GIOVANI DEL 2000

 

 

 

Informazione per i giovani del III millennio    numero 15    Dicembre 2004

 

 

 

Direttore  Prof. Carlo Monti

Vice Direttore  Maurizio Martini

Redattori  Alessio Lenzi, Mario Lorenzini

 

Redazione

Via Francesco Ferrucci 15

51100 - PISTOIA

Tel.  057322016

e-mail: redazione@gio2000.it

Sito internet: www.gio2000.it

Tipologia: notiziario

 

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4971 del 26.06.2000

 

Gli articoli contenuti nel  periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente   quello del singolo articolista.

 

ELENCO RUBRICHE

 

Annunci

Comunicati

Cucina

Cultura

Esoterismo, religioni e dintorni

Hobby e tempo libero

Informatica

Istruzione

Lavoro

Musica

Normalità e handicap

Patologia

Racconti e poesia

Riflessioni e critiche

Spazio donna

Sport

 

 

In questo numero:

 

EDITORIALE

Regali di Natale - Di Mario Lorenzini

COMUNICATI

Lettera aperta - Di Cesare Intravaia

CUCINA

Tutti in cucina (Lezione 1)- Di Elisabetta Barsotti

CULTURA

Il tempo - Di Irina Gregoriev e Renato Bianco

HOBBY E TEMPO LIBERO

Lo scasso - Di Angelo Ricci

INFORMATICA

Winguido (Lezione 2) - Di Marco Ostuni

MUSICA

I Duran Duran...durano! - Di Mario Lorenzini

NORMALITA' E HANICAP

La scuola materna e i bambini non vedenti - Di Antonino Cucinotta

RACCONTI E POESIA

Il dono - Di Lia Simoni

 

Lettera di Dio agli sposi - Di Antonella Iacoponi

RIFLESSIONI E CRITICHE

Siamo davvero liberi? - Di Elena Aldrighetti

 

Società, Media, tecnologie - Di Luisa Maffettone

 

Noterelle sulla conquista delle Americhe nei suoi risvolti intrinseci ed attuali - Di Marius

 

Riflessioni varie - Di Maurizio Martini

 

Associazione per la Ricerca e la Prevenzione del Cancro. Chemioterapia, una pratica assassina, ovvero il tradimento della medicina in nome del profitto - Di Alberto Mondini

SPORT

Una giornata per la diffusione del golball - Di Cesare Intravaia

 

Tiro con l'arco, passione e evoluzione - Di Piero Bracali e Luca Dolfi

 

EDITORIALE

Regali di Natale

 

Di Mario Lorenzini

 

Questo fine anno, pare prometterci un grosso sacco pieno di doni, subito pronti da assaporare.
La ricerca medico-scientifica, il “nostro” Stato, sono solo le linee guida generali che ci condurranno in questo paese dei balocchi. Certo, è bene seguire con attenzione le informazioni che ci giungono dai media, di qui a fine anno, tanto per non perdersi, o perlomeno non confondersi.
Io qui vi indico solo quel che più appare, l’evidenza, e la sottolineo, perché, quello che sembra un’informazione comprensibile e chiara, spesso non lo è, o cela al suo interno delle deviazioni di significato, citate a fine notizia, o appena accennate. Brevemente, sui temi di cui sopra:
1) La ricerca, in special modo quella medica, che ovviamente ci tocca tutti da vicino. Si parla di successi di quell’equipe che ha eseguito un trapianto multiplo, esempio reni e pancreas; un altro punto a favore della percentuale positiva di trattamento di questa patologia. E’ successo altresì, in un noto ospedale, per lo stesso tipo di intervento, eseguito l’estate dello scorso anno, un piccolo incoventiente, o dicasi, un banale errore: si sono dimenticati di sostituire (in tempo utile) il dispositivo di drenaggio ad un amico. Poco male? No purtroppo, perché il paziente, è deceduto. Ma di queste cose non si parla.
E gli interventi di microchirurgia, con sonde particolari, addirittura eseguite in anestesia locale, che debellano alcuni tumori? Non si dice della sofferenza di milioni di persone, speranzose in una soluzione positiva al loro male, ma che troveranno nelle cure chemioterapiche una sorta di moderno calvario (vedi articolo sulla Chemio di Alberto Mondini, in questo numero).

