Giovani del 2000

Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio

ANNO XXV numero II (89) giugno 2023

Direttore
Alessandra Delle Fave
Vice Direttore
Maurizio Martini
Capo Redattore
Mario Lorenzini
Redattori
Massimiliano Matteoni
Luigi Palmieri
Giuseppe Lurgio
Sito web
Mario Lorenzini
sede
via Leonardo Fibonacci 5, 50131
Firenze (FI)
Telefono e fax 055 580523
E-Mail redazione@gio2000.it
Sito internet www.gio2000.it
Tipologia: periodico trimestrale
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.

Rubriche


In questo numero:

Editoriale
Nuovi orizzonti di Mario Lorenzini
Cucina
La cicerchia di Giuseppe Lurgio
Cultura
Bellezza & benessere al cocco di Anadela Serra Visconti
L'IMU e i suoi meccanismi di Angelo De Gianni
Che cos’è uno/a psicoterapeuta? di Francesca Ceccherini
Matteo Tiraboschi, che tenore! di Mario Lorenzini
Il bel scrivere: errori su parole comuni di Mario Lorenzini
Filosofia
Curiosità sul punto G di !Lista Mente, gruppo SUBLIMEN
Aumentare l'autostima in 8 passaggi di !Lista Mente, gruppo Sublimen
Che cos’è l’amore? Un eterno dilemma di ! Lista mente, gruppo Sublimen
Fecondità di !Miguel Salinas Arteche (Commento e traduzione: Alessio Begliomini)
Rinascita perenne del BELCANTO di Alessio Begliomini
Preghiera per la Quarta Domenica di Quaresima 2023 di Don Pino
Informatica
Monitor Eye care per la salute dei nostri occhi di Mario Lorenzini
Racconti e poesia
E' tempo che di Patrizia Carlotti
Vincere il sogno di Massimo Scaligero
In ricordo di Willy di Antonella Iacoponi
Voglio pregare - Dal romanzo Anna, la luce oltre di Vito Coviello
Guarda di Vito Coviello
Poesia onesta di Antonella Iacoponi
Riflessioni e critiche
Una vera amica sì, ma a quattro zampe! di Rita Bini
Oltre l'apparenza: alla ricerca della sensibilità perduta di Clemente Palladino
Tempo libero
Barbara Menoni e il baseball di Giuseppe Lurgio
Per mangiarti meglio di Annalisa Conte
Per sorridere un pò di Giuseppe Lurgio
Libri
La famiglia tra luci e ombre di Mario Lorenzini
Comunicazioni
ASSOCIAZIONE DEI CIECHI, DEGLI IPOVEDENTI E DEI RETINOPATICI SARDI - RP SARDEGNA ODV
wwwmariolorenzini.it blog, divulgazione e non solo di Mario Lorenzini
La Pettirosso Editore è lieta di annunciarvi una nuova iniziativa per promuovere giovani e meno giovani autori.

Editoriale

Nuovi orizzonti

di Mario Lorenzini

Le cose cambiano. Il tempo, le nostre azioni, tutto concorre a far sì che quello che facciamo oggi non sarà più ciò che faremo domani. E non è detto che siano cause esterne a provocare tali cambiamenti. A volte siamo noi a desiderare qualcosa di nuovo, di diverso. Non rinnegando il passato certo, anzi; probabilmente lo possiamo vedere come... un’evoluzione? Questo implica scelte non facili, ma pur sempre ponderate, che portano verso una strada diversa. A me è successo così. È questo il mio ultimo editoriale. Non farò più parte della redazione del giornale, né come articolista o editorialista per l’appunto, o come correttore di bozze e impaginatore. Proseguirò, almeno finché qualcun altro non prenderà il mio posto, la manutenzione del sito. I motivi che mi hanno spinto verso questa decisione sono due: La mole di lavoro che richiede questa pubblicazione. Purtroppo, sarebbero occorse altre figure all’interno della redazione per il processo di correzione e selezione dei testi, per la loro impaginazione. Anni fa, il numero delle pagine del periodico era di molto inferiore, così come la quantità di articoli. Se sono aumentati pregio e foliazione, altrettanto non si può dire dei collaboratori che, sostanzialmente, sono rimasti invariati da un pezzo. Questa è una cosa buona (almeno per me). Ai tempi (ahimè ancora impressi nella nostra mente) del lockdown dell’assurdo periodo pandemico, mi sono dilettato con video amatoriali di critica circa la conduzione dell’emergenza. La raccolta di queste clip si è via via ampliata, tant’è che ho ideato e realizzato un sito personale che le conteneva. Ma era una cosa chiusa su sé stessa. A un certo punto ho pensato di indirizzare i miei sforzi proprio su questo sito, aumentando i contenuti, ampliando la varietà delle pagine e, perché no, dare spazio ad altri inserzionisti. Troverete i dettagli di questa mia “avventura” nel comunicato wwwmariolorenzini.it , blog, divulgazione e altro Non è nel mio stile tenere il piede in due staffe. Senza il tempo (e la testa) necessario per gestire entrambe queste realtà, combattuto fra tirare avanti a fatica un giornale che ormai pesa 25 anni, senza potermi dedicare a qualcosa di mio, oppure uscire da Giovani del 2000 e dare vita a un altro contenitore, un po’ diverso, di informazioni, ho optato per quest’ultima soluzione. Ringrazio tutti coloro che hanno consentito l’uscita trimestrale di ogni numero della rivista. L’impegno non è stato indifferente ma non sono mancate le soddisfazioni. Lascio perciò le “redini di comando” a chi resta, con l’augurio di rimpolpare lo staff di redazione con altri elementi che possano compensare la mia assenza e migliorarne la veste. Colgo l’occasione per invitarvi a leggere, se non l’avete ancora fatto, la mail inviata a tutti gli iscritti, per la ricerca di persone che possano dar man forte. Alcuni hanno risposto contattandoci. Tengo a precisare che il nostro è un lavoro di anima e cuore, non retribuito. Ognuno di noi segue le fasi dell’editing su un proprio dispositivo, notebook o pc fisso. Non ci sono compensi economici né strumentazione offerta a titolo gratuito. E se, tra voi, c’è chi si sta chiedendo: «ma chi me lo fa fare?», pensate all’opera resa in questi anni e alla gratificazione derivante dall’apprezzamento delle nostre rubriche.


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Cucina

La cicerchia

di Giuseppe Lurgio

Cari lettori e lettrici rieccoci di nuovo qui a parlare di cucina e anche di curiosità ad essa legate. In questo numero vi parlerò di un alimento poco comune ai giorni nostri tanto che qualcuno, specie le nuove generazioni, non ne conoscono il loro sapore e forse non ne conoscono neppure il nome. Sto parlando della cicerchia (Lathyrus sativus) o pisello d'India. Si tratta di un legume appartenente alla famiglia delle Fabaceae, diffusamente coltivato per il consumo umano in Asia, Africa orientale e limitatamente anche in Europa e in altre zone. È una coltura particolarmente importante in aree tendenti alla siccità e alla carestia, detta coltura di assicurazione poiché fornisce un buon raccolto quando le altre colture falliscono. È anche nota con i nomi di pisello d'erba, veccia indiana, veccia bianca. Le cicerchie si consumano in Italia sin dal tempo degli Antichi Romani - i greci le chiamavano lathiros, mentre i romani cicerula - ma non è dall'Europa, né dall'Africa che provengono. Le cicerchie, infatti, sono originarie del Medio Oriente, dove venivano usate per fare pane, puree e zuppe tradizionali. Il consumo in Italia è limitato ad alcune aree del centro-sud ed è in costante declino. Come altre Leguminacee, L. sativus produce semi ad alto contenuto di proteine e quindi adattissimo per chi ne deve assumere una grande quantità. come chi si sottopone a una dieta vegetariana o vegana. Inoltre, il loro alto apporto calorico le rende una ottima fonte di energie. La cicerchia è, inoltre, ricca di vitamine, sali minerali e fibre. La sua pianta è molto simile a quella dei ceci, ma la cicerchia è ancora più resistente a climi torridi e secchi e terreni inospitali. Per questo motivo e per il fatto che, a differenza degli altri legumi, non necessita di molta acqua per la cottura, la cicerchia era, insieme alle patate e alle cipolle, una delle poche cose che si trovavano facilmente da mangiare anche in tempi di carestia. Quindi, il legume è sempre stato associato a un tipo di cibo povero. Per di più, il consumo abbondante e prolungato della cicerchia può essere pericoloso, perché la cicerchia contiene un aminoacido chiamato Odap che può risultare tossico per l'organismo (sempre sotto la condizione di un consumo quotidiano abbondante e prolungato, come, per l'appunto, si finiva per fare in tempi di carestia). Infatti i semi di cicerchia contengono in quantità variabile, una neurotossina rappresentata da acido ß-N-Oxalyl-L-a,ß-diaminopropionico, od ODAP. L'ODAP è considerato la causa della malattia detta neurolatirismo, una patologia neurodegenerativa che causa, oltre ad effetti immediati nervosi, la paralisi degli arti inferiori. Ma come detto appena sopra la malattia è stata riscontrata in seguito a carestie in quanto il seme delle specie Lathyrus diviene la fonte esclusiva o principale di nutrimento per lunghi periodi. Le ricerche rivelano che la concentrazione di ODAP nelle piante aumenta in condizioni estreme (ad esempio, siccità), aggravando il problema. Per fortuna sono in corso programmi di tecniche di coltivazione che producano piante di L. sativus con minor concentrazione di ODAP e quindi meno pericolose in un regime alimentare basato esclusivamente sulla cicerchia. Usando le varietà italiane il rischio intossicazione e praticamente nullo, ma se proprio si vuole essere pignoli basterà tenere in ammollo il legume in una ciotola con acqua e sale per almeno 24 ore. Dopo l'ammollo, le cicerchie vanno risciacquate e bollite in una pentola con acqua (nuova) senza aggiungere sale. Purtroppo, i tempi di cottura delle cicerchie sono piuttosto lunghi, più lunghi rispetto a quelli dei ceci e dei fagioli, ma possono diminuire con la pentola a pressione. Per le cicerchie prodotte in Italia e precisamente nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche, Molise, Puglia ed Umbria hanno ottenuto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano. Alcune, ad esempio la cicerchia di Serra de' Conti, sono inoltre state incluse tra i presidi Slow Food. In commercio potete trovare sia le cicerchie secche, quelle decorticate e le cicerchie in scatola. Ora vedremo come cuocere questi tre tipi di cicerchie in commercio. Per cucinare le cicerchie secche dovete metterle in una ciotola capiente, coprirle con abbondante acqua tiepida salata e lasciarle in ammollo per almeno 24 ore. Potreste aggiungere anche del bicarbonato ma fate attenzione a non esagerare. Una volta trascorso il tempo necessario e da cui non potete prescindere se volete cucinare ottime cicerchie, dovete risciacquarle sotto l'acqua corrente e farle bollire a lungo, almeno 2 ore, in acqua non salata, insieme a salvia e rosmarino. Ora invece vedremo come cucinare le cicerchie decorticate. Sicuramente più veloci da preparare le cicerchie decorticate, quelle senza la buccia, sono pratiche da utilizzare in cucina perché non hanno bisogno di essere lasciate in ammollo e richiedono tempi di cottura molto più brevi rispetto alle cicerchie secche. Se utilizzate le cicerchie decorticate, dovrete solo avere l'accortezza di sciacquarle sotto l'acqua corrente per eliminare eventuali impurità contenute nella confezione. Una volta completata quella veloce operazione, dovrete metterle in una casseruola dal fondo spesso, o un tegame, coprirle con acqua fredda e portarle a cottura per 30 minuti. Anche nel caso delle cicerchie decorticate, dovrete aggiungere il sale solo a fine cottura. Le cicerchie decorticate risulteranno subito tenere ma resteranno compatte, pronte per essere utilizzate per qualsiasi piatto. Cucinare le cicerchie in scatola è ancora più pratico delle cicerchie decorticate. Esse hanno solo bisogno di essere sciacquate velocemente e non richiedono la bollitura. Perfette per piatti veloci, per portare in tavola un gustoso contorno o un piatto unico dal sapore ricco, le cicerchie in scatola sono già cotte e sempre pronte all'uso. Per chi vuole un modo veloce e pratico per gustare le cicerchie secche riducendo i tempi di cottura ci viene incontro l'uso della pentola a pressione. Nonostante non vi faccia risparmiare sull'ammollo che deve comunque durare almeno 24 ore, la pentola a pressione cuoce le cicerchie per un tempo limitato, a partire dal classico fischio. Una volta ammollate e accuratamente risciacquate, unite le cicerchie agli altri ingredienti con cui vorrete insaporirle. Mettetele nella pentola a pressione, copritele con acqua fredda e lasciatele cuocere per 30 minuti dal fischio. Bene, dopo averne saputo un pò di più su questo quasi sconosciuto legume siamo pronti anche a gustarlo mettendo in pratica alcune deliziose ricette che di seguito vi proporrò. Zuppa umbra con le cicerchie Ingredienti per quattro persone: 300 gr di cicerchie 150 gr di passata di pomodoro 3 spicchi di aglio (oppure uno scalogno) qualche fogliolina di salvia della mentuccia fresca un mazzetto di prezzemolo olio extravergine di oliva q.b. sale e pepe q.b. Preparazione Dopo aver ammollato le cicerchie come spiegato sopra, bisogna scolarle, lavarle sotto acqua corrente e metterle in una pentolona con delle foglie di salvia e abbondante acqua. A questo punto, si dovrà accendere il fuoco e portare a bollore. Quando l'acqua bollirà, bisognerà abbassare la fiamma al minimo e cuocere così la zuppa per un'oretta circa. Nel frattempo, in una casseruola, si deve scaldare un filo di olio con gli spicchi di aglio o la cipolla tagliata finemente. Aggiungere la salsa con il sale e il pepe e lasciar cuocere per una decina di minuti a fiamma media con le erbe aromatiche desiderate. Una volta cotte le cicerchie, le si dovrà scolare e aggiungere alla salsa aggiungendo altra acqua bollente, se necessario. La zuppa si serve con delle fettine di pane tostato, un filo di olio a crudo e una macinata di sale e pepe e qualche fogliolina di mentuccia per decorare e profumare. Volendo semplificare potete usare le cicerchie in scatola gia cotte,il risultato non cambierà di molto. Imbrecciata di cicerchie e ceci È un'ottima insalata d'autunno, ideale per chi desidera mantenere la linea ed adatta anche ad una dieta vegana e vegetariana. Ingredienti: 100 gr di cicerchie 100 gr di ceci 100gr di farro 10 pomodorini maturi tagliati a cubetti 4 cucchiai di olio extra vergine di oliva 2 cucchiai di limone 3 cucchiai di aceto balsamico 1 cucchiaino di origano 3 cucchiai di cipolla possibilmente bianca tritata finemente 3 cucchiai di prezzemolo tritato Preparazione Portate ad ebollizione tre casseruole di acqua salata ed immergetevi, dopo 5 minuti, ceci, cicerchie e farro preventivamente ammollati in acqua e bicarbonato come si fa solitamente. Nel frattempo tagliate a cubetti i pomodorini, tritate finemente cipolla e prezzemolo ed amalgamateli in attesa della cottura dei cereali e legumi. Dopo la cottura, scolate i legumi e cereali e mescolateli in una ciotola capiente assieme alla verdura. Insaporite con peperoncino se lo gradite. quindi aggiungete sale e origano a piacere. Servite fredda. Cicerchie e crostini È un tipo di bruschetta molto semplice da preparare ed adatto a chi segue una dieta vegana o vegetariana. Ingredienti: 3 grosse fette di pane casereccio tostate da un lato 100 gr di cicerchie già cotte. Vanno benissimo quelle in scatola. 2 carote 6 pomodorini 1 gambo di sedano 1 spicchio di aglio 2 foglie di alloro timo a piacere olive nere a piacere Olio, sale. peperoncino quanto basta Preparazione Mettete a cuocere in acqua leggermente salata le carote, l'alloro, il sedano e l'aglio e portate a cottura. Mentre il tutto cuoce snocciolate le olive. Quindi a fine cottura aggiungete le cicerchie all'acqua in ebollizione e dopo pochi minuti spegnete e fate intiepidire e frullate il tutto. Aggiungete il sale, l'olio, il timo e il peperoncino; fate tostare il pane, spalmatevi la crema di legumi, le olive tagliate e snocciolate. Ora tagliate a pezzettini i pomodorini, il loro sapore dolciastro darà un bel contrasto,divideteli in parti uguali sulle fette di pane e irrorate leggermente con olio d'oliva. Cavatelli con frutti di mare su purea di cicerchie Sono un primo piatto dal sapore di mare, da consumare nelle occasioni importanti e come parte di un pasto a base di pesce. Ingredienti: 400 gr di cavatelli 100 gr di vongole 100 gr di gamberi 4 scampi piccoli 200 gr di seppioline 150 gr di cozze nere 6 pomodori ciliegino 300 gr di cicerchie 100 gr di patate 1 mazzetto di prezzemolo 2 spicchi di aglio 1 cipolla piccola 100 gr di olio evo Sale q.b. Pepe q.b. Peperoncino q.b. Preparazione Mettete a bagno le cicerchie per circa 12 ore con un cucchiaino di bicarbonato. Quando si sono ammorbidite, mettete in un tegame 3 cucchiai di olio evo, l'aglio, un po di cipolla, 2 foglie di alloro e fate soffriggere. Aggiungete le cicerchie, la patata tagliata a dadini, coprite di acqua e portate a cottura a fuoco lento, quando i legumi iniziano a sfaldarsi, dopo circa un'ora, togliete dal fuoco e frullate il tutto aggiungendo un cucchiaio di olio. Pulite i gamberi, le seppie tagliandole a listarelle assieme alle cozze e le vongole. Tagliate a pezzi i pomodorini. tritate il prezzemolo sottilmente e tenerlo da parte. In una casseruola scaldate l'olio con aglio e versarvi i frutti di mare. Far cuocere a fiamma viva per 5 minuti, spruzzare con mezzo bicchiere di buon vino bianco e lasciare evaporare. Quindi aggiungere i pomodorini a pezzi salare e pepare lasciando cuocere a fuoco lento sin quando il fondo di cottura si sarà assorbito. Cuocere i cavatelli, scolarli al dente e versarli nel sughetto preparato, mantecare a fuoco vivo terminando la cottura della pasta per 2/3 minuti ancora. spegnere aggiungendo una spruzzata di prezzemolo tritato. Impiattare quindi versando nei piatti la crema di cicerchie calda poi versate su questa crema i cavatelli con i frutti di mare e decorate con un po' di prezzemolo tritato e un filo di olio. Vellutata di cicerchie e pomodori secchi Questa vellutata è una crema di legumi secchi dal sapore morbido e avvolgente. Calda, nutriente e genuina: è un ottimo primo piatto da portare in tavola nelle fredde giornate d'inverno e assaporare con del pane caserecce o dei crostini. Ingredienti: 300 gr di cicerchie secche 60 gr di pomodori secchi 1 cipolla 1 carota 1 gambo di sedano 1 litro di brodo vegetale olio extravergine d'oliva quanto basta sale e pepe Preparazione Mettete in ammollo le cicerchie per 12 ore in acqua fredda con un cucchiaino di bicarbonato. Dopodiché lavatele, scolatele e lessatele in abbondante acqua salata per circa 1 ora, in modo tale che si ammorbidiscano. Preparate un soffritto di sedano, carota, cipolla e olio extravergine d'oliva, fatelo appassire per alcuni minuti e unite il pomodoro secco tagliuzzato a dadini molto piccoli. Unite al soffritto le cicerchie precedentemente lessate, copritele con il brodo vegetale e proseguite la cottura per ulteriori 30 minuti, in modo tale che si sfaldino. Frullate il tutto con un frullatore a immersione, così da ottener una vellutata morbida e omogenea, aggiustate di sale e pepe e conditela con un filo d'olio extravergine d'oliva a crudo. Involtini di verza e cicerchie Questi ottimi involtini sono un secondo vegetariano e senza glutine, che potete consumare sia caldi appena sfornati, sia a temperatura ambiente dopo circa 2 ore dalla cottura. Ingredienti per quattro persone: 6 foglie di verza intere 150 gr di verza 150 gr di patate lesse 100 gr di grano saraceno 50 gr di cicerchie decorticate Olio extra vergine d'oliva qb 2 spicchi d'aglio Sale q.b. Peperoncino q.b. Preparazione Cuocete le cicerchie. scolatele e tenetele da parte. Fate lo stesso anche con il grano saraceno. In una padella fate soffriggere 2 cucchiai d'olio con uno spicchio d'aglio e il peperoncino, unite la verza tagliata a striscioline e fate cuocere per circa 40-50 minuti, regolate di sale e tenete da parte. In un'altra pentola fate soffriggere il restante aglio con olio e peperoncino, unite il grano saraceno, le cicerchie, fate insaporire un paio di minuti. Aggiungete anche le patate a cubetti, regolate di sale e fate insaporire per 5 minuti. Versate in una ciotola, aggiungete la verza cotta e mescolate bene. Portate ad ebollizione un tegame con acqua leggermente salata, tuffate le foglie intere di verza per un paio di minuti, scolate e mettete su un piatto. Fate delle palline con l'impasto e mettete sulle foglie di verza arrotolate e piegati i bordi sotto. Mettete gli involtini in una pirofila e cospargete con olio, poi infornate a 180 gradi per 15 minuti. Sfornate e servite. Falafel Ai Falafel è impossibile resistere! Queste sfiziose polpettine di legumi tipiche della cucina araba sono in grado di conquistare al primo assaggio grandi e piccini. La ricetta originale prevede l'utilizzo dei ceci, ma le varianti che potete sperimentare sono pressoché illimitate. Ora vi propongo i falafel di cicerchie, nella loro versione più semplice. Insaporiti con spezie e fritti in padella, ma potete cuocerli anche al forno e aggiungere all'impasto delle verdure. Provatele e servitele come antipasto o finger food: il successo è garantito! Ingredienti: 200 gr di cicerchie secche 80 gr di farina di ceci 1 cucchiaio di paprika dolce 1/2 cucchiaino di semi di cumino 1 ciuffo di prezzemolo 1 spicchio d'aglio 1/2 cipolla olio di arachidi per friggere sale e pepe Preparazione Mettete in ammollo le cicerchie in acqua fredda per 30 ore circa avendo cura di cambiare spesso l'acqua. Dopodiché frullatele con un mixer insieme all'aglio, la cipolla e le spezie. Unite all'impasto la farina di ceci così da renderlo più consistente e facilmente lavorabile, dopodiché con le mani create delle piccole polpette. Lasciate riposare i falafel di cicerchie per circa 1 ora in frigorifero e successivamente friggetele nell'olio di arachidi caldo fin quando non appaiono dorati in superficie. Serviteli caldi.


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Cultura

Bellezza & benessere al cocco

di Anadela Serra Visconti

Il cocco è un fantastico frutto di bellezza a 360 gradi, e può darci benessere dalla testa ai piedi. Dal cocco si ricavano: l'olio, estratto dalla polpa pressata a freddo, la polpa grattugiata e disidratata, il latte di cocco ottenuto dalla polpa fresca, da non confondere con l'acqua di cocco, il liquido racchiuso nella noce di cocco fresca e che rappresenta un'ottima bevanda estiva. Il latte di cocco, bianco e corposo come la panna liquida, è molto usato nella cucina asiatica. La polpa del cocco è ricca di sostanze grasse, ecco perché il cocco è così calorico: apporta 360 kcal l'etto. Ma l'olio che se ne ricava è multiuso, grazie alla sua alta affinità con la pelle e con i capelli. Contiene inoltre vitamina E, A e vitamine del gruppo B. Ottimo come idratante per il corpo, da applicare sul corpo dopo bagno o doccia, ma anche come impacco per capelli sfibrati a cui da maggior corposità e lucentezza. Sui capelli umidi va applicato per 20/30 minuti prima dello shampoo e poi lavato. L'olio è molto adatto anche per i massaggi del corpo, per rafforzare le unghie, per idratare ispessimenti dei gomiti e ginocchia. Con la polpa del cocco secca grattugiata possiamo preparare un ottimo scrub esfoliante per il corpo. Si prepara mescolando 2-3 cucchiai di miele riscaldato, con 2 cucchiai di olio di cocco e 2-3 cucchiai di cocco. Questo composto va applicato con movimenti rotatori su tutto il corpo, a cui seguirà bagno o doccia per eliminare il cocco e le cellule morte. Poi, olio di cocco su tutto il corpo, e la pelle diventerà una seta delicatamente profumata al cocco naturale. Se lo preferite inodore, si trova anche l'olio purificato, che non contiene il naturale aroma del cocco. Lo scrub si può ripetere ogni 2 settimane, troppo ravvicinato può disidratare la pelle. N.B.: per avere la miglior qualità dei prodotti, potete rivolgervi anche ai negozi BIO. Il cocco è un frutto che ci aiuta a diventare amici di noi stessi e quindi a darci felicità!


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L'IMU e i suoi meccanismi

di Angelo De Gianni

Quando si parla di IMU, generalmente ci si spaventa, si ha paura di sbagliare e si corre al CAF o dal commercialista, i quali, prontamente, ci forniscono il responso, indicandoci quanto dobbiamo pagare. Ma, a conti fatti, quest'IMU è poi così oscura e complicata? La risposta dipende da quanto siamo in grado e da quanta voglia abbiamo di fare qualche ricerca su internet o una telefonata in Comune e da quanta dimestichezza abbiamo con la calcolatrice. Premesso che il limite massimo del tributo è fissato con legge statale, ma è il Comune nel quale si trova l'immobile che fissa la percentuale da applicare in concreto anno per anno, con una delibera del Consiglio Comunale, per prima cosa dobbiamo procurarci l'aliquota applicata dall'ente locale di nostro interesse. Siccome tutte le Pubbliche Amministrazioni, compresi i Comuni, devono avere un ufficio relazioni con il pubblico, ci basterà fare una telefonata per ottenere un'informazione che, anche l'impiegato più distratto, di solito conosce; se, poi, navighiamo abitualmente sul web con il PC o lo smartphone, la soluzione è a portata di mano, in quanto i Comuni pubblicano regolarmente sui rispettivi siti internet, un dato di interesse generale, richiesto anche dai proprietari degli immobili che risiedono all'estero. Vi risparmio l'esposizione delle regole giuridiche da rispettare, nel caso in cui il Comune, alla scadenza del pagamento, non abbia ancora deliberato l'aliquota, in quanto preferisco focalizzare l'attenzione sull'aspetto contabile del tributo. Entriamo, perciò, nel vivo del calcolo dell'IMU, per effettuare il quale abbiamo bisogno della rendita catastale dell'immobile, che troviamo in un estratto catastale, sul sito dell'Agenzia delle Entrate, inserendo i dati catastali o nell'atto notarile di acquisto della casa o del garage. Non ho utilizzato le parole "casa" e "garage" casualmente: voglio, infatti, concentrare l'attenzione sulle categorie di immobili che interessano praticamente tutti i proprietari di uno o più fabbricati in Italia. A questo punto, se avete solo l'abitazione principale, con o senza la pertinenza, e questa non è di lusso (categoria catastale A1) o una villa, potete passare all'articolo successivo o continuare a leggere per soddisfare una vostra curiosità; se, invece, avete uno o più appartamenti al mare, in montagna, o da qualsiasi altra parte, quello che scriverò di seguito potrebbe interessarvi. Se, poi, siete usufruttuari o titolari del diritto di abitazione, non avete scampo: l'IMU, infatti, è dovuta non solo dai proprietari degli immobili, ma anche dai titolari di un diritto reale! Innanzitutto, accertatevi che la rendita catastale che avete sulla scrivania, sia aggiornata, annotate l'aliquota applicata dal Comune nel quale si trova l'immobile per l'anno che vi interessa ed accendete la calcolatrice. La normativa prevede una serie di operazioni, la prima delle quali consiste nell'aumentare del 5 per cento la rendita catastale, ma. siccome a me piace la concretezza, applico il metodo empirico utilizzato dalle segretarie dei notai e dei commercialisti: perciò, moltiplicate la rendita catastale per 168, in modo da ottenere il reddito catastale dell'immobile, che è la base imponibile su cui calcolare l'imposta. A questo punto, dovete applicare la percentuale stabilita dal Comune, che, in genere, è il 10,6 per mille, il che, come ci hanno insegnato a scuola, spostando la virgola a sinistra, equivale al 1,06 per cento, operazione aritmetica che anche le calcolatrici più semplici digeriscono, senza creare problemi all'utilizzatore. Il risultato ottenuto è l'IMU dovuta per tutto l'anno per l'intero immobile: se state pagando l'acconto di giugno, dividete per due il numero che compare sul display della calcolatrice, se, invece, è il mese di dicembre e, quindi, dovete versare il saldo, sottraete dall'importo quanto avete anticipato a giugno; in entrambi i casi, arrotondate all'euro inferiore o superiore il risultato, secondo le regole consuete e e l'operazione e quasi conclusa. Sottolineo quasi! Perché, come quasi sempre avviene, siete comproprietari dell'immobile e/o l'avete comprato o venduto durante l'anno: ma, se per la quota di possesso non ci sono particolari problemi, dato che basta versare l'IMU in base alla percentuale di possesso, più complicata si presenta la determinazione del periodo di possesso. Questo perché, mentre nella dichiarazione dei redditi l'unità di misura minima è il giorno, per l'IMU il frazionamento avviene in mesi. Così, per esempio, se avete comprato la casa al mare il 15 giugno, pagherete il tributo per tutto il mese di giugno, mentre il venditore sarà debitore nei confronti del Comune per soli 5 mesi; se, invece, sottoscrivete l'atto davanti al notaio il giorno successivo, vi farete uno sconto sull'IMU di un mese, a scapito dell'ignaro venditore, che, a causa della sua disattenzione, si accollerà senza magari volerlo, un mese dell'imposta comunale. Sappiamo bene tutti che, in molti centri di villeggiatura, per effetto delle alte rendite catastali, un mese di IMU può equivalere anche a diverse centinaia di euro! Per risparmiare qualcosa, a volte, è sufficiente fissare l'appuntamento dal notaio con il calendario davanti agli occhi o, se non potete fare diversamente, sotto i polpastrelli, purché, ovviamente, possediate un calendario in braille! Il calcolo dell'IMU. Come abbiamo visto sopra, non è complesso: il mio consiglio è di calcolare autonomamente l'imposta e confrontarla con quella indicatavi dal professionista o dal CAF; una volta verificato che, per più anni, gli importi coincidono, si può pensare di fare il salto di qualità e continuare da soli. Se, poi, ci si accorge di aver commesso un errore, bisogna tener presente che, mediante l'istituto giuridico del ravvedimento, si può regolarizzare la posizione debitoria nei confronti del Comune, pagando sanzioni spesso irrisorie, ad una cifra!


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Che cos’è uno/a psicoterapeuta?

di Francesca Ceccherini

Una professionista che prende il paziente per mano e lo conduce alla scoperta di sé. Il “conosci te stesso” (Nosce te ipsum) una delle più celebri massime a cui faceva riferimento Socrate in ambito filosofico. Allo stesso modo è una massima valida anche e soprattutto in ambito psicologico. Il conosci te stesso è il primo presupposto di un percorso psicoterapeutico ed è anche una delle imprese più ardue da attuare con l’aiuto di uno/a psicoterapeuta. È per mezzo della conoscenza di sé che si può pervenire a un autentico cambiamento e alla realizzazione di veri significati per i quali vale la pena vivere. Spesso le persone dicono: “Sono fatto così”. Oppure: “Ormai non c’è nulla da fare, non sono più in grado di cambiare”. Ebbene, questo convincimento, come si confronta con quello filosofico e teologico di Erasmo da Rotterdam quando afferma che ognuno di noi possiede un “libero arbitrio” che gli permette di scegliere se salvarsi o dannarsi? Lo psicologo ben sa che non siamo del tutto liberi nell’applicare il giusto discernimento nelle scelte di vita. Fin dalla nascita, quando il bambino comincia a interagire con il mondo esterno, inizia a subire dei condizionamenti sviluppando dei modelli comportamentali che, in buona parte, diventeranno dei tratti automatici della sua personalità. Pertanto, la sua scelta tra il bene e il male potrebbe essere influenzata da ciò che ha assimilato acriticamente, reagendo in maniera passiva, acquiescente, automatica, appunto, agli stimoli della vita. Dunque, lo scopo di una psicoterapia è in primo luogo quello di assumere una piena consapevolezza e potere sulle proprie scelte di vita. “Non sei tu che mi fai, ma sono io che lascio che tu mi faccia”. Ognuno di noi si sente in diritto di colpevolizzare tutto e tutti, per nostri errori, per le nostre impennate, colpevolizzando coloro che ci hanno preceduto, educato, cresciuto. Se in parte questo è vero, noi non siamo autorizzati a giudicare gli errori altrui. Dovremmo solo imparare da quegli errori, dovremmo farne tesoro, per non ripeterli. Lo recita bene un proverbio, riferito anche da Cicerone, quando afferma: "Commettere errori è umano, ma perseverare è diabolico" (“Errare humanumm est, perseverare autem diabolicum”). Nella vita è normale commettere errori, poiché si impara sempre attraverso prove ed errori. Noi siamo cresciuti nutrendoci di sensi di colpa, sono entrati come aculei nella nostra carne, nei nostri cuori. Ci sentiamo in colpa e non riuscendo a capire fino in fondo il motivo di quell’emozione, la reiteriamo anche sugli altri. Eppure, c’è un modo per neutralizzare quella colpa: imparare a perdonare le proprie e le colpe altrui. Seneca affermava: “Delle cose grandi si deve giudicare con animo grande: altrimenti si vedrebbero in esse i difetti che troviamo in noi.” Dunque, per sbloccare un automatismo occorre: capire, acquisire la piena consapevolezza di ciò che siamo e perché lo siamo, imparare a sanare le ferite che ci hanno inferto e che ci siamo inferti e imparare a perdonare, appunto, gli uni e gli altri. La psicoterapia ci insegna come fare a perdonare, ci rende liberi di attuare serenamente, senza timore, le proprie scelte di vita. Aiuta a superare gli ostacoli, rendendoci consapevoli della loro esistenza, senza assumere atteggiamenti vittimistici: “Capitano tutte a me, la vita mi perseguita, sono sfortunato, ecc. Atteggiamenti che ci fanno camminare come i gamberi: “avanti e indietro” e come nel gioco dell’oca, ci ritroviamo spesso al punto di partenza allo stadio infantile. Ebbene sì, i bambini non hanno colpa perché hanno una scarsa astrazione del pensiero e reagiscono alle intemperie della vita con un pensiero concreto: se li abbracci sono convinti che gli vuoi bene, se non lo fai temono che non li ami. L’adulto, grazie all’astrazione del pensiero, dovrebbe essere bene in grado di capire di essere amato anche in assenza di un abbraccio. Capisce comunque che sei disposto a dare la tua stessa vita per lui, anche in assenza di manifestazioni affettive. Questo e molto altro si impara a comprendere all’interno di un percorso psicoterapeutico.


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Matteo Tiraboschi, che tenore!

di Mario Lorenzini

Gentile direttore gentile direttrice, buongiorno mi permetto di disturbarvi perché, mi piacerebbe, attraverso il vostro quotidiano sia cartaceo che sito online, che voi possiate dare voce a un mio sogno, il mio sogno è un desiderio che porto con me da tanti anni. Prima di parlare del sogno è giusto che mi presenti a Voi: Sono Matteo Tiraboschi ho cinquant'anni sono un non vedente, da sempre, canto anche da sempre. Sono un tenore pop lirico e suono il pianoforte tastiera e organo, se voi andate su YouTube e su tutti i social scrivendo il mio nome e cognome troverete molte cose su di me, lascio alla vostra curiosità scoprirle. Ricorro a voi perché ho scritto più volte sui social di Vasco Rossi ma non ho ricevuto nessuna risposta né in negativo né in positivo. Sì, il mio sogno è questo: cantare vita spericolata con Vasco Rossi. Sono un suo fan l'ho visto in concerto ben 19 volte. E questa cosa che vi ho appena detto mi balena da tanti anni. Io sono convinto che la sua voce rock e la mia voce lirica pop con questo pezzo uscirebbe qualcosa di veramente piacevole e speciale. Ho sempre detto non voglio recuperare la vista ma voglio cantare con Vasco Rossi, questo è proprio un mio desiderio. Ecco perché ricorro ai vostri quotidiani ai vostri siti online affinché attraverso voi il mio sogno possa essere amplificato e magari arrivare a Vasco stesso. So che Vasco non fa molti duettil ne ha fatti pochissimi, con tenori mai nessuno e io sarei il primo tenore pop che duetterebbe con lui. Ovviamente spero che questo mio scritto sia di vostro interesse. Sono a disposizione vostra: cell: 3385092651 e-mail: mattetira@gmail.com Davvero vi ringrazio sin da ora per la vostra attenzione che vorrete dedicarmi. Matteo Torna all’indice


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Il bel scrivere: errori su parole comuni

di Mario Lorenzini

Ecco alcuni errori che riscontro negli articoli che giungono in redazione Cosiddetto. Col significato rafforzativo di ciò che l’oggetto o la persona è o rappresenta. Si può scrivere staccato “così detto” ma è molto più diffusa la grafia unita. In questo caso, ricordarsi di raddoppiare la D. Quindi “cosiddetto” e non “cosìdetto”. Purtroppo, infatti, comunque, perciò, pertanto… Queste congiunzioni o avverbi, che introducono una frase dopo il punto fermo, richiedono la virgola: (Infatti,) Pertanto, non andrò al lavoro Anziché (Infatti) Pertanto non andrò al lavoro A proposito: anziché, benché, poiché si scrivono preferibilmente unita e non disgiunte (anzi che, ben che, poi che). Ricordatevi di porre l’accento acuto sulla e finale (é) in questo caso. Il verbo scegliere si scrive appunto senza la i tra C ed E, non sciegliere. Chiacchierare e non chiaccherare… Fa anziché fa’ I nomi delle regioni, come degli stati o dei continenti, si scrivono maiuscoli I nomi dei giorni della settimana, dei mesi e delle stagioni si scrivono con l’iniziale minuscola Il vero sapere, prima persona singolare, modo indicato, tempo presente, si scrive senza accento (Io so e non io so) Il verbo andare, modo indicativo, presente, terza persona singolare, si scrive senza l’accento (lei/lui va e non và) Lo stesso dicasi per le preposizioni tra e fra, che mi è capitato di trovare scritte erroneamente con l’accento (trà, frà)! In modo inverso, mi è capitato di trovare scritte parole che richiedevano l’accento, senza. Es.: gia, giu, al posto delle versioni corrette già e giù. La differenza tra si e sì La particella pronominale Può sembrare una banalità, ma molti non usano l’accento sulla i. In questo caso esiste la differenza tra la particella pronominale SI, senza l’accento, e l’avverbio che significato di risposta affermativa sì, con l’accento. Analogamente, il se. «Se fossi un grande eroe…» «Quell’azione si ritorcerà su sé stesso» Nella seconda frase il “sé”, pronome riflessivo, va scritto con l’accento acuto. “Qual è” la giusta grafia? Proprio questa. È comune l’errore “qual è” con l’apostrofo, seppur parzialmente accettato. Non c’è nessuna elisione. “Qual” esiste già come parola tronca Implicazioni della videoscrittura Gli spazi tra le parole. Come vedete, tra ogni parola esiste un solo carattere di separazione. Chiaramente questa consa non ha un riscontro sensato su carta, dove si lascia uno stacco approssimativamente “giusto” tra le parole. Un grande vuoto tra due parole non è bello, ma nemmeno vedere troppo appiccicume da rendere la lettura difficoltosa. Scrivere a mano però, con distanziamenti ampi o piccoli, è un tratto distintivo personale. Caratteristica questa, che si perde con l’editing digitale… L’ordine non sempre è bellezza!


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Filosofia

Curiosità sul punto G

di Lista Mente, gruppo SUBLIMEN

Pensate di sapere tutto sul punto G? Presentiamo diverse curiosità e le informazioni scientifiche in merito. Milioni di uomini e donne in tutto il mondo si vantano di conoscerne l'esatta posizione, ma solo pochi esploratori l'hanno trovato. Il punto G è senza dubbio uno dei più grandi enigmi degli ultimi secoli, ancora molto dibattuto dagli scienziati. Vi invitiamo a scoprire, pertanto, alcune curiosità sul punto G. Nella cultura popolare, è stato il protagonista di migliaia di libri, monologhi comici e riferimenti in film e serie tv. Ben pochi, tuttavia, rispecchiano la realtà dei fatti. Le seguenti curiosità sul punto G vi sorprenderanno. 5 curiosità sul punto G Prende il nome da Ernst Grafenberg, medico e scienziato tedesco specializzato in ginecologia e ostetricia. Grafenberg condusse studi sulle zone erogene femminili sulla base di altri ricercatori prima di lui. Già nel XVII secolo, Regnier de Graaf aveva descritto l'eiaculazione femminile e una zona erogena nella parete vaginale. Il termine punto G è diventato popolare a seguito di un articolo pubblicato nel 1980 in cui veniva descritto un caso di eiaculazione femminile correlato alla stimolazione di un'area nella parete della vagina. Da allora, la suddetta area è chiamata punto G ed è servita da ispirazione per migliaia di articoli, libri, saggi e altre produzioni. Quanto sopra serve a chiarire due aspetti: primo, si è sempre parlato di un punto esatto, particolarmente erogeno nella vagina; secondo, parlare del punto G è diventato un fenomeno commerciale. Certamente, tutti vogliono sapere dove si trova, come ci si sente e come trovarlo; ecco perché vengono pubblicati video, articoli, libri e altro materiale al riguardo. Nelle righe che seguono, dunque, riporteremo solo curiosità sul punto G avvallate dagli scienziati. Vi invitiamo a scoprire cosa c'è di vero. Il punto G è ancora un mistero in quanto non vi è consenso tra gli esperti. 1. La sua esistenza non è provata dagli scienziati Avviare una raccolta di curiosità sul punto G negando la sua possibile esistenza è l'esempio perfetto del perché questo problema è più complicato di quanto si pensi. Esperti e ricercatori concordano sul fatto che non ci sono prove conclusive a sostegno dell'esistenza del punto G. Non vi è consenso sulla posizione, le dimensioni o estensione, quindi, quest'area resta ancora oggi un mistero. Viste le opinioni espresse al riguardo, alcuni specialisti propongono di scartare il termine punto G e di sostituirlo con complesso clitouretrovaginale. Questo si riferisce a un'area funzionale, dinamica e ormono-dipendente che comprende il clitoride, l'uretra e la parete vaginale. La discussione non è del tutto chiusa, poiché ogni anno vengono pubblicati articoli che ne difendono l'esistenza. 2. La stimolazione è in parte psicologica Le prove indicano che circa il 50% delle donne non crede nell'esistenza del punto G. Questa percentuale corrisponde a coloro le quali hanno una maggiore percezione dei loro genitali, rapporti sessuali più frequenti e una sana valutazione della loro funzione sessuale. Gli esperti hanno scoperto che le donne che credono nella sua esistenza spesso sono paradossalmente incapaci di localizzarlo in modo tempestivo. Alla luce di ciò, si ipotizza che la stimolazione generata nelle pareti della vagina sia in parte soggettiva. Ciò non significa che non ci siano zone erogene in queste pareti, ma piuttosto che la componente soggettiva gioca un ruolo importante. Il grado di eccitazione, comfort e piacere è essenziale per "trovare" e stimolare il punto G. 3. L'eiaculazione femminile è un fenomeno reale Sebbene possa essere ottenuto anche attraverso la stimolazione del clitoride, l'eiaculazione femminile è spesso associata alla stimolazione del punto G. Pur essendo controverso, gli esperti lo classificano come un fenomeno reale. Il fluido prodotto differisce dall'urina in termini di concentrazione di urea e creatinina, quindi è una sostanza diversa. La funzione specifica di questo fluido non è nota (il liquido seminale dell'uomo ha una funzione, per esempio). Poiché presenta una concentrazione significativa di PSA, probabilmente ha proprietà antibatteriche nei confronti dell'uretra femminile. Si pensa che l'eiaculazione provenga dalle ghiandole parauretrali di Skene, descritte per la prima volta dal ginecologo scozzese Alexander Skene. 4. Curiosità sul punto G: la stimolazione è associata a orgasmi più intensi Abbiamo già stabilito che ogni orgasmo dipende in gran parte da variabili soggettive o psicologiche. A questo bisogna aggiungere anche che ogni corpo è diverso, quindi non è possibile generalizzare. Pur così, ci sono prove in merito al fatto che la stimolazione delle pareti vaginali può causare orgasmi più intensi. Per esempio, uno studio pubblicato su The Journal of Sexual Medicine nel 2020 ha rilevato che il 62% delle donne ottiene trova gli orgasmi ottenuti attraverso la stimolazione vaginale più piacevoli di quelli ottenuti tramite stimolazione del clitoride. Quest'ultimo, tuttavia, può essere attivato più rapidamente. Nonostante ciò, alcuni esperti sono riluttanti a usare l'etichetta orgasmo vaginale e orgasmo clitorideo. Le donne che credono nell'esistenza del punto G hanno difficoltà a localizzarlo. 5. Curiosità sul punto G: può essere allargato, ma non è consigliato Per diversi decenni è stata proposta una procedura per allargare il punto G e con esso il piacere provato durante la sua stimolazione. Si tratta di un risultato temporaneo e consiste nell'iniettare collagene al di sotto della superficie in cui si ritiene si trovi l'area in questione. Come sottolineano gli esperti, l'intervento è sconsigliato, anche perché l'esistenza del punto G non è stata accertata. I miti legati a quest'area creano spesso eccessiva dipendenza da essa. Molte coppie evitano altri canali di stimolazione e, non ottenendo piacere da quest'area, la loro intimità si riduce a insoddisfazione, insicurezze e angoscia. Ecco perché si potrebbe optare per procedure come quella descritta, che, tuttavia, può causare più di una complicazione: infezioni, disfunzioni sessuali, dispareunia (dolore) e altre. Conclusioni Le curiosità sul punto G presentate in questo articolo puntano indicano diverse conclusioni. La prima è che non bisogna escludere la stimolazione di quest'area, ma non si dovrebbero concentrare tutti gli sforzi su essa. I preliminari e la stimolazione in altre aree sono ugualmente o anche più importanti per ottenere il piacere. Scegliere diversamente significa essere riduzionisti. La seconda conclusione è che bisogna mettere da parte la pressione sociale, culturale e mediatica attorno al punto G. Ciò può causare persino disfunzioni sessuali. L'aspetto più importante è esplorare il proprio corpo e stimolare quelle aree in cui ogni persona trova la maggiore eccitazione.


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Aumentare l'autostima in 8 passaggi

di Lista Mente, gruppo Sublimen

L'autostima influenza il modo in cui ci relazioniamo con gli altri, l'immagine che proiettiamo al lavoro e il modo in cui affrontiamo i problemi. L'autostima è quel muscolo che tutti dovremmo allenare perfettamente e in ogni momento. Più che un'azione, è uno stato mentale ed emotivo, quello in cui ci sentiamo bene con noi stessi. Aumentare l'autostima è importante per vivere bene. Influenza il modo in cui ci relazioniamo con gli altri, l'immagine che proiettiamo al lavoro e il modo in cui affrontiamo i problemi. Allo stesso modo, va detto che siamo di fronte a una dimensione fondamentale per il nostro benessere. La sua brillantezza, l'energia con cui ci fa muovere e dispiegare, ci fa scegliere meglio le persone della nostra vita. Ci permette anche di affrontare qualsiasi sfida, grande o piccola, con risorse migliori. L'autostima è, per così dire, uno stato di apprezzamento che sorge quando facciamo le cose per noi stessi. Per esempio, quando investiamo nel nostro sviluppo psicologico, emotivo e spirituale. Una dimensione dinamica che ci permette di migliorare i punti di forza, la qualità della vita. “Fino a quando non apprezzi te stesso, non darai valore al tuo tempo. Fino a quando non darai valore al tuo tempo, non ne farai nulla”. M. Scott Peck Cos'è l'autostima? L'amore per sé stessi non significa solo stare bene. Non è qualcosa che si può ottenere prendendosi cura dell'aspetto fisico, attraverso letture stimolanti o condividendo del tempo di qualità con i propri cari o godendo di attività che ci piacciono da soli. Per quanto gratificanti possano essere queste e altre cose, l'amore per se stessi non si riduce a ciò. Definisce soprattutto la nostra capacità di apprezzare quello che facciamo e di valorizzare chi siamo. Dimensioni che spesso vengono violate a causa di una genitorialità povera, di un'educazione autoritaria o segnate dall'indifferenza. L'amor proprio è uno stato che non ammette dubbi, momenti di debolezza, né tanto meno mette il suo luccichio nelle tasche di qualcun altro per perdere la propria dignità. Questo tendine psichico richiede cure e cresce attraverso azioni che ci fanno maturare. Per esempio, quando agiamo in modo intelligente, salvaguardando i nostri interessi e valori; quando iniziamo ad accettare le nostre debolezze e le nostre forze e abbiamo meno bisogno di spiegare le nostre mancanze. Siamo a nostra volta di fronte a uno stato che ci fa provare compassione per noi stessi come esseri umani che lottano per trovare un significato personale. Grazie a questo, siamo più concentrati sul nostro scopo e sui nostri valori, gli stessi che speriamo di realizzare con i nostri sforzi. “Ama prima te stesso e tutto il resto verrà dopo. Devi davvero amare te stesso, per riuscire a fare qualcosa in questo mondo.” Lucille Ball 8 passaggi per aumentare l'autostima 1. Essere consapevole e consapevole Le persone che godono di più autostima sono consapevoli delle loro idee ed emozioni. Sanno quello che vogliono e fanno di tutto per ottenerlo, non agiscono secondo ciò che gli altri vogliono per loro. Sebbene molti di noi siano d'accordo con questo approccio, non sempre lo applichiamo come dovremmo. Trascuriamo noi stessi, ignoriamo quello che ci dà fastidio, a volte diamo la priorità agli altri e tutto ciò logora l'amor proprio. Evitiamolo, apprezziamo chi siamo e quanto valiamo. 2. Agire in base alle proprie esigenze per aumentare l'autostima. Amare non significa esaudire i desideri altrui, ma facilitare ciò di cui ha bisogno. L'amor proprio funziona secondo lo stesso principio. Se ci concentriamo su quello di cui abbiamo bisogno, staremo lontani da schemi di comportamento automatici malsani; causano problemi o tengono ancorati al passato. 3. Prendersi cura di sé Un modo per aumentare l'autostima è prendersi più cura dei propri bisogni primari. Le persone che amano se stesse si nutrono quotidianamente attraverso attività salutari, tra cui una buona alimentazione, esercizio fisico, sana igiene del sonno, intimità e interazioni sociali positive. Non esitate a dedicare a voi stessi il tempo che meritate, non abbiate paura di dare la priorità a voi stessi. Perché l'amor proprio non è egoismo, è un esercizio di salute per il proprio equilibrio fisico, mentale ed emotivo. 4. Stabilire dei limiti per aumentare l'autostima Una persona che ama se stessa ha il coraggio di porsi dei limiti e dire "no" a quello che la riguarda fisicamente, emotivamente o spiritualmente. Questo è spesso uno dei nostri conti in sospeso, quella pratica che ci costa tanto, ma che alla fine è necessaria per il nostro benessere. Praticatelo senza paura o scrupoli. I limiti ci aiutano a migliorare la qualità delle nostre relazioni e, in definitiva, ad aumentare l'autostima. Porsi dei limiti è necessario se vogliamo aumentare l'autostima. 5. Proteggersi dalle persone tossiche Una persona che ama se stessa si protegge dalle persone tossiche e non perde tempo con coloro che cercano di avvelenare il suo spirito. Intorno a noi potremmo avere più di un profilo con queste caratteristiche. Dobbiamo imparare, quindi, a gestirli in modo efficace, non solo a fuggire o allontanarsi. L'amor proprio vuol dire anche saper affrontare le situazioni più complesse, saper imporre i propri diritti e bisogni. 6. Perdonare se stessi per aumentare l'autostima Gli esseri umani possono essere molto duri con se stessi. Essere responsabili delle nostre azioni non implica punirci eternamente. Le persone che amano se stesse imparano dai propri errori, accettano la propria umanità e si perdonano. Il passo che faremo per plasmare quel perdono necessario si traduce in una parola: libertà. Perdonarsi è essenziale per aumentare l'autostima. 7. Vivere con consapevolezza Per accettarsi e amarsi di più, consapevoli di quanto accade nella propria vita, bisogna avere uno scopo. Se la propria intenzione è avere una vita significativa e sana, si devono prendere decisioni in tale direzione. Ciò permetterà di essere buoni con te stessi quando si sarà raggiunto l'obiettivo. Ottenere quanto prefissatosi è senz'altro utile per aumentare l'autostima. Per questo è necessario stabilire lo scopo della propria vita. 8. Accettare che non si può controllare tutto Per aumentare l'autostima, è anche necessario accettare che non possiamo controllare tutto. Ci saranno sempre situazioni esterne che ci sfuggiranno di mano e, se non lo accettiamo, saremo destinati al disaccordo, alla frustrazione e all'infelicità. Per esempio, non possiamo controllare le azioni altrui, l'incertezza del futuro, l'economia della società in cui viviamo; o l'opinione che gli altri hanno di noi. Conclusioni Se desiderate aumentare l'autostima, conviene accettare che non tutto può essere adattato alle proprie aspettative. E va bene così. La bellezza della vita, di fatto, risiede nella sua capacità di sorprenderci. Quindi rilassatevi un po' e lasciatevi sorprendere. Non si può amare nessun altro più di quanto amiamo noi stessi: è necessario, quindi, imparare ad amarsi per poter offrire all'amore un amore più autentico e significativo a chi ci circonda.


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Che cos’è l’amore? Un eterno dilemma

di Lista mente, gruppo Sublimen

Cos’è l’amore? Una domanda complessa a cui da sempre cerchiamo risposta. Scopriamone di più. Che cos’è l’amore? Come definire qualcosa di così complesso, contraddittorio, affascinante e che allo stesso tempo ci fa sentire così vivi? Non si può osservare al microscopio, c’è chi lo definisce in termini chimici e chi ne fa poesia. L’amore è ispirazione, a volte anche sofferenza, tutti vogliono viverlo, la maggior parte lo ha sentito prima o poi, ma il nostro conto in sospeso è ancora in grado di spiegarlo. Mahatma Gandhi diceva che "dove c’è amore c’è vita". Questa è senza dubbio una delle definizioni più semplici ma realistiche di questa meravigliosa dimensione, oltre che misteriosa. Questa emozione è ciò che nutre il bambino appena nato, ciò che ci aiuta a crescere, ciò che ci fa sentire parte di un gruppo sociale. L’amore, per così dire, ci mette al mondo. Ci sceglie, ma che cos’è l’amore? Canzoni d’amore. Tutti noi abbiamo i nostri preferiti, e cercano di spiegare cos’è questo sentimento e cosa implica e soprattutto cosa produce: felicità, miseria, ispirazione, passione Questi testi ci parlano dell’amore non corrisposto, e anche delle sue tipologie: amore interessato, amore romantico, amore eterno, amore che nasce dall’amicizia “L’amore è una cosa che brucia. Che forma un anello di fuoco” Johnny Cash Se siete già stati innamorati o se lo siete tutt’ora, saprete benissimo cosa si prova anche se non potete esprimerlo in una definizione che racchiuda semanticamente tutte le sfumature. Quindi, se c’è qualcosa che la maggior parte di noi sa, è che non siamo sempre liberi di innamorarci di chi vogliamo veramente. Per dirla in un altro modo: l’amore ci sceglie. E quella scelta può essere quella opportuna o, al contrario, portarci più sofferenza di quanto pensiamo. Perché abbiamo così poco controllo sulle questioni affettive, perché non possiamo essere più obiettivi, più razionali? Cosa sta alla base del fenomeno dell’attrazione? Che cos’è l’amore? Cosa ci dice la scienza? In amore c’è una certa componente biologica, lo sappiamo. Tutti abbiamo sentito parlare di quella tempesta chimica composta da neurotrasmettitori come dopamina, serotonina, ossitocina Ora, non possiamo ignorare altri tipi di influenze, in questo caso esterne. Parliamo della nostra cultura e del peso della società come meccanismo di influenza. Tuttavia, tralasciando quanto detto, sappiamo che quando siamo innamorati si attivano regioni cerebrali legate alla ricompensa e alla motivazione come l’ippocampo, l’ipotalamo e la corteccia cingolata anteriore. Inoltre, l’ossitocina e la vasopressina, prodotte sotto l’effetto dell’innamoramento, stimolano il rilascio di dopamina e generano piacevoli sensazioni legate alla persona che amiamo, alla sua presenza e ai suoi ricordi. Questo cocktail neurochimico, che ci fa sentire così a nostro agio quando iniziamo una relazione, è anche la causa del disagio emotivo che compare dopo la rottura. Che cos’è l’amore, secondo la psicologia Da un punto di vista puramente psicologico, l’amore è un’esperienza affettiva composta da un insieme di variabili ben precise: il bisogno di legame con qualcuno, i bisogni di intimità, la passione, la sessualità... Tutti questi principi si riflettono nella teoria triangolare di Stenberg. Era il 1986 quando Robert Stenberg, professore alla Yale University, diede una prima definizione psicologica nel suo libro The Triangular Theory of Love, su quelle dinamiche che costruiscono una relazione. Su ciò che, in sostanza, cerca e definisce l’amore. Intimità: questi sono i sentimenti che promuovono la vicinanza, la connessione e la costruzione di legami. È l’accettazione dell’altro e il sentimento di fiducia e di affetto che instauriamo con quella persona. Passione: è desiderio, ma non si riferisce solo al desiderio fisico e sessuale con tutta la componente neurochimica che ne deriva. La passione si esprime anche attraverso l’ammirazione dell’altro, attraverso quel risvolto psicologico dove nasce l’affetto più profondo e il bisogno di stare vicino alla persona amata. Impegno: è la decisione espressa e autentica di costruire un progetto con l’altra persona. È essergli fedele, e saper costruire un presente e un futuro dove le attività si svolgono in comune. È creare un "noi", uno spazio tutto tuo dove consolidare la tua relazione. Che cos’è l’amore? Queste tre dimensioni possono formare diverse combinazioni che, secondo Sternberg, danno origine a sette stili di relazione affettiva: Affetto: l’affetto è solitamente presente nelle relazioni amichevoli. Implica intimità senza passione e con una diversa forma di impegno. Infatuazione: si riferisce a relazioni temporanee e insignificanti. In questi di solito c’è passione, ma non intimità o impegno. Amore vuoto: può riguardare relazioni costruite dall’interesse e dall’egoismo. In questo tipo di relazione di solito c’è impegno senza passione o intimità. Amore romantico: sono coppie in cui c’è una forte presenza di passione e intimità, ma in cui dopo un po’ non c’è impegno. Altri tipi di amore Amore socievole: di solito compare nelle relazioni molto lunghe perché c’è intimità e impegno, ma la passione sembra essersi estinta. Di tipo fatuo: Nell’amore fatuo non c’è passione e impegno, ma non c’è intimità, cioè è possibile che siano due persone che si piacciono e vogliono stare insieme, ma che in realtà non hanno molte cose in comune da costruire affinità. Amore consumato: è l’amore in cui si combinano i tre elementi: intimità, passione e impegno. Helen Fisher e la neurobiologia dell’amore Helen Fisher è una nota antropologa e biologa che studia il comportamento umano alla Rutgers University. Le sue opere sono conosciute in tutto il mondo per averci offerto una visione alternativa e altrettanto interessante di cosa sia l’amore. Per lei è un potente sistema motivazionale, un impulso fondamentale che ci permette di soddisfare una serie di bisogni. Il bisogno principale è sentirsi amati. Quella brama è più intensa della sessualità stessa. Così, Helen Fisher spiega che questo desiderio vitale dell’essere umano costituisce ciò che conosciamo come "amore di tipo romantico". Si tratta di tutta una serie di dinamiche emotive caratterizzate dalla motivazione, dal desiderio di legare, dal desiderio di condividere la vita, i progetti, di essere parte comune del progetto con qualcuno. Il desiderio sessuale è un altro di quei motivatori. È la ricerca del piacere, dell’autocompiacimento Il terzo obiettivo dell’amore da questa prospettiva neurobiologica è l’attaccamento. Attaccamento come aspirazione ad ottenere calma e sicurezza accanto a qualcuno, attaccamento come evoluzione dell’amore romantico per raggiungere stabilità ed evolvere come coppia. Amore, pregiudizio e implicazioni sociali E se hai quarant’anni e sei ancora entusiasta dell’ideale del puro amore? Assolutamente niente. Sicuramente creano un delirio, ti prendono in giro o ti dicono che dovresti essere più realistico. Per un momento: questa è la tua realtà. È un completo errore negare ciò che sei o ciò che senti a causa dei giudizi degli altri. Storicamente c’è stata la tendenza a catalogare come dovremmo relazionarci con il sesso opposto. Se diciamo "sesso opposto" è perché il collettivo LGTB, purtroppo, viene ancora omesso o trattato come un tabù quando si tratta di parlare di amore. Che implicazioni ha questo? Che socialmente continuiamo a fare gli stessi errori. Continua a stabilire qual è il modo corretto di volere e di desiderare, e con questo tronchiamo l’amore in tutte le sue forme, forme ed espressioni. Neghiamo, ad esempio, fatti come che le persone con disabilità abbiano anche i loro bisogni emotivi e sessuali. Neghiamo (o non vogliamo vedere) che l’amore e la sessualità siano presenti anche negli anziani. Il vero significato dell’amore Succede a tutti noi. In nessun media la silhouette di due donne lesbiche, un ragazzo bianco e una ragazza nera, uno spazzino e un avvocato o un giovane scrittore e un uomo più anziano appaiono come la coppia perfetta". Amare è il più grande atto di coraggio. Di recente, sui media è apparso un uomo con sclerosi multipla che, sdraiato a letto, ha visto nascere il suo bambino. Ci emoziona tutti, tutti ci emozionano. Pochi di noi avrebbero la forza necessaria per combattere al suo fianco ogni giorno. Viviamo nella cultura del minimo sforzo e delle apparenze. Siamo grandi egoisti. L’amore è una grande dedica, ma senza perdere l’identità. L’amore è condividere, imparare, scoprire Spesso a chi ha chiuso una relazione viene detto che ci sono molti pesci nel mare. Potremmo anche aggiungere qualcos’altro, ci sono molti mari con i pesci. L’amore non comprende lingue, colori, ideologie, età o sessi. Non essere quello che lo allontana a causa di pregiudizi, paure o miti nascosti nelle frasi di passione e amore. Quindi, se non hai ancora trovato "il tuo principe azzurro" o "hai avuto un rospo", pensi che "non c’è nessuno che ci capisca" o che "siamo troppo complicati" potresti aver adottato la prospettiva sbagliata. Apri la tua mente e vivi, l’amore può trovarti nel posto meno atteso. Cosa NON è l’amore? Come abbiamo già visto, definire l’amore è complesso. Questo ci ha portato a confonderlo con altri sentimenti ed espressioni che decisamente non corrispondono al vero amore. In questo modo, di seguito, ti mostriamo un elenco di manifestazioni che dovresti evitare in tutte le tue relazioni (sia di coppia, di amicizia, tra genitori e figli, ecc.): Dipendenza emotiva Si verifica quando uno dei membri della relazione ha un forte bisogno di essere in continuo contatto con l’altro. In questo modo, il tuo benessere e la tua felicità dipendono solo dalla presenza dell’altra persona. Inoltre, hanno costantemente paura che il legame finisca. Gelosia C’è una credenza popolare che se non è geloso di te, allora non ti ama. Questo è falso. La gelosia è il prodotto della propria insicurezza, del non sentirsi abbastanza per l’altra persona. Questo di solito genera tentativi di controllo dell’altro, che finiscono per influenzare la qualità del legame. Possesso È anche comune pensare che la persona che "amiamo" ci appartenga. In questo modo si generano comportamenti di controllo nei confronti dell’altro e si consente il controllo su sé stessi. Questo non è sicuramente amore. Che cos’è l’amore? Non è controllo Questo è un altro modo di esercitare il controllo sull’altro. In questo caso, il ricatto emotivo viene utilizzato per ottenere una risposta attesa nell’altro. Ricorda che l’amore implica l’accettazione della propria libertà e di quella dell’altro.


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Fecondità

di Miguel Salinas Arteche. Commento e traduzione: Alessio Begliomini

Miguel Salinas Arteche (1926/2012) è il più sottile, sì il più maturo, a nostro avviso, tra i poeti latini d'America fioriti sino ad oggi dall'alba del secolo scorso. Né già tarda convenzione critica ancor per lui ferma su motivi di rapporto coi grandi esponenti del barocco Siglo de Oro della letteratura spagnola, né peregrino rilievo di suo precipuo consenso, volatile poi, a suggestioni d'angoscia del verbo di Vallejo, recano conferme del positivo passaggio, negli anni, del Poeta cileno da disinganno d'incerta e giovanile meditatività e "spettrale curvarsi del sentimento sul passato deposto" (ne verificava così Tentori-Montalto, a suo modo, l'attrazione vallejana), verso intime forme in divenire: valore, non più esteriore coltura e riflessi d'uomo inerti alla terra, dischiusogli in spirito nuovo d'armonia: la sua inconsunta conquista che, per doni d'ascesi, anima e canto ne affina e ne affratella coi genuini e metafisici poeti, e italiani in primis (pensiamo a Comi, a Moscardelli), del tempo suo ancor nostro. Fin da giovane Arteche la seduzione respinse (inconsueta soluzione, allora) di corifei d'Avanguardie -Huidobro, Borges, Nicanor Parra- o di altri connazionali suoi da quelle in transito: Rosamel del Valle, Pablo de Rokha, anche Pablo Neruda -gioco e incantamento verbale tra simboli; incursione per trame denunzia -violento scarto di precipuo queto volere d'Io- su magma sociale allora accolto frale reliquia per l'astuccio dialettico di una qualche ideologia assunta: compensazioni egoiche, che vide Arteche, nei loro eterogenei reagenti verbali, communio sempre d'anti-poesia, con la sua >peste< ( avverte il Poeta): coscienza di quel facile carisma che sgrazia e deride, d'acchito, la parola dal pensiero. Nitore classico espressivo con Miguel; gemma di religio non sentimentale: sorgenti-melodia, oriente di proprio scelto destino: " sei presente, e non sei, come una forma celeste, che vegliando, pur s'oppone al vegliar delle forme, e vuol che dorma ciascuna, come dentro una prigione, nel suo proprio passato, che in corpo hai modellato" (Onofri) PAN Olor a pan sobre la calle. Olor a pan pisoteado en esta esquina. Mientra el mundo escupe a un pan: olor a ensangrentada harina. Sabor a pan que no llegò. Sabor a salivazos sobre la colina. Mientras el mundo busca un pan: sabor a ensangrentada harina. Color del hambre en el erial. Color de pobre coronado por la espina. Mientras el mundo pide un pan: color de ensangrentadaharina. Amor que a polvo fue y a Dios. Amor que no se acabarà mientras termina. Mientras el mundo come un pan: amor de immarcitable harina Odor di pane sulla strada. Odore di pane calpestato nel cantone. Mentre il mondo sputa su un pane:odore di sanguigna farina. Sapor di pane non giunto. Sapore di saliva sparsa sovra la collina. Mentre il mondo cerca un pane: sapore di sanguigna farina. Color di fame nel piano. Colore di povero coronato di spine. Mentre il mondo chiede un pane: colore di sanguigna farina. Amore fatto polvere e Dio. Amore che pur finendo non avrà mai fine. Mentre il mondo consuma un pane: amore d'incorrotta farina. RESTAURANTE Este senor que come me conmueve. Se detiene en un punto de su frente, y piensa ayeres en la mesa, y miente este senor que vuelve de la nieve. Y tose, y se levanta, y me sonrìe, como un senor que velve a su pasado para buscar la silla donde viven las muertas hoja y el reloj cansado. Ete senor me busca y no se atreve a saludarme, y no sé, y me mira para buscar: se senta y me solloza. Este senor anciano que suspira y sorbe, en las tinieblas de las nueve el ambre de la sopa silenciosa. Quel signore che mangia mi commuove. Si sofferma in un punto della fronte, pensa gli ieri alla tavola e mente quel signore che torna dalla neve. E tossisce, si leva e mi sorride come colui che torni al suo passato a cercar la sedia dove vivon le morte foglie e l'oriolo stracco. Quel signore mi chiama e non s'azzarda a salutarmi (perché poi?) e mi rigurada per chiamarmi: si siede e mi singhiozza. Anziano, è quegli che sospira a sorbire, nel buio delle nove, la fame della zuppa silenziosa. PRIMAVERA Resuena el cielo come entonces: taja la frìa tierra inaugurada. Cuento la mano que no està sobre ese viento que arrastra a bocanadas la mortaja. Abajo, a oscuras, sin cesar, trabaja la flor, todo el ayer en movimiento; y al apoyarme en el pasado siento silbar sobre mi espalda la navaja. Los muertos gritan, suben a la tierra, y junto al àrbol otra vez quemado el sol levanta el enterrado hueso. Oh ternura feroz. todo se cierra sobe mi corazòn, sobre el pasado me aùlla que se fue, que no hay regreso! Risuona il cielo come allora: taglia la fredda terra inaugurata. Conto la mano che non sta su questo vento che a raffiche trascina il lino funebre. Sotto, nel buio, incessante lavora il fiore, tutto l'ieri in movimento e all'appoggiarmi al passato risento fischiarmi sopra la spalla la lama. Gridano i moti, salgono alla terra e presso l'albero di nuovo arso leva il sole l'osso seppellito. Tenerezza feroce: tutto preme sul mio cuore, tutto il passato urlami che fu, senza ritorno!


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Rinascita perenne del BELCANTO

di Alessio Begliomini

Renée Fleming La voce soprana, che si traveste di sollecite acutezze, non dà sviluppo originale al canto ma a sostanza, artefatta, di seduzioni antimusicali -non c'è alcuna buona ragione perché il teatro lirico si ritrasformi, parfois, in scenario di servitù acustico-zoologiche. Smaglianti aurore di belcanto riaccese il teatro operistico, dopo Puccini e la sua Giovine Scuola, transitoria abissatrice della migliore tradizione italiana -con scattanti riflessi di cordialità, già luci d'Antonietta Stella; e di Tebaldi fluvial maestoso aire -Tebaldi di colei forse men agile; e di classiche polarità ineffabili; e di stile, nel gesto, temperato e sublime. Altre armoniose predisposizioni liriche naturali -vestibolo, dell'arte del canto- si corrugano e lacerano con relativa rapidità, in voci spoglie di adeguata formazione (sempre più rara, alla corda d'imposto rapido consumo mediatico-mercantile di questi anni ultimi). Cantanti d'Opera provvedute al compito, saldano invece, mediante la tenace volontà, e pensiero, queste predisposizioni, alla grande opera di puntuale sviluppo tecnico per tutta una vita, rifondendo i loro doni a fuoco costante che, bruciando organici freni e ritardi, darà loro ulteriori proprietà di splendore, estethos interpretativo. In America, un serio impegno di questo genere ha cominciato a risvegliarsi, nel registro proprio del belcanto, dopo la seconda metà del Ventesimo secolo, con Marilyn Horne (prediletta di Stravinskij). Nell'orma di Georg Solti, che l'ha educata per anni e alla fine del secolo la diresse in opere di Mozart, Renée Fleming conferma questa tradizione. Il Maestro ungherese, dopo il tempo di gloria al Covent Garden seguito dal suo riordino della London Philarmonic Orchestra, visse in America il suo mirabile autunno creativo e di docenza -ne ha illuminato così, il maggior soprano statunitense dei nostri giorni: "Nella mia lunga vita, ho incontrato forse due soprani con questa e sua qualità di canto: l'altra era Renata Tebaldi". Rotondità di timbro ben coltivato espressione di bellezze armoniose; di tessitura adatta al registro Rossiniano -e sol ce ne dispiace lo abbia così poco frequentato- la voce di Renée Fleming disvéla ancora, fra arie medesime in paragone, i poveri (tecnicamente) ma estetizzanti incantamenti d'altro barocco canoro o solipsismo sentimentale e frale, accidentato e presto disfattosi, non solo per continuo transito di lei nei deformanti registri spinti del cosiddetto “verismo operistico”, di una Maria Callas, cui ne perdura un ben strano postumo culto divistico e, non di rado, torride e risibili imitazioni. Poi, a codeste sue mirabil doti Renée Fleming suole accendere, per elaborazioni che nel tempo con lei via via s'innovano alle scene, colori di passionalità, entusiasmo: sempre omogenei a disegno d'Opera (specie quella romantica; e anteriore). La storia dei mondiali successi di Renée, che s'inoltrano da quasi quarant'anni fino a questo recentissimo, il gennaio scorso alla Scala, accompagnata al piano da Evgenij Kisin, prova la sicura eccellenza della sua maturazione artistica: evoluzione d'intima nobiltà.


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Preghiera per la Quarta Domenica di Quaresima 2023

di don Pino

Liturgia, Preghiere, Vita pastorale
Signore, c’è buio attorno,
indecisi i passi
spezzate le parole
nella casa silenziosa
si aspetta il tuo passare
per invocare il tuo aiuto.
 
Signore, persi
nelle tenebre fitte
tra vie senza varco
precipitati in una notte
 fra fallimenti senza fine
 in un’amara solitudine.
 
Signore, c’è assenza di luce,
 ciechi, cerchiamo te
impasti di terra gli occhi,
novella creazione
che plasma
vergine vita
a ritrovar sorriso.
 
Signore, ritorna la speranza
di procedere
uomini tra uomini
per strade già percorse
che ritroviamo
con animo rinnovato.
 
Signore, ecco gli occhi nuovi
per scrutare la storia di sempre
senza mendicare vita
traboccante di te
 che sei Luce
Sole senza tramonto.
 


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Informatica

Monitor Eye care per la salute dei nostri occhi

di Mario Lorenzini

Il monitor di un pc è, ancora oggi, il dispositivo di output più utilizzato; trascorriamo molte ore davanti allo schermo, sia per lavoro che per gioco. Se, agli inizi dell’era informatica, si era pensato a migliorare la qualità di questo dispositivo in termini di resa visiva, come risoluzione grafica, luminosità, frequenza di aggiornamento, ecc., ci si è ben presto resi conto che l’attenzione alla costruzione di un monitor doveva tenere conto di altri fattori. Infatti, oltre che alla postura, l’influenza negativa sui nostri occhi ha cominciato a interessare i progettisti. In pratica, non solo affaticamento visivo e bruciori agli occhi ma, nel tempo, i nostri occhi hanno sperimentato un progressivo indebolimento con riduzione del visus, fotofobia e danneggiamento del campo visivo. Un prim avvio alla sensibilizzazione a questa problematica lo vediamo già ad opera del comitato svedese TCO che emana il primo protocollo (TCO92) che include alcune migliorie ai CRT del tempo, quali bassa emissione di frequenze dannose e assenza quasi totale di sfarfallio. Poi ci saranno alcuni updates fino alla versione TCO99. In concomitanza dell’entrata in commercio dei primi LCD, si ha, in maniera naturale, l’abbattimento delle frequenze nocive che circondano il display. Nel contempo, si è scoperto un ulteriore fattore di rischio: la luce blu. Si tratta di una radiazione elettromagnetica facente parte dello spettro percettibile dalla vista, compresa tra i 380 e i 500nm. La sua parte più interna è piuttosto dannosa non solo per causare stanchezza visiva, ma per provocare patologie oculari degenerative dell’occhio. Sono stati introdotti dei sottili pannelli da applicare davanti lo schermo, al fine di ridurre l’emissione della gamma delle frequenze della luce blu. Da circa un paio di anni, vediamo il mondo dei monitor in continua evoluzione: monitor curvi, con cornici sottilissime, alto refresh rate, adatti ai video giocatori, sicuramente tra i più costosi. Implementano diverse tecnologie per migliorare la resa visiva in quanto a fluidità dell’immagine, realisticità dei colori. Il tutto condito con opportune interfacce di connessione avanzate come le ultime versioni dell’HDMI e il DISPLAYPORT. Sul versante opposto troviamo ancora monitor economici che non “brillano” in quanto a definizione e sicurezza. Ed è proprio nella fascia intermedia che si pensa alla sicurezza. Sì, perché un monitor con riguardo alla nostra salute, costa di più, anche se, nel reale, meno di un equivalente destinato al gaming più incallito. Via gli schermetti da applicare davanti a monitor obsoleti, ma un concreto salto di qualità in un unico dispositivo più sicuro. Questi monitor sono spesso indicati come monitor low blue light (a bassa emissione di luce blu), o Eye care (cura per l’occhio). Sono solitamente di tipo IPS (In-plane switching) una tecnologia che migliora la distribuzione dei colori rilassando il nostro occhio, anche se non eccelsa per la motilità dei pixel. Tant’è che gli schermi per i videogiocatori non sono fatti così. Chiaramente, sono target differenti: chi utilizza il computer per giocare possiede un monitor di grandi dimensioni tenuto a debita distanza. Chi invece si concentra nella redazione di un testo o nel ritocco fotografico, deve mantenere un rapporto più ravvicinato, con focus sui dettagli, anche se di natura statica. In entrambi i casi si raccomandano postazioni idonee. Poltroncine ergonomiche, con schienale regolabile e poggiatesta (quest’ultimo più indicato al gaming) tessuto traspirante della seduta e ruote pivot per un più facile spostamento. Il supporto del monitor deve permettere la sua inclinazione, pur se di pochi gradi, e la regolazione con l’altezza degli occhi. Tutto ciò al di fuori di pause che allentino la tensione non solo degli occhi ma della nostra schiena, spalle, ecc. In definitiva, vale la pena spendere qualcosa in più per un prodotto di qualità che afferma di salvaguardare i nostri occhi? Io direi proprio di sì. Non fosse altro per arrivare a fine giornata senza sfregarci continuamente le palpebre. Poi, valutate l’impatto del rapporto tempo / impiego che trascorrete davanti a questa periferica. Da rimarcare il fatto che i display di qualità non sono solo i monitor dei pc desktop. La situazione, con piccole variazioni, si ripercuote nel settore dei notebook come nei tablet e negli smartphone. Ricordatevi sempre che, un IPS tiene di più ai vostri occhi. La pecca però, in questo caso, è la più bassa reattività della grafica. Se, come già detto sopra, usate prevalentemente software di videoscrittura o DTP, con molta meno richiesta di velocità di variazione delle texture, investite pochi euro in più per un monitor da, diciamo, 24” – 27” targato IPS con bassa emissione di luce blue, comunque Eye care. Se, contrario, vivete tra le ultime versioni di Call o f duty e Resident evil, dovete pensare alla vostra salute in maniera diversa: sessioni meno intensive o più brevi, maggior distanza dal monitor e, quest’ultimo, di grandi dimensioni (32” o più); Purtroppo, i tempi di refresh degli IPS, che si aggirano sui 5ms, non possono competere con i monitor da gioco (1 o 2ms). Nel mondo di mezzo, il montaggio video, la situazione è senza dubbio più complessa. Durante la fase di progettazione si ha staticità, ma si entra nel vivo della dinamica nel rendering delle sequenze. Siccome in questo campo si usano più monitor, la soluzione, a mio avviso, potrebbe essere quella di interagire nella prima fase tramite un monitor Eye care, passando in veloce rassegna tramite un altro, di taglia ragguardevole, anche se meno rispettoso della nostra salute oculare. Pensiamo inoltre, in tutto questo contesto, alla giusta illuminazione. Una luce non eccessiva, distribuita uniformemente nell’ambiente può influenzare, nel bene, le nostre condizioni. Prediligete, fin quando e se possibile, la luce naturale proveniente da una grande finestra e, quando sarete costretti a utilizzare un neon o una buona plafoniera LED, attenti a non usare luci disposte a parete, direttamente alle vostre spalle, che darebbero luogo al fenomeno di riflessione sul pannello o lo renderebbero più “sbiancato”, costringendovi a strizzare gli occhi per riuscire a leggere i particolari. In definitiva, non lesinate proprio sul monitor! È un componente primario della vostra postazione di lavoro.


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Racconti e poesia

E' tempo che

di Patrizia Carlotti

Dimmi se mi ascolti amore mio
Questa vita poi cos’è
Lo dirà soltanto il tempo
Leggi, un libro aperto sono io
Confusione c’era in me
Ora ascolta l’anima leggera
Poi, mi addormento e chissà
Prendo tempo e un abbraccio avrò
Tu, ti appartengo, sto amando
Io cammino con te

È tempo voli via
Farfalla io sarò
Volteggerò nell’aria
Sincera resterò
È tempo che resti qui
Senz’ali non potrò
Volare mai
Ma amarti sì vorrei, vorrei
Rimani al mio risveglio amore mio
Di questo sogno che farai
Non gettarlo via da noi
Sì, la risposta io avrò
Dal cielo non dimenticherò
Amami e poi vola con me
Io cammino con te

È tempo voli via
Farfalla io sarò
Volteggerò nell’aria
Sincera resterò
È tempo che resti qui
Senz’ali non potrò
Volare mai
Ma amarti sì vorrei, vorrei

Respira questa vita amore mio
Questa vita che non dà
Più certezze in ogni età
Bambina tu mi chiami e gioco ancora
Con la gioia in ogni ora
Sei un regalo per me
Sei un regalo per me
Sei un regalo per me


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Vincere il sogno

di Massimo Scaligero

PROLOGO di Enzo Erra Spesso gli bastava una frase e talvolta una sola parola a metà di una frase, per aprire uno squarcio sull'enigma del cosmo. Massimo Scaligero non svelava l'enigma e già nel mostrarlo non lo stringeva nei termini categorici e raggelanti di un quesito da sciogliere. Non diceva: questa è la soluzione; e nemmeno: questo è il problema; conduceva gli amici che lo ascoltavano sulle soglie del mistero e sollevava il velo; poi, invitava ad aprire gli occhi e guardare, a tendere lo spirito e pensare: solo allo sguardo e al pensiero di ciascuno l'enigma si sarebbe disegnato e, nel prender forma, risolto. Era in quei momenti, che nella sua voce si sentiva vibrare l'arcano in tutta la sua sconosciuta potenza; saliva, allora, la tensione fino al culmine con un passaggio improvviso nella frase, nella parola, che si staccavano dalle altre per il loro potere assoluto. L'ignoto si annunziava ma non appariva: ora, da quel punto in poi, poteva apparire solo allo spirito di chi, avendolo intuito, avesse trovato in sé la volontà e la virtù di evocarlo. Posto dinanzi a sé stesso, anche un amico di vecchia data, un fedele discepolo che avesse attraversato altre volte la stessa esperienza, poteva provare un brivido di solitudine, sempre nuova, sempre ugualmente intensa: la solitudine di chi è stato accompagnato, guidato, sorretto fino al punto in cui deve vincere la paura del vuoto e saltare e sa che nessuno può sfidare il vuoto al suo posto, altrimenti sarà sempre un altro a balzare sull'opposta riva e non lui. Ma la sensazione, benché intima e acuta, non durava mai così a lungo per salire oltre un certo livello e quando la sua intensità si sarebbe potuta alterare, alterando sentimenti e pensieri, lo scenario era già mutato. Ora Scaligero faceva percepire la forza viva, calda, avvolgente di un mondo di spiriti superiori, teso tutt'intorno ai nostri spiriti umani; un mondo reale anche quando non percepito. Poi, quando lo riteneva necessario, spezzava del tutto l'incanto: una battuta scherzosa, un gioco di parole, una sortita in puro trasteverino, penetravano senza nesso apparente nel tessuto solenne e austero del suo discorso; sembrava che volesse ricondurci alla terra perché le altezze del cielo, troppo a lungo osservate, non ci recassero danno; ed era certo così; ma al tempo stesso voleva anche mostrarci -da lontano e con leggero rapidissimo cenno- che vi è un'altra faccia del cielo; e farci intuire, dietro i drammi, le lotte, i vortici e gli schianti nel cosmo, un'aura di serenità limpida e alta ove gli Dèi riposano nel loro stesso seno... Massimo Scaligero ha pubblicato in vita una trentina di libri e alcune migliaia di articoli; la serie dei volumi si racchiude in un ciclo unitario, che non descrive soltanto ma evoca in concreto la potenza assoluta del pensiero: eccezionale impresa, compiuta in poco più di venti anni, dai suoi cinquant'anni in poi. Gli articoli si aprono invece in un ventaglio più mosso e più vario, si proiettano nel tempo per oltre mezzo secolo e apparvero in ogni direzione: su quotidiani e settimanali, periodici mensili, rassegne di cultura ma anche di varietà e organi di categoria. Anche nella sua attività quotidiana il giornalista restava sempre, essenzialmente, un pensatore; per Scaligero nessun atto della vita era di ordinaria amministrazione e nessun impegno era secondario; e in tutto quello che faceva e diceva, in un articoletto d'occasione, nella discussione con un collega o con un amministratore, nelle parole scambiate con un operaio in tipografia o con uno sconosciuto al bar, inseriva lo stesso filo conduttore che faceva passare attraverso i suoi scritti maggiori, le sue conversazioni più alte; e richiamava, anche con un rapido lampo, la forza spirituale che in lui si esprimeva costantemente: perché nessuna parola restasse inutile e nessun momento della giornata fosse perduto. Per alcuni articoli Scaligero sceglieva già un tema di rispetto -filosofico, storico, religioso, esoterico; per altri, partiva invece dall'apparente banalità di un fatto di cronaca o da mutevole voga del costume, per scoprirvi un risvolto segreto e di lì risalire al significato universale che si cela in ogni vicenda umana. Si incontra, qui, uno Scaligero straordinario e imprevedibile -ben noto a chi ebbe la ventura di incontrarlo nel suo passaggio terreno- ma sorprendente e forse sconcertante: è lo Scaligero umorista o meglio l'immagine di quello che sarebbe stato Scaligero umorista, se avesse coltivato solo questa tra le tante corde che aveva al suo arco. Scaligero sfiorava la corda dell'ironia e del paradosso solo di rado, brevemente, con levità estrema e solo quando voleva mostrare che tutto si può -e si deve- osservare in una dimensione diversa da quella che abitualmente ci attornia e spesso ci soverchia: e la faceva vibrare perché la realtà del cosmo e della vita, del destino e dell'essere non si presentasse in modo esclusivo e quindi unilaterale e improprio, nel suo solo emergente aspetto drammatico. Qui, Scaligero mostra il risvolto che sempre si accompagna all'errore: l'aspetto ridicolo, grottesco, venato di comica stupidità ma anche d'inquietante paranoia. In primo piano, a sostenere l'azione, Scaligero chiama personaggi che incarnano l'errore nelle sue varie forme, lo realizzano, lo nutrono, gli prestano il veicolo necessario per muoversi e per agire nel mondo: sono indubbiamente i tramiti necessari, senza i quali storture, degenerazioni, malattie morali e mentali non discenderebbero nella realtà concreta, non potrebbero circolare e diffondersi: sembrano quindi i responsabili primi eppure, verso di loro Scaligero cambia tono: scherza senza ferire, bonariamente; e quando schizza i suoi ritratti con i segni della caricatura cerca poi di addolcirli con una nota comprensiva e giocosa; li avvicina insomma con un moto di solidarietà e d'intima partecipazione. In questi personaggi, nell'animarli con la sua fantasia, Scaligero non vede le cause del male ma le sue prime vittime; non la fonte diabolica del contagio ma la calamita umana che lo attira in gran parte, se ne fa carico, lo soffre e, nel prenderlo su di sé, ne esenta e ne libera altri. Scaligero ama queste sue creature e nel divertirsi alle loro vicende, nel caricarne i tratti, nell'accentuarne manie e difetti, non smette di amarli; e non solo come liberi frutti dell'inventiva e dell'estro ma come immagini vive della parte più vulnerabile, più esposta, più compromessa, più "prodiga" dell'umanità: più debole ma anche, segretamente, misteriosamente, più forte e più generosa, perché accetta di essere quella che è, pagando una più grossa parte del conto di tutti. VACCINO SONORO (di Massimo Scaligero) Al termine del concerto di musica elettronica, alla Sala Scoppoletta Drox, molti non c'erano più, perché se ne erano andati prima. Avevano pregustato la fine: perciò avevano giudicato inutile aspettarla. Alcuni altri, invece,erano rimasti sino alla fine, per vedere come potesse finire qualcosa che non si era ben sicuri che fosse effettivamente cominciato. Infatti, non si sapeva bene se la musica fosse quella dell'accordo iniziale degli strumenti non mai terminato, oppure la serie di colpi di tosse secca, o il russare subcosciente, o il trapestio di agitati piedazzi degli spettatori. Tra questi, serio e pensoso, talora con un'espressione di nobile tristezza, Ladislao Strifizza: vestito di nero, come richiedeva quella funerea occasione: funerea almeno a volerla giudicare secondo l'impressione di un critico che in simile elettronica manifestazione vedeva la frantumazione, la morte e la sepoltura del corpo musicale. Non era dunque abito da sera, ma da lutto. Data la situazione cadaverica di quella musica, il lutto si addiceva a Ladislao Strifizza. Vedeva e ascoltava. Non sedeva in piedi, ma seduto, ben sostenuto dalla poltrona solidale con tutte le altre poltrone che sorreggevano o sostenevano i sopportatori di quella musica. Alla ventisettesima dilacerazione timbrica sollecitante quasi la rottura timpanica, ma subito corretta da un fruscio raschiante come di scopetta su groppa di mulo, Ladislao Strifizza si volse a guardare il proprio vicino di destra: un occhialuto in stato di trance, né giovane né vecchio, né capelluto né calvo. Credette di vedere in lui qualcosa di peculiare: come una intenzione il cui senso sfuggisse ai rapporti propri a quell'ambiente. Da questa espressione e dal profilo capì di trovarsi vicino a un contestatore. Attese la pausa tra un tempo e l'altro, poi gli chiese: -Scusi, signore...-) Ehm, dica. -Lei ha capito? -) Che cosa dovrei aver capito? -Questa musica: il suo senso, il suo perché, il suo valore. -) Ma, caro signore, questa musica non va capita. Non l'ha capito? Si tratta di non capirla, anzi di sforzarsi di non capirla. -Già, ma io non la capisco senza fare sforzo. -) Male, signore: mi permette dirglielo. Lei è fuori strada. Lei deve sforzarsi di non capire, deve conquistare il suo non capire. Capisce? -Capisco: ma non capisco perché dovrei sforzarmi di non capire ciò che già riesco a non capire. -) Caro amico, altro è non capire, altro è capire di non capire e perciò vietarsi di capire mediante un atto della volontà. -Ma a che scopo? -)A che scopo? Ma non lo capisce? Si tratta di non voler capire, per impedirsi di sentire ciò che l'orecchio tuttavia ascolta. -Questo non lo capisco. -) Capisco. Le spiegherò. Io sono un contestatore e vengo qui a continuare la mia opera, perché nel riposare e nell'ascoltare, traduco questa musica in un contenuto contestatario. In fondo faccio qualcosa che non è nell'intenzione degli autori. -Ah! -) Siccome ormai siamo assediati dai rumori, fragori, suoni, strombetti, urla, guaiti, cigolii, spetazzamenti tonitruanti di motorini e simili, radio, televisori, urla, ecc.: siccome è urgente difendersi da sé, dato che nessuno ci difende, io vengo qui nella Sala Scoppoletta Drox ad ascoltare musica elettronica. In sostanza mi vaccino... -Si vaccina? -) Proprio: vengo qui a vaccinarmi, ossia a immunizzarmi, allenandomi a sopportare la sinesi dei cigolii, dei raschi, dei fragori, dei guaiti, dei pernacchi, ecc. – Ah, lei si vaccina in questo modo? -) Sì, debbo ringraziare questa meravigliosa accozzaglia di tritume musicale masticato e risputato a spruzzo, per l'aiuto che mi dà. Mi sforzo di non capirla perché, forse ora mi capisce, se dovessi capirla dovrei venire qui con i miei amici del movimento, lei mi capisce, a sfasciare tutto. Invece sono d'accordo con loro che questo non si sfascia. Questa musica, creda pure, è utile all'umanità. – Ah, è utile?... -) Più di quello che lei non pensi. Ci presenta in suoni la sintesi di questa civiltà: le ordinate meraviglie del progresso tecnologico, dell'elettronica e del caos mentale. I suoni prorompenti e i gracidii a singhiozzo, le note espulse e proiettate in aria, come gli erutti sincopati, stanno a darci un'impressione immediata della situazione della civiltà. -Ma guarda!... -) Forse la musica non è espressione della cultura? E allora? -Ma è utile... -) Sì, alla vaccinazione contro i rumori, da cui nessuno più ci difende, malgrado un preciso articolo del Codice Penale. Pensi che da principio io credevo che la musica elettronica fosse una geniale trovata dell'Associazione Italiana contro i rumori; mi pare si chiami così. -Molto interessante. Quindi, se ho ben capito si tratta di venire qui con l'idea di non dover capire niente e di accogliere come un siero immunizzante il virus musico-elettronico. -) Proprio così, amico: non si può non ricorrere ai rimedi radicali, ormai. Non sente lei che intensificandosi l'accerchiamento della civiltà dei consumi, di tutte le grane, i fastidi, le fatiche, i trabocchetti, i bidoni, le mistificazioni, gli imbrogli della vita attuale, viene voglia talora di rispondere con un potente pernacchio? -Forse... -) Ebbene, lei pensi che la musica elettronica non è altro che il pernacchio analitico: l'insieme di tutti questi suoni, ricostituito, è il pernacchio. Quello che noi contestatori non possiamo fare, qui è fatto, lo ascoltiamo. E ne siamo consolati: un qualche balsamo scende nei nostri cuori, ascoltando i suoni mediante i quali il pernacchio esplodente della nostra anima si eleva, si espande nell'aria, sibila e gorgheggia e prorompe elettronicamente. -Ora capisco. - Non si tratta di capire qualcosa! -Ah, ho capito! LA LOGICA MATEMATICA Non si può troppo accusare il giovane neo-sofo che l'altra sera al Circolo Minerva, durante un dibattito riguardo al valore dell'attuale filosofia, ha osato affermare che l'umanità sarebbe salva se i discorsi degli uomini politici potessero avere una misura matematica, ossia fossero traducibili in espressioni matematiche, dalle quali indubbiamente risulterebbero sofismi, antinomie, contraddizioni e imbroglietti, ordinariamente inavvertiti. - I discorsi, o le idee? Obiettò un ascoltatore. Al che il giovane neo-sofo reagì con qualche collera, perché non poteva ammettere che si distinguesse il discorso dall'idea. -Mi citi un'idea che non sia discorso. Non esiste altro pensiero se non quello che può essere detto in parole. E soltanto dalle parole possiamo avere la misura della giustezza di un pensiero. Il giovane neo-sofo, che si chiamava Ciccio Apartàsa, era infatti un imbevuto, un entusiasta, un trafitto, della logica simbolica: un neopositivista, un logico-matematico, o un logista: un meditatore del Trattato di Wittgenstein e dei Prolegomeni aritmosofici di Hans Kuflas. Ossia apparteneva a quella recente corrente di studiosi che, partendo dalla matematica, è entrata, forte del suo matematismo, nel campo della filosofia, rovesciando tutto, tutto rivedendo. Sono entrati da padroni probabilmente perché la cittadella della filosofia non disponeva più di quei formidabili combattenti del pensiero che, avendo in sé tutto il filosofare, possedevano, tra l'altro, anche il pensiero matematico: non perché fossero matematici, ma perché, essendo pensatori, non potevano non possedere anche quella forma del pensiero che si esprime come razionalità matematica. -) Non le posso citare un'ideai che non sia discorso, ribatte l'obiettore, ma se le posso esprimere in modi diversi lo stesso pensiero, è segno che esiste un momento dell'attività pensante che è indipendente dalle parole. -Sì, ma provi a pensare qualsiasi pensiero, caro signor... - Eleuterio. Eleuterio Trippacorta. -Signor Eleuterio, provi a pensare qualsiasi pensiero e vedrà che può pensarlo proprio perché lo riveste di parole. Non c'è pensiero senza parole. Ossia, potrebbe anche esserci, ma a noi non interessa, perché ciò che deve esser detto non può esser detto mediante un pensiero inespresso, ossia mediante il pre-discorsivo pensiero, ma deve esser detto in parole. Ecco il discorso. Ecco la necessità della logica. Ciò che deve esser detto, deve esser detto con chiarezza. Molti dei presenti assentivano, ma era chiaro che Eleuterio non era convinto. Guardava il suo interlocutore con indulgenza, forse con appena accennata ironia: si capiva che la sapeva lunga in fatto di logica. Forse non lo capivano tutti, ma a qualcuno era evidente. -) Scusi, signor Ciccio, che cosa è la logica, secondo lei? -La logica? Ma tutti sanno che è la scienza scienza del pensiero... - Questo è l'errore, caro amico. La logica non è la scienza del pensiero, ma, se mai, la scienza della forma del pensiero. Lei ha forse imparato a pensare dalla logica? Non posso crederlo. Anzi, dovrei crederlo, dato che il suo pensiero si mostra alquanto limitato. -Come osa!? -) Oso. -Lei vaneggia. -Non vaneggio, signor Apartàsa, ma mi attengo al principio attivo di ogni logica, compresa quella che lei afferma senza possederla. A questo punto Ciccio Apartàsa si tolse gli occhiali, li infilò in tasca e avanzò verso il suo obiettore; puntò il dito minaccioso verso di lui e disse: -Sappia che la logica matematica, che è la vera logica, io la posseggo come lei possiede la sua trippa. E se lei insiste nel suo sragionare... -)Vede, signor Ciccio, che lei non è né logico né matematico! Lei afferma perentoriamente che io posseggo la mia trippa, come se lei fosse in me e lo sapesse: questa arbitraria analogia dovrebbe farmi intendere come lei possegga la matematica. Al tempo stesso si lascia prendere da furore, che non è matematico né logico, ma è soltanto la logica della sua situazione psichica non ben controllata dal pensiero e perciò da nessuna logica. Lei è dominato da forze dotate di una logica che lei stesso non conosce. Perciò lei è un sofisma inconsapevole, ma operante in quanto sofisma incarnato. Lei è un sofisma incorporato, divenuto persona fisica, che dà forma di logica simbolica alla sua condizione sub-dialettica. In quel momento era evidente che il neo-sofo logico simbolico, richiamato ai suoi principii di matematicità dello stile e di indipendenza dagli stati d'animo, compieva un grande sforzo per ritornare calmo, inalterabile, e per far funzionare il potere matematico del suo logismo. Si rimise gli occhiali, si ravviò i capelli, tossì alquanto, girò intorno lo sguardo, colse l'espressione perplessa degli ascoltatori, sentì che doveva pur dire qualche cosa. E disse: -Siamo veramente d'accordo, signor Eleuterio. Perché lei ha potuto dire ciò che pensa di me proprio in quanto lo ha espresso in proposizioni logiche, ossia secondo quanto io affermavo riguardo al discorso, che è il veicolo senza il quale le idee non possono essere espresse. -) Certo che siamo d'accordo, signor Ciccio, ma soltanto in quanto lei ora conferma quanto io sostenevo,ossia l'esistenza di idee che possono essere espresse, proprio per il fatto che possono anche non essere espresse, essendo una realtà prima della veste discorsiva con cui appaiono. -Ma certamente! --Evviva! Gridò a questo punto il presidente del Circolo. --Evviva! Fecero eco gli altri e ci fu anche un hip hip urrà appena accennato, ma schietto, veramente simpatico. Fu a questo punto che vennero distribuiti i panini all'acciuga e versata in minuscoli bicchieri la vernaccia e la pace dialettica consacrata. I cuori sentirono letizia per la prima volta nella serata. Le cose andrebbero bene se ogni volta si svolgessero come nella scena descritta, perché sarebbe un nulla di fatto: la dialettica dimostrerebbe se stessa, ossia di essere nulla. Ma è purtroppo il nulla che si crede essere qualcosa: non si conosce come nulla.Sarebbe la salvezza dell'uomo, se si realizzasse come il nulla: perché da quel punto potrebbe nascere qualcosa. Questo niente organizzato in forma sistematica, secondo la precisione e l'automaticità di un congegno meccanico, è la cosiddetta logica matematica, il fiore del neopositivismo, la suggestione recente che ha afferrato legioni d'intellettuali e che va sgretolando le ultime basi della fatiscente fortezza della filosofia: ove non sono più pensatori, ma soltanto intimiditi custodi di vestigia dialettiche: di forme imbalsamate o mummificate. Filosofanti che non hanno più la filosofia, perché non hanno più fiducia nel pensiero, con cui tuttavia pensano, perché non sono convinti della loro buona causa, non credono in ciò che pur professano, hanno perduto la distinzione tra pensiero vivente e discorso. Simultaneamente i tecnici del discorso stanno organizzando ferreamente il loro sistema, per giungere alla logica alla quale infine non sfugga la verità, la sua misura essendo la matematica. Essi pensano che una volta costruita una tale logica, sulla base delle esatte definizioni delle parole, e della correlazione matematica delle proposizioni il pensiero umano sia infine obbligato a una precisione che in sé non ha: anzi, secondo essi, non ha mai avuto compiutamente per l'insufficienza di struttura matematica delle antiche logiche. Dunque, il pensiero ha bisogno della logica simbolica per inverarsi, venendo chiaramente espresso, ma non si è abbastanza pensanti, o lucidamente pensanti da avvertire che senza il pensiero non ancora costretto dalla logica simbolica, questa non potrebbe essere né concepita né costruita. Perché è il pensiero non ancora legato alle parole epperò a determinati significati, quello che può scegliere le parole e dare le definizioni che ancora non esistono: onde la chiarezza logica che si presume nel discorso è la chiarezza che il pensiero ha già in sé. E le stesse definizioni, una volta stabilite, non funzionerebbero se non fosse il pensiero, indipendente da esse, a riconoscerle. Questa logica simbolica non è sufficientemente logica per capire che il suo gioco è un voler restringere in un ambito di discorsività matematica l'infinità creatività del pensiero così da limitarla nell'espressione della meccanica già invalsa nella vita: così da farne un esercizio angustamente numerico che estinguendo o meccanizzando le forze del pensiero, è una via per l'incretinimento dell'uomo. Perché il ritenere la struttura matematizzata della logica sia infine la via alla fissazione della verità è lo stesso che ritenere il manubrio di ferro che l'atleta solleva, il produttore della sua forza: così che il problema è perfezionare il manubrio. Diciamo che è una via all'incretinimento perché è il costringere le forze del pensiero a un angusto automatismo (che potrebbe essere utile qualche volta come puro esercizio mentale, tra tanti altri possibili) che le àltera e le distrugge, se dallo stesso pensiero non viene riconosciuto per quello che è. Un prodotto del pensiero non può sostituirsi al pensiero. Purtroppo il mondo è sempre più popolato di esseri che preferiscono i prodotti del pensiero già belli e preparati, piuttosto che pensare Esistono prodotti del pensiero -assai rari- che sono capaci di stimolare le forze vive del pensiero perché fanno appello al loro libero movimento; ma esistono prodotti del pensiero -e sono i più- il cui compito è smorzare e uccidere il pensiero. Uno di questi è la logica simbolica, la quale usa il pensiero contro il pensare stesso, in quanto se ne serve per costruire il suo sistema, ma al tempo stesso lo taglia fuori facendo dipendere la giustezza dei giudizi e delle proposizioni dal loro rapporto matematico, senza avvertire che anche in questo caso ricorre al pensiero indipendente dal discorso, per riconoscere in questo i legami logico-matematici. Elevando la logica simbolica a misura della verità, si attribuisce valore spirituale a quella veste discorsiva del pensiero, che non sarebbe che nulla senza il pensiero: si fa del discorso il fondamento da cui scaturisce il valore. Non altrimenti il primitivo riveste di vita spirituale la cosa o l'oggetto di cui non sa penetrare l'essenza L'idolatria dell'oggetto diviene per il logista simbolico la discorsività metafisicizzata -mentre pretendeva distruggere tutta la metafisica- ma metafisicizzata senza saperlo: perciò una forma attuale dell'idolatria.


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In ricordo di Willy

di Antonella Iacoponi

A Willy Monteiro Duarte Colleferro, Roma, 06 settembre 2020

Le bestie hanno insozzato il piccolo fiore,
con la loro arroganza, la loro stessa presenza,
lo hanno dilaniato lentamente,
ne hanno straziato i petali,
strappandoli con forza, ad uno ad uno,
gettandoli nel fango, quali inutili detriti;
il sangue si riversava a terra,
in mille rubini, forieri di morte…
Nessuno aiutava il piccolo fiore,
sebbene le ferite inferte, assai profonde,
fossero perfettamente visibili!
Hanno continuato a calpestarlo,
ancora e ancora, indisturbati,
ridendo e dandosi di gomito,
lo hanno preso a calci, schiacciato a terra,
ne hanno tirato via lo stelo,
lanciandolo lontano, come
uno sporco mozzicone di sigaretta;
adesso, giace là, scomposto, senza vita,
monito accorato per tutti noi.


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Voglio pregare. Dal romanzo Anna, la luce oltre

di Vito Coviello

Voglio pregare: Sono in un letto dell'ospedale di Lavinia, intubata e con una maschera che mi dà ossigeno per farmi respirare. Al mio capezzale il mi’ figliuolo che piange mentre il cappellano dell'ospedale mi impartisce l'estrema unzione. Credo di essere arrivata alla fine dei miei giorni, e di tutte le mie sofferenze. Speravo di guarire, per poter diventare nonnina, magari di una bella nipotina, e di poter sentirmi leggere da lei, il mio diario con la mia vita, scritta dal mio caro amico Vitaliano. Ormai sono rassegnata e serenamente voglio andarmene pregando con una mia preghiera: Voglio pregare. Voglio pregare per tutti quelli che come me ciechi, hanno negli occhi il buio della notte più scura. Voglio pregare, per chi ha nella propria vita, il buio della disperazione più nera, e non ha ancora trovato la luce della speranza, e la luce di nostro Signore. Voglio pregare, per tutti quelli che alla ricerca di una vita migliore e senza guerre oscene e fratricide, abbandonano la terra dei propri padri, attraversando, confini, mari e deserti, per raggiungere, la terra promessa. Prego per tutti quelli che sono morti attraversando, confini, mari e deserti, alla ricerca di un porto sicuro. Voglio pregare, per tutte le donne, i bambini, e tutti gli innocenti, che ogni minuto, in una assurda mattanza senza fine, gli viene scippata la vita, le loro speranze ed i sogni di pace e tranquillità, nell'indifferenza di tanta gente, cosiddetta civile. Voglio pregare per tutti quelli che per vecchiaia, malattia o pandemia non sono più qui, perché volati in cielo, tra gli angeli, nella pace di nostro Signore. Voglio pregare per i miei cari, ed anche per me, che ho il buio negli occhi, perché non mi abbandoni mai, la luce di Dio. Voglio pregare anche, per quelli che hanno il buio più nero nell'anima, e che nel cuore, arido di sentimenti, hanno solo sabbia, di un arido deserto, spazzato dal vento infernale dell'indifferenza, e dell'egoismo. Voglio pregare e ancora pregare il nostro Signore per tutti noi, perché i suoi angeli ci possano aiutare e proteggere sempre. Voglio pregare, per il mio amato figlio, Attilio e per la sua compagna, per il mio amico Vitaliano, come me cieco e per sua moglie Luna e per il mio caro cugino Nino. Voglio pregare, per l'anima mia, che presto sarà al cospetto della luce di Dio, e voglio, prima di prendere l'ostia consacrata, chiedere perdono a nostro Signore, di tutti i miei peccati. Ripeto ancora a mente la mia preghiera sperando che Dio e la madonnina l'ascoltino, e che nostro Signore perdoni, tutti i miei peccati. Anna D’Eusebio


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Guarda

di Vito Coviello

Guarda i fiori, i loro colori, le ali delle farfalle, i loro bellissimi colori,
un arcobaleno dai mille colori
guarda il rosso di un tramonto infuocato e pensa a quanto è bello il mondo.
Guarda gli occhi dei bambini, e pensa al miracolo della vita.
Alza gli occhi al cielo nero della tua notte buia e guarda gli infiniti mondi e pensa che non siamo soli.
Guarda tra le stelle del firmamento infinito e vi troverai scritto il tuo nome.
L'ha scritto per te nostro Signore, ed allora pensa e ricordati che non sarai mai sola o mai solo.
Lui è sempre al tuo fianco, sempre, a te, accanto,
per accompagnarti e proteggerti nei sentieri della vita.


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Poesia onesta

di Antonella Iacoponi

21 giugno 2022

Da sempre, mi accompagna una poesia onesta,
non sparla delle altre, né tantomeno è invidiosa,
nasconde la parte più segreta,
mostra soltanto le lunghe gambe abbronzate,
in questo solstizio d'estate,
si riveste di endecasillabi,
colorati con sinestesie, onomatopee,...
a ornare ogni verso, un fiore con aromi di fantasia,
appuntato sul foglio, con graffette di armonia;
poesia morigerata, ma non timida:
forte e incisiva all'occorrenza,
quando denuncia iniquità e ingiustizie sociali!
Adesso, distende le gambe sulla riva del mare,
e canta tutto il repertorio delle emozioni,
con strofe spruzzate di porpora,
e suoni di zufoli;
il titolo, a fungere da parasole.


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Riflessioni e critiche

Una vera amica sì, ma a quattro zampe!

di Rita Bini

voglio parlarvi di una amica speciale, a me molto cara. Affettuosa, dolce, stupenda, intelligente, furba, insomma potrei scrivere una infinità di aggettivi. Tutti gli starebbero bene! Peccato però che questa stupenda amicizia sia durata solo 8 anni, un tempo troppo breve per noi umani ma forse più lungo se rapportato al ciclo di vita del cane. Naturalmente sto parlando della mia dolce cagnetta Kora. L'avevamo presa quando aveva solo due mesi di vita, era un incrocio tra un Pinscher e un Volpino. Era tutta nera, piccolissima, ma con quegli occhietti vispi e al tempo stesso, furbi. dotata di una intelligenza spettacolare e di una dolcezza infinita. Decisi di accontentare mia figlia che essendo "figlia unica" voleva una compagnia, un cagnolino, e così, io, andando contro le idee di mio marito, ma solo perché dove abitavamo prima, l'appartamento non era tanto grande, ma avevamo una lunga veranda, e lui diceva che un posto per un cane non c'era. Poi un giorno tempestoso, e lo dico veramente, quel pomeriggio pioveva a dirotto, ci telefona la proprietaria del negozio dove fanno il bagno e la tosatura agli animali. dicendomi che c'era una cagnolina di taglia piccola, se volevamo andare a vederla in quando i loro padroni non potevano tenerla. Appena mia figlia ha saputo la bella notizia non stava più nei panni per la contentezza, così a piedi, siamo andati al negozio. La cagnolina, un po’ tremante, forse per il freddo, scodinzolava la sua piccola coda, e ci faceva le feste. Quel giorno abbiamo conosciuto anche i suoi proprietari, era una coppia di giovani sposi con una bambina di appena un mese, e volevano dar via la cagnetta, perché non avendo ancora esperienza, non sapevano se badare una o l'altra, e per questa ragione la avrebbero regalata ad una famiglia che l'amasse veramente. Noi eravamo al settimo cielo, ma io, al tempo stesso, ero timorosa non sapendo come l'avrebbe presa mio marito, che quel giorno era al lavoro e sarebbe tornato alle venti, ma alla fine vinse la voglia di stare con lei! Appena tornate a casa, felici più che mai abbiamo cercato di sistemare alla bene meglio la cagnetta, che avendo il pelo corto ed essendo ancora piccola, tremava tutta. Quando arrivò mio marito i miei timori svanirono in pochi istanti! Dopo la sorpresa iniziale lui disse divertito, "anche stavolta avete vinto voi eh!". Infatti, appena la cagnetta ha iniziato a fargli le feste, lui si è intenerito, la accarezzava, l'ha presa in braccio mentre lei si accucciava tra le sue braccia, insomma è stato amore a prima vista! In questi pochi anni di vita vissuta insieme a noi ne ha combinate di tutti i colori! Lei era una giocherellona, ma era anche tanto affettuosa e sensibile tanto che se a casa mancava un componente della famiglia lei lo aspettava. Praticamente lei non mangiava se prima non ci vedeva tutti e tre seduti a tavola. ricordo, era il primo Natale che trascorrevamo insieme a Kora, e come tutti gli anni, sotto l'albero avevamo sistemato i regali, compreso il suo, era un pupazzetto con la pepita che produceva un forte suono. Io avevo raccomandato ai miei familiari, di tenere chiusa la porta del salone, perché avevo paura che se fosse entrata la cagnetta, avrebbe distrutto l'albero di Natale, ma un giorno, mentre ero nel corridoio al telefono. evidentemente qualcuno aveva dimenticato di chiudere la porta della sala, mi vedo arrivare Kora, con in bocca il suo pupazzetto, che tutta felice e contenta, stringendolo tra i denti, lo faceva suonare all'impazzata! Io ho dovuto chiudere la telefonata in fretta e furia, prima, per andare a controllare se l'albero fosse tutto intero, e poi volevo rincorrerla per farmi dare il pupazzo perché mi stava stordendo con quel suono! Ma non cera verso, la furba si nascondeva dietro a qualche mobile dove io non potevo prenderla! Appena è arrivata mia figlia da scuola, gli ho detto di andare a vedere cosa aveva combinato sotto l'albero di Natale. Voi non ci crederete.ma i regali erano tutti in ordine come li avevamo messi! e anche il suo regalo. o meglio dire, anche la sua carta regalo, era messa là dove l'avevamo lasciata! ma allora, ci siamo chiesti, come ha fatto a prendere e sfilare il pupazzo ed essere tutto in ordine? la furbetta, forse annusando tutti i regali, ha capito che quello era il suo, ha fatto un buchino da un lato, e ha sfilato il suo regalo, come ha fatto, non lo so. Ora ve ne racconto un'altra delle sue! Un giorno, dopo aver bevuto il caffè insieme a mia cognata siamo uscite fuori in veranda, a fumare una sigaretta, quando ad un certo punto, vediamo arrivare Kora, sempre tutta felice e contenta, con in bocca una sigaretta presa dal pacchetto di mia cognata, che aveva lasciato sul tavolo in cucina! ed il bello era che, l'aveva messa in bocca dal lato giusto, e cioè, dal filtro! altra rincorsa per poterla prendere, perché avevamo paura che avrebbe mangiato la sigaretta. ma intelligentemente poi l'ha gettata a terra, comunque era troppo bella con la sigaretta in bocca! Ma la cosa più strabiliante, è stata una notte mentre noi dormivamo, compreso Kora nel suo cesto. Verso le due di notte e venuta nella nostra camera da letto e abbaiando e strattonandomi cercava di svegliarmi. Io, un po’ meravigliata, considerando che non veniva mai nella stanza da letto la notte ma vinta dal sonno lo accarezzata sulla sua testolina, e mi stavo girando dall'altra parte. Lei ha ricominciato piu insistente di prima e allora stavolta mi sono svegliata intuendo che qualcosa non andava. Mi sono alzata e appena messo i piedi sul tappeto, mi sono accorta che era completamente bagnato. Al momento. stavo per arrabbiarmi con Kora perché pensavo che avesse fatto la pipì sul tappeto, però sentivo che esso era troppo inzuppato di acqua, e così ho svegliato mio marito, che subito si è alzato, e kora correndo l'ha portato nel bagno, dove ha notato che c'era una perdita di acqua da sotto il lavello. Insomma, non vi dico che nottata abbiamo passato, ma abbiamo ringraziato tantissimo Kora che accorgendosi della perdita di acqua ci ha evitato un allagamento di tutta la casa con danni anche ai piani sottostanti. Naturalmente potrei raccontare altre avventure e altre storie nelle quali Kora e stata protagonista ma non voglio allungare troppo questo mio racconto dedicato a un essere vivente che da quando e andato via per sempre ha lasciato un vuoto incolmabile dentro di me e la mia famiglia. Kora è morta a soli otto anni, dopo che gli è stato diagnosticato una brutta forma di diabete probabilmente dovuta a un intervento al colon. L'abbiamo trovata la mattina del 13 giugno alle ore sei dietro il portone di casa mentre esalava l'ultimo respiro. Ci guardò con i suoi occhietti dolci e a noi ci parve che volesse dire "Ciao carissimi amici miei, io me ne vado, grazie per l'avermi voluto così tanto bene...!" Grazie Kora per tutto cio che ci hai dato e che mai dimenticheremo.


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Oltre l'apparenza: alla ricerca della sensibilità perduta

di Clemente Palladino

La mancanza di sensibilità nel mondo di oggi è un vero flagello che spesso mi lascia senza parole. Viviamo in un'epoca in cui molte persone sembrano perse nell'illusione dell'apparire, trascurando completamente il valore profondo delle emozioni e delle connessioni umane. È sconcertante vedere come molti individui mettano in scena una sorta di spettacolo della propria vita, cercando costantemente di ottenere like, follower e commenti di approvazione. Si preoccupano più di quanto sono belli o attraenti, piuttosto che di sviluppare una personalità autentica e di valore. Questo atteggiamento superficiale ha effetti devastanti sulla nostra società. La mancanza di sensibilità e di empatia impedisce alle persone di comprendere e affrontare le sfide che affliggono il mondo. Diventano indifferenti alle sofferenze altrui, concentrando tutta la loro attenzione sulla costruzione di un'immagine perfetta. La vita diventa così una competizione continua, una gara verso l'applauso e l'ammirazione degli altri. Ma cosa c'è di così gratificante nel ricevere attenzione superficiale da persone che non ci conoscono veramente? Perché diamo così tanto valore all'approvazione esterna, ignorando completamente la nostra autenticità interiore? Siamo diventati una società in cui le maschere sono la norma. Le persone si nascondono dietro filtri e pose, cercando di presentarsi come qualcosa che non sono veramente. Ma la triste verità è che, dietro quelle facciate finte, spesso si nasconde una profonda solitudine e insoddisfazione. Per rompere questo ciclo senza fine, dobbiamo recuperare la nostra sensibilità e riscoprire la bellezza delle emozioni genuine. Dobbiamo smettere di vivere per apparire e iniziare a vivere per sentire. Dobbiamo riaccendere la fiamma dell'empatia dentro di noi e iniziare a guardare oltre le apparenze. È tempo di abbracciare la vulnerabilità e di connetterci autenticamente con gli altri. È tempo di mettere da parte le maschere e di mostrare il nostro vero io. È tempo di abbracciare la compassione e di essere presenti per coloro che ci circondano. La vita è molto più di una serie di foto perfette e di messaggi studiati. È un'esperienza complessa e affascinante che merita di essere vissuta pienamente. Non lasciamoci ingannare dall'illusione dell'apparire. Siamo qui per essere autentici, per amare e per essere amati. La sensibilità e l'emozione sono la linfa vitale dell'anima umana. Non lasciamo che il desiderio di apparire ci rubi la gioia di vivere e la capacità di connetterci veramente con gli altri. Rompiamo le catene dell'indifferenza e dell'egoismo e lasciamo che l'amore e la sensibilità guidino i nostri passi. Il mondo ha bisogno di cuori aperti e di anime sensibili. Siate voi il cambiamento che volete vedere.


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Tempo libero

Barbara Menoni e il baseball

di Giuseppe Lurgio

Lettrici e lettori, in questo numero vi parlerò del baseball per non vedenti, ma forse e meglio dire che ve ne parlerà un ospite di questo salotto virtuale che gentilmente ha accettato di fare quattro chiacchiere con me! La nostra ospite e Barbara Menoni, giocatrice di baseball e ora anche presidentessa della Commissione Bxc che promuove il baseball ciechi in Italia. Il baseball per non vedenti e uno sport abbastanza giovane ma che stà rapidamente diffondendosi in Italia e all'estero. Infatti questo gioco è stato inventato e brevettato in Italia e perfettamente adattato per “atleti ciechi” da Alfredo Meli, un giocatore di baseball di Bologna, con alcuni suoi compagni di squadra. Tutto iniziò nel 1993 e il 16 ottobre 1994 si giocò la prima partita ufficiale. Ci vollero poi un paio di anni con Tornei e partite dimostrative per farsi l’esperienza e mettere a punto le regole del gioco. Nel 1997 organizzata dai “Volontari BXC” si è svolta la prima Stagione Agonistica ufficiale (Campionato Italiano e Coppa Italia). Nel 1998 a cura di nove soci fondatori è stata costituita la AIBXC onlus (Associazione Italiana Baseball giocato da Ciechi) Bene dopo questa mia breve introduzione diamo la parola a Barbara che ci spiegherà meglio di me il baseball e tanto altro!
D.) Bene Barbara, prima di inoltrarci in domande per così dire più "impegnative" potresti spiegare sommariamente ai nostri lettori che non ti conoscono chi è Barbara Menoni nella vita e nello sport? R.) Buongiorno a tutti, innanzitutto grazie mille per l’opportunità che mi avete concesso, sono Barbara Menoni, sono diplomata in lingue e impiegata in un ospedale di Brescia, ho tre figli, sono consigliere federale della FIBS (federazione italiana baseball e softball), ricopro la carica di vice presidente nella mia società sportiva, La Leonessa bxc e da poco sono stata nominata dal presidente federale, presidentessa della commissione BXC, che sotto l’egida della federazione si occupa di promuovere il baseball per ciechi laddove non è ancora diffuso. D.) Come è nata in te la passione per il baseball? C'è stato qualcuno, o forse un episodio che ti ha portata a scegliere questo sport piuttosto che un altro? R.) Io ho sempre praticato sport fin da bambina, ma erano sempre tutte attività individuali, poi un giorno nel mio ufficio è stato assunto un ragazzo che praticava il baseball e ogni lunedì mi raccontava delle partite, così mi sono incuriosita ed ho deciso di provare. D.) Ci spieghi come fa un non vedente a giocare a baseball? R.) Il baseball per ciechi è adattato completamente alle esigenze dei non vedenti pur mantenendo quasi totalmente le regole del gioco originale, si gioca servendosi di ausili sonori, in parte elettronici ed in parte prodotti dagli assistenti vedenti. D.) Secondo te, per quale ragione un non vedente dovrebbe scegliere di giocare a baseball? R.) Io piuttosto spesso mi chiedo perché i non vedenti non lo scelgano!!!! Comunque, scherzi a parte, questa disciplina oltre ad essere totalmente inclusiva, poiché si gioca in squadre composte da vedenti e non vedenti di entrambi i sessi, contribuisce in modo significativo alla percezione spazio-tempo migliorando molto l’autonomia e la sicurezza per le persone non vedenti, tutto ciò si riversa positivamente anche nella vita quotidiana. D.) Dal 1993 a oggi il baseball per non vedenti ne ha fatta di strada! Tu che l'hai visto crescere ci fai una breve panoramica dell'attuale campionato? R.) Attualmente in Italia ci sono 12 squadre in grado di disputare un campionato nazionale: 4 in Lombardia, 1 in Friuli, 1 in Emilia Romagna, 2 in toscana, 1 in lazio, 1 in Umbri a e 2 in Sardegna, si sta lavorando alla crescita di nuove realtà in Sicilia, in Calabria e in veneto; mentre per quanto riguarda il panorama internazionale siamo riusciti ad arrivare in Inghilterra, Francia, germani, Olanda, USA, Pakistan e Cuba, il sogno sarebbe quello di arrivare alle paraolimpiadi. D.) Pensi che questo sport nel corso degli anni possa e debba ancora evolversi e migliorare o va bene così come è adesso? R.) Come in ogni cosa, nella vita e nello sport si può e si deve sempre migliorare, anche perché più passa il tempo e più il livello agonistico si alza quindi è inevitabile che sia sempre in evoluzione. D.) So che state cercando un nuovo campo dove potervi allenare ma finora con scarsi risultati. Se ti va, parlane pure e lancia anche attraverso il nostro periodico un appello, chissà mai vi porteremo fortuna! R.) Sì! Purtroppo, a Brescia nonostante sia presente anche una società di baseball normodotati che tra l’altro gioca in serie A, da tre anni ormai non abbiamo un campo dove disputare le partite casalinghe e dove poterci allenare, quindi, siamo costretti ad andare a Bergamo. D.) Hai qualche progetto o evento che a breve si realizzerà riguardante sempre il baseball? R.) Come già detto prima, sto lavorando sulla Sicilia e la Calabria, ad ottobre, si svolgerà il secondo torneo dello stretto, dove le nuove formazioni potranno affrontarsi. D.) Oltre allo sport, al lavoro e alla famiglia, ti resta un po’ di tempo per qualche hobby? R.) Purtroppo, di tempo me ne rimane davvero poco! Oltre tutto ho deciso, proprio in questi giorni, di candidarmi alle amministrative della mia cittadina giusto per impegnare anche quel poco che mi rimaneva!!! Ma va bene così! Riuscire a fare qualcosa di buono per gli altri mi dà soddisfazione e mi fa stare bene. D.) Bene Barbara, siamo oramai giunti alla fine di questa piacevole chiacchierata. Prima di salutarci ti chiedo di lasciare per i nostri lettori un breve aforisma o un motto o una frase che spesso usi. R.) E come si dice a Brescia: non si molla mai! D.) Bene, io e la redazione ti salutiamo e ti ringraziamo per averci onorato della tua presenza. R.) Grazie a voi e spero di non aver annoiato i lettori, in ogni caso se qualcuno volesse approfondire la conoscenza del baseball io rimango a completa disposizione, potete tranquillamente contattarmi ai seguenti recapiti: Cell. 347 25 65 853 E-mail barbaramenoni@gmail.com


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Per mangiarti meglio

di Annalisa Conte

È consuetudine considerare il cibo uno dei piaceri della vita, ma per me non è mai stato così. Non è semplice per me spiegare il perché, ma ho sempre provato una sorta di paura, di timore nei confronti del cibo, e la paura principale è sempre stata quella di stare male, perché effettivamente fin da quando ero piccola, spesso stavo male per colpa del cibo. Ora, la certezza che la colpa fosse proprio del cibo, è chiaro, non ce l’avevo, ma sta di fatto che da piccolina, ma proprio molto piccola, mi ricordo di costanti mal di pancia e di aver avuto spesso voglia di vomitare. Ero terrorizzata dal fatto che qualcuno potesse costringermi a mangiare, perché se qualcuno lo avesse fatto, anche solo per farmi mangiare una briciola in più, il mio stomaco si sarebbe opposto. Credo di poter affermare che è verissimo che se qualcosa ti traumatizza da piccola, poi non la dimentichi più. Ricordo come se fosse ieri che mia mamma, quando andavo all’asilo, si era raccomandata con la suora per non forzarmi assolutamente a mangiare, se non avessi voluto la merenda. Nell’asilo che frequentavo io però, durante la ricreazione, le suore affidavano i bambini alle “SIGNORINE”. Proverò a raccontarvelo come lo vivevo io a quattro anni. Le signorine erano degli esseri mitologici metà donna e metà Crudelia Demon, assunte, sempre secondo la mia visione di quattrenne, per obbligare i bambini a finire la merenda, ricorrendo a metodi non sempre ortodossi. Non so, magari erano state delle bambine povere che non avevano avuto nulla da mangiare e non tolleravano lo spreco del cibo, ma sta di fatto che a fine ricreazione ci mettevano in fila e, neanche fossero della Gestapo, passavano ad ispezionare ogni cestino della merenda, per controllare se noi bambini l’avessimo mangiata altrimenti ci avrebbero obbligato a farlo. Una mattina io me ne stavo lì a mangiare la mia girella Motta srotolandola accuratamente, immagino abbiate tutti presente come sia fatta una girella, ma dopo pochi morsi, come mio solito, non ne avevo più voglia, ma ora che fare? Nel cestino della merenda no, perché durante l’ispezione della Gestapo, mi avrebbero obbligata a mangiarla, tra l’altro sotto tortura, quindi, con tutta la mia astuzia di bambina di quattro anni provai a fare la disinvolta e ad andare verso il bagno, per gettarla nel gabinetto e occultare tutte le prove, chissà forse da qui la mia passione per i thriller, ma una delle signorine sentinella mi vide e mi intimò di finire la merenda prima di andare in bagno. A quel punto iniziò a salirmi un senso di nausea, perché non sapevo più come sbarazzarmi di quella merenda; tornai indietro e mi avvicinai al cestino dell’immondizia, guardando con attenzione che nessuno mi vedesse, pensavo di avercela fatta, stavo per gettarla, quando una mano dietro di me immobilizzò la mia manina. Avevo già capito che per me sarebbe stata la fine. La signorina, che aveva agguantato la mia mano, mi chiese con voce tuonante cosa stessi facendo? Io tentai di spiegare che quella merenda non la volevo più, ma lei mi ordinò di mangiarla tutta. Io tra le lacrime iniziai a dare dei piccoli morsi, ma lei cominciò a strattonarmi, dicendomi che avrei dovuto mangiare tutto in un solo boccone e così mi mise tutto il resto di quella merenda nella bocca. Giuro che provai a masticare ma non ci riuscii e senza che potessi far nulla per impedirlo, il contenuto del mio piccolo stomaco si riversò sul suo grembiule. Dopo non ricordo bene cosa sia successo, di sicuro qualche schiaffo me l’ha dato e mentre continuava a strattonarmi io sfuggii alla sua presa e scappai nascondendomi, non ricordo bene dove. Ecco, nonostante siano passati più o meno quarant’anni io ricordo quell’episodio come se fosse accaduto ieri, e per una che aveva paura che la costringessero a mangiare, quanto è accaduto non è stato di sicuro utile a migliorare il mio rapporto con il cibo. Questo avvenimento mi aveva così traumatizzata che supplicai mia madre di non farmi più portare la merenda all’asilo, e lei si vide costretta ad accontentarmi. Ho sempre mangiato il minimo indispensabile, a casa ero sempre quella che lasciava qualcosa nel piatto, ma comunque ero una bambina apparentemente sana, e verso gli 11 anni, quindi quando frequentavo la prima media, ero alta più o meno 1,51 m e pesavo 40 kg. Durante l’estate tra la prima e la seconda media però iniziai a non stare bene. Avendo sempre mangiato poco non era quello che destò sospetti, ma era preoccupante il fatto che ero improvvisamente priva di forze, e che stessi dimagrendo a vista d’occhio. Ero sempre stata una bambina attiva, praticavo ginnastica artistica da quando avevo otto anni e la primavera precedente ero arrivata terza al torneo di nuoto e prima alla gara di velocità per la selezione ai giochi della gioventù, ma quell’estate non riuscivo a stare in piedi, avevo l’affanno, e non avevo più voglia di fare niente. Cominciò poi la febbre, quella febbretta sempre fissa tra 37 e 37.5, e poi la sete, una sete che non passava mai, come se fossi completamente disidratata, mi mancava l’acqua come quando ti manca l’aria, quindi, non facevo altro che bere e fare pipì. Era evidente che ci fosse bisogno di fare accertamenti e il pediatra che mi seguiva, che aveva già capito cosa avessi, appena vide le analisi disse ai miei genitori di portarmi con urgenza in ospedale. La diagnosi era: diabete mellito di tipo 1, malattia autoimmune, molto semplicemente il mio pancreas aveva smesso di funzionare e non produceva più insulina, e io senza insulina mi stavo consumando. Arrivai in ospedale già in chetoacidosi a un passo dal coma diabetico; a 12 anni ero alta 1,52 ed ero arrivata a pesare soltanto 32 kg, praticamente ero sparita. Non ho un ricordo completamente lucido di quel giorno, perché il bagaglio di glicemia alta che mi portavo dietro da giorni, non mi rendeva completamente presente a me stessa. Mi ricordo solo le facce stravolte dei miei genitori, tutti i medici intorno a me, ma una cosa soprattutto non ho dimenticato, la dottoressa che chiese ai miei genitori: “ma questa bambina mangia?“ Perché ero praticamente uno scheletro, poi si rivolse a me e mi disse “da oggi devi mangiare tutto quello che ti dico io altrimenti muori!!!“ Vi giuro che anche se ero poco lucida, le avrei voluto chiedere: “ma tu prima di laurearti in medicina eri signorina sentinella nel mio asilo?“ Quella è stata la prima volta in cui ho incontrato il signor D. che si faceva strada tra medici e infermieri e col suo completo elegante color carta da zucchero, il bastone e il suo cappello a cilindro, si è avvicinato e mettendomi il suo anello al dito, mi ha sussurrato nell’orecchio: “ sarai mia per sempre“. Di certo l’avvento del signor D. nella mia vita non migliorò i miei rapporti già precedentemente incrinati con il cibo. Tra l’altro l’esordio avvenne negli anni ‘90, e in quel periodo c’era una visione molto più rigida della terapia diabetica. Mi era stata preparata una dieta per farmi riprendere peso e quattro iniezioni di insulina al giorno, chiaramente da subito, perché ci tengo a dire che a tutt’oggi l’unica terapia per il diabete tipo 1 è l’insulina. La regola era: iniezione di insulina, già stabilita dal diabetologo, mezz’ora prima dei pasti, con la conseguente necessità di mangiare tutto quello che avevano stabilito per me, poiché l’insulina si basava su quella determinata quantità di cibo. Ora il problema non era soltanto non aver voglia di mangiare tutto quello che mi avevano prescritto, ma era che in quella mezz’ora d’attesa, secondo i medici obbligatoria, io andavo costantemente in ipo, ritrovandomi cioè valori glicemici molto al di sotto della media. Quante volte mia mamma, vedendomi improvvisamente meno presente e in preda ai tremori, doveva farmi ingoiare acqua e zucchero, per non farmi svenire prima del pasto, e quando mi riprendevo un po’ per riuscire a masticare, avevo un tremendo senso di nausea e quindi non riuscivo a mangiare e invece quel pasto andava mangiato tutto, perché l’insulina stava continuando a fare effetto, e se non avessi mangiato tutto sarei stata male. I primi mesi sono stati davvero tremendi, perché non si riusciva a trovare una quadra e un equilibrio insulina-pasto sembrava un sogno irraggiungibile e mangiare mi era diventato sempre più difficile, perché avevo iniziato a vederlo soltanto come un obbligo. Ma non era solo il cibo, era che ormai c’era lui nella mia vita, c’era il signor D. che avrebbe fatto il bello il cattivo tempo, che mi aveva presa con sé e non mi avrebbe più lasciata andare, e io ero solo una bambina, e volevo continuare ad essere una bambina, invece per colpa sua sono dovuta crescere, perché ero la sua sposa, la sua sposa bambina, la sua sposa prigioniera, e lo sapevo che non sarei più potuta scappare. Da quel giorno ho dovuto continuare a camminare ma sempre con il signor D. appiccicato a me, che mi teneva legata a sé con le sue catene pesanti, a volte un po’ più lente, altre volte invece ammanettandomi i polsi ai suoi, fino a farli sanguinare, perché io tiravo per staccarmi da lui, perché non lo volevo, ma lui c’era sempre in ogni cosa che facessi. La sua presenza mi pesava, e tutto l’odio e la rabbia che provavo verso di lui, hanno iniziato un po’ per volta concentrarsi sul mio stomaco, a farmi sentire quel peso e quel dolore, che non andavano mai via. “Non basta un raggio di sole, un cielo blu come il mare, perché mi porto un dolore che sale e che sale, si ferma sulle ginocchia che tremano e so perché…” (cit). L’avevo capito subito, dal primo giorno in cui l’ho incontrato, che il signor D. era cattivo, ma ho capito quanto lo fosse davvero, quando ha arbitrariamente deciso di prendersi i miei occhi e portarmeli via per sempre. Ecco, posso dire di non averla presa proprio bene, considerando che nel giro di un anno ho perso 25 kg e per sei mesi circa riuscivo a mangiare solo latte e biscotti, pasta in bianco e frutta, non mangiavo altro, sentivo ogni boccone come un dolore, e sentivo il signor D. addosso, attaccato alla mia schiena come un parassita, sentivo un peso incessante che mi toglieva le forze, anche la forza di masticare. Poi ho capito, ho capito che se mi fossi voluta riprendere avrei dovuto ricominciare a mangiare e a vivere nonostante tutto. “Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare, ma c’è il dolore che sale che sale e fa male, arriva al cuore e lo vuole picchiare più forte di me.” (cit). Nel corso degli anni è diventato evidente per me che le mie emozioni sono legate a doppio nodo al mio stomaco, belle o brutte che siano, e io sono una di quelle che se è emozionata per qualcosa o preoccupata oppure triste per qualche motivo, smette di mangiare, ma non è che lo faccio apposta, lo stomaco appende proprio un cartello con su scritto: qui non si può entrare e tutto il mio essere è invaso da un insopportabile senso di nausea, e soprattutto quando a farmi passare la fame è qualcosa di poco felice, quel cibo, per motivi che non so spiegare neanche io, comincia a farmi paura, fino a provocarmi quasi uno stato di panico, alla sola idea di dover mangiare. Più o meno tre anni fa, improvvisamente, ho cominciato a stare male di nuovo, parecchio male e, contemporaneamente, sono stata costretta a ricoverarmi per un intervento al piede, intervento molto serio. Insomma, oltre all’operazione molto delicata, oltre al mese in ospedale senza avere la possibilità di incontrare nessuno perché c’era il coronavirus, mi hanno anche diagnosticato la celiachia, altra malattia autoimmune, perché evidentemente il signor D. si sentiva troppo solo e sentiva l’esigenza di avere un’alleata per non lasciarmi in pace. Credo di poter affermare che quella degenza in ospedale e tutto il periodo di convalescenza sia stato tra i peggiori della mia vita, perché a causa dell’intervento ho passato circa un anno in sedia a rotelle, perché non potevo camminare e in quel momento, il mio terrore del cibo si era amplificato. Ho iniziato ad avere dei veri e propri attacchi di panico solo all’idea di dover mangiare, venivo assalita da un insopportabile senso di nausea e mi mancava il respiro, appena si avvicinava l’ora di pranzo o di cena, e mi ritrovavo lì con il mio piatto davanti a cercare di masticare e mandar giù quel boccone ,in lacrime, come una bambina costretta a mangiare, come quando a quattro anni volevano impormi quella merenda che io non volevo, ma stavolta accanto a me non c’era la signorina sentinella, c’era il signor D. che mi costringeva a mangiare. “E il sale scende dagli occhi, il sole adesso dov’è? Mentre il dolore sul foglio è seduto qui accanto a me.” (cit). Il 31 ottobre di quest’anno saranno 33 anni che il signor D. mi ha fatta prigioniera, cinque anni fa ho deciso di utilizzare un micro in fusore per gestirlo, cioè un apparecchio che tramite un ago-cannula e un minuscolo catetere, manda al mio corpo insulina H 24, e ho sempre attaccato anche un sensore che rileva in continuo la mia glicemia. Sicuramente tutto questo è molto meglio che fare 4/6 iniezioni al giorno e altrettanti buchi alle dita. il signor D. c’è sempre, e la gestione è sempre complicata, ma di sicuro meno rischiosa. il micro mi manda un’insulina basale per tutto il giorno e ad ogni pasto devo calcolare il bolo, cioè la quantità adeguata di insulina da fare in base alla glicemia, il calcolo va fatto soprattutto in base ai carboidrati introdotti, ma calcolando anche eventuali proteine grassi e fibre, che modificano l’assorbimento dei carboidrati e capirete che per una per la quale il rapporto col cibo è sempre stato in bilico, dover fare un’equazione di diabematica ad ogni pasto non sarebbe stata proprio la mia aspirazione, ma il matrimonio con il signor D. non mi ha dato tanta scelta. Poi la gestione in casa è naturalmente più semplice perché so quanto e cosa mangio, ma quando mi capita di stare fuori, diciamo che mi affido al “bolo sentimento”, nel senso che vado proprio a sentimento, sperando che il signore me la mandi buona, e in casi proprio particolari mi affido a qualunque tipo di rito propiziatorio, ad esempio recitando ad alta voce qualche formula magica tipo: “Higitus figitus abra kazè prestate attenzione tutti a me. Hockety pockety wockety wack. Abra-cabra-dabra-da…” Se il mago Merlino l’ha inventata a qualcosa di sicuro servirà. Comunque, nei miei periodi più tranquilli, il mio rapporto con il cibo si normalizza, non sono di sicuro una a cui piace abbuffarsi, ma in realtà ci sono cose che mi piacciono e che mangio anche molto volentieri, ma non in grandi quantità. Mi piace ad esempio mangiare in compagnia perché mi concentro meno sul mangiare e mi perdo in chiacchiere, anche se non sento spesso la sensazione della fame, la associo più a un senso di debolezza, proprio un bisogno di mangiare, infatti, quelle poche volte che mi capita di dire che ho fame, rarissime volte, vicino a me parte il trenino: “aaaaaaaah meo amigo Charlie, aaaaaaaah meo amigo Charlie Brown, Charlie Brown.” Da quando il signor D. mi ha presa, ho iniziato giorno per giorno a costruire la mia armatura, per difendermi da lui, per non morire sotto i suoi colpi, ma alcune volte ha picchiato così forte da farmi cadere in ginocchio, e rialzarmi è stato sempre più difficile, perché ad ogni colpo la mia armatura diventava sempre più pesante. C’è stato un momento in cui l’armatura me la sono sfilata, perché non riuscivo più a sopportarne il peso, ma questo mi aveva fatto diventare troppo fragile e ora con tanto sforzo sono riuscita a indossarla di nuovo, anche se è ancora un po’ ammaccata e a volte confesso di sentirmi un po’ stanca, però: ”non mi arrendo, a volte mi siedo, ma non mi arrendo.” (cit).


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Per sorridere un pò

di Giuseppe Lurgio

Sai Mario, e un mese che mia moglie sta seguendo una dieta!. Ah sì, e i risultati ci sono? E ancora nulla. sai non l'ha ancora raggiunta! Una bambina ha appena finito di ascoltare una favola dalla madre quando le chiede: "Mamma, tutte le favole iniziano con C'era una volta...?". E la madre: "No, cara. A volte iniziano con: "Cara, ho del lavoro da sbrigare in ufficio... arrivo tardi stasera, oppure ho una riunione improvvisa". "Cameriere! Questo lo chiamate brodo di pollo? Ma si rende conto che prende in giro i clienti?". "A dir la verità, signore, è brodo di pollo molto giovane, giovanissimo: è l'acqua in cui facciamo bollire le uova sode..." Il giorno prima del matrimonio, lo sposo va in disparte dal prete per fargli una proposta. «Le darò 200 euro se mi permette di modificare le promesse matrimoniali. La parte dove devo promettere di "amarla, onorarla e rispettarla per tutti i giorni della mia vita", e dove dice di "essere fedeli a vicenda per sempre", mi piacerebbe che fossero tralasciate». Il prete è d'accordo: intasca i 200 euro e lo sposo esce soddisfatto. Il giorno del matrimonio, lo sposo e la sposa giungono per la loro cerimonia. Arriva il momento delle promesse reciproche, il pastore guarda lo sposo e gli fa: "Prometti di obbedire a ogni suo comando, di servirle la colazione a letto ogni mattina, di prostrarti a lei? Giuri di trattarla con amore davanti a Dio per tutti i giorni della tua vita?". Lo sposo deglutisce sconvolto e mormora "Sì". Poi, in disparte, nell'orecchio del prete, dice: "I nostri accordi erano diversi". Il prete gli rende i 200 euro dicendo: "Lei mi ha fatto un'offerta più alta". Dal barbiere: "Quanto costa il taglio dei capelli?". Il barbiere: "20 euro". "E il taglio della barba?". "10 euro". "Allora, mi sbarbi la testa". Un coniglio, camminando nella foresta, vede un corvo appollaiato su un ramo a non fare nulla. Si avvicina e gli fa: "È divertente stare seduti senza far niente?". "Certo", risponde il corvo, "prova anche tu". E così il coniglio si mette a sedere sotto lo stesso albero. Improvvisamente, sopraggiunge una volpe e, senza pensarci un attimo, mangia il coniglio. Morale: Per stare tutto il giorno seduti senza fare un bel niente. bisogna essere seduti molto, ma molto in alto. Una bionda dà alla luce un bimbo rosso di capelli. Il dottore le chiede: "Ah, il papà è rosso?". "Beh, in verità non saprei, indossava un cappello..." A un forte di soldati si sta avvicinando un gruppo di indiani. Il capitano dice alla sentinella: "Guarda se sono amici o nemici". La sentinella risponde: "Sicuramente amici". Il capitano chiede: "Ma come fai a dirlo?". E la sentinella: "Eh, stanno tutti assieme!". Il chirurgo al paziente: "Mi spiace molto, ma dobbiamo operarla di nuovo. Ho dimenticato un guanto di gomma nel suo stomaco". E il paziente: "Perché rifare tutto quel lavoro, dottore? Eccole 5 euro e se ne compri un paio nuovi". Un prete decide di prendersi un pappagallo da tenere in casa, così si reca in un negozio di animali e dice al negoziante: "Buongiorno, vorrei comprare un pappagallo ". "Guardi, ho quello che fa per lei; vede questo è un bellissimo pappagallo...". "Sì, beh vedo, ma non vorrei fosse uno di quei pappagalli che dicono le parolacce...". "No, anzi, come può notare le due cordicelle che ha legate alle zampe, se tira quella di destra il pappagallo recita l'Ave Maria, mentre se tira quella di sinistra recita il Padre Nostro.". "E se le tiro contemporaneamente tutte e due?". E il pappagallo: "Vado a finire con il sedere per terra, stupido prete”. Un tizio, nel viottolo di accesso di casa sua, sta pulendo il giardino, quando vede la sua bella e biondissima vicina andare alla cassetta delle lettere, aprirla, darle un'occhiata e richiuderla subito dopo, evidentemente contrariata. Poco dopo la ragazza esce nuovamente di casa, guarda nella cassetta delle lettere, la richiude con un colpo e rientra arrabbiatissima in casa. Alla terza volta il tizio le si avvicina e chiede: "Qualcosa non va?". "Tutto" – dice la biondona - "Quel maledetto computer continua a dirmi che è arrivata della posta ma arrivo qui e non trovo nulla!". Due amici stanno parlando dei vecchi tempi e uno chiede all'altro: "Dimmi una cosa, si è mai avverato qualcuno dei tuoi desideri di gioventù?". "Sì – risponde il secondo - uno solo: quando mia madre pettinava i miei capelli eternamente arruffati, ho sempre desiderato di non averne...". La signora Maria incontra la signora Lucia all'uscita dal supermercato: "E suo marito come va?". "Oh, sono molto agitata. È all'ospedale e mi hanno detto che ha 3 mesi al massimo!". "Oh poverina, mi dispiace. Dev'essere dura...". "Oh certo che sì... ha già un mese di ritardo!".


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Libri

La famiglia tra luci e ombre

di Mario Lorenzini

Proseguono le “avventure” di Francesca; stavolta, infatti, la psicoterapeuta diviene un’intraprendente piccola Sherlock Holmes. Da un incontro casuale (ma provvidenziale per la vittima) durante il jogging, si snoda la vicenda principale. Il tutto in sodalizio con Cinzia, l’ispettrice del caso. Si assommeranno anche storie di gravi molestie familiari e misteriose persecuzioni, da incesti consumati nel silenzio a minacce telefoniche. Pressoché inevitabile, per Sofia, essere coinvolta anche dal lato emozionale. Ma, come sempre, lei saprà risanare ferite e risolvere conflitti interiori. Il tutto, facendo ritrovare l’armonia di coppia anche quando i danni profondi parevano insanabili. È proprio il caso di ripetere una frase del suo libro, titolo di una commedia di William Shakespeare: All’s well that ends well. E sarà proprio così. Senza svelare retroscena ed epilogo di ogni singolo racconto, aspettatevi il classico lieto fine.


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Comunicati

ASSOCIAZIONE DEI CIECHI, DEGLI IPOVEDENTI E DEI RETINOPATICI SARDI - RP SARDEGNA ODV. Chi siamo

L’Associazione Rp Sardegna onlus odv è un’organizzazzione di volontariato che opera in tutto il territorio regionale ed organizza cittadini affetti da patologie oculari invalidanti ed in particolare da Retinite Pigmentosa. Aderiscono all’Associazione persone non vedenti e ipovedenti che intendono sostenere azioni finalizzate alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica ed intrapredente iniziative rivolte all’integrazione e ai raggiungimento dell’autonomia di quanti sono affetti da patologie visive. Un occhio all’autonomia “Un occhio all’autonomia” è la mission di Rp Sardegna onlus odv. Attraverso azioni mirate si punta ad incrementare il livello di autonomia delle persone non vedenti e ipovedenti attraverso un’integrazione nella vita quotidiana, socio lavorativa e culturale, per poter realizzare a pieno i diritti fi cittadinanza. L’obiettivo è il miglioramento del benessere psicofisico e l’acquisizione di competenze in ambito informatico e tecnologico, nella letto-scrittura braille, nell’orientamento e nella mobilità autonoma. Sportello informativo Lo sportello informativo è operativo il martedì e il giovedì dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18. Fornisce ed eroga consulenza gratuita riguardo i diritti e le agevolazioni per le persone con disabilità visiva. Fornisce inoltre supporto per il disbrigo delle pratiche burocratiche per il riconoscimento della condizione di disabile visivo e per le agevolazioni previste dalle leggi vigenti. Informatica e tecnologia Con il supporto e la collaborazione degli operatori vengono organizzati corsi di informatica di base e avanzati su ambienti windows, su smartphone e sugli ausili tecnologici assistivi, per garantire il pieno accesso alla cultura e all’informazione veicolata attraverso contenuti digitali. È inoltre possibile effettuare la preparazione per gli esami della patente europea (ICDL base), acquisendo concetti e competenze essenziali relative all’uso di competer e dispositivi collegati. Supporto psicologico A cadenza mensile è possibile partecipare ad un gruppo di ascolto coordinato da una psicoterapeuta con esperienza decennale con persone con disabilità visiva. Viene inoltre offerta la possibilità di intraprendere percorsi individuali anche parallelamente a quelli di gruppo. Orientamento e mobilità Con il sostegno di professionisti vengono organizzati corsi propedeutici sull’utilizzo del bastone bianco e per fornire indicazioni tecniche e pratiche per ottimizzare le prestazioni e le risorse sensoriali residue per l’orientamento urbano. Editoria associativa Le tre riviste associative vengono diffuse in formato audio, digitale, cartaceo e braille. Sono lo strumento attraverso il quale fornire informazioni utili, promuovere l’accesso all’informazione e rendere partecipi i soci delle attività associative. Braille Attraverso appositi corsi vengono trasmesse le abilità per la lettura e la scrittura del sistema braille attraverso l’utilizzo di strumentazione specifica e prove pratiche di dettato e di lettura. Biblioteca e spazio multimedia Uno spazio aperto gratuitamente alla cittadinanza nel quale trovare materiale documentario e informativo sulle disabilità e la possibilità di fruire di una postazione informatica accessibile per la lettura autonoma da parte di persone con disabilità visiva, proponendo all’utenza un patrimonio librario accessibile e fruibile nei diversi formati: cartaceo, braille, digitale e audio. Oltre al prestito, la biblioteca offre spazi accessibili per la consultazione interna, la lettura, lo studio e la fruizione di materiale multimediale, tra cui film audio-descritti. Ausilioteca e spazio tiflodidattico L’ausilioteca è uno spazio dove si può “toccare con mano”, conoscere, provare e confrontare ausili per non vedenti e ipovedenti di diverse tipologie. Nella nostra sede uno spazio è dedicato alle risorse didattiche e tiflopedagogiche dove gli alunni, le famiglie, gli insegnati e quanti operano nell’ambito dell’integrazione scolastica possono provare il materiale didattico, comprenderne le finalità e le modalità di utilizzazione ed essere guidati nella scelta dei sussidi didattici più adatti. Gli utenti saranno supportati dalla consulenza e dall’assistenza dei nostri operatori. Resta aggiornato e contattaci Su Facebook cerca Associazione ciechi, ipovedenti e retinopatici – RP sa4rdegna onlus Mail rpsardegnaonlus@gmail.com PEC presidenza@pec.rpsardegna.it Whatsapp al numero di cellulare 371 46 50 14 2 Sito web www.rpsardegna.it Telefono fisso 0 70 64 07 66 1 / Cellulare 3 71 46 50 14 2 Orari Dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 13:00 Martedì e giovedì anche il pomeriggio dalle 16:00 alle 18:00 Dove siamo Ci trovi a Cagliari in Via Pasquale Tola 30 al primo piano.


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mariolorenzini.it: blog, divulgazione e non solo

di Mario Lorenzini

Agli inizi della pandemia siamo stati confinati in casa. Non voglio nemmeno tentare di ricordare quel periodo, relegati nelle nostre abitazioni come dei lebbrosi, pareva interminabile. Il disagio è sopraggiunto per molti, dopo la sopportazione. Sapere che non si poteva uscire, se non in casi eccezionali (ma chi decide l’eccezionalità?), che non si può andare a far commissioni. La follia del lockdown culminata con il coprifuoco! E da lì ne potremmo parlare, e ancora se ne parla. Io non dimentico. E allora, vuoi per sfogo, vuoi per non scordarmi di quel malessere (difficile), ho iniziato a registrare dei monologhi con il mio vecchio notebook; vecchio sì, tanto che stava passando a miglior vita al cimitero dell’hardware proprio in quei giorni che non si poteva andare per negozi, figurati quelli di informatica. Fortuna che esiste PC specialist! E allora il mio nuovo portatile è giunto, tramite ordine online, dalla Gran Bretagna. E i video sono aumentati, migliorati in qualità e forma grafica. Li stavo conservando, collezionando. Ma per farne che? Ancora non lo sapevo. Poi ho meditato un po’ e, alla fine, li ho messi online. Ma non mi sono servito dei canali social, v. FB o YouTube. Ho creato da zero un piccolo sito personale, con il mio nome. Perché? Come mai, in un’epoca in cui dicono che i siti sono morti, soppiantati dai social network, io stavo facendo l’opposto. Le risposte a questo quesito erano tutte lì, a portata di mente, ma non le esprimevo ad alta voce. Un po’ il mio anticonformismo, il non allinearsi a un’interfaccia comune. Poi la libertà di decidere, senza ristrettezze (…censure?) i miei upload. Il tutto condito da un pizzico di programmazione manuale su un hosting non gratuito. Ho portato avanti, diciamo distrattamente, in congiunzione con Giovani del 2000 e altre realtà informatiche, questa mia paternità. Sentivo che non sarei riuscito ad andare avanti a lungo così. Il materiale e le idee erano in aumento. Cosa avrei dovuto fare? Buttare alle ortiche quasi 400 video oltre ad altri contributi audio e scritti? Ho concluso dedicandomi, quasi completamente, al web site che porta il mio nome. Ho ridisegnato le pagine, rivisto i collegamenti, ampliato le prospettive. Di conseguenza, ho lasciato la redazione di Giovani del 2000. Credo, onestamente, di non poter tirare avanti in modo imparziale questi due mezzi di divulgazione. Attualmente siamo ancora nella fase work-in-progress, Potete contattarmi se avete idee, tramite mail o via form. Sono graditi invii di scritti, video, immagini e audio. Le persone che manterranno una certa stabilità collaborativa, pur tuttavia in modo saltuario, senza cadenza fissa, potranno essere inserite, con una loro descrizione o Curriculum vitae, nell’apposita sezione. Gli articoli selezionati saranno pubblicati online e, dopo aver raggiunto un certo numero, raccolti in una pubblicazione, Il monitore del XXI sec. Al momento non abbiamo molti pezzi e pochi… aiutanti, ma la voglia di fare, quella c’è, e promette bene. In dettaglio Ma cosa c’è sul sito? Ancora, ripeto, le cose sono in divenire. La struttura di base prevede una mia sezione personale dove esprimo opinioni e divulgo informazioni viste da un’angolazione diversa dei comuni canali. Non ci sono giorni prefissati; posso rilasciare 3 video in 3 giorni consecutivi o uno solo nell’arco di 15 giorni, dipende dalla mia disponibilità e dalle notizie circolanti. Un’altra sezione ospita recensioni di libri da me letti e commentati. Una breve descrizione con note sull’autore. Altra pagina, a mio avviso interessante, è quella riservata alle interviste. Personaggi importanti, singolari o comunque di rilievo, con i quali intrattengo una conversazione su piattaforma skype o zoom. Storia, politica, scienza, spettacolo, ecc., nell’ottica di ricercare anche una piccola chicca che non abbia eguali nei giornaloni o nelle tv e canali web più conosciuti. All’interno di un’altra sotto-pagina, si trovano link a siti, non necessariamente noti al pubblico del Mainstream. Non vi anticipo nulla, andate a vedere. All’interno di uno spazio analogo ci sono video e scritti estrapolati da canali o trasmissioni web. Abbiamo poi una parte dove gli articolisti più assidui hanno la possibilità di depositare una breve descrizione di sé, tanto per farsi conoscere. Dati come e-mail, telefono, foto e propria biografia, CV, ecc. tutto opzionale, a propria scelta e piacimento del collaboratore. Una parte rilevante, in via di allestimento, è il “contenitore” di articoli. Sarà una specie di notiziario, composto dagli articoli via via giunti all’indirizzo: articoli@mariolorenzini.it Vi rimando pertanto ai seguenti recapiti: sito web: https://www.mariolorenzini.it per informazioni: info@mariolorenzini.it oppure direttamente a me: m.lorenzini@mariolorenzini.it Se avete del materiale da inviare: articoli@mariolorenzini.it


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La Pettirosso Editore è lieta di annunciarvi una nuova iniziativa per promuovere giovani e meno giovani autori.

Ti piace scrivere racconti? Hai già pubblicato qualche opera? Oppure ti piacerebbe far conoscere il tuo racconto a tutti? Allora sei nel posto giusto! Pettirosso Editore ti invita a partecipare al Concorso Letterario "Racconti brevi online - Pettirosso Editore" Edizione 2023. Possono partecipare sia gli autori affermati che gli esordienti. Accettiamo qualsiasi opera purché inedita e che rispetti le indicazioni che trovi nel regolamento sottostante. La Pettirosso Editore www.pettirossoeditore.it è una casa editrice Sarda che si è molto impegnata nel sociale e ha voluto creare il nuovo sito accessibile a tutte le disabilità. Roberto Abutzu, non vedente da trent'anni, esperto in informatica accessibile,è la persona che si è occupata, insieme alla moglie Erica, della creazione del sito della Pettirosso Editore. La casa editrice ha inoltre deciso di rendere tutti i suoi prodotti accessibili, incaricando Roberto di creare i libri in formato digitale, totalmente accessibili sia da dispositivi mobili che da personal computer. Qui la pagina dove troverete gli E-Book disponibili attualmente. https://www.pettirossoeditore.it/categoria-prodotto/ebook/ Regolamento Il Concorso letterario "Racconti brevi on line - Pettirosso Editore" è rivolto a tutti gli autori per Racconti Brevi inediti scritti in lingua italiana. Possono partecipare sia autori affermati che esordienti. Il tema del Concorso Racconti brevi on line - Pettirosso Editore è libero. I racconti dovranno essere inediti e pertanto non potranno essere rifacimenti né riedizioni modificate di lavori editi già coperti da diritti d'autore. La lunghezza dei racconti deve essere di massimo 6000 battute (spazi compresi) con carattere Garamond dimensione 14. Ogni autore potrà inviare uno o più racconti. Le opere dovranno essere inviate alla E-Mail inediti@pettirossoeditore.it in formato Pdf. Il file del racconto dovrà contenere i dati personali dell'autore (Nome, Cognome, E-Mail) e il titolo dell'opera. Alla E-Mail l'autore dovrà allegare una breve dichiarazione di inedicità dell'opera e la dichiarazione: "Ai sensi del D.Lgs. 196/2003 a tutela della privacy, autorizzo espressamente la Pettirosso Editore al trattamento dei miei dati personali". Le opere inviate saranno valutate e, se ritenute idonee, pubblicate ogni venerdì sul Blog della Pettirosso Editore. Ogni anno, in occasione del compleanno della casa editrice, saranno scelti i 12 racconti ritenuti più meritevoli e/o che hanno riscosso maggior favore da parte dei lettori del blog e pubblicati in una Antologia, a cura della Pettirosso Editore. La semplice partecipazione al Concorso costituisce autorizzazione alla pubblicazione nel Blog della Pettirosso Editore e all'utilizzo dei dati anagrafici dell'autore ai fini di comunicazioni relative al Concorso. Inoltre gli autori, accettando il presente regolamento, rinunciano a qualsiasi pretesa economica per la pubblicazione del racconto nel Blog della casa editrice. Gli autori scelti per la pubblicazione della antologia, saranno contattati dalla casa editrice con una E-Mail che conterrà nel dettaglio le modalità di pubblicazione. I racconti pubblicati nel Blog della Pettirosso editore rimarranno di proprietà intellettuale dell'autore. Inviaci subito il tuo manoscritto!


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Articolisti…cercasi


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