesa sulla mia testa nelle cerimonie solenni simboleggia ai miei occhi i congiunti regni dell'umiltà, della fraternità, della carità. Ma debbo pur dirvi, a nome di Cristo, che la beatitudine a voi promessa non può essere un semplice e naturale effetto della povertà. Non è vero che la Chiesa consoli i poveri col miraggio d'una felicità ultraterrena per meglio assicurare la felicità troppo terrestre dei ricchi. Anche voi potete e dovete esser felici in terra prima che in cielo ma per ottenere questa immediata felicità non basta essere dei salariati privi di possessioni e di moneta. Necessario, prima d'ogni altra cosa, è accettare la povertà con spirito di letizia più che di rassegnazione poiché fin da ora vi annunzio che siete assai più ricchi, qui sulla terra, di quel che a voi non sembri. E ancor più ricchi sareste se vi riuscisse di conoscere e conquistare la ricchezza vera. Inopia e penuria, da sole, non possono dare quella beatitudine che vi fu offerta ma richiede anche la vostra collaborazione Cristo ha esortato i ricchi alla povertà e ha prediletto i poveri. Fra gli imitatori di Cristo, San Francesco ha celebrato, e non già per procura, le sue nozze con la povertà. La maggior parte di voi sopporta con amarezza la scarsità degli agi e dei denari; maledice la condizione propria come ingiustizia somma ella sorte, e ad altro non pensa che di liberarsene con ogni mezzo, criminoso o legittimo, quasi fosse il più vergognoso dei mali. In verità vi dico che certuni di voi non altro sono, per istinti gusti e pensieri, che cattivi ricchi ai quali non manca, per pareggiare la miseria del ricco, che un patrimonio. La querula insofferenza della povertà dimostra, purtroppo, che il Cristianesimo non è vivo nel mondo e neppure in voi. La beatitudine che vi spetta per umano e divino diritto è legata a una condizione: un mutamento voluto e profondo dell'animo. Se invece non possedete che il rimpianto e la nostalgia e il desiderio d'esser ricchi all'uso del mondo sarete pur sempre poveri e meritate di non esser altro che poveri. Ho già detto ai ricchi, senza ambagi di parole, quel che penso di loro, della loro miseria e delle lor colpe. Ho detto quel che debbono fare per voi, perché scompaia l'ingiustizia che vi cruccia e vi offende. Dio donò la terra a tutti i figli di Adamo ed è volontà divina che tutti, mercé il lavoro, ne godano i frutti. Se l'eguaglianza perfetta, per le naturali diversità delle creature, non sarà le disuguaglianze dovute soltanto all'esecrabile disordine delle società umane debbono essere attenuate e annullate. Anche voi, indigenti e pezzenti, dovete essere ammessi, a parità di condizioni, al convito che Iddio apparecchiò per tutti i viventi su questa meravigliosa e generosa terra. ma l'eguaglianza e l'abbondanza non sono ancora la pienezza e la felicità. Da ogni parte potete vedere padroni mesti e miliardari inquieti. L'essenza della beatitudine è altrove. Anche voi, al par dei ricchi, siete vittime della confusione dei valori e del pregiudizio delle menti. I veri beni dell'uomo non son già, come crede l'ingenua plebe degli sciocchi, danarosi o squattrinati che siano, i latifondi, le ville, le fabbriche, i gioielli, i vasellami d'argento, i capitali di carta nascosti nei forzieri o affidati alle banche. I beni davvero preziosi e desiderabili, quelli che infinitamente più degli altri dànno e conservano la felicità, son ben altri e ben poco hanno a che vedere con le zolle, con i mattoni, con le macchine, con i fogli filigranati e numerati che servono ai quotidiani baratti della materia. Sono, come voi sapeste una volta e più non sapete, la salute del corpo, la pace della coscienza, la serenità dello spirito, la bontà degli affetti, la spontanea letizia dell'indole, la capacità d'intendere e di godere le bellezze della natura e le creazioni dell'arte. Non tutte queste superiori e sostanziali ricchezze son negate a tutti voi o almeno non sono inaccessibili a chi le persegua con sollecita intelligenza e diritta pertinacia. A nessuno, neppure all'ultimo dei questuanti, è negata la virtù illuminante della natura e l'onnisalvante consolazione dell'amore. La pace nell'amore d'Iddio e degli uomini, la gioia nella contemplazione e nella poesia son tesori autentici a nessuno negati, e chi li porta in sé, per diritto di nascita e di conquista, non ha di che invidiare gli epuloni e i nababbi, anzi può commiserare, senza peccato d'jattanza, la loro miseria. Io ricordo d'aver vissuto, nella mia lontana gioventù, tra popolani poverissimi che guadagnavano frusto a frusto un rozzo cibo che appena bastava a sostenerli. Ma, di rado ho visto, di poi, gente più placida e lieta di costoro. Il canto accompagnava la fatica e la faceva men aspra; il canto all'improvviso avvivava le veglie e le feste; il canto spiegato dei giovani e dei vecchi si levava dalle selve e dalle pasture, dai campi arati e dai tuguri affumicati. Motti giocosi e novelle antiche rallegravano i conversari; una povera messa in una povera chiesa era una festa; un pellegrinaggio a un rustico santuario sperduto trai monti era una festa; una piccola fiera in un piccolo borgo era una festa; un casto ballo sull'aja era una festa; il desinare d'uno sposalizio, ricreato dalle ottave degli improvvisatori, pareva il convito degli dèi. Bastava un nulla per renderli beati: un ingenuo stornello, una storia di gesta e di miracoli, un paio di scarpe nuove, la nascita di un agnellino o di un vitello. Iddio non era mai dimenticato, neppure nei più comuni discorsi; la felicità dei loro giorni era aperta e conclusa dal saluto alla Vergine e dal ringraziamento al Creatore. Vi parlo di gente morta, di tempi lontani, remoti, spariti, trapassati. Soltanto la mia estrema vecchiezza mi concede di farne veridica testimonianza. Ma oggi conosco gente che vive di cibi e con agi incomparabilmente più copiosi di quelli dei poveri ch'io ricordo eppure non vedo in loro che sguardi cupi, fronti aggrondate, volti che dicono la tristezza e la tristizia. Non ridono ma tutt' al più sogghignano; nessuno canta più o sa di poesia; leggono i giornali con dispetto e tentano invano di affogar la noia ascoltando musiche barbare e leggicchiando romanzeri e di riusciti misfatti e di sudici amori. La decadenza della gioia gratuita è visibile non solo trai poveri ma trai cosiddetti signori. Godono buona casa, buona tavola, buone vesti, buon guadagno eppure hanno una mutria più malinconica di quella di un debitore perseguitato, si lagnano di tutto e di tutti, e non riescono a soffocare il tedio se non ricorrendo a spassi bestiali e vergognosi piaceri. In realtà gli uomini hanno perduto la vera tavola dei valori; non sanno più che l'onesta letizia è ricchezza più ricca dell'oro monetato e cesellato. I contadini poveri della mia gioventù erano assai più doviziosi dei danarosi dei nostri giorni. In quell'età che oggi appare quasi favolosa, eppur sempre viva alla memoria d'un vivente, non s'era ancora precipitata su di noi quella colluvie di tetre avversità che hanno inassenziato ogni animo. Ma la ricchezza interiore dell'uomo, la sola che conta, si dovrebbe appunto manifestare nei tempi di più nemica miseria. più fitto è il buio e più dovete splendere; più gelido è il clima e più dovete fiammeggiare; più alta la marea dell'infamia e più in alto dovete ascendere. Tra voi poveri sopravvive ancora qualche forma di spirituale ricchezza: più grande è l'universale bisogno e più siete pronti all'aiuto fraterno. Uomini e donne di cuore s'incontrano più facilmente, quando tutto sembra perduto, nelle stamberghe e nelle soffitte che nelle ville e nelle regge. A voi che conoscete per esperienza la fame non rincresce spartire il vostro pane con quelli più affamati di voi; del pochissimo che avete siete più liberali, in proporzione, che non i ricchi del moltissimo. Ma v'è pure chi cadde per ignavia, o per disordine di vita, nell'indigenza e che non soltanto si lagna più del giusto ma chiede e pretende con importuna improntitudine. La povertà, in costoro, è alibi della pigrizia o arma di ricatto. Sono, a un tempo, i meno compatibili e i più incontentabili trai poveri -disonorano, se potesse essere disonorata, anche la divina provvidenza. Nell'inimicizia contro i ricchi entra spesso l'invidia, ch'è peccato e insieme, come tutti i peccati, gastigo. Vi sono dei poveri che odiano a tal punto la povertà al pari dei ricchi, poveri che stimano, come i ricchi, unica ricchezza il denaro, poveri che altro non agognano se non mortificante e insostanziale ricchezza. Come ci sono cattivi ricchi ci sono anche cattivi poveri: quelli che non son degni d'esser poveri, d'acquistare quella dignità e felicità che Iddio concede anche ai più miseri. Ogni uomo è ricco purché lo voglia. Tutto l'universo è la sua incontestata e comune proprietà. Tutto è tuo, dalla stella che secoli or sono fece partire la sua luce perché giungesse stasera al tuo sguardo, fino al sasso che il tuo piede respinge ma che brilla al tuo occhio nelle sue venature marmoree e nelle sue striature argentee. Il fanciullo che ti passa accanto rinfresca la tua aridità; la vista del vecchio ti fa sentir meglio il dono angelico della giovinezza: le foglie che cadono son tappeto per i tuoi passi; lo squillo d'una tyromba lontana ridesta il tuo coraggio; la pioggia è un impegno celeste di saziar la tua sete e la tua fame. In verità dico a tutti voi, poveri di beni e poveri di anima, che l'uomo è un semiddìo in esilio che non riconosce più il suo Eden, un Creso smemorato che non sa più contare le sue ricchezze, un padrone che non sa riconoscere gli sconfinati confini del suo dominio, un lettore infingardo che non sa più sillabare il poema dell'universo, un erede che non si china a raccogliere la sua sterminata eredità, un re abdicatario che non sa più veder nella zappa, nel martello e nella penna i suoi scettri, nella poesia delle cose la sua corona, nell'immensa e meravigliosa terra la sua reggia. Io dico a tutti e in particolar modo a voi, che un po' d'amore e un po' di poesia son bastanti a farvi più veramente ricchi dei ricchi. Voi siete poveri sol perché ignorate d'esser ricchi, a somiglianza dei ricchi che non s'accorgon d'esser poveri. Non vi stupite se un Papa discorre così a lungo di poesia; David non si vergognò di esser poeta e io, che son tanto da meno di David, dovrò rattenermi dall'additare anche nella poesia un sentiero di redenzione? Non crediate ch'io dimentichi, parlando in tal modo, il Dio che mi ha scelto per suo vicario. Cristo, nella sua manifestazione terrestre, fu anche un poeta, anche un maestro di letizia, un apportatore di gioia, un rivelatore di bellezza. Venne tra noi non soltanto per offrire il suo sangue a riscatto del peccato ma anche per insegnare una forma nuova di felicità, una più duratura e saziante ricchezza. Inveì contro i ricchi perché cercano la ricchezza che non è ricchezza, chiamò a sé i poveri per consegnar loro i tesori che nessun ladro può rubare e che il tempo non consuma. Amò i fanciulli più dei dotti perché in ogni fanciullo è ancor vivo il poeta che l'adulto, quasi sempre, cercherà di spegnere, senza accorgersi che quella morte è deicidio oltre che suicidio. Io vi prometto non soltanto il regno dei cieli che vi attende dopo la morte ma vi dischiudo anche quel regno dei cieli che splende sulla terra a consolazione perenne degli innamorati di Cristo. Se saprete impadronirvi di questo regno sarete anche più degni di salire nell'altro. Lo sviscerato amore, che sento per voi nel mio vecchio cuore di povero, mi fa sperare che le mie parole non sian vani tocchi di cembalo sonante ma inviti e soccorsi per la vostra ascensione. Non v'è altra ricchezza vera che nell'amore. Amate Iddio nelle sue creazioni e nelle sue creature; amate tutti, anche i nemici; amate lo spirito di povertà che vi fa simili a Cristo e non soffrirete più d'esser poveri. Soltanto allora, secondo l'irrevocabile promessa, il di più vi sarà dato. CELESTINO VI PAPA, servo dei servi d'Iddio. 


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"Non Ce Ne Sono Di Passi Perduti"

di !Alessio Begliomini et André Breton

Qual diversi semi di un futuro primitivo rivélato la cui luce germoglierà dall'anima dell'amore, NADJA e altre rare visioni dal giovane Breton septembriseur, dono col loro mediatore così d' allegorie viventi nella forma sì del poema in prosa, respirano già la pura cosmica veglia d'attesa metamorfosi d'Uomo tutto e questa terra.L'imbalsamata pedagonia di questo tempo, scioglierne non potrebbe il segreto manifesto: epocale, alla sfida, di compito passato sotto debolissima logica artificiale di, ancor oggi tenaci, virali catechesi recluse in coito di ritardi condizione al posto ovunque infelice tempo mortale sommerso tra' fili d'aracne tela d'apprensioni ovunque materiale d'infimi ricatti ad autonomia armonia nuova condivisa. Ventesimo secolo e dintorni, passerà, in solidale memoria allora come epocale infanticidio divaricato nelle parvenze di meccanismi inondanti idoli-pena di giustizia: metastasi d'avversione e ferocia di calcoli venali sul mantello stesso della triunità elementare che suo proprio ignoto riverbera sì dai colori dell'arcobaleno -insostenibile, per la borghese opinione pubblica globale, la donna grembo fiducia di consapevole bellezza del coraggio. (Alessio Begliomini) !) Croisée de chemins -l'homme qui perdait son sang alluma une cigarette. Le jour començait à poindre, embellissant ses mains. Comme un enfant il fixa longtemps les petits moulins de papier. Puis il s'assura que le clocher était à tout jamais retourné à la botte de foin. Dans les ronces se plantaient des oiseaux à long manche; à la place de la dernière arche du pont il vit deux bras croisés. Le silence l'émut tout à coup. Sur le versant d'un nauge une persienne paresseuse s'ouvrit. Des bourreliers nouaient le long du fleuve leurs tabliers de cuir. Comme les murs sur lesquels se dessine une oreille les cieux où il lui était arrivé de jeter sa ligne de fond faisaient tache d'huile. Le dimanche serait vité passé. Il n'y avait pas d'excursion à craindre en cet endroit. Les jeunes filles reposaient encore sur d'admirables grilles en fer forgé. Daniel o^ta ses moustaches blanches et s'ecarta soudain comme s'il venait d'ecraser une limace. Il imaginait la battue, la veste des piqueurs flottant sur le terrain boisé. Son pouls ètait faible. Ayant jeté derrière lui les abeilles de la distance il crut le moment venu de réparer le desordre de sa toilette. Chacun sait qu'en rase campagne s'élèvent de petites maisons rondes à toit de mousse qu'il ne faut pas confondre avec les abris de cantonniers. Le génie des eaux passe pour y avoir établi sa demeure. Le blessé fit quelques pas dans la direction d'une de ces ba^tisses qui n'ont, en verité,aucun raison d'e^tre. Il introduisit dans la porte un instrument qui ressemblait à la clé d'une barrique. le lourd battant s'effaça, mais à peine Daniel eut-il franchi le seuil qu'il fut plongé dans l'obscurité par une violent courant d'air. En l'absence des fene^tres il lui fut impossible d'attribuer le phénomène à une cause naturelle. Il constata que ses allumettes avaient cessé de prendre. Son toucher déjà ouaté ne pouvant suppléer à l'aurore: "La justice humaine l'emportera cette fois en paradis, murmurat-il, je vais mourir ici comme un chien". Quand il reprit ses sens, une forme bleue gambadait autour de lui dans le caveau. Il la caressa sans répugnance, et, dès qu'il eut compris son intention, se leva pour la suivre. La be^te, lumineuse par intervalles, se deplaçait légèrement de co^te. Elle aida Daniel à comprendre la disposition de la paroi qui était une longue grecque. Chaque dépression avait servi à ranger une banquette sur laquelle une seule personne eu^t pu s'asseoir. L'homme et son a^me, comme ils pénétraient dans la troisième cage, un déclic se produisit. Tous deux se réveillèrent dans un grand salon en ruine qui faisait tort au printemps. Les beautés futures glissaient paresseusement sur les miroirs inclinés tandis que s'envolait le contenu des trousses de voyage. Une laine très blanche bouffait de place en place sur les sièges dont le velours lacéré conservait malgré tout une grande frai^cheur. !!) Temps nouveaux, nouveaux méthodes. Armez-vous contre la concurrence, déstruisez vos installations et votre matériel, obtenez le rendement minimum tout en augmentant vos frais généraux, démontez vos machines et roulez vos usines sur les fameux espaliers et èboulements à rotule Dada. le blanc indifférence n'a pas été créé par Dada pour des prunes Qu'est-ce que Dada? DADA c'est la plante de l'art qui a monté !!!) CHANSONS ITNTERNATIONALES Les oeillets de cuir fauve des éléphants Qui suivent la piste en neige éternelle, Marée de mi-septembre, on rapporte des oursins égarés: la récompense est en bas Le spectacle des ricins qui se fanent en blanc et noir Comme les alliances humaines Et les départs de trains omnibus Sur le marche-pied il y a tous les rois du monde Le roi des idées Le roi des échecs Le roi des splendeurs solaires Trois jeunes d'émenagueurs (André Breton -1920)


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Informatica

Foxit PDF reader, ora anche in italiano e accessibile

di Mario Lorenzini

Il mercato ha, da molto tempo, offerto alternative ad Adobe PDF reader. Ognuno di esse con pro e contro rispetto al più blasonato software di Adobe. In primis, la leggerezza dell’applicazione che garantisce una rapidità di esecuzione maggiore. Dalla sua, il software Adobe ha una mole di funzionalità, estensioni e versioni a pagamento che garantiscono un editing approfondito. Ma la pecca maggiore della concorrenza, almeno fino ad adesso, era una mancanza di compatibilità con le funzionalità di accessibilità per non vedenti / ipovedenti. Negli ultimi mesi, in molti casi, la situazione si è ribaltata. L’applicazione di Foxit, notoriamente più scattante e meno pesante, adesso riesce a interfacciarsi perfettamente con sintesi vocali e screen reader come JAWS per Windows. In realtà, è necessaria una delle ultime release del software di Freedom Scientific, altrimenti il reader si rifiuta di “collaborare”. Unico neo, i menu in svariate lingue all’infuori dell’italiano. Ultimamente anche questa lacuna è stata colmata. In certi casi alcune configurazioni del sistema possono influenzare l’esecuzione del reader, sia esso di Adobe che di Foxit. Il mio consiglio è quello di provare, soprattutto se si riscontrano problemi di lettura con l’associazione JAWS + Adobe reader e alcuni file pdf impaginati in modo non sequenziale. Potrete scoprire che Foxit reader riesce a intercettare correttamente i vari elementi della pagina, al contrario di quando la faceva da padrone la casa Adobe. Il tutto in modo sensibilmente più veloce. L’unico scotto da pagare è avere a disposizione una versione recente di JAWS, visto che il Foxit non ha una grande retrocompatibilità con quel prodotto. Invito tutti a provare, come ho fatto io, questo lettore, sempre se non lo avete già fatto. Dopo i primi momenti per prendere familiarità con la nuova disposizione dell’interfaccia, potrete sicuramente metterlo tra i vostri pdf reader preferiti. Sul nostro sito https://www.gio2000.it, sezione ARCHIVIO / SOFTWARE, è scaricabile il file in italiano di Foxit reader.


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Medicina

Novità in Farmacopea: XXVI parte

di Stefano Pellicanò

A) DISLIPIDEMIE a) Colesterolemia: integratore alimentare ColBer®, un’opzione nutraceutica priva di monacolina k, derivante da riso rosso fermentato Si tratta di una formulazione nutraceutica brevettata, a base di estratti standardizzati di bergamotto, carciofo, fitosteroli e vit. C, con otto anni di ricerca e studi clinici che ne attestano l’efficacia e la sicurezza e può rappresentare un’efficace soluzione per il controllo del colesterolo, nel pieno rispetto del Regolamento U. E. del 22 giugno che vieta la vendita di prodotti con quantità > a 3mg di monacolina k.  B) INFETTIVOLOGIA a) SARS-CoVid-19: determinazione AIFA del 02/8/2022 che autorizza l’utilizzo del monoclonale tixagevimab e cilgavimab (Evusheld) per via intramuscolare per il trattamento precoce in soggetti a rischio di progressione Finora l’anticorpo era disponibile solo per la profilassi pre-esposizione in soggetti a alto rischio. Con questo allargamento di indicazione, erogabile a carico del SSN ai sensi della legge 648/96, l’AIFA rende disponibile un’opzione terapeutica per i soggetti nei quali la prescrizione dei farmaci antivirali e degli anticorpi monoclonali autorizzati è considerata inappropriata dal punto di vista clinico e/o epidemiologico, in relazione alla circolazione delle varianti virali. La decisione si basa sia sui risultati degli studi clinici già pubblicati sia sulla analisi ad interim (su circa 450 pazienti) dello studio multicentrico italiano Mantico-2, coordinato dall’Università di Verona, finanziato dall’Agenzia con l’obiettivo di confrontare tre diverse alternative (Evusheld, Paxlovid e Xevudy) nel trattamento precoce di questi pazienti. b) J05AX24 (Tecovirimat) per il trattamento del vaiolo delle scimmie L’attuale epidemia di vaiolo delle scimmie colpisce soprattutto omosessuali in numerosi Paesi in cui la malattia non è endemica, compresi gli USA. Sebbene non sia pericoloso per la vita può causare gravi malattie, tra cui coinvolgimento oculare, superinfezioni dei tessuti molli e lesioni anogenitali lancinanti.Tecovirimat è un antivirale approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense in base a un regolamento che consente l'approvazione di farmaci per condizioni gravi o pericolose per la vita quando non è etico condurre studi di efficacia sull'uomo e non è possibile condurre prove sul campo, sulla base di studi adeguati e ben controllati su modelli animali della malattia. Poiché il vaiolo è una malattia eradicata e condurre studi sull'efficacia nell'uomo non sarebbe né etico né fattibile la sicurezza nell'uomo è stata accertata valutando le reazioni avverse in volontari sani (fonte: The New England Journal of Medicine, 2022). C) NEUROLOGIA a) M. di Alzheimer: una nuova speranza da alcune molecole in sperimentazione Le malattie neurodegenerative, tra le quali l'Alzheimer rappresenta il 60% di tutte le forme di demenza con 40 milioni di persone colpite nel mondo e 150mila nuovi casi/anno in Italia, la 7ª causa di morte nel mondo. a) I ricercatori sono cautamente ottimisti per i buoni risultati dimostrati dalla molecola donanemab che, in uno studio di fase intermedia, ha rallentato il tasso di declino dell'attività cognitiva e funzionale. La sperimentazione proseguirà con un nuovo studio su 500 pazienti.  Si tratta di un anticorpo che agirebbe rimuovendo, a livello cerebrale, le placche di proteina B-amiloide, correlate alla malattia con un rallentamento del tasso di declino cognitivo-funzionale del 32% rispetto al placebo; b) un composto organico somministrato per via intranasale nelle fasi precoci della malattia nello studio su topi inibisce l'accumulo della proteina B-amiloide proteggendo i neuroni dai suoi effetti tossici (ricerca condotta dall'Istituto Neurologico Carlo Besta con l'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri); c) dalla combinazione di due farmaci già esistenti si è ottenuta una nuova molecola, la nitroMemantina, in grado di ripristinando le connessioni nervose danneggiate (studio coordinato dall'Istituto di ricerca medico statunitense Sanford-Burnham che si avvia ora alla fase dei test clinici); d) un recente studio dell'Università di Ferrara ha dimostrato che i farmaci in uso oggi, gli inibitori della acetilcolinesterasi (AChEI), la cui efficacia è stata ripetutamente messa in discusione, sono effettivamente utili a rallentare il declino delle funzioni cognitive nel tempo, e riducono la mortalità di circa il 40% L'obiettivo è trovare una terapia o almeno rallentare in modo significativo il declino cognitivo causato dalla malattia (fonte: Giornata mondiale sull'Alzheimer, 21 settembre 2022). D) VETERINARIA a) Farmaci veterinari: vendite incrementate in tutta U.E. Secondo Animal Health Europe, nel 2021 la spesa per farmaci veterinari in U.E. ha mostrato un +8,82% rispetto al 2020, per € 7,4 miliardi, con un trend positivo per le vendite online. La maggior parte ha interessato suini, bovini e ruminanti di piccola taglia (42,4%), poi pollame (10,9%) e i cavalli (2,8%). Oltre 3 prodotti su 10 sono stati vaccini (32,6%), antiparassitari (28,7%) e antimicrobici (11,9%). Secondo Transparency Market Research, a livello globale questo mercato potrebbe superare i 63 miliardi entro il 2028, con un focus soprattutto sullo sviluppo di nuovi vaccini, la telemedicina e le app di servizi sanitari per animali. Tra i mercati leader del settore la posizione rimarrà dominante per il Nord America, USA in primis, e l’U.E. In Italia gli animali domestici sono oltre 62 milioni e, secondo un report di Altroconsumo, si spendono in media circa 1.562 €/anno per un cane e 1.208 €/anno per un gatto, tra i quali sono destinati alle spese mediche rispettivamente 341 € e 194 € per i gatti.


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Novità in Medicina: XXVI parte

di Stefano Pellicanò

A) DIETOLOGIA a) Il ruolo degli integratori nelle malattie cardiovascolari. Aggiornamento delle linee guida della US Preventive Services Task Force (USPSTF) Il consumo degli integratori alimentari è in costante aumento in U. E., Italia e USA. Le carenze di vitamine e minerali causano parecchie malattie. Per le persone che sono o potrebbero rimanere incinte, si raccomanda acido folico 0,4 a 0,8 mg/die per prevenire i difetti del tubo neurale e il ferro per prevenire il parto pretermine e il basso peso alla nascita, oltre a migliorare lo sviluppo cerebrale del feto. Per gli adulti sani la USPSTF ha aggiornato la sua raccomandazione sull'uso di integratori rispetto al 2014, per prevenire le malattie cardiovascolari o il cancro (fonte: GIAMA. Online, 21 giugno 2022). L'USPSTF ha concluso che le prove attuali non sono sufficienti per valutare l'equilibrio tra benefici e danni dell'uso di integratori multivitaminici, integratori singoli o integratori più accoppiati per la prevenzione delle malattie cardiovascolari o del cancro (affermazione I), sconsiglia, per la prevenzione di esse: specificamente l'uso di integratori di beta carotene (raccomandazione D) a causa di un possibile aumento del rischio di mortalità, mortalità cardiovascolare e cancro ai polmoni, sconsiglia specificamente l'uso di integratori di vit. E (raccomandazione D) perché probabilmente non ha alcun beneficio. Le prove attuali suggeriscono, nella migliore delle ipotesi, che qualsiasi potenziale beneficio di un multivitaminico sulla riduzione della mortalità è probabilmente piccolo e inoltre questa stima si basa su prove imperfette, è imprecisa e altamente sensibile al modo in cui i dati vengono interpretati e analizzati. L'evidenza disponibile è limitata dall'eterogeneità dei multivitaminici studiati, dai brevi tempi di follow-up e dai campioni di studio non diversificati. La consulenza sullo stile di vita per prevenire le malattie croniche nei pazienti dovrebbe continuare a concentrarsi su approcci basati sull'evidenza, comprese diete equilibrate a alto contenuto di frutta e verdura e attività fisica. A livello individuale lo screening per l'insicurezza alimentare e il collegamento delle famiglie colpite alle risorse pubbliche e comunitarie sono essenziali per un'equa prevenzione delle patologie croniche. A livello locale, le organizzazioni comunitarie devono avere il supporto per integrare la promozione della salute nei loro servizi mentre affrontano i bisogni delle popolazioni svantaggiate. A livello di governo, è importante sottolineare che le attuali raccomandazioni dell'USPSTF non si applicano al pre-concepimento o all'assistenza gravidanza-correlata. I danni reali integratori-correlati non sono studiati a fondo come quelli dei prodotti farmaceutici. Gli sforzi individuali, di salute pubblica, di politica pubblica e civici dovrebbero concentrarsi sul sostegno alle persone nelle cure preventive regolari, seguendo una dieta sana, fare esercizio, mantenere un peso sano ed evitare di fumare. I sistemi sanitari e gli operatori sanitari dovrebbero concentrarsi sui servizi di prevenzione basati sull'evidenza raccomandati dall'USPSTF, incluso il controllo dell'ipertensione e la consulenza comportamentale per incoraggiare l'attività fisica e una dieta sana (fonte: Jama, 2022). b) Broccoli, cavoli, cavolfiori e cavoletti di Bruxelles per dissolvere gli emboli e trattare i pazienti con ictus Una ricerca dell'Heart Research Institute e dell'University of Sydney indica che l’isothiocyanato, sostanza chimica naturale, può dissolvere gli emboli in modelli animali, trattare i pazienti con ictus e migliorare l'efficacia dei farmaci fluidificanti. L'ictus avviene quando l'alimentazione di sangue al cervello è interrotta, affamando le cellule di ossigeno e di nutrienti e alla fine causando un ictus ischemico, un tipo di embolia che ostruisce il flusso sanguigno. Una dieta accresciuta di broccoli e cavoletti di Bruxelles può raddoppiare la probabilità di sbloccare le arterie e potenzialmente di evitare gli ictus raddoppiando il tasso di disostruzione delle arterie, rispetto ai correnti farmaci TPA (Attivatore tissutale del plasminogeno). I farmaci adesso saranno sottoposti a sperimentazione umana, con l'obiettivo di produrre un farmaco bevanda che combini le molecole più efficaci per trattamento anti-trombotico. B) INFETTIVOLOGIA a) Scoperto il nuovo virus Langya virus (LayV) Studiosi di Cina e Singapore hanno identificato questo nuovo virus di origine animale (zoonosi) che ha infettato 35 persone (all’agosto 2022) nelle province cinesi di Shandong e Henan. Il genere è henipavirus e è stato identificato nei tamponi faringei grazie all'analisi metagenomica e poi al suo isolamento. I sintomi includono febbre, circa la metà soffriva di stanchezza, tosse, anoressia, dolori muscolari, carenza di globuli bianchi; circa un terzo aveva nausea, mal di testa, vomito, carenza di piastrine, alterazioni della funzionalità epatica; meno di 1 su 10 problemi renali. il topo ragno potrebbe essere un serbatoio naturale del Langya henipavirus che non sembra capace di passare agevolmente da uomo a uomo, in atto l’unico trattamento per l'henipavirus è la gestione delle complicanze (fonte: Nejm, 2022).


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Novità in Sanità Pubblica: XVII parte

di Stefano Pellicanò

A) Vaccinazione anti SARS-CoVid-19: indagine del P.M. di Pordenone contro lo Stato per lesioni colpose e omicidio colposo (Art. 445 del Codice penale) Sono almeno una quarantina le pec che con oggetto “Chiarimenti vaccinazione in farmacia Friuli Venezia Giulia (FVG)” sono state spedite dai farmacisti agli ordini delle professioni sanitarie quali medici, farmacisti, infermieri, aziende sanitarie, direttori delle farmacie ospedaliere del FVG, ai Nas e alle Procure. Alla base c’è la Circolare n° 105/22 del 19 luglio 2022, che apre alla possibilità di eseguire vaccinazioni nelle farmacie del FVG e quindi che autorizzerebbe i farmacisti a effettuare una iniezione ai cittadini. Il pubblico Ministero di Pordenone dovrà valutare in merito alla dose eterologa (Astrazeneca/Pfizer, Astrazeneca/Moderna, Pfizer/Moderna etc.), la III e ora anche la IV dose, tutte somministrate off label (fuori scheda tecnica), il che richiederebbe l’esistenza di studi almeno di fase II pubblicati per essere a norma di legge, che in atto “non ci sono”. Per esplicita ammissione della Commissione Consultiva Tecnico Scientifica (verbale 72 dell’11 luglio 2022) la stessa non ha approvato l’utilizzo off-label della IV dose secondo studi di fase II pubblicati, uno per ogni percorso immunologico creato, se una persona, a es., ha contratto il virus ottenendo una immunità naturale e poi è stato vaccinato, non ci sono studi che facciano chiarezza sull’impatto nel corpo della persona che ha già incontrato il virus, della vaccinazione. Cosa che tra l’altro è abbastanza anomala, qualcuno che ha contratto il morbillo e una volta guarito corre a vaccinarsi per il morbillo stesso? In nessuna scheda tecnica alla voce posologia e modalità di somministrazione è mai stata indicata la possibilità di considerare la guarigione come “dose sostitutiva” o altro, né che la malattia prima della vaccinazione può sostituirsi alla somministrazione di una singola dose di vaccino ma se sopraggiunge dopo un ciclo vaccinale non la si deve considerare nella stessa maniera. Ricordiamo che la Regione Piemonte ha posto seri dubbi sulla legittimità delle vaccinazioni dei guariti (Comunicazione prot. n° 34758 del 2/06/2022). Sulla base dei dati esaminati e in considerazione dell’attuale andamento epidemiologico eventualità e condizioni non previste nella legge 648/96 per l’inserimento off-label di una nuova indicazione o variazione posologica. Il mancato aggiornamento della nuova indicazione in elenco imporrebbe al vaccinatore di vaccinare violando la norma stessa e facendoci ricadere nella violazione prevista dall’articolo 445 C.P. (Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica). Se dalla somministrazione di un farmaco in violazione dell’art. 445 C.P. derivasse una malattia grave o addirittura la morte potrebbero configurarsi anche i reati di lesioni e/o omicidio colposo a carico dei vaccinatori (fonte: https://t.me/davide_zedda/16897). B) Cassazione: responsabile l'Azienda Ospedaliera se il medico viene colpito da infarto a causa dei pesanti turni di lavoro La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della decisione del Tribunale di Trapani, a fronte della domanda proposta da un medico per violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 C.C. (turni di reperibilità in misura di gran lunga superiore a quella prevista dal CCNL di comparto e la mancata fruizione di riposi settimanali) riteneva, diversamente dal primo Giudice e sulla scorta della rinnovata CTU, la domanda meritevole di accoglimento. La seconda CTU, infatti, ha accertato che i turni massacranti erano in effetti una concausa efficiente e determinante dell’evento morbigeno. In pratica, all’Azienda Ospedaliera viene imputato di non avere adottato tutte le misure necessarie a garantire l’integrità fisica del dipendente e, in particolare, il potenziamento dell’organico di personale assegnato al Presidio onde consentire adeguati turni ai Sanitari. C) D. M. n°77 del 7 luglio 2022: medici e infermieri reperibili sette giorni su sette Il DM 77 impone a tutte le Regioni di dotarsi di un'organizzazione “territoriale” adeguata entro gennaio 2023 per non perdere il 2-3% del finanziamento integrativo del Fondo Sanitario Nazionale. Prevede anche Case di Comunità (CdC) aperte 7 giorni su 7 per 24ʰ con in servizio, a rotazione, 30-35 medici di medicina generale e pediatri e 7 -11 infermieri. Prevista la disponibilità anche di psicologi, ostetrici, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione e qualsiasi specialista possa servire. Se la problematica è troppo importante e il CdC non possa risolverla, il cittadino deve essere messo nelle condizioni di andare all’Ospedale della Comunità, una struttura in grado di gestire patologie acute e aggravamenti di malattie croniche. In pratica il DM77 definisce la rete dei servizi territoriali; gli standard in rapporto alla popolazione; i parametri di riferimento del personale; le modalità organizzative e funzionali; gli obiettivi strategici di riferimento, la governance del sistema. Il modello organizzativo ruota intorno al Distretto Sanitario che costituisce il centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi delle ASL. D) Dccreto direttoriale del 28 luglio 2022, prot. n°33391 dell’1 agosto 202 sugli integratori alimentari contenenti estratti e preparati di piante di Curcuma longa e spp: modifica all'allegato 1 del DM 10 agosto 2018 già modificato con decreto direttoriale 4 agosto 2021 La circolare è stata diramata a seguito delle valutazioni condotte su casi di epato-tossicità post-assunzione di integratori alimentari contenenti estratti e preparati di Curcuma longa, nuovamente registrati dopo i precedenti del 2019 le cui cause sono verosimilmente da ricondurre a reazioni di natura idiosincrasica [ipersensibilità, abnorme reattività] inoltre per questi prodotti non potranno più essere indicati particolari effetti fisiologici precedentemente attribuiti alla sostanza. Gli operatori del settore alimentare sono tenuti a conformare l'etichetta degli integratori alimentari contenenti estratti e preparati di Curcuma longa e spp entro e non oltre il 31 dicembre 2022 (fonte: www.salute.gov.it) E) INPS sui minori disabili: con l’attivazione del nuovo Protocollo il certificato specialistico pediatrico potrà essere rilasciato da più medici (messaggio n°3015 del 29 luglio 2022) L’INPS comunica l’adozione del Protocollo quadro per l’utilizzo del certificato specialistico pediatrico a tutela dei minori disabili, dopo il successo del periodo di sperimentazione avviato nel 2017. I medici in servizio presso le strutture sanitarie pediatriche aderenti possono rilasciare,gratuitamente, il certificato  in favore dei minori esclusivamente ricoverati o in cura. Questo permette di acquisire tutti gli elementi necessari alla valutazione del medico legale ai fini del riconoscimento dell’invalidità evitando così al minore lo stress di ulteriori esami o valutazioni di accertamento. L’INPS, infine, fornisce le istruzioni operative per le strutture interessate. che intendono aderire e si impegna a utilizzare il certificato specialistico pediatrico per semplificare e ridurre i tempi dei processi sanitari legati alle domande per le prestazioni assistenziali. L’obiettivo del nuovo Protocollo è dunque quello di allargare la platea di medici in grado di rilasciare il certificato specialistico pediatrico. La procedura telematica per il rilascio della certificazione sarà disponibile per il medico dopo l’abilitazione e accessibile tramite credenziali SPID, almeno di 2 livello, CIE o CNS (fonte: INPS, 2022).


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La rivincita (postuma) del prof. Luc Montagnier: dimostrate infezioni per colpa della vaccinazione SARS-CoVid-19

di Stefano Pellicanò

Gli infettivologi dovrebbero sapere che è assolutamente controindicato vaccinare in corso di pandemia e che il sistema immunitario, a furia di eccessive stimolazioni con le vaccinazioni, a un certo punto non risponde più in maniera adeguata. Ebbene in parecchi esponenti della comunità scientifica, più coerenti e più pragmatici, sta emergendo l’idea che l’acutizzarsi del vaiolo delle scimmie (monkeypox, MPX), sia una diretta conseguenza dell’indebolimento del sistema immunitario causato proprio della vaccinazione anti-Sars-CoVid-2. «Il vaccino potrebbe favorire altre infezioni» così sosteneva il prof. Luc Montagnier (1932-2022) in merito alle somministrazioni dei vaccini anti-CoVid-2, subito deriso da “scienziati” cin la “s” minuscola, virologi della domenica e veri giullari della medicina, pagati 5000€ a comparsata televisiva. «Tempus est vir» [Il tempo è galantuomo] sentenziavano i latini, ebbene adesso alcuni dati pubblicati dalle prestigiose riviste New England Journal of Medicine e The Lancet confermano le sue parole andando a esaminare i dati sul vaiolo delle scimmie, una patologia infettiva causata da un Orthopoxvirus, un virus simile a quello che causa il vaiolo (da cui si differenzia per minore diffusività e gravità) e il vaiolo bovino, la cui trasmissione interumana interessa soprattutto gli omosessuali. Consideriamo alcuni dati sull’MPX: il 98% delle infezioni riguarda uomini gay o bisessuali, il 41% ha anche il virus dell’HIV e il 29% soffre già di altre infezioni a trasmissione sessuale; inoltre su 528 casi il 98% maschi con età media 38 anni di 16 Paesi, il 95% dei contagi, si è verificato durante i rapporti intimi tra uomini, quasi uno su due aveva l’HIV e quasi tre su dieci un’altra infezione a trasmissione sessuale. Per concludere un’amenità: un TG nazionale dice nei giorni scorsi che è iniziata la vaccinazione anti-MPX riservata agli operatori sanitari e che non è assolutamente indicata la vaccinazione di massa, incredibilmente due giorni dopo (gli improbabili miracoli della vaccinazione!) lo stesso TG afferma trionfalmente che « i casi sono in calo grazie alla vaccinazione », tipico esempio di quanto si considera scarsa l’intelligenza degli ascoltatori, probabilmente considerati sudditi con l’anello al naso!


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Racconti e poesia

Nuvola curiosa

di Antonella Iacoponi

Vorrei essere una nuvola bianca in un cielo infinito,
piccolo giocattolo tra le mani del vento,
sballottata qua e là, quale trastullo,
da un emisfero all’altro, dalle vette dell’Hermon,
ai picchi innevati delle Alpi,
sfiorando ora un’ala di gabbiano, ora un’ala di tarabuso…
La curiosità sarebbe il mio motivatore,
una vecchia ciarliera, a pungolarmi
incessantemente con un bastone:
la sete di sapere, di conoscere il mondo!
Il vento, però, si illuderebbe,
se pensasse di potermi rompere, o gettare via,
nel bidone dell’indifferenziato!
Sulla mia bolla di accompagnamento
non campeggia la scritta FRAGILE:
sono flessibile, ma non debole,
porto sempre con me le mie radici
in gocce di pioggia, e posso fermarmi ovunque.


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Piccoli Frammenti

di Annalisa Conte

Riaffiora a volte, e il ricordo È così lieve, quando mi riporta piccoli frammenti di quella giovane donna, caotica e colorata, e tutto era palpabile, concreto e semplice. Poi, improvvisamente un fumo denso, impenetrabile e soffocante, ha inghiottito tutto. E pungenti come aghi, riemergono anche frammenti di quel giorno, Del giorno in cui ho capito. Perché già lo sapevo, ma fingevo di non sapere, di non capire, invece era successo, mi erano stati portati via Luce e colori, e quel fumo denso era reale, era il buio che si era preso i miei occhi...E mi ripetevo: «dormi Annalisa, devi solo dormire». Ho dormito per giorni, e quando mi sono svegliata era già primavera. Ho aperto la finestra, e mi ha colto lo stupore quando ho sentito che c’era, il sole, Non potevo vederlo, ma lo sentivo chiaramente sulla mia pelle, nonostante tutto c’era ancora il sole, era tiepido e morbido, e mi accarezzava il viso. E poi... frammenti di lei che emergevano dal buio, frammenti di Annalisa, che passava le sue giornate in macchina, tra lavoro e università, che ballava da quando aveva otto anni, i suoi disegni, sparsi ovunque per la stanza, sulle pareti, Il suo quadernino e la sua penna, che portava sempre con sé, per scrivere qualunque cosa le venisse in mente, per farne un racconto o una poesia. Così ho deciso, avrei messo via una parte di lei, una parte di me, quella parte di me che se ne era andata insieme ai miei occhi. Potevo scegliere di restare aggrappata al ricordo di lei e continuare a dormire, o svegliarmi, e ricominciare da capo, ma senza di lei, perché quello che era stato e non avrebbe più potuto essere mi avrebbe uccisa. Non ho lasciato andare la sua essenza, quella ha continuato e continua a far parte di me, ma ho dovuto abbandonare quello che le apparteneva. Ho respirato a fondo, che ho svuotato la mia stanza e il mio cuore dalle tracce di lei, ho staccato i disegni uno per uno, dalle pareti, ho preso i suoi quaderni, le sue penne, le matite, i colori, tutti i testi delle canzoni Che le piaceva cantare e che scriveva per impararle a memoria, ho chiuso tutto in una scatola, insieme al mio dolore, e senza darle una spiegazione l’ho messa via. È stato difficile, Dio solo sa quanto è stato difficile, ma poi ho imparato, poi ho capito e adesso lo so. So che puoi vedere un sorriso con le dita. E so quanta emozione c’è nel toccare un sorriso per la prima volta, puoi capire che il sole può toccarti anche se tu non lo vedi, puoi imparare che la pioggia e la grandine hanno un profumo diverso, puoi sentire un’alba o un tramonto soltanto respirandoli, ed essere comunque devastata dalla loro bellezza, capisci che ci sono mani che stringono la tua è che anche senza parlare, senza potertelo dire con gli occhi ti dicono... «io ci sono, sono qui». Poi c’è il colore rosso, che È nascosto ai tuoi occhi, ma che per qualche inspiegabile motivo, riesci a sentire con un’implosione nel cuore che ti dà una vertigine. Soprattutto capisci che non ci sono più immagini, ma ci sono voci, che ti basta ascoltare e non hai più paura. A volte di notte diventa difficile dormire, e qualche volta diventa difficile respirare, e mi sembra di sentire la giovane Annalisa che piange nella sua scatola, così nel silenzio della notte le concedo di uscire, la stringo a me e le sussurro piano: «cara piccola Annalisa, lo so che hai paura, ma non mi sono arresa, qualche volta sono solo un po’ stanca, ma tu dormi, perché io ci sto ancora provando a realizzare i tuoi sogni...»


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Fiorenza tu sei nel sentiero del primo risveglio

di Massimo Scaligero

L'attesa
che dolce fa l'imminenza d'un alto deliquio di luce
e dilagante nell'anima il canto dell'universo:
questo inseguirsi di pene dolcissime e pause
d'immoto silenzio, è il labile giuoco nel mondo
d'un sovrano mistero che sboccia in corolle di fiori
e canta nell'uragano e in iridi calme traspare.
Ma il suo fiorire più vivo d'eterni presagi
io vedo nel volto d'amore onde sorridi, Fiorenza,
e so che ti nasce da un sole nascosto nel cuore,
silenzio di un'alba da immemore tempo radiante
per luminose spirali animanti tua vita di fiamma:
misura d'immenso diviene la dolce parola che nasce
in effusione sonora cantando il tuo nome, Fiorenza!


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Rinascita...New entry

di Maria Teresa Montanaro

Squarciare le tenebre dell’anima con la luce del cuore.

Aggrapparsi con l’esile speranza di un sorriso a quel raggio di sole lontano
È la paura a far da padrona al tuo corpo... indifeso.
Ma è quella lacrima,
che scorre imperterrita sino in fondo all’essenza del tuo vivere,
che riuscirà a trasformare speranze in certezze,
morte in rinascita...
È quel sorriso che ora si affaccia agli angoli del tuo cuore che ti fa ringraziare il dolore per averti permesso di tornare...
a vivere.


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Elios

di Patrizia Carlotti

Resto qui,
così immobile, evado dal tempo
Viaggio nel vento
cerco te, in me,
piano ti sento
piano ti invento.
Liberami, rivelami, ascoltami.

Mistero che fa male, come un pugnale, la voglia di combattere.

Mi fermo qui, accanto a me l'ombra nera non parla.
L'amore sai, riavvolge i nastri come un fotogramma...
Viaggiando poi toccherai istanti immensi di felicità
Amando poi, farai milioni di scoperte, a braccia aperte
la voglia di fuggire via da qui.

So dove andrai, tornerai nei miei sogni infiniti,
visiterai mille mondi dai cieli puliti...
La verità, la so, anche quella che la gente non sa...
Conoscerai, lo so, terre e mari soli e lune in te...

Comincio qui, ineffabile senza parole
solo sgomento
splenderà in noi un sole mai spento, Elios ti sento.

Visiterai, so dove andrai…


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Riflessioni e critiche

Ancora sui corrieri: DHL

di Mario Lorenzini

il mio pacco proveniva dall’estero, esattamente dalla Francia. Ma io non lo sapevo. Dal sito dove avevo effettuato l’ordine era indicato il venditore, il nome della sua società e, a parte, la tipologia dei prodotti, null’altro. Non che ciò sia fondamentale. Però possono cambiare i tempi di consegna proposti, piuttosto stringati. Anzi, abbiamo ordinato l’articolo su amazon proprio pensando all’opzione di spedizione veloce, prime che, di solito, consegna anche il giorno successivo all’effettuazione dell’ordine. In effetti, per quel prodotto non era prevista l’opzione prime. Data ordine: 8 luglio. Data di prevista consegna: 20 – 24 luglio (i corrieri amazon lavorano anche sabato e domenica). Ebbene, il dispositivo acquistato sarebbe servito a mia moglie per il suo concerto in piazza del 28. I tempi erano un po’ stretti, anche per provarlo, ma abbiamo accettato. Anche perché, in molti casi, le date di consegna vengono anticipate. Ho iniziato a guardare il tracking una settimana dopo, sperando nella spedizione ma, niente. Ancora lo si vedeva in magazzino. Poi, il giorno 18/7, l’affidamento al corriere. Purtroppo scoprivo proprio in quell’istante che la società aveva la sede all’estero, pertanto, sarebbbe andato tutto in mano a DHL che non consegna nei fine settimana. Ora, o riuscivano a portarlo a casa mia entro il 22, altrimenti si andava alla settimana successiva. Ho notato che, finalmente, lo spedizioniere era entrato in Italia, Milano. Ho pensato, nel contempo, di scrivere al venditore, riferendogli che il prodotto, con il ritardo che si preannunciava, non mi sarebbe stato più utile. Gentilmente, mi risponde che non dipendeva da lui e che se fossi stato intenzionato a restituire l’oggetto, sarebbe stato suficiente non accettare il pacco. Lunedì25, la merce era a Bologna. Ho pensato che l’avrei ricevuta in giornata. Ma no, perché il giorno dopo, era ancora lì. Poi, più tardi, vedo che, da Bologna, era arrivato a Livorno?! Insomma, da bologna, a Firenze, era passato davanti al mio naso, proseguendo altri 50km. Secondo loro, mi sarebbe stato consegnato in giornata. Dopo le 18, suona il citofono. Ormai avevo deciso di prendere la consegna, che senso aveva rimandare indietro il pacco? Il corriere avrebbe avuto comunque le mie rimostranze. Allora, visto che dal periodo Covid spesso i corrieri lasciano la merce a terra e vanno via senza attendere la firma, ho risposto dicendo: «Arrivo subito, non vada via». Arrivato al piano terra, dal mio quarto, il corriere mi stava allungando il pacchetto per andarsene, quando io l’ho fulminato con le mie domande, perché quel ritardo, come mai da Firenze si va a Livorno per poi tornare indietro in provincia di Pisa, gli ho anche detto che avevo una mezza idea di rifiutare il pacco. Lui ha alzato le mani: «a me hanno consegnato l’ordine stamani. Ieri c’era sciopero…» Certo, lo sciopero, solo ieri? Senza contare la maleducazione. Lo dico perché non è la prima volta, DHL consegna in ritardo, senza avvisare e, se non trova nessuno al domicilio, passa di nuovo dopo molti giorni. Insomma, la morale è sempre quella: abbiamo ragione noi, ma gli altri fanno come vogliono. E non possiamo opporci più di tanto.tutti i corrieri sono oberati di lavoro, non esistono compagnie alternative più concorrenziali o affidabili. Ci vuole pazienza.


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Fastweb: forse fibra veloce ma non senza intoppi

di Mario Lorenzini

A fine aprile, dietro comunicazione del mio gestore ISP, decido di cambiare la mia offerta dati+voce. In realtà ero già passato dall’ADSL alla fibra da un paio d’anni. Ma si trattava della FTTC (fiber to the cabinet) e non della più performante FTTH (fiber to the home). Stringendo, il cavo ottico non si ferma alla centralina di smistamento più vicina a casa e poi prosegue con il vecchio doppino in rame, maarriva fino in casa, evitando così dispersioni di segnale. Questa possibilità è resa fattibile grazie all’azienda che steso la rete in tutta Italia, prima nei grandi centri e poi anche nelle periferie: Open fiber, terza società a livello europeo per la gestione del flusso fibra, praticamente leader indiscusso da noi. Già dalla primavera di quest’anno Fastweb mi aveva informato che si poteva effettuare il passaggio alla nuova modalità senza costi aggiuntivi. Ci ho pensato un paio di settimane e poi mi son detto: «perché no?» Ho chiamato il servizio clienti per informarmi sui tempi di intervento e se mi avessero cambiato il modem. La risposta è stata che il tempo variava a seconda della distanza e degli eventuali ostacoli che i tecnici avrebbero incontrato; niente modem nuovo. Ho deciso di inoltrare la mia richiesta, eravamo poco dopo il 20 di aprile. Sono passati dieci giorni e nessuno mi ha contattato. Ho telefonato nuovamente e mi hanno spiegato che c’era stato un “blocco” e che avrebbero appunto sbloccato la procedura. Finalmente, il 12 maggio, un tecnico mi chiama per concordare l’appuntamento. Sarà per il 27, alle ore 14:30. Il giorno prefissato una chiamata sul mio cellulare da parte del personale che era in anticipo e mi chiedeva, gentilmente, se poteva arrivare prima. «Ok, non ci sono problemi», dico io. Giunti nel mio appartamento, al quarto piano, i due tecnici esaminano la mia postazione, la posizione del modem e il punto più comodo per loro per passare la fibra. E qui nascono i primi problemi. Il punto di accesso era una presa telefonica inutilizzata da anni, davanti la quale si trova una panca multifunzione da home fitness. «Non si può spostare?» mi chiede il tecnico. «Non credo si possa fare così, su due piedi, pesa 220 kg.» Gli rispondo. Inoltre, per passare il conduttore all’uscita successiva mi dicono che ci sarebbe voluto più tempo (ma non erano in anticipo?) e quindi optano per un passaggio del cavo fibra sopra la cornice della porta. Funzionante, anche se poco pulito. Ma tralasciamo le due ore circa che sono state necessarie per arrivare fino alla presa suddetta. A questo punto viene collegata una piccola scatoletta che provvede a distribuire il segnale al router, l’ONT (Optical Network Terminal). C’è segnale, tutto bene. Dopo i test della linea, gli operai aprono il notebook e si collegano al sito di fastweb per poter allineare il modem. Dopo diversi tentativi mi dicono che il Sycom non è al momento accessibile e contattano loro stessi gli operatori di Fastweb. Dopo una deludente risposta, che diceva di attendere una decina di minuti. Si fanno altre prove ma invano. A questo punto i due ragazzi mi consigliano di chiamare io stesso il servizio clienti l’indomani mattina e chiedere l’attivazione del modem. Non c’è molto altro. Se ne vanno, hanno fatto tutto ciò che era in loro potere. Hanno portato il cavo fino lì e visto che andava. Il passo finale non era possibile ed era inutile incavolarsi. Io ero senza connessione. Si può vivere senza per un giorno no? Alle ore 10 di giovedì 28 aprile chiamo fastweb. Domande di routine, come l’intestatario del contratto, il codice cliente e qual era il malfunzionamento (eppure avevo premuto il tasto relativo all’attivazione della fibra). Mi dicono di attendere che la soluzione arriverà in mattinata. Non so cosa intenda Fastweb con “nell’arco della mattina”. Fatto sta che alle ore 14, ancora senza rete, ritelefono. Perdite di tempo, cadute di linea, rimandato da un operatore di Rende a Cagliari, a Lecce, per poi andare a tirana e Durazzo. Niente di nuovo. Pare che il tutto andrà a posto in giornata. Ma vi giuro che non è andata in questo modo. Venerdì 29 ho chiamato leggermente alterato, sempre confermando l’assenza di segnale che comportava anche la mancanza di fonia. Al call center scrivono al terminale e come gli altri impiegati precedenti, sollecitano. Nel tardo pomeriggio non ci sono cambiamenti e perciò, vado ancora all’attacco. Mi confortano dicendo che lavorano anche nei fine settimana, sabato domenica e festivi; ecco che allora, con tutta probabilità, non passeranno questi due giorni senza internet. Mai affermazione fu più falsa. Lunedì 30 maggio, sempre nelle medesime condizioni, mi attacco nuovamente al telefono. In due occasioni mi sono scontrato con la maleducazione di operatori che non si sono voluti sentire dire in faccia la loro inutilità, rispondendo in malo modo o riagganciando. Io riporto i 5 giorni di disconnessione dal disservizio, chiedendo un risarcimento. A servizio ripristinato potrò fare il conteggio dei giorni di assenza del servizio e chiedere un rimborso. Alle ore 12 vengo contattato dal tecnico, che poi era lo stesso che era stato lì mercoledì scorso. Mi dice che aveva avuto le segnalazioni ed era in zona. È passato e, in cinque minuti ha allineato il modem. «Potevano farlo anche loro» riferendosi agli operatori Fastweb che non solo sono stati a volte scortesi, ma poco preparati o professionali. Dai codici sempre diversi che mi hanno chiesto, alla supposizione infondata che il mio modem fosse rotto, fino a dirmi che «Possiamo rimborsarle solo 10€», come se ci fosse una trattativa tra un cliente di strada e un vu’ cumprà. Non è finita qui. Dopo lo speed test e un’ora o due di navigazione, mi accorgo che il telefono fisso è morto. Compongo ancora l’192193. «è in corso la configurazione, entro 24 ore sarà tutto a posto» mi dicono. In effetti, a fine mese, cioè il giorno dopo, nel pomeriggio, persino la fonia era ripristinata, miracolo! Tirando le somme, ho avuto un’interruzione internet di 5 giorni e 6 di fonia. Nel frattempo, mi ero parzialmente consolato, memore di un fatto analogo accadutomi proprio con Fastweb ben dodici anni fa. Ma eravamo agli inizi della diffusione di questo gestore che lavorava in wholesales da TIM; Però, per gli stessi 5 giorni di blackout ricevetti 10 x 5 = 50€ di rimborso. Adesso si deve tirare la cinghia… (per i rimborsi, non per gli inconvenienti).


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Tempo libero

Corsica, l’isola della bellezza

di Gianfranco Pepe

È inutile negarlo, questa infinita pandemia continua a condizionare il nostro entusiasmo per i viaggi, quelli con la V maiuscola, quelli che ci hanno così tante volte arricchiti nella scoperta di lontani angoli di mondo, quei viaggi tanto belli e interessanti quanto però spesso anche molto impegnativi, quei viaggi che comunque speriamo presto di poter ricominciare a fare. Oltre a questo, in questo periodo si sta anche sommando la crisi del traffico aereo, con le compagnie a corto di personale, scioperi selvaggi, caos negli aeroporti, montagne di valige perse, annullamenti di voli e stressanti ritardi. Il nostro desiderio di bellezza però, quello no, quello sicuramente non si è spento e così andiamo sul sicuro, sul così detto “usato garantito”. Scegliamo così di tornare ancora una volta in un luogo bellissimo, un’isola dai mille volti, un’isola che racchiude in sé una varietà di ambienti naturali incredibilmente diversi tra loro, dalla catena di aspre montagne con cime alte quasi tremila metri nella parte centrale, a spiagge da sogno dall’aspetto caraibico, da ombrose fitte foreste a magnifici parchi marini incontaminati, un’isola che offre la possibilità di un turismo vivace e mondano, ma che è ancora capace di regalare sorprese nascoste e selvagge, con la possibilità di fare splendide camminate di qualsiasi livello, il tutto condito da una buona cucina, cosa che comunque non guasta mai. Questa volta ci soffermeremo nella parte nordoccidentale della Corsica, siamo a fine maggio ma quest’anno il caldo sta cominciando presto a picchiare duro e una perdurante siccità assumerà nei prossimi mesi aspetti veramente drammatici. Sotto un sole implacabile siamo al porto di Livorno, in attesa della nave che purtroppo è in ritardo di un’ora, allungando noiosamente i già lunghi tempi d’imbarco. Una volta a bordo prendiamo subito possesso della nostra fresca cabina sul ponte 5, felicissimi di aver fatto questa scelta che ci consente di riposare fuori dalla confusione, anche perché la nave è strapiena di turisti. Dopo un’ottima traversata, giungiamo a Bastia nel tardo pomeriggio, siamo in ritardo ma abbiamo la fortuna di aver scelto un hotel in posizione strategica, sulla strada per Capo Corso a pochi minuti dal porto. L’hotel è veramente bellissimo, in una zona tranquilla a picco sul mare e anche la nostra camera affaccia direttamente sulla costa. Andiamo subito a cena e anche il ristorante è in posizione splendida, su una terrazza a pochi metri dal mare dove si sta divinamente bene…come inizio non c’è male! Il leggero sciabordio delle onde culla il nostro sonno. Il tempo è stupendo e, come da programma, prima di tutto andiamo a visitare il centro storico di Bastia. In pochi minuti siamo in città e troviamo parcheggio nel quartiere di Terra Vecchia, il quartiere più antico della città. Percorriamo la via principale, la via Napoleone, dove si affacciano 2 splendide piccole chiese risalenti entrambe agli inizi del 1600, l’Oratorio dell’Immacolata Concezione e l’Oratorio di San Rocco. In particolare quest’ultimo, con un ricchissimo interno pieno di ornamenti d’oro, le pareti rivestite di seta rossa e i pannelli di legno scolpito, ci lascia davvero incantati. Scendiamo poi tra le strette strade che portano al mare sino alla piazza del mercato, dove vi sono diverse bancarelle che vendono formaggi corsi che ci attirano con il loro appetitoso quanto penetrante aroma. Ci soffermiamo nella chiesa barocca di San Giovanni Battista, la più grande della Corsica, caratteristicamente incastrata tra alti e stretti edifici che ci ricordano quelli della riviera ligure, così costruiti per difendersi dalle incursioni saracene. In breve raggiungiamo la profonda insenatura del suggestivo Porto Vecchio, dal quale si gode di una vista privilegiata sulla facciata della chiesa di San Giovanni e i suoi 2 imponenti campanili. In fondo alla banchina troviamo poi l’ascensore che ci fa comodamente salire sino all’ingresso della Cittadella, il nucleo storico del borgo, costruito strategicamente alla fine del 1300 da un governatore genovese sulla sommità di un promontorio naturale, da cui si gode di un bellissimo panorama sul mare e su tutta la città. Lasciamo Bastia e partiamo per la prossima meta, la cittadina balneare di Calvi, che raggiungiamo in un paio d’ore, attraversando l’interno dell’isola. Senza difficoltà troviamo il nostro nuovo albergo dove ci viene assegnata una camera dalla quale si gode di un bel panorama sui tetti della città e sul mare. Ci sistemiamo e subito usciamo alla scoperta del centro, soffermandoci in particolare sull’animato molo del porto dove si trovano le compagnie di navigazione alle quali chiediamo informazioni per la gita al Parco marino di Scandola, una delle mete naturali alle quali teniamo particolarmente. Purtroppo però, né oggi né nei prossimi giorni, riusciremo a fare questa bella escursione, soprattutto perché le condizioni del mare, sempre piuttosto mosso, non ci aiuteranno a realizzare i nostri progetti. Oggi nuvole nere all’orizzonte ci consigliano di rimandare a domani la programmata escursione nella penisola della Revellata e così, in alternativa, decidiamo di fare un giro in macchina dei villaggi della Balagne, nella parte più agreste della regione che ci ospita. Torniamo verso nord e all’altezza del villaggio di Lumio prendiamo la deviazione sulla così detta “strada degli artisti” che serpeggia tra le colline alle spalle del mare. Il paesaggio rurale, verdeggiante e coltivato, è molto ameno e di tanto in tanto si aprono anche panoramici scorci sulla costa. Visitiamo prima la minuscola Sant’Antonino, classificata forse esageratamente come uno dei più bei villaggi di Francia, salendo nelle strette stradine tra case incastonate nelle rocce e piccoli ristoranti, sino ad una cappella posta in posizione elevata. Poi ci trasferiamo alla non lontana Pigna, il villaggio della musica e degli artigiani e anche qui facciamo un giro nei vicoli del paese, tra botteghe e bei panorami sul mare che qui è già più vicino. Seguiamo poi la strada che degrada nuovamente verso la costa e ci ritroviamo all’ingresso di Ile Rousse, Isola rossa, una bella cittadina che gode di una eccezionale posizione geografica tra il mare e la macchia mediterranea. Questo antico borgo di pescatori viene anche soprannominato la “cité Paoline”, dal nome del suo fondatore Pascal Paoli, la cui statua domina la piazza principale. Pasquale Paoli, politico e comandante in capo delle forze ribelli della nazione corsa, fu considerato dal movimento nazionalista della Corsica come Il Padre della Patria (in lingua corsa “U Babbu di a Patria”), riuscendo a liberare l’isola dal dominio genovese, ottenerne una provvisoria indipendenza nel 1755, per poi combattere contro la nuova invasione dei Francesi. Per sottolineare comunque l’indissolubile legame della Corsica con l’Italia, queste sono le parole di Paoli pronunciate in un suo famoso discorso: «Noi siamo corsi per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni. Tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio e come Còrsi non vogliamo essere né servi e né ribelli". Parcheggiamo la nostra auto proprio all’inizio della lunga passeggiata della Marinella, che costeggia una splendida spiaggia di sabbia chiarissima, per poi proseguire verso l’Isola di Pietra, collegata da un ponte alla terra ferma. Saliamo verso il faro godendoci i bei panorami sulle rocce di porfido rosso che caratterizzano il promontorio e che danno il nome alla cittadina. Il mare sotto di noi è scenograficamente increspato, mentre nel cielo si alternano tratti soleggiati e momenti nuvolosi. Ci fermiamo anche più a sud nella località di Algaiola, un posto tranquillo e carino e anche qui passeggiamo lungo l’arco della spiaggia sino al vecchio forte che chiude il golfo e anche qui restiamo incantati dal sempre affascinante spettacolo dei cavalloni che si rincorrono rombanti. Rientrati a Calvi, non ci facciamo mancare neppure un rinfrescante momento di golosità, recandoci ad una buona gelateria sul porto scoperta ieri, dove gustiamo un delizioso gelato allo zenzero Come da previsioni stamattina ci accoglie una meravigliosa giornata. Dopo la solita gustosa colazione, siamo pronti per affrontare la prima delle camminate programmate, l’attraversamento della penisola della Revellata, il grande promontorio che chiude verso sud il golfo di Calvi. In pochi minuti di macchina raggiungiamo il punto di partenza e indossiamo scarpe da trekking e bastoncini. Camminiamo per circa un’ora e un quarto su di una strada sterrata in leggero saliscendi, immersa in una profumata vegetazione mediterranea che ci rinfresca con la sua provvidenziale ombra e dalla quale si godono bellissimi panorami sul golfo, sulla sottostante spiaggia di sabbia bianca di Alga, su altre più remote insenature, sulla cittadella di Calvi e su tutta la costa. Il clima è gradevolissimo, non eccessivamente caldo e piacevolmente ventilato. Arriviamo sino in fondo alla strada e saliamo sino ai piedi del faro che domina la punta, prima di tornare sui nostri passi estremamente soddisfatti della camminata e degli ambienti che ci hanno accompagnato. Ripresa la macchina, seguiamo le frecce che indicano la direzione di Ajaccio con l’intenzione di andare a visitare la Valle del fiume Fango, sito classificato dall’Unesco come riserva della biosfera naturale. Non siamo però ancora consapevoli che questo che stiamo percorrendo è un itinerario alternativo, la D81b, una strada costiera straordinariamente panoramica, ma anche assai lenta e tortuosa. Inoltre il dispettoso popolo corso, in perenne contrasto con le autorità francesi, ha cancellato le indicazioni stradali, facendoci inevitabilmente sbagliare strada. In effetti l’arcigno populu corsu, non ha mai rinunciato alla chimera di una reale indipendenza, portandosi sulle spalle secoli di ribellioni, in un’infinita storia di dominazioni, dalla Repubblica di Pisa ai tempi del suo massimo splendore, alla lunga dominazione genovese, passando poi sotto gli Aragonesi, lo Stato Pontificio e infine i francesi, ancor oggi diciamo pure non particolarmente amati! Nonostante il nome del fiume non sia così invitante, la Valle del Fango non ha nulla a che fare col fango, anzi, l’ambiente naturale che la caratterizza è veramente affascinante. Chiusa alle spalle dal massiccio della Paglia orba che, dall’alto dei suoi 2525 metri, domina il paese di Galeria e tutta la costa ovest dell’isola, la valle ospita l’omonimo fiume che scorre cristallino tra stretti canyon, cascate e piscine naturali nelle quali è possibile rinfrescarsi. Tornati alla base su una più veloce strada interna, usciamo nuovamente per la cena e su consiglio dell’albergo stasera mangiamo pesce in un ristorante su di una panoramica terrazza che affaccia direttamente sull’animata banchina del porto. L’indispensabile passeggiata digestiva, che chiude piacevolmente questa bella giornata, ci porta fino all’inizio della spiaggia di Calvi, un grande semicerchio lungo ben 4 chilometri. Mentre facciamo le valige il tramonto dalla finestra della nostra stanza è davvero bellissimo. Oggi si ritorna verso nord seguendo la costa. Ripassiamo dalla località di Isola Rossa e poco dopo imbocchiamo la deviazione che porta ad una delle spiagge più belle e scenografiche dell’intera Corsica, quella di Ostriconi. Parcheggiamo l’auto lungo una stradina che sovrasta il litorale, dalla quale riusciamo a scattare dall’alto bellissime fotografie alle meravigliose spiagge che si estendono sotto di noi. Troviamo poi il semplice sentiero che porta al mare e in pochi minuti siamo sulla famosa spiaggia di Ostriconi, il terminale finale del lungo sentiero costiero del deserto delle Agriate. Guadiamo un piccolo canale e attraversiamo tutta la lunga distesa di sabbia chiarissima, in parte rovinata dalla massiccia presenza delle alghe di Poseidonia che infestano le coste, ma che per motivi ecologici non possono essere rimosse. Ci fermiamo in un angolo nascosto tra gli scogli dove non ci sono alghe e qui possiamo godere di un’acqua meravigliosamente trasparente. Ripresa la macchina, dopo pochissimo seguiamo le indicazioni per Saint Florent sulla D81 che passa alle spalle del molto decantato deserto des Agriates. Questa zona infatti è l’unica in tutta la Corsica dove non esiste una strada costiera, essendo questo un territorio selvaggio e isolato difficilmente accessibile. Questo piccolo deserto riassume tutta la bellezza solitaria della Corsica, qui come in uno scrigno si nascondono alcune delle spiagge più belle dell’isola, paesaggi sorprendenti, scarpate rocciose, montagne bianche e grigie, vallate di verdeggiante macchia mediterranea che formano un sito naturale protetto creato per salvaguardare un prezioso ecosistema. Incredibilmente un tempo questo era il granaio della Corsica, poiché la sua terra coltivata ha nutrito a lungo la gente del posto. Ora al contrario è un luogo deserto, dove non c’è quasi nessun segno di vita o di agricoltura. La soluzione migliore per poter scoprire il cuore di questi ambienti così aspri e isolati sarebbe quella di addentrarsi tra le sue sconnesse strade sterrate con i fuoristrada, accompagnati da esperti autisti locali, ma il tempo è tiranno e il nostro programma non lo consente. Molto accaldati, raggiungiamo il nostro nuovo confortevole albergo che si trova in posizione tranquilla a pochissimi chilometri dalla costa, nella località di Oletta, e anche questa scelta si rivelerà di nostro pieno gradimento. Torniamo a Saint Florent e prima di cena parcheggiamo la macchina all’inizio della lunga spiaggia della Roya. La gente ormai se n’è andata e così possiamo goderci una silenziosa passeggiata lungo il mare, assaporando la suggestiva atmosfera del crepuscolo. Stasera la scelta per la cena cade su uno dei tanti ristoranti che si affacciano sul porto dove mangiamo benissimo, tartare di carne e un fantastico polipo alla griglia annaffiato da un ottimo vino rosè locale. Seduti in prima fila a pochi metri dall’animato passeggio e dalle decine di barche che riempiono la baia, ci godiamo la bellezza di questi impagabili momenti, prima di affrontare la salita che porta alla cittadella genovese che domina il paese. Il primo giorno dell’estate metereologica è una giornata spettacolare, che si meriterà un bel 10 e lode. Dopo un’ottima colazione consumata piacevolmente nel giardino dell’albergo, in breve raggiungiamo il porto di Saint Florent dove ci imbarchiamo per le 2 paradisiache spiagge delle Agriate, Lotu e Saleccia, raggiungibili esclusivamente via mare, dall’interno con i fuoristrada o con una lunghissima camminata a piedi. Il mare oggi è calmissimo e dopo soli 20 minuti di navigazione sbarchiamo a Lotu dove un piccolo pontile permette l’attracco delle barche. La spiaggia di sabbia fine e chiarissima, la cui battigia purtroppo però è infestata dalle alghe, circondata da basse colline ricoperte di profumata macchia mediterranea, è sicuramente molto bella ma ai nostri occhi non reggerà il confronto con quella di Saleccia. Fa già un gran caldo, ci inoltriamo all’interno della vasta distesa sabbiosa dove alcune magre vacche pascolano nelle adiacenze di un ruscello, caratterizzando in modo assai inusuale il paesaggio. Dopo poco partiamo per la programmata camminata sul sentiero del litorale che unisce le 2 spiagge, con l’indispensabile aiuto delle scarpe da trekking e dei bastoncini. Percorriamo senza troppe difficoltà il sentiero in saliscendi, a volte sassoso, a volte tra intricate radici, ma sempre spettacolare e panoramico. Verso la fine del percorso ci fermiamo per una mezz’ora seduti su alcuni massi sul bordo del mare a gustarci con calma questa idilliaca atmosfera, accarezzati da una gradevole brezza marina, con i panorami che nel frattempo si sono aperti verso la grande insenatura di Saleccia. In pochi minuti raggiungiamo infine la meta, dopo circa un’ora e mezza di cammino, foto comprese. Quello che si apre ai nostri occhi è un paradiso caraibico, una lunga e profonda spiaggia di sabbia bianca quasi accecante, lambita da un mare di cristallina trasparenza dai colori surreali, chiarissime e brillanti sfumature di verde acqua marina e di azzurro scintillante. La percorriamo per alcune centinaia di metri sino ad un punto nel quale non c’è nessuno, ci spogliamo e ci tuffiamo nelle irresistibili e non molto fredde acque della baia, approfittando anche della totale assenza delle malefiche alghe di Poseidonia. Dopo esserci goduti questo splendore, ci rendiamo conto che il tempo a nostra disposizione, che ci sembrava persino eccessivo, in realtà è passato in fretta ed è quasi ora di ripartire. Torniamo all’inizio della spiaggia dove si avvicinano le imbarcazioni, tutti gommoni semirigidi che però non possono spiaggiare, costringendoci praticamente a fare un nuovo bagno. Indossiamo i salvagente e, seduti a cavalcioni come su di una moto, ci becchiamo una bella sventagliata mentre la barca fila veloce lungo la costa. La giornata però ci regala ancora un’altra chicca. A 15 chilometri dal mare raggiungiamo la splendida chiesa romanica di San Michele nel paese di Murato, adagiata in una posizione idilliaca, su di un grande prato in una vallata a 500 metri di altitudine. La chiesa, dalle forme semplici ed eleganti dello stile romanico pisano, costruita con pietre locali di diverso colore, bianche e verdi, assemblate artisticamente in modo irregolare con un effetto davvero magnifico, è un vero gioiello architettonico. Un’altra giornata di sole accoglie il nostro risveglio nella nostra tranquilla dimora, ma il caldo sta lievitando. Oggi è previsto il giro orario del Capo Corso, il promontorio spesso denominato come “dito di Corsica” che punta diritto verso il golfo del Tigullio. Abbiamo molti chilometri da spupazzarci in macchina, ripassiamo per l’ennesima volta da Saint Florent e poi iniziamo a seguire la D80 che ci porterà sino alla destinazione finale del paese di Macinaggio. Molti bei panorami si susseguono sulla nostra sinistra, ma presto facciamo una prima sosta nel villaggio di Patrimonio, paesino famosissimo per i suoi vini e le sue cantine. Ci fermiamo di fronte ad una di queste e acquistiamo alcune bottiglie di vino rosè, che una gentile signora mi offre in degustazione, inebriando piacevolmente l’inizio del nostro itinerario. Proseguiamo verso nord sino alla località di Nonza, dove ammiriamo dall’alto la grande spiaggia di ciottoli neri che la contraddistingue. Saliamo anche sulla torre genovese che domina il paesaggio e dalla quale si gode di un panorama ancora più vasto sulla sottostante spiaggia nera e sulla costa sino al lontano deserto des Agriates. Fa decisamente caldo e guidare su di una strada sempre piuttosto stretta e tortuosa mette a dura prova la resistenza dell’autista. Fuori programma seguiamo la freccia che ci porta alla Marina di Giottari, dove facciamo una piacevole sosta ristoratrice e dove, approfittando della favorevole condizione di una scaletta e di un’acqua profonda e limpidissima, mi tuffo dal molo per un favoloso bagno rigenerante. Proseguiamo il cammino e nel paese di Pino, preso d’assalto da decine di motociclisti e dove è quasi impossibile parcheggiare, ci fermiamo di nuovo chiedendoci cosa potrà mai essere questo posto in piena estate. Il paese è davvero particolare, aggrappato ad un tratto di costa scoscesa, con diversi punti di interesse e immerso in un lussureggiante bosco di pini, di eucalipti e di oleandri in fiore che degrada ripidamente verso il mare. Siamo ormai giunti quasi all’estremità nord della punta di Capo Corso e non possiamo esimerci dall’andare a visitare la baia del porto di Centuri, uno dei luoghi più caratteristici della zona. La strada che scende al mare è però lunghissima e arriviamo a destinazione belli cotti. Il posto è minuscolo ma molto carino, in una profonda insenatura di acqua calmissima, quasi una laguna. Ci premiamo con un buon gelatino e proseguiamo il nostro percorso del quale manca ormai solo l’ultima parte. Ci troviamo all’altezza della punta estrema del Capo Corso e la prossima sosta sarebbe prevista al Mulino Mattei, un vecchio mulino arroccato in una posizione straordinariamente panoramica. Quando però Frediana vede la ripida salita che dovremmo fare a piedi si rifiuta di fermarsi….pazienza, sarà per la prossima volta! Così proseguiamo e, curva dopo curva, percorriamo gli ultimi 10 chilometri che ci separano dalla meta finale, la cittadina di Macinaggio. Il nostro nuovo albergo si trova in posizione elevata, a circa 5 chilometri dal paese, nella località di Tomino, che porta lo stesso nome dell’hotel. Il gentilissimo signore che ci accoglie ci assegna una bella stanza chiamata rosmarino, con una grandiosa terrazza dalla quale si gode di un panorama stratosferico, sulla costa, sull’isola della Capraia e sulle piccole isole Finocchiarole, davvero una vista spettacolare. Al mattino però, affacciandoci dalla nostra terrazza, il cielo non promette niente di buono, tira un gran vento e cadono persino alcune gocce di pioggia. Peccato perché oggi era previsto il trekking sul sentiero dei Doganieri, uno dei più conosciuti percorsi panoramici che offre questa splendida isola. Alquanto delusi ci consoliamo con una ricca colazione, impreziosita anche da un formaggio di capra meravigliosamente saporito e puzzolente. Decidiamo di provare comunque a rispettare il nostro programma, sperando in un miglioramento del tempo, e la nostra scelta sarà premiata. Lasciamo la macchina al porto, ci armiamo di scarpe e bastoncini e partiamo in direzione nord, attraversando subito una spiaggia di color marrone in quanto totalmente ricoperta dalla malefica Poseidonia. Camminiamo per un’ora e mezza su un sentiero abbastanza agevole, con tratti più dissestati ma anche spesso su tratti di sabbia e di fondo liscio. I panorami sul litorale e sulle isole sono sempre belli e, nonostante l’atmosfera sia piuttosto grigia, fortunatamente c’è una buona visibilità. Attraversiamo la grande spiaggia di Tamarone e, giunti all’altezza del bivio di Santa Maria, ci spingiamo ancora oltre sino a raggiungere i resti di una torre genovese che domina le 2 vicine cale, quella francese e quella genovese. Avremmo potuto proseguire sino alla località di Barcaggio per prendere il battello che ci avrebbe riportato alla partenza, ma le condizioni del mare sferzato da un gagliardo vento di sud est, ci consigliano di tornare indietro per la stessa via. Ritorniamo al parcheggio dopo aver camminato più di 3 ore, davvero molto contenti della nostra passeggiata. Non siamo particolarmente stanchi, è ancora presto e così decidiamo di tornare al Mulino Mattei anche se dovremo percorrere una ventina di serpeggianti chilometri. Riprendiamo scarpe e bastoncini, in una decina di minuti su ripida salita raggiungiamo il caratteristico mulino che ora ospita un ufficio turistico e proseguiamo oltre sino ad un punto panoramico segnalato da alcuni omini di pietra, dal quale ci affacciamo a picco sul porto di Centuri. La vista che si gode da quassù è davvero impagabile, siamo praticamente sulla punta che divide la costa occidentale da quella orientale del Capo Corso e lo sguardo può spaziare sulla costa, sull’interno e sulle diverse isole dell’arcipelago verso la Liguria e la Toscana, mentre il sole torna ad illuminare il paesaggio. Per cena stasera scegliamo un ristorante in una posizione un pochino nascosta ma con un gradevole giardino interno. La cameriera che ci assiste è deliziosa, una di quelle francesine sorridenti e spumeggianti che ti fanno innamorare! Mangiamo davvero benissimo, antipasto di polipo e un abbondantissimo quanto squisito piatto di spaghetti ai gamberoni, brindando con un fresco vino bianco locale a questi bei giorni trascorsi nell’Isola della Bellezza. Sistemiamo per l’ultima volta i bagagli per poi assaporare la maestosità del paesaggio che si estende ai piedi della nostra terrazza. L’atmosfera che si sta oscurando dopo il tramonto è assolutamente magnifica, il profilo delle isole all’orizzonte sfuma lentamente, mentre il profondo silenzio che avvolge la campagna viene interrotto solo dai richiami degli uccelli notturni che si stanno preparando per la caccia.


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La manna non piove dal cielo

di Annamaria Comito

La manna non piove dal cielo, ma ha un'origine ben radicata nella terra. Come nel Parco Nazionale delle Madonie, paradiso verde che si estende per oltre 160 Km2 nel versante nord-ovest della Sicilia, a circa 90 chilometri da Palermo. Qui sta tornando in voga la coltivazione dei frassini per produrre manna, un dolcificante naturale ricco di proprietà benefiche per l'organismo. Ma cosa è la manna? Cosa significa? E' un prodotto della terra antichissimo, come il suo nome. Il termine "manna" deriva dall'aramaico ebraico 'Mân Hu?' ('Cosa è?') ovvero la domanda, come narra la Bibbia, che gli ebrei stremati e affamati rivolsero a Mosè che li stava guidando nel deserto nel veder cadere dal cielo un cibo a loro sconosciuto, miracolosamente mandato da Dio. Il legame con la Sicilia Da oltre 500 anni la manna è patrimonio del sistema agricolo siciliano. Presidio Slow food e nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, la sua produzione in Sicilia risale alla seconda metà del XVI secolo, ma si sviluppò in maniera intensiva soltanto nel XVIII secolo, quando, oltre alla intera zona delle Madonie, la coltivazione del frassino da manna si estese anche nelle zone a ovest di Palermo fino al trapanese. Dove si coltiva Dall'ultimo dopoguerra in poi la produzione di manna, divenuta poco remunerativa, si ridusse notevolmente, rimanendo quasi esclusivamente nel comprensorio Madonita e, in particolare, dei territori di Castelbuono e Pollina. Oggi, è qui che 60 ettari di frassineti sono tornati a produrre manna grazie alla passione delle giovani generazioni e di un consorzio per rilanciare il mercato, il Consorzio Manna Madonita. I territori di Pollina e Castelbuono, infatti, sono il luogo ideale per la coltivazione dei frassini da manna perché caratterizzati da elevate temperature, scarse escursioni termiche e bassa umidità dell'aria durante tutto il periodo di produzione (da fine giugno a metà settembre). L'estate è tempo di manna Verso la seconda o terza decade di luglio, i frassinicoltori (detti anche mannaroli o, in siciliano, ntaccaluori) verificano lo stato di maturazione delle piante facendo piccole incisioni, sulla corteccia del frassino con una particolare roncola molto affilata e appuntita, detta mannalouru o cutiéddu à manna. Da questi solchi sgorga un liquido ceruleo e amaro che, a contatto con l'aria, si rapprende rapidamente formando uno strato cristallino biancastro: la manna appunto. Per raccoglierla i mannaroli inseriscono sotto l'incisione una piccola lamina d'acciaio a cui viene legato un filo di nailon lungo il quale, nei giorni successivi, la manna gocciola formando piccole stalattiti, i cosiddetti 'cannoli' che, del tutto privi di impurità, sono molto pregiati sul mercato. La parte di linfa che si rapprende sul tronco viene raschiata e costituisce la 'manna in rottame', la qualità meno pregiata. La manna, da sempre, racchiude in sé fascino e mistero. I greci e i romani la conoscevano col nome di Miele di rugiada, nelle Sacre Scritture veniva definita Pane degli angeli. Utilizzata per secoli come dolcificante naturale a basso contenuto di glucosio e fruttosio, come depurativo e digestivo, ma anche come lassativo privo di controindicazioni, oggi la manna sta guadagnandosi spazi sempre più importanti come prodotto di nicchia in ambito gastronomico. Una dolce delizia per palati gourmet, da provare anche in loco al ristorante Nangalarruni di Castelbuono, con il suo maialino in crosta di manna mandorle e pistacchio, e durante le Feste con le dolcezze di Nicola Fiasconaro, titolare dell'omonima azienda familiare, famoso per la sua produzione di panettoni in Sicilia. Panettoni alla manna e"Oro di Manna" dolce artigianale con crema di manna da spalmare ricoperto di glassa bianca e colata di mannetti. Il territorio Il parco delle Madonie, istituito nel 1989, comprende 15 comuni, piccoli centri seminascosti fra i boschi, ricchi di storia e costellati da castelli medievali e da vestigia romane. La presenza di alte cime e un clima caratterizzato da inverni lunghi ed estati calde ma non afose, rendono quest'area estremamente variegata. Il parco ospita oltre la metà delle specie vegetali siciliane alcune delle quali estremamente rare come, ad esempio, l'Abies Nebrodensis in via di estinzione (se ne contano ormai solo 29 esemplari). La fauna è rappresentata da volpi, istrici. lepri, martore e da numerose altre specie di mammiferi. Davvero incalcolabili gli uccelli e gli invertebrati. Molto significativi sono anche gli aspetti geologici e paesaggistici. Da vari punti è possibile osservare straordinari paesaggi inquadrando da lontano l'Etna, i Nebrodi e le isole Eolie che le albe e i tramonti tingono di splendidi colori regalando scorci quasi irreali. Il fascino delle Madonie è racchiuso in un mix naturale fatto di natura rigogliosa, di storia millenaria e di cultura contadina ancora viva.


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Per sorridere un pò

di Giuseppe Lurgio

1) Un avvocato particolarmente convincente è riuscito far assolvere il suo assistito che aveva ucciso sua madre, sua moglie e sua sorella. Prima che l'imputato esca, il presidente gli dice: «Poiché lei ha ancora un padre, non mi rimane che dire: A presto!». 2) Un tizio va da una agenzia funebre per predisporre il funerale della suocera. L'addetto gli chiede: "Vuole che sia cremata o semplicemente interrata?". "Tutte e due le cose. Non voglio correre rischi". 3) Sul letto di morte, all'ospedale. Lui le tiene la fragile e fredda mano, pregando, con le lacrime agli occhi. Lei muove appena le sue pallide labbra, mentre le parole paiono un lungo sospiro: "Tesoro...". "Shhh, non dire nulla, devi riposare". Lei, con voce stanca, insiste: "Amore mio, prima di morire ti devo confessare una cosa...". "Non c'è nulla da confessare, riposa adesso". "No, no, devo morire in pace con la mia coscienza. Vedi, sono andata a letto con tuo padre, con tuo fratello e col tuo migliore amico". "Sì, lo so..." risponde lui "...per questo ti ho avvelenato". 4) Siamo sul Jumbo, carico di passeggeri. Manca oramai poco all'arrivo. S’ode la voce del comandante: "Signore e signori, vi ringrazio per aver scelto la nostra compagnia, ecc. ecc. Ma, se permettete, vorrei fare un annuncio molto importante: ebbene, questo è il mio ultimo volo, da domani sarò in pensione. Per questo, sappiate che mi toglierò una soddisfazione che ho in serbo fin dal mio primo volo. Ebbene, signori, eseguirò un looping (giro della morte) con il Jumbo. Vi prego pertanto di allacciare le cinture e mantenere la calma". Inutilmente le hostess e i passeggeri tentano di fermarlo, la porta della cabina viene chiusa dall'interno. L'aereo inizia dapprima una discesa, acquistando velocità, poi il comandante richiama a sè il volantino, con uno sforzo immane. L'aereo si scuote, i motori vengono spinti al massimo della potenza, la struttura vibra fortemente. Il Jumbo prende quota, prima velocemente, poi sempre più lentamente. I passeggeri pregano ed invocano pietà, chi grida, chi prega. Lentamente, l'aereo esegue la manovra, giunge al suo apice, ruota su se stesso ed inizia la picchiata. Sfiorando le cime degli alberi, riprende lentamente quota finchè ritorna in volo livellato e poco dopo atterra felicemente, con grida di gioia ed applausi. Scesi a terra, tutti i passeggeri corrono a complimentarsi col comandante, gli stringono la mano, lo abbracciano calorosamente. Tutti tranne uno, sporco, bagnato, visibilmente incazzato, che se ne sta sulle sue aspettando la valigia. Gli si avvicina una hostess: "Come, mi scusi, lei non si complimenta col pilota per questa splendida manovra?". "Splendida un corno! Io ero alla toilette". 5) Il direttore di un grande magazzino interviene nella discussione tra una commessa e un cliente: "Signorina, il cliente ha sempre ragione! Che cosa stava dicendo il signore?". "Che siamo dei ladri".


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Interviste

Diana Miele, the voice!

di Giuseppe Lurgio

Il personaggio di cui vi parlerò in questo numero si chiama Diana Miele, in arte Honey D. Diana oltre a essere una persona straordinaria è una cantante, ma ora ne sapremo di più direttamente da lei che gentilmente ha accettato di fare una bella chiacchierata con me! ---------- Giuseppe Lurgio) Ed eccoci ancora qui, in questo spazio dedicato alle interviste di Pino! Dunque chiedo subito a Diana di parlarci un po’ di lei ma non tanto di ciò che riguarda la musica che approfondiremo dopo ma ci piace sapere qualcosa di te in generale. Sai, siamo un po’ curiosi! Diana Miele) Sono sempre stata una bambina molto coraggiosa, ma al contempo timidissima. Facendo una riflessione introspettiva potrei addebitare tutta quella timidezza alla malattia dalla quale ero afflitta, che non mi aveva colpita all’improvviso, ma che si era manifestata dall’età di quattro anni ed era progredita con la crescita. La disabilità con la quale ho dovuto imparare a convivere, mio malgrado, riguardava la vista. Non potevo muovermi come gli altri bambini, non potevo andare in bici, giocare a pallavolo, leggere e scrivere a lungo e tante altre cose che mettevano un freno alla mia voglia di fare e di provare tutto ciò che si poteva provare sulla faccia della terra. Si aggiungeva l’apprensione di chi mi voleva bene, il quale cercava in tutti i modi di proteggermi da qualsiasi cosa si ritenesse pericolosa per il mio caso. A volte, proprio per sfuggire alla condizione in cui ero costretta a vivere, mi cacciavo in situazioni fuori della norma, per le quali, con il senno di poi, vissute da genitore, sarei preoccupata anche io. Ho sempre amato vivere tra la montagna e il fiume, il verde dei prati sconfinati, i mille colori di fiori e alberi da frutta, l’infinita varietà di piante che ricoprivano il nostro terreno al quale era stato dato il nome "Briglia". La roccia sulla quale spesso mi arrampicavo, il vallone nel quale scendevo totalmente incurante dei pericoli reali o presunti ai quali andavo incontro. Conoscevo ogni piccolo angolo e perlustravo ogni giorno nuove radure fino ad impossessarmi figurativamente dei tesori più belli dell’intera zona. Attività che svolgevo perlopiù assieme a mia nonna. Una nonna davvero speciale che mi portava sempre con sé quando andava nei campi e negli orti per curarli con un amore particolare. Naturalmente, durante quelle escursioni, io mi allontanavo spesso dalla sua vista per rincorrere animaletti di tutti i generi. Una volta per un gattino e la volta dopo per un cane dolce e dal pelo morbidissimo che pareva velluto color nocciola. Ogni volta che adocchiavo un animale, puntualmente questi si affezionava e mi seguiva fin dentro casa. Non tengo più il conto di quanti di loro abbiamo poi adottato per via delle mie suppliche. Presi a scorribandare per le vie della campagna ogni volta che ne avevo l’occasione. Nonostante il carattere introverso, durante i primi anni di scuola elementare, divenni una temibile capobanda e trascinavo nelle mie avventure almeno altri quattro bambini, che mi seguivano come ipnotizzati da tutte le storie che raccontavo loro. Avevo iniziato ad inventare delle storie di fantasmi e portavo tutti alla scoperta dell’occulto all’interno della vecchia e cadente casa anteguerra dei miei bisnonni situata al limitare di un bosco. Un luogo suggestivo a sinistra della Briglia. Per continuare il racconto devo fare un piccolo passo indietro, poiché prima di iniziare la scuola elementare, la mia tranquilla vita di campagna venne totalmente stravolta. Avevo appena superato i cinque anni, non sapevo ancora che l’anno seguente mi sarei trasferita, con l’intento di restare per sempre, dalla mia amata vallata nel monterotondese a Montreal, una metropoli nel freddissimo nord canadese, quando all’improvviso il comitato feste della mia contrada decise di realizzare una bellissima manifestazione all’insegna del divertimento e del buon cibo locale. Tengo a precisare che nella valle c’era una cospicua attività di molti pecorai e dunque potete ben immaginare che il piatto forte non potesse essere altro che lo spezzatino di pecora accompagnato da fiumi di buon vino rosso e corredato da formaggi più o meno stagionati. Fu proprio durante la serata che mia madre mi prese per mano mentre nell’altra teneva stretta la sua chitarra classica color rovere chiaro e mi fece salire sui gradini che portavano al piccolo palco allestito al centro della piazzetta. Mia madre aveva la voce di un usignolo, amava cantare, suonare la chitarra e ascoltare tanta musica. Ogni mattina ascoltavamo, assieme a mia sorella e mia nonna, brani dei più grandi autori classici. Beethoven, Mozart, Back, Verdi, Rossini, Wagner, Schubert, Chopin, Tchaikovsky, e altri indimenticabili. Nonché brani di musica rock melodico con i Beatles, il country di John Denver, Johnny Cash e Dolly Parton. Appena ne ebbe l’occasione, mia madre entrò a far parte del coro di una delle chiese di Cassino che qualche anno dopo sarebbe divenuto il coro ufficiale dell’intera città. Si distinse subito tra tutti i coristi per la sua voce sopranile forte e profonda, carica di pathos e di armoniche. Capace di riempire lo spazio circostante e arrivare dritta al cuore dell’uditorio. Inoltre, era l’unica madrelingua inglese e le vennero affidati spesso ruoli di interprete e traduttore durante i numerosi gemellaggi con cori stranieri provenienti da diversi paesi d’Europa e d’America. Tornando alla festa, nei ricordi di bambina quella piazzetta era gremita all’inverosimile, ma la voce calda e soave di mia madre mi infuse tutta la sicurezza necessaria per fare della nostra esibizione qualcosa che sarebbe rimasto nei cuori di tutti gli astanti. Lei si sedette su una delle sedie e incominciò con un giro di Do per accertarsi della giusta accordatura, dopodiché iniziò l’accompagnamento di una nota melodia popolare dal titolo “Sul ponte di Bassano” ed io, seguendo il suo attacco iniziai a cantare con una voce forte e cristallina. Una caratteristica vocale che nel parlato quotidiano non emergeva di certo, visto che sono sempre stata una bambina introversa e, a malapena, coloro che mi stavano ascoltando in quel momento conoscevano la mia voce anche se si trattava per la maggior parte di vicini di casa. Quell’esperienza segnò in qualche modo il mio cammino. Anche se passarono circa quindici anni prima che emergesse dentro di me la consapevolezza del dono che mi era stato fatto. Avrei molto da raccontare ma credo che potrei riassumere il resto dicendo che sono andata avanti nel mio percorso di vita, tra alti e bassi come tutti, del resto, perseguendo sempre tutti i miei sogni. Realizzato il sogno artistico ho cercato anche di realizzare quello personale sposandomi e dando alla luce due splendidi bambini e posso affermare che oggi mi sento completamente appagata. G) Complimenti! Ma dimmi, una vita matrimoniale e due bambini hanno frenato un po’ la tua carriera musicale? D) La mia non posso definirla una vera e propria carriera musicale visto che dopo essere entrata nel vivo del mondo dello spettacolo ho deciso di portare avanti la mia passione all’esterno di tutto il marcio che purtroppo è davvero presente in questo mondo. Per questo motivo posso affermare che né marito né figli sono mai stati causa di alcun freno artistico. G) Scorrendo la tua biografia vedo collaborazioni e insegnanti importanti. C'è qualcuno che ti sarebbe piaciuto incontrare e che non hai avuto la possibilità di incontrare? D) Ce ne sono molti. Sono perlopiù artisti internazionali come Whitney Houston, Celine Dion, Mariah Carey e tantissimi altri del panorama country americano. G) Spesso nella tua biografia ritrovo anche tua sorella. Ci dai un accenno di lei sopratutto se ha avuto o ha un ruolo anche nella tua carriera. D) Vi racconterò degli aneddoti. Prima di partire per il Canada, mi era stato regalato un registratore mangianastri, color arancione acceso con cinque tasti bianchi ed uno rosso per lo stop, il quale era diventato il compagno di giochi preferito da me e mia sorella Deborah. Eravamo solite sederci nel grande porticato di legno che affacciava su un bellissimo boschetto di aceri pieno di scoiattoli e altri animaletti simpatici, per registrare ore ed ore di canzoncine. Io amavo registrare la mia voce in tutti i modi: canzoni, interviste radiofoniche, interviste a familiari ed amici. Ne inventavo sempre una nuova per poter passare il tempo con il mio amico registratore. Mi seguiva dappertutto, persino a scuola. Ricordo poi di aver preso parte al coro della nostra scuola per cantare l’inno inglese durante una manifestazione sportiva. Rientrati in patria, furono numerosi i momenti musicali ai quali io, mia sorella e la nostra cuginetta, mia coetanea, avemmo la possibilità di partecipare. Per prima cosa seguivamo sempre i nostri padri alle prove e alle serate del loro gruppo rock melodico che avevano fondato molti anni prima che noi nascessimo. Mio padre suonava la chitarra elettrica e mio zio il basso. Le prove si tenevano all’interno di una struttura grezza con tanta polvere e calcinacci qui e là. Ma per me quello è sempre stato il paradiso terrestre, tanto era grande il mio amore per la musica che producevamo tutti insieme al suo interno. Noi tre cantavamo diversi brani, italiani e stranieri e amavamo esibirci davanti a qualsiasi pubblico. Un altro dei ricordi più divertenti è sicuramente quello delle numerose feste di piazza durante le quali, noi tre piccole pesti, salivamo sui palchi e cercavamo, in tutti i modi, di corrompere i cantanti per ottenere i microfoni. In caso di risposta negativa, molte volte, li strappavamo letteralmente dalle loro mani e iniziavamo a cantare, mentre i nostri genitori, sicuramente, sprofondavano della vergogna. Compiuti otto anni, i miei decisero di portare me e mia sorella da un maestro di musica che avevamo conosciuto durante il matrimonio di una delle mie zie, il quale era rimasto colpito dalle nostre voci bianche, che si amalgamavano alla perfezione. Questo ragazzo insegnava, a bambini di età diverse, lo studio dell’organo elettronico. Uno strumento abbastanza difficile da domare per la presenza della pedaliera in aggiunta alle due tastiere sovrastanti. Diventammo due delle sue migliori allieve raggiungendo un buon livello. Dopo tre anni di studio io decisi di mollare per un po' la musica e dedicarmi allo sport della ginnastica ritmica, mentre mia sorella passò allo studio del pianoforte perché aveva intenzione di entrare in conservatorio. Solo all’età di 16 anni, decisi assieme a mia sorella di iscrivermi ad un corso di canto moderno. Ritrovammo così il nostro vecchio maestro di organo elettronico, il quale aveva dovuto abbandonare suo malgrado l’insegnamento di questo strumento perché i giovani e i giovanissimi richiedevano ormai solo corsi di tastiera o canto moderno. Iniziò così un corso che sarebbe durato quasi due anni, nel quale questo bravissimo insegnante ci lasciò sperimentare e ci diede modo di spaziare tra generi diversi della musica italiana e straniera. Ci diede modo di esibirci in quello che ci veniva meglio. I duetti. Fondere le nostre voci era davvero quello che ci piaceva fare di più ed era sicuramente la cosa che ci metteva a nostro agio. In realtà, all’età di 16 per me e 18 anni per mia sorella, le nostre voci non erano ancora maturate del tutto e avevamo ancora quelle che in gergo si definiscono voci bianche. Erano gli anni nei quali esplodeva sempre di più il karaoke ed erano gli anni nei quali affrontai le ultime fatiche del liceo arrivando al diploma con molte soddisfazioni. Erano anche gli anni nei quali cominciammo ad avere la consapevolezza che qualcosa dentro di noi stava cambiando. Quando provavamo a cimentarci nei brani che prima risultavano difficilissimi, ora sembravano una cosa semplice e rendevano le nostre performance casalinghe sempre migliori. Acquistammo fiducia in noi stesse. E fu questa consapevolezza in aggiunta alle suppliche mai terminate da parte di genitori, parenti e amici che ci portarono a desiderare ancora una volta di esibirci in pubblico. Finito il liceo, all’età di 19 anni, dietro consiglio dell’associazione UIC, decisi di frequentare un corso di centralinista e per suddetto motivo mi trasferii nuovamente in una grande metropoli. Questa volta si trattava della città eterna: Roma. Mi sembrò di essere ad una svolta della mia vita. Ero da sola in quell’immensa città piena di storia e di arte. Potevo sognare ad occhi aperti e spalancarli ogni volta che voltavo l’angolo. Ed ero così felice ed anche così ignara della tragedia che stava per abbattersi su di me da lì a poco. La buona fortuna mi rimase accanto per tutto l’anno di studio e, terminato il corso, quando tornai finalmente nella mia amata vallata, accadde l’impensabile eppure a detta di molti medici: l’inevitabile. Nessuno dei medici consultati nel corso di anni e anni si era mai espresso sul momento esatto nel quale questo particolare evento drammatico avrebbe avuto luogo, ma tutti erano d’accordo sul fatto che prima o poi sarebbe successo. Io cercai con tutta me stessa, dal giorno in cui mi venne comunicata la notizia, di ricacciare indietro questa eventualità, rilegandola nel più profondo dei miei pensieri. Avevo soltanto 19 anni e avevo goduto fino a quel preciso attimo di tutta la bellezza del mondo che ci circonda e, per questo e altri miliardi di motivi, non ero assolutamente preparata ad entrare per sempre nel mondo della nebbia perenne. È una situazione impossibile da gestire senza cadere in una profonda depressione. Eppure, per me quello fu sia il momento più tragico, sia uno dei momenti più felici della mia vita. In quello stesso anno perdevo la vista ed iniziavo la mia prima grande avventura artistica. Posso dire con estrema certezza che, oltre a tutto l’aiuto da parte della mia famiglia, è stata proprio la musica a risollevarmi definitivamente dal baratro nel quale ero scivolata. Un bel giorno dello stesso anno descritto finora mio padre venne a casa con il solito quotidiano e, stranamente su di giri, si mise a sventolarcelo vistosamente dinanzi agli occhi. Dopo alcune domande piene di curiosità crescente capitolò. In un piccolo angolino dell’ultima pagina del quotidiano c’era un annuncio, il quale esortava tutti gli artisti canori alla prima esperienza a presentarsi presso un noto pub del vicino paese di S. Elia per prendere parte alle audizioni che avrebbero decretato la rosa dei partecipanti ad un tour. Il Canta Tour. Così venne chiamato dagli ideatori il concorso che ci avrebbe portate ad esibirci in numerose piazze e locali dell’intera provincia del frusinate. Ci elettrizzammo come e più di mio padre comprendendo la grande occasione che ci veniva offerta. La possibilità di esibirsi dinanzi a tante persone diverse sia anagraficamente che culturalmente era di sicuro una delle cose maggiormente anelate da un’cantante. Oggi con mio grande rammarico il rapporto musicale con mia sorella si è interrotto in quando lei ha scelto l'insegnamento mentre io ora proseguo la carriera musicale da solista. G) Vedo che tu spazi tra vari generi musicali, classica, country, leggera e se ho ben capito fai anche teatro. Qual è il genere che senti piu tuo e che quindi preferisci di più? D) Mi rendo conto che i miei gusti musicali sono stati influenzati dalla metà della famiglia italo-canadese ma con gli anni ho maturato una vera passione anche per l’R&B e per il genere Ballad con i quali ho trovato, forse, la mia vera dimensione musicale. G) Sogno di un buffone, oppure Acqua alta in piazza san Marco sono canzoni di qualche tempo fa che io ricordo benissimo che sono state composte e cantate da un grande maestro che ora non è più tra noi. Naturalmente sto parlando di Giampiero Artegiani che, tra l'altro, ha scritto la famosa canzone Perdere l’amore, portata al successo da Massimo Ranieri. Giampiero ha insegnato anche a tè, puoi fare un tuo commento su di lui? D) La mia esperienza con il grande Maestro Giampiero Artegiani non è di tipo didattico ma è stata una breve e intensa collaborazione musicale che ha coinvolto me e mia sorella nella realizzazione della versione inglese e in forma di duetto del suo celebre brano: “Perdere l’amore”. Versione mai pubblicata. Questa esperienza mi ha regalato tantissimi attimi pieni di emozione nonché di crescita artistica. G) Nel 2007 hai preso parte alla tournee di Donatella Milani come spalla, e corista. Una bella esperienza vero? D) Con questa esperienza ho avuto la mie prima vera possibilità di esibirmi in tantissimi regioni d’Italia, di fronte a persone diverse per età e cultura. Un po’ come il Canta-Tour ma con la possibilità di esibirci su palchi e piazze più grandi e spesso gremite di persone che ci hanno donato un calore infinito. In quello stesso tour ho potuto condividere il palco anche con gli ORO, Antonella Bucci e tanti altri che mi hanno regalato momenti oserei dire magici. G) Certo non parleremo di tutte le tue collaborazioni ma mi piace precisare che hai avuto a che fare con altri due grandi musicisti che sono, il cantante Mimì Caravano, componente dei Neri Per Caso. E poi dagli inizi del 2021 hai intrapreso una collaborazione con l’artista Paolo Giacomoni, presente in qualità di musicista in alcuni dei primi successi di Vasco Rossi e Francesco Guccini. Vuoi anche in questo caso parlarcene? D) Ho avuto il grandissimo piacere di avere come maestro il cantante Mimì Caravano. Porto nel cuore ogni sua lezione, tante sue frasi mi hanno spesso aiutata a crescere artisticamente ed è proprio grazie a lui che ho intrapreso la stesura di brani inediti. Devo ringraziarlo davvero tanto e nel mio cuore non smetterò mai di farlo. È un artista umile come pochi ed è capace di donare il suo sapere ai suoi allievi con una passione fuori dal comune. Per quanto riguarda Paolo Giacomoni posso dire che collaborare con lui alla stesura di alcuni pezzi inediti è stato per me un arricchimento. È nata una stima reciproca che ci ha permesso di portare avanti il lavoro in comune in serenità e che ci ha regalato emozioni e soddisfazioni. Spero di poter riprendere questa e altre collaborazioni che dal mio punto di vista, aiutano l’artista a crescere e ad aprire la mente portandolo a viaggiare sempre verso nuovi orizzonti. G) Bene, lascio per un pò il panorama musicale e chiedo a DIANA se ha altri interessi oltre alla musica come fare sport o magari leggere o cucinare o altro ancora! D) Sin da bambina, ho coltivato l’amore per la lettura e la scrittura. L’amore per la natura e gli animali. L’amore per l’arte culinaria che mi ha vista impegnata più di una volta in corsi di cucina sia come corsista che in un secondo momento, come istruttrice. Ho coltivato l’amore per l’informatica, l’uso del PC e degli altri dispositivi nati in seguito al progresso tecnologico. In questo preciso istante ho lasciato da parte lo sport ma ho avuto una vera e propria passione per la ginnastica ritmica che ho praticato per tre anni, il nuoto, il tennis tavolo per non vedenti e altri sport che seguo solamente in tv come la pallavolo e la ginnastica artistica. Negli ultimi anni mi son avvicinata anche al teatro. Adoro calarmi in questo o in quell’altro personaggio. In passato ho partecipato a diversi Musical e posso affermare che l’arte recitativa è appassionante e ti trascina con sé in un mondo fantastico. G) Il tuo rapporto con i social, i nostri lettori ti potranno seguire su uno di essi? D) Il mio rapporto con i social è piuttosto discontinuo. Non posso definirmi né una blogger né una Youtuber, ma sono iscritta ad un canale YouTube, nel quale pubblico qualche performance di tanto in tanto. Ho aperto, come molti, un profilo su Facebook e su Instagram, ma non ho mai aperto pagine a mio nome. Chi volesse seguirmi in qualche modo può iscriversi al canale YouTube che ho chiamato Honey D, come il nome d’arte che in un secondo è venuto fuori perché richiesto da uno dei concorsi canori ai quali ho partecipato ultimamente. Il nome d’arte è dato dalla traduzione in inglese del mio cognome, Miele, e dall’iniziale del mio nome, Diana. G) Hai un progetto o un evento che a breve realizzerai? Se puoi ce ne puoi parlare in anteprima? D) Ho molti progetti in mente ed alcuni per mia fortuna sono già in cantiere. Vi ho parlato del mio amore per le collaborazioni. A breve riuscirò a realizzare un altro progetto legato proprio ad un’altra importante collaborazione che mi rende molto felice ed anche abbastanza orgogliosa. C’è poi un progetto nel quale sono inserita che andrà in porto nel periodo natalizio. Si tratta di un concerto al quale parteciperanno numerosi artisti della mia città che ha lo scopo di raccogliere fondi per la beneficenza. Ho anche un progetto in fase di realizzazione che riguarda la costituzione di un duo chitarra e voce, formato da me e mio marito, con lo scopo di animare serate perlopiù estive nei vari locali della nostra città. D) C'è un sogno nel cassetto che vorresti tanto che si realizzasse? Se ce ne parli, magari ti portiamo fortuna! D) Rimanendo nell’ambito musicale, credo che il mio sogno più grande sia, essenzialmente, quello di poter far ascoltare la mia voce ad un pubblico sempre maggiore. Infatti, quello che amo di più in assoluto è la trasmissione delle mille emozioni che avviene tra me ed il pubblico ogni volta che mi esibisco. G) Tira un sospiro di sollievo perché siamo oramai giunti alla fine di questa nostra chiacchierata! Prima di salutarci devi lasciare a chi ci legge una tua frase, un motto, un aforisma o altro che tu usi spesso e che magari ti aiutano e ti portano fortuna! Ti ricordo che questa e una tradizione del nostro periodico e che non possiamo ora interrompere! R) Que sera, sera, whatever will be, will be, the future’s not ours, to see, que sera, sera, what will be, will be! “presa da un celebre brano di Doris Day” Tradduzione: Quel che sarà, sarà, qualsiasi cosa dovrà succedere, succederà, il futuro non è qualcosa che possiamo prevedere, quel che sarà, sarà, quel che sarà, sarà. G) Bene, io insieme alla redazione ti ringraziamo per aver accettato di scambiare quattro chiacchiere con me! Grazie per la tua disponibilità e simpatia, e ti aspettiamo per i tuoi traguardi! D) Grazie di vero cuore a voi per la possibilità che mi avete regalato. Sicuramente, vi terrò informati! Saluto te, la redazione e tutti coloro che leggono questo bellissimo periodico!


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La fabbrica dell’immortalità. Intervista a Corrado Malanga

di Mario Lorenzini

Premessa Quanto di seguito è un estrapolato della videointervista effettuata il 4 novembre scorso. Eventuali trascrizioni di nomi storici potrebbero risultare non pienamente corretti a causa di diverse traslitterazioni storiche. Potete trovare il video integrale sul nostro sito al seguente link https://www.gio2000.it/video/2022-11-04_Intervista-CorradoMalanga.mp4 Mario Lorenzini) Salve a tutti, questa è un’intervista al grande prof. Corrado Malanga che adesso ci darà delle delucidazioni, delle informazioni che, probabilmente, molti di voi, non solo non conoscono, ma non si aspetterebbero. Diciamo che sono i suoi ultimi studi, le sue ultime scoperte. Passo quindi la parola a Corrado Corrado Malanga) Grazie intanto dell’invito, speriamo di non annoiarvi con questa chiacchierata. So che volete che vi racconti un po’ le ultime scoperte che abbiamo fatto sulla piramide di Cheope. Sapete, la piramide di Cheope è la più grande delle tre piramidi della piana di Giza, o Ghiza, che dir si voglia. Si è sempre saputo molto poco di questo monumento che, forse, è uno dei monumenti più studiati nel mondo. È una delle sette meraviglie del mondo che è rimasta ancora lì, dall’inizio, nell’elenco, le altre sei sono scomparse in qualche modo. La piramide, sostanzialmente, è creduta, è stata creduta finora una tomba, la tomba del faraone Cheope. Allora, va detto, innanzitutto che: Cheope, probabilmente non è nemmeno mai esistito, ma c’era un signore…I greci, quando sono andati in Egitto, si sono fatti raccontare la storia dell’antico Egitto, soprattutto dai sacerdoti della città di Sais. Poi hanno riportato tutto a Platone, che ha raccontato quella storia, per sentito dire. Ecco, Cheope, o Cheops, è un nome che probabilmente è una cattiva traduzione di Khnum Khufu, che semmai è il vero nome del faraone che avrebbe costruito la piramide. Khnum Khufu significa “colui che è protetto da Khnum e Khnum è il Dio tra / con la dea Seshat, della casa della vita. La Casa della vita è una misteriosa abitazione in cui il Dio Khnum toglierebbe l’anima dal contenitore e la metterebbe in un altro contenitore. Questo è quello che, sostanzialmente, gli egizi ci raccontano. Non è una tomba perché gli egizi avevano l’abitudine, che era un ordine, di seppellire i morti sottoterra. Quindi, non è possibile che i morti siano seppelliti sottoterra ma in alto, a più di 100mt di altezza, nella camera del faraone, della piramide di Khnum Khufu, dove c’è un sarcofago di granito che manco passa dalla porta. Pensate, non passando dalla porta, gli egittologi hanno detto che la piramide gli è stata costruita attorno. Ed è una cosa abbastanza ridicola, no? Pensate che gli antichi egizi scrivevano tutto. L’unica cosa che non hanno mai scritto è come hanno costruito le piramidi. E perché? Perché, secondo noi, dal nostro punto di vista, non le avrebbero costruite loro. E il lavoro scientifico che abbiamo pubblicato su una rivista scientifica internazionale, Remote Sensing, tende a dimostrare proprio questo. Che cosa abbiamo fatto, di scientifico? Abbiamo preso un satellite, il COSMO, di 2° generazione, che è a più di 600 chilometri di distanza, di altezza, dalla Terra; con un’opportuna tecnica, che si chiama Radar ad Apertura Sintetica (RAS), siamo riusciti a guardare dentro un solido, dentro la piramide. Questa cosa è stata fatta da noi per la prima volta al mondo. ML) Un po’ come i raggi X per l’uomo, una radiografia? CM) Esattamente. Una specie di radiografia che funziona con le onde, sono Megahertz, che noi spariamo con il radar sulla piramide. Quello che sinora si sapeva fare, era utilizzare il segnale di ritorno del radar per vedere come gli oggetti solidi si muovono, vibrano. Va tenuto presente che il radar coglie variazioni di un millimetro. Quindi, per esempio, lo studio dello scivolamento dei ghiacciai, può essere utilizzato; oltre che lo studio dei danni del cambiamento della Terra dopo un terremoto. ML) Insomma, tantissime applicazioni? CM) Tantissime applicazioni. Ma nessuno era mai riuscito a guardare dentro le cose. Allora, abbiamo messo in atto una tecnica che si chiama Radar ad Apertura Sintetica, in realtà è una sub-apertura. Che cos’è l’apertura? È semplice. Facendo i conti, si vede che il radar, per guardare un oggetto che è circa un metro e mezzo, dovrebbe avere un’antenna lunga circa 12Km! Cosa che è impossibile, mettere in orbita un’antenna di 12Km. Allora, cosa si è fatto? Si è presa un’antenna di 6 mt, che è quella attaccata al COSMO 2, e gli si è fatto fare un percorso di 12Km, un’apertura “sintetica”, di 12Km. È come se noi raccogliessimo i dati come se avessimo veramente un’antenna di 12 Km. Così riusciamo a guardare oggetti di un metro e mezzo, grossomodo. Allora, noi abbiamo rinunciato a guardare oggetti di circa 80 cm si possono guardare oggetti di questa dimensione con questa apertura), abbiamo rinunciato a un’apertura del genere e deciso di guardare oggetti un pochino più grandi. Il doppio, un metro e 60 cm. Per fare questo l’apertura sintetica viene ridotta di 6 Km; gli altri 6 che mancano, li abbiamo utilizzati per prendere altri dati, cioè dati sulla vibrazione, l’energia, di tutti i punti che venivano colpiti della piramide. E non solo tutti punti esterni. Si può, modulando opportunamente la frequenza del radar, guardare dentro. Perché? Perché la frequenza è come un’onda luminosa che passa attraverso un cristallo e, a seconda della sua lunghezza d’onda, viene rifratta, buttata fuori, respinta, cambia di direzione, ecc. Tutti i dati che sono venuti fuori noi li abbiamo analizzati col computer, con un apposito software che abbiamo fatto noi, nel mondo solo noi ce l’abbiamo, e abbiamo potuto trasformare la piramide in una specie di matrice di numeri. In una torta, pensate ad una torta. La torta poi, a casa, con tranquillità, la possiamo tagliare per lungo, per largo, a dritto, a rovescio e, tutte le volte che la tagliamo, facciamo una sezione e guardiamo gli strati: l’impasto, la marmellata, i canditi, e così si riesce a guardare quello che c’è nel mezzo. Con opportuni trucchi, abbiamo reso queste immagini tridimensionali e ci siamo resi conto che avevamo a disposizione una fotografia in 3d dell’interno della piramide. Ora, questa cosa non l’aveva mai fatta nessuno. Ma la cosa interessante è che noi, ora, siamo in grado di capire cosa c’è dentro la piramide. Non solo. Perché ci siamo resi conto con nostra grande meraviglia, perché non ce l’aspettavamo, che c’è della roba in più, dentro la piramide, che non era mai stata scoperta. Ed è tanta roba. Ma c’è roba sotto il terreno. ML) Addirittura, sotto il terreno, in punti che nessuno avrebbe mai pensato? CM) Assolutamente. A 100 mt di profondità. Cioè, i costruttori della piramide hanno costruito due corridoi, uno sulla parete est, e l’altro sotto la parete ovest, che salgono, paralleli fra di loro, verso il suolo, verso il “ground zero”, diremmo noi oggi. A questo punto, si incastrano dentro la piramide, al piano terra, con due stanze. Da queste due stanze partono altre due rampe che vanno 100 mt in alto, circa, e si uniscono, con un corridoio trasversale, e da questo corridoio trasversale, parte un altro corridoietto che circonda, sostanzialmente, quella struttura che viene chiamata Zed. Lo Zed è quella strana struttura che sta sopra il tetto della camera del faraone. E nessuno ha mai assolutamente capito a cosa servisse. Lo Zed è fatto di 5 camere, alternate, pietra/aria, pietra, aria, così per cinque volte. Quello che noi abbiamo visto è che, stiamo ancora analizzando queste cose, la piramide è una struttura che era sollecitata dal vento. Il vento produceva una vibrazione, in questo grande monumento, questa vibrazione (soprattutto infrasuoni), suoni molto bassi, vengono convogliati all’interno dello Zed e lo Zed è un filtro passa-basso; cioè è fatto in modo da buttare fuori tutte le frequenze alte e far passare solo quelle basse. In particolare, 32,9Hz circa, che sono la frequenza che manda in risonanza la camera del re, del faraone. ML) Ti blocco un attimo Corrado. Proprio perché hai detto un sacco di cose molto interessanti. E hai parlato di chi ha costruito questa cosa. Ora, io non so ai tempi la conoscenza e la tecnologia degli egizi, però, tra l’altro, mi sono letto un qualcosina su internet. Questi blocchi, mi sembra di 2 tonnellate e mezzo l’uno, ce ne sono una marea. Come possono aver fatto gli egizi a trasportare tutte queste pietre, tutte queste rocce e inoltre aver avuto anche la conoscenza delle frequenze, del vento, come è possibile? CM) È semplice. C’è una sola risposta, non è che bisogna girarci tanto intorno. Gli antichi egizi non hanno costruito le piramidi. Sono stati altri. Altri che avevano questa consapevolezza e questa conoscenza. Altri, di cui abbiamo perso completamente memoria. E perché avremmo perso completamente memoria? Analizziamo i tempi. 13.500 anni fa, cade, sulla nostra Terra, una serie di pietroni, di meteoriti, in diversi luoghi: in Mesopotamia, nel Mar Rosso, soprattutto nella zona che interessa a noi. E, l’acqua del mare, per alcuni scienziati, il livello, si sarebbe alzato oltre 100mt. In quell’istante (l’acqua del mare avrebbe riempito la piramide), il sale marino avrebbe riempito la piramide. all’interno si sono dovuti staccare 2 cm di sale marino da tutte le pareti e dalla specie di sarcofago di granito che non è un sarcofago, è una vasca, piena di sale. Perché, nel frattempo, l’acqua, ci ha messo cent’anni, cinquant’anni a riscendere, tanto tempo, poi si è dovuta evaporare, molto lentamente. Ovviamente, la piramide era chiusa. Il sale marino si è cristallizzato. Allora, cosa è successo in quel periodo? Che tutti quelli che erano i costruttori della piramide, che era una razza che veniva da un’altra parte, sono morti. Lì sono veramente morti tutti. Non c’è stato per centinaia di anni più nessuno, nella piana di Giza. Poi la piana è stata ripopolata nel tempo, da popolazioni che venivano dal sud Africa e che hanno trovato, degli antichi egizi, la piramide di Cheope, la sfinge la piramide di Chefren, la piramide di Micerino, e le hanno restaurate. Come peraltro loro scrivono nella stele dell’inventario famosissima che è stata ritrovata ai piedi, tra le zampe, della sfinge. Lo scrivono anche loro, più di così ML) Il mistero si infittisce. Allora, queste popolazioni che avrebbero costruito le piramidi sono morti, si sono estinti, c’è stato come dire, un cataclisma, un qualche evento naturale oppure qualcosa a cui non hanno saputo resistere? CM) Cataclisma naturale. Che ha colpito il pianeta e ha, probabilmente anche in quel caso, modificato l’inclinazione dell’asse geomagnetico terrestre. Ci sono le prove di questo, prove scientifiche pubblicate su lavori scientifici, che mostrano tutto quello che ho raccontato, non è una nostra ipotesi, è la realtà dei fatti. ML) Purtroppo sui libri di storia, nei film si vedono degli egiziani, gli schiavi, che trasportano tutte quelle cose, non c’è niente di tutto ciò… CM) No, è tutta una storia finta. Il vero, quello che noi conosciamo, è la parte finale, cioè da 13.500 anni in qua, che è la vera storia degli antichi egizi, con i faraoni uomini. Perché prima, prima di 13.500 anni fa, cioè da 36.000 anni in giù, dall’inizio del tempo, come gli antichi egizi lo chiamavano, lo Zep tepi, i faraoni erano dei. Erano dei e non morivano. Cioè vivevano 4.000 anni. ML) Però! CM) Come loro stessi scrivono! Pensate che loro hanno riportato, dove ci sono, la storia di quasi tutti i faraoni, tranne i primi tre faraoni dei, di cui non si sa nulla, neanche quanto vivessero, che vivevano 4.000 anni. Poi i semidei che vivevano 2.000 anni, e poi i faraoni uomini hanno cominciato a vivere 300 anni. Insomma, qualche cosa è successo, per cui la loro vita si è… accorciata. ML) E come riuscivano, diciamo al tempo più remoto e andando avanti, a vivere, a sopravvivere per tutto questo tempo? CM) Ecco, questa cosa, per quanto possa sembrare incredibile, Noi l’abbiamo scritta. Io l’ho scritta in un libro, l’anno scorso, che si chiama Cheope, la fabbrica dell’immortalità. In questo libro c’è scritto che la piramide era una macchina che produceva delle vibrazioni, come abbiamo visto, dei suoni, che funzionava col vento, con l’acqua, con il granito, e aveva lo scopo di staccare la parte vitale, colui che aveva questa parte vitale, e metterla dentro il faraone. Il faraone, in qualche modo, riviveva col suono, che era un suono curativo, questa parte vitale veniva staccata e rimessa nel contenitore del donatore e il faraone, che era così, privilegiato, sostanzialmente, viveva, perché non voleva morire. ML) Un privilegio riservato solo a loro CM) Ad una casta che, ovviamente, conosceva, una casta che non erano i cro magnon. Pensate che 3.600 anni fa, data che si dice quella di costruzione della piramide, noi avevamo persone che non conoscevano neanche la leva, non conoscevano la ruota, non conoscevano neanche il linguaggio. E non conoscevano il Teorema di Pitagora. Guardate, senza il Teorema di Pitagora la piramide non si può costruire. ML) È assurdo, sì, sì. È veramente una cosa assurda. È un’innovazione che tu porti, apre spazio a tantissime domande, a tantissimi dubbi, che però riescono a chiarirci anche alcuni interrogativi. Perché queste costruzioni enormi, quali architetti avrebbero potuto anche mettere in opera certi pensieri e poi realizzarli, perché non abbiamo le apparecchiature moderne di oggi, anche se poi, oggi, come dire, abbiamo delle energie diverse perché, come hai detto tu, utilizzavano l’acqua, il vento, se vogliamo energie pulite no? CM) Sì, assolutamente, l’energia della forza della natura. E questi esseri avevano delle caratteristiche genetiche diverse dalle nostre. Erano dolicocefali, cioè avevano un cranio allungato, avevano probabilmente il fattore RH negativo che, pensate, compare su questo pianeta, il fattore RH negativo nel sangue, circa 36.000 anni fa, proprio all’inizio dello Zep tepi. Proprio quando arrivano questi esseri in Egitto, ma anche in altre parti del mondo, come in America latina, in Cina, e cominciano a costruire le piramidi. In Cina c’è la storia dell’imperatore Huang Di. Huang Di è un imperatore celeste che viene dal cielo, con altri sei amici e cominciano a costruire le piramidi cinesi, insegnano il Feng Shui, insegnano a leggere e a scrivere, insegnano i Ching, insegnano a coltivare i campi, proprio come le leggende dicono. Questi esseri, che non erano proprio fatti come noi, venivano da un’altra parte, e hanno colonizzato tutte le parti di questo pianeta. Ma non si deve pensare che sono alieni per forza… ML) Certo, perché poi c’è questa convinzione dell’alieno, dell’extraterrestre, della persona che viene… Sono alieno anch’io! Ho l’RH negativo nel sangue, tra l’altro sono mancino, quindi, … sarò un semidio anch’io… CM) Beh, nella storiografia del III reich, voi sapete, c’erano diverse gesellshaft, diversi gruppi, chiamiamoli così, di potere, che cercavano, nel mito, l’antico potere della vecchia razza Ariana che, secondo Hitler, sarebbe stata quella, appunto a comandare il mondo. Ecco, in quella occasione si diceva che il fattore RH negativo era il sangue degli dei. Questo perché, nel mito ariano, questa cosa è in qualche modo scritta. E gli Hahrie Han, che sono la popolazione dell’antica India, (harian significa “il perfetto che viene dal cielo”) hanno qualcosa in comune con gli esseri dolicocefali? La risposta è no. Potrebbe sembrare sì, ma la risposta è no. Hanno a che fare invece con esseri diversi, gli Aztlan, cioè coloro che venivano da un posto che gli ariani chiamavano in Sanscrito ThalaThala, che poi, sostanzialmente è Atlantide. Collegavano questo Thala Thala al Polo Sud, cioè all’Antartide, pensate. ML) Ce ne sarebbero tanti di miti da tirar fuori, anche quello di Atlantide appunto, e quindi non sappiamo benissimo come… CM) Beh, gli antichi però hanno lasciato testimonianze precise. Poseidone si innamora di una, chiamiamola pastorella, si trasforma in toro bianco, la pastorella sale su questo toro, ingroppa questo toro e Poseidone la porta in un’isola della Grecia, dove poi faranno tutti i figli. E tra questi 10 figli c’è Atlante, che poi sarà il fondatore della civiltà Atlantidea. E questa leggenda è un po’, con i nomi cambiati, sparsa in tutte le parti del mondo. Anche gli Harian, l’antica popolazione dell’India, che parlava Sanscrito, hanno questa leggenda, ma hanno cambiato i nomi. E tutto è frutto di una cosa che è probabilmente esistita. ML) Beh, ogni religione ha adattato le cose a seconda del luogo, a seconda delle persone, e abbiamo avuto queste differenziazioni, come tra Cattolicesimo e Islamismo, e altro ancora. CM) Tutto deriva, pensate, dalla religione, dal modus che gli antichi egizi avevano in qualche modo costruito. Quindi, dire che gli antichi egizi non c sono stati, ma prima c’è stata un’altra razza che ha veramente costruito le piramidi, vuol dire mandare a casamicciola tutte le fonti delle religioni, soprattutto monoteiste che noi in Occidente conosciamo. ML) Esattamente. E avrai contro tutti gli storici che fino ad ora hanno venduto un sacco di libri che, insomma… CM) Sì, veramente sì. Storici, la Massoneria, la quale non mi vuole tanto bene in questo periodo perché nasce proprio dall’impero egiziano. Amenofi III è il costruttore dei Rosacroce. E da lì vengono fuori tutte le massonerie di questo Universo e quindi, mettere le mani nella marmellata come abbiamo fatto noi, al potere non è mai piaciuto. ML) Certamente. Bene Corrado, per il momento siamo già arrivati a un buon punto. Le cose da approfondire sono, sarebbero ancora tante. Mi ripropongo di richiamarti e di dilungarci un po’ di più sull’argomento e su qualcosa di collaterale. Ti ringrazio a nome di tutta la Redazione, sperando che collaborerai ancora con noi. CM) Certo, molto volentieri. Grazie a voi


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Libri

ERESIA. Riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di covid-19

di Mario Lorenzini

Autore: Massimo Citro Della Riva Pagine: 386 Lingua: italiano Edizione: Byoblu 2021 Data di pubblicazione 1° febbraio 2021 ISBN-10: 8894548252 ISBN-13: 978-8894548259 Prezzo: 20,00€ Indubbiamente uno dei maggiori libri di rottura del pensiero mainstream del periodo pandemico COVID-19. Citro porta a sostegno delle sue teorie numerosi documenti, testimonianze, reperti. Dalla scienza alla giurisprudenza, dalla medicina alla politica, tutto è in discussione: i nostri governanti vogliono davvero il nostro bene così come si decanta nei TG, sui giornali o sui palchi della politica? Oppure è tutto fumo negli occhi per mettere in atto un lento piano di una qualche élite tecnocratica? La tesi esposta diffusamente capitolo dopo capitolo non è certo facile da controvertere. Nomi illustri o meno, riferimenti storici, tutto è verificabile. Il lettore sarà catapultato in una realtà forse ben lontana dall’immaginabile. Non sarà cosa semplice staccarsi dalle credenze della quotidianità. E allora, dare credito a quanto raccontato dal dott. Massimo Citro Della Riva o no? A voi la scelta. Sicuramente trarrete ottimi spunti di riflessione sulle tematiche tirate in ballo. Puta caso si dovesse riscontrare un certo interesse, è possibile proseguire il filone con il seguito, nell’opera Apocalisse


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Amici a quattro zampe

Una storia di ordinaria “follia” che ci auguriamo si ripeta spesso

di Renata Clazone

Un afoso pomeriggio del mese di luglio Lucia e Roberto, in vacanza nello splendido mare di Scilla (RC) di ritorno da una visita al meraviglioso Museo Archeologico Nazionale di Reggio di Calabria dove avevano ammirato, fra l’altro, graffiti dell’epoca preistorica, gli incantevoli bronzi di Riace, la Testa del Filosofo e anche le metope, presenti solo a Atene, un elemento architettonico del fregio dell'ordine dorico consistente in una formella in pietra, scolpita a rilievo, a seconda dei casi altorilievo o bassorilievo, posta in alternanza con i triglifi, elementi architettonici quadrangolari, sporgenti, di terracotta o pietra con scanalature verticali, percorrevano con i loro genitori, l’A2. I due fratelli hanno visto comparire all’improvviso, non si sa da dove, un batuffolino bianco in una piazzola di emergenza, che quasi non aveva nemmeno la forza di stare in piedi, che si guardava intorno spaurito e impaurito, sporco, tanto stanco e, quando si vide osservato, si trascinò a nascondersi sotto la loro Ford Focus. I due fratelli, dopo un rapido consulto tra di loro e con i genitori, lo hanno soccorso con l'intento di rifocillarlo e decidendo di darle una sistemazione, solo temporanea, in casa loro. Arrivati a casa, il batuffolino, che poi è una batuffolina, ha “ispezionato” la casa e a un certo punto è salito sopra una sedia, dopo uno sguardo compiaciuto che sembrava dire «questa sarà la mia sedia» e si è immediatamente addormentata profondamente, evidentemente fidandosi della nuova famiglia. I due fratelli non conoscevano il detto secondo il quale «se un cane entra in una casa di persone umane e non di squallidi quadrupedi disumani, non uscirà più» e l’aforisma dello scrittore e umorista statunitense M. Twain (1835-1910): «se gli animali potessero parlare, il cane sarebbe un franco e sincero compagno e il gatto avrebbe la rara grazia di non dire mai una parola di troppo». Detto fatto i suoi bellissimi occhioni hanno conquistato in pochissimo tempo il cuore dei tuoi papà e mamma che hanno deciso di darti un nome e una casa definitiva. Ariel, l’hanno chiamato e la sua vita è cambiata rapidamente come in uno schiocco di dita!... Ciò che hanno fatto questi ragazzi è un gesto che purtroppo poche persone fanno…, cioè salvare un’anima da una vita di stenti e probabilmente dalla morte quasi certa, anche se loro non sanno ancora, ma lo capiranno piano piano, che sarà Ariel, ogni giorno che verrà, a riempire di vero e disinteressato affetto e amore le loro giornate. Per inciso i soliti vicini saccenti e anche alcuni parenti sapientoni “molto umani, troppo umani… disumani”, hanno commentato «È una follia…, chi ve l’ha fatto fare? Vi farà i bisogni dentro casa, dovete uscirla fuori casa anche se piove per i bisogni, vi rovinerà i mobili..., vi stancherete presto…». In questo mondo, che pare gettato a caso come spazzatura, popolato ormai soprattutto da umani disumani, dove la cattiveria imperversa l’aforisma «homo homini lupus» («l'uomo è un lupo per l’uomo») del commediografo latino Plauto (Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495) è ancora oggi purtroppo sempre più di scottante attualità. A questi “umani disumani… senza cuore” ricordiamo il saggio Moriae encomium («Elogio della follia») scritto in latino da Erasmo da Rotterdam nel 1509 e pubblicato nel 1511. Il saggio si apre con un elogio da parte della Follia, che parla in prima persona di sé stessa, prende poi le distanze dai “mortali”, lasciando quindi intendere la sua natura divina. La Follia si proclama figlia di Pluto, dio della ricchezza e della giovinezza e dice inoltre di essere stata allevata dall'Ignoranza e dall'Ubriachezza. I suoi più fedeli compagni sono Philautia (Vanità), Kolakia (Adulazione), Lethe (Dimenticanza), Misoponia (Accidia), Hedonè (Piacere), Anoia (Demenza), Tryphe (Licenziosità), Komos (Intemperanza) e Eegretos Hypnos (sonno mortale). Descrive sé stessa come portatrice di allegria e spensieratezza e giustifica l'autoelogio con la sua natura schietta, che si rivela anche nel linguaggio diretto. Nel saggio si riportano numerosi esempi e citazioni a favore della sua grandezza e sua utilità per la felicità dell'essere umano, essa si rivela infatti insita in esso fin dalla nascita, che non potrebbe avvenire senza la sua presenza e ci accompagna durante tutta la vita, aiutandoci nelle relazioni interpersonali e nell'autocompiacimento fino alla vecchiaia, che «neppure ci sarebbe se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza». Tutti gli esseri umani anziché curare gli aspetti spirituali e interiori dell'individuo, con i loro comportamenti inseguono follemente ciò che è terreno e transeunte, destinato a finire come gloria, potere, ricchezza, lusso e successo. La Follia conclude quindi il suo elogio dicendosi « dimentica di quello che ha appena detto » e invitando a scordare l'orazione, spronandoli piuttosto a applaudire, vivere e bere. Storie come quelle di Ariel sono le storie di “ordinaria follia” che riempiono il cuore e che vorremmo sempre ascoltare e leggere, esempio per tante altre famiglie di umani non disumani!


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