2) Ma occupiamoci en passant, del nostro governo, che ci allieterà i mesi a venire con un certo sgravio fiscale, e finalmente potremo tirare un respiro di sollievo, i nostri soldi avranno un valore maggiore...no, un attimo, diciamo un valore diverso. Si toglieranno poche decine di euro ai più bisognosi, e ai benestanti? Applicando la proporzione, toglieremo alcune migliaia di euro, mi sembra giusto no? Ma poi, questo ammanco chi lo paga? I poveri o i ricchi? Ma no no no, non possiamo rischiare che i grandi imprenditori diminuiscano il loro profitto, è giusto che il debito pubblico sia ripartito, in piccoli prelievi, equamente tra tutti (i più poveri), tanto ormai, ci siamo abituati.      Vorrei ricordare (anche a me stesso, data la mia età), che agli inizi del secolo scorso, il fascismo portò al seguente stato delle cose: una dittatura ferrea che non ammetteva credi daversi da essa, nessuna reale alternativa elettorale, non si poteva uscire di casa dopo una certa ora, e così via; furono create istituzioni prima non presenti, come le pensioni, edificate opere come acquedotti e scuole.

E questo era il vecchio.
Ecco i tempi moderni:

piena libertà elettorale, almeno pare, completa libertà di parola, chiunque può dire quello che vuole (tanto, chi lo ascolta?). Il diritto allo studio, fino alla scuola dell’obbligo (scuole medie) è gratuito (sta scritto sulla Costituzione ma non viene rispettato!), le pensione andranno a finire, sostituite con fondi pensione che il povero lavoratore dipendente dovrà crearsi da solo (con quali soldi?).

Quindi che cosa scegliere, il prima o il dopo (l’attuale)? Voglio dire, è meglio un limpido ruscello al quale è severamente vietato anche avvicinarsi, oppure la libertà di sguazzare in un mare aperto, ma riccamente inquinato da liquami maleodoranti?

 

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COMUNICATI

Lettera aperta

Di Cesare Intravaia

 

Carissimi lettori,  sono lieto di comunicare che il giorno 01 aprile u.s. è nata, con sede a Treviglio, una nuova associazione che intende gestire al meglio il tempo libero di tutta l’area della disabilità.

Gli scopi di questa associazione sono: organizzazione di eventi sportivi che coinvolgano disabili e non;  organizzazione di eventi culturali organizzazione di convegni che trattino argomenti che riguardano, direttamente, problematiche ed esigenze dei disabili ma che riescano a destare interesse ed a coinvolgere anche quelle persone che, disabili, non lo sono. Attività ricreative che possano coinvolgere più gente possibile non necessariamente nella città in cui l’associazione ha sede. Eventi musicali che facciano in modo che vi sia una aggregazione totale tra disabili e non, oltre che ad altre iniziative le quali verranno proposte man mano si presenti l’occasione. Per fare tutto ciò vi è bisogno di uno sforzo di persone che abbiano voglia di tuffarsi in questa avventura oltre che  risorse finanziarie che permettano di portare a buon fine tutte le proposte ed altre iniziative che verranno. Tengo a precisare che il programma di questa associazione non vuole essere in contrapposizione ed in conflitto con altre realtà già esistenti sul territorio ma vuole, invece, essere un programma di collaborazione totale per poter rispondere alle esigenze di chi ce le espone per riuscire a coprire il maggior territorio possibile. Per questo chiedo se ci sia qualcuno che abbia voglia di collaborare e, soprattutto, se c’è qualcuno che voglia aderire alla associazione sottoscrivendo una tessera di socio sostenitore che ha un prezzo simbolico di euro 10,00 e, che su vostra richiesta vi sarà inviata a domicilio.

Spero vivamente che vi sia gente che abbia voglia di scommettere su questo progetto per renderlo il più grande possibile in modo di permetterci di arrivare molto lontano e poter soddisfare il maggior numero di esigenze. Alla fine di questa lettera aperta troverete tutti i riferimenti per contattare l’associazione. Attendo fiducioso una buona risposta. In attesa di riscontro al mio sogno di solidarietà, porgo distinti saluti.

 

Il presidente Cesare Intravaia

 

Associazione oltre l’orizzonte Treviglio

Via Torta n.16 24047 Treviglio BG

tel.347 7487087

e-mail intravaia.c@tiscali.it

c.c.p. n.28011484 intestato a Intravaia Cesare

 

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CUCINA

Tutti in cucina (Lezione 1)

Di Elisabetta Barsotti

 

Mi chiamo Elisabetta, ho 34 anni, sono non vedente dalla nascita e ho una grande passione...la cucina! Cucinare, per me, è un vero divertimento; ogni qualvolta il tempo, che è sempre molto poco, me lo permette,  mi piace sperimentare piatti nuovi attingendo anche da ricette della tradizione di altri paesi, ad esempio amo molto la cucina greca, e i sapori orientali. Da dove attingo le ricette? Beh, ho la libreria piena di libri di cucina di tutti i tipi, dalle tradizionali ricette della nostra Italia, libri di cucina vegetariana, macrobiotica, cucina orientale...insomma migliaia e migliaia di ricette pronte per essere gustate! Un'altra fonte inesauribile di idee è internet, che unisce alla velocità di ricerca e di consultazione la possibilità di avere veramente il mondo del gusto a portata di click...davvero fantastico! A partire da questo numero cercherò di trasmettervi un po' della mia passione per la cucina, sperando di contagiare qualcuno di voi, con una rubrica nella quale proverò a dare qualche consiglio pratico e, naturalmente, tante ricette! Ringrazio la Redazione per avermi dato questa possibilità, sperando di essere all'altezza. Per prima cosa direi di soffermarci un po’ sull'attrezzatura che serve in cucina e, soprattutto, serve qualcosa di particolare a noi per cucinare in autonomia?

Secondo la mia esperienza mi sento di poter dire di no; occorre soltanto molta accuratezza nella scelta degli elettrodomestici, nella mia cucina ci sono normali elettrodomestici acquistati nei negozi della grande distribuzione, non bisogna avere troppi timori nei confronti delle novità ma occorre acquistare stando molto attenti ai particolari. Io sono molto favorevole ad attrezzare la cucina con molti elettrodomestici che saputi  utilizzare, basta un po' di buona volontà, ci facilitano moltissimo la vita accorciando, di gran lunga, i tempi di esecuzione e migliorando il risultato finale del piatto.

Per quanto riguarda pentole e utensileria, partendo dal presupposto che ci sono pentole e utensili specifici quasi per ogni cosa, ma, ovviamente, sarebbe impossibile averli tutti, direi che nella nostra cucina non dovrebbero a mio parere,  mai mancare: tra le pentole, una vaporiera, ottimo modo di cuocere i cibi lasciandone intatte le proprietà organolettiche e il gusto; una pastaiola, o simili, molto pratica al momento di scolare la pasta o togliere l'acqua in eccesso dalle verdure appena lessate, una padella doppia, per girare velocemente le nostre frittate; se non si ha troppo timore di scottarsi va benissimo allo scopo anche una normale padella singola e un coperchio o un piatto di uguale diametro; una pentola ovale per cuocere comodamente arrosti o pesce; e, molto pratica ma non gradita a tutti, una pentola a pressione: può spaventare l'idea ma, vi assicuro perché la utilizzo frequentemente, le attuali pentole a pressione sono molto sicure, hanno diversi dispositivi di sicurezza grazie ai quali, attenendosi a poche e semplici istruzioni, è praticamente impossibile correre rischi; una tortiera da forno a cerniera, fantastica per le torte in quanto non è necessario capovolgerle sul piatto da portata eliminando così il rischio di rovinarne l'aspetto, a proposito di tortiere, occorre averne una alta, per torte lievitate, e una bassa, per crostate; una teglia rettangolare per cucinare pasticci, lasagne al forno e simili; parlando di tortiere, pirofile e tegami da forno, ovviamente, in commercio se ne trovano di tutti i tipi, materiali e forme, meglio iniziare con un'attrezzatura di base per poi perfezionarsi mano mano si perfezziona la tecnica perché, come si suol dire, l'appetito vien mangiando!

 - Tra l'utensileria: qui il discorso si fa complicatissimo! Esiste un'immensità di attrezzi, mestoli, palette, coltelli, pinze, insomma, c'è veramente di tutto e di più! In questo mare di piccoli amici direi che un paio di palette doppie non possono davvero mancare, fantastiche nell'aiutarci a girare cibi tipo bistecche e tranci di pesce, in cottura ma anche a servirli nei piatti; un mestolo forato, o schiumarola, per servire i cibi umidi evitando il liquido in eccesso, questo mestolo è indispensabile quando si cucinano gli gnocchi di patate che non vanno scolati come si fa con la pasta ma vanno estratti dall'acqua di cottura mano mano che salgono in superficie; qualche pinza di diversa misura: le pinze sono utilissime per girare o estrarre dalla pentola piccole quantità di cibo, il Lillo, fantastico per servire nei piatti la pasta lunga, un altro utensile di cui io non riuscirei più a fare a meno è la mano. Si tratta di una pinza, che ricorda appunto una mano, fantastica quando si affetta ad esempio, un arrosto: inserendo il coltello tra le dita di questa sorta di mano, si ottengono fette perfettamente di uguale spessore, è ideale anche per affettare le melanzane per grigliarle. Ah, dimenticavo! Indispensabile è il separatuorli! E' fondamentale in cucina riuscire perfettamente a separare l'albume dal tuorlo, se cade anche una minima parte di tuorlo nell'albume, per esempio, non monterà a neve neppure se vi mettete a piangere! Questi sono solo alcuni suggerimenti, ce ne sarebbe da scrivere ancora per chissà quanto ma penso che sia meglio parlare dei nostri piccoli amici mano mano che ci serviranno nel contesto delle varie ricette. A proposito di ricette, non vi sembra arrivato il momento di metterci ai fornelli? Ho pensato molto cercando tra le ricette che ho fatto qualcuna che fosse semplice, ma d'effetto e ho deciso che vi avrei proposto un secondo piatto, una variante della carne alla pizzaiola fatta nel forno e, per i golosoni come la sottoscritta, un dolce che personalmente adoro; il tiramisù, eh no, non il solito tiramisù, troppo scontato...il tiramisù al limone, buonissimo e delicato, riscuote sempre un gran successo! Allora ragazzi...al lavoro! Buon divertimento e buon appetito!

 

Carne alla pizzaiola al forno per 4 persone

4 fette di carne, dite al macellaio che dovete fare la pizzaiola vi darà il pezzo adatto; 2 mozzarelle; 1 scatola di polpa di pomodoro; 20 olive verdi snocciolate; origano, sale, poca farina, 30 grammi circa di burro; capperi dissalati.

Cosa occorre:

forno caldo a 180-200 gradi, una teglia da forno abbastanza grande in modo che le fette stiano comodamente adagiate, uno scolapasta per eliminare l'acqua in eccesso dai pomodori, un piatto dove infarinare le fette di carne.

Procedimento:

Per prima cosa accendere il forno in modo che vada in temperatura tanto che noi prepariamo la carne.

Versare il contenuto della scatola di polpa di pomodoro nello scolapasta in modo che perda il liquido in eccesso, aiutare il processo cospargendolo con un po' di sale fino. Nella pirofila da forno sistemare qua e là qualche fiocchetto di burro, ci servirà a mantenere morbida la carne; in un piatto versare un po' di farina e infarinare ad una ad una le fette di carne adagiandole, appena infarinate, nella teglia imburrata. Trasferire la polpa di pomodoro in una ciotola e condirla con una generosa pioggia di origano, ancora un pizzico di sale, pochissimo olio extravergine d'oliva, altre spezie a piacere. Aiutandosi con un cucchiaio coprire le fette di carne con la polpa di pomodoro, non eccedere, fare attenzione che il pomodoro ricopra la fetta di carne ma non cada all'esterno. Fatto questo tagliare le mozzarelle a fette spesse circa un cm. e sistemarle su ogni fetta. Infine completare la preparazione sistemando su ogni fetta qualche oliva e qualche cappero precedentemente sciacquato per eliminare il sale in eccesso. Infornare a forno già caldo per 20 minuti circa; non superare in ogniì caso i 25 minuti perché si rischierebbe di indurire la carne.

 

Tiramisù al limone per 4/6 persone

una confezione di savoiardi; una confezione di mascarpone da 250 grammi; 3 tuorli, 60 grammi di zucchero, 1 fialetta di essenza di limone. Per lo sciroppo: il succo di un limone, 100 gr. acqua, 50 grammi di zucchero, 1 bicchiere di limoncello.

Cosa occorre

Una pirofila rettangolare, un piatto fondo, una ciotola, una frusta elettrica o a mano.

procedimento:

In un pentolino mettere l'acqua e lo zucchero e portare a ebolizione; poco prima di spegnere unire il succo di limone e il limoncello quindi spegnere e lasciare riposare.

In una ciotola mettere i 3 tuorli con lo zucchero e batterli con la frusta fino ad ottenere una crema spumosa, non si devono più sentire i granelli di zucchero sotto il cucchiaio; unire il mascarpone e la fialetta di essenza di limone e continuare a sbattere con la frusta fino ad ottenere una crema liscia, potrebbe sembrare un po' liquida ma niente paura, si rassoderà stando in frigorifero. In un piatto fondo versare lo sciroppo al limone e: passare velocemente ogni savoiardo nello sciroppo e sistemarlo nella pirofila fino a coprire il fondo in modo omogeneo, premere un po' con le mani in modo da coprire tutti gli spazzi; terminato lo strato di savoiardi ricoprire con metà della crema al limone aiutandosi con un cucchiaio. Procedere con un altro strato di savoiardi e terminare con l'altra metà di crema al limone.

Per decorare la superficie di questo dolce si può fare uno strato di savoiardi sbriciolati oppure si può ricoprirlo con una pioggia di scaglie di cioccolato bianco...celestiale!

Prima di servirlo deve riposare in frigorifero per almeno un paio d'ore, più riposa più buono è.

 

Bene, per questa volta abbiamo finito! Vi do l'appuntamento al prossimo numero con altre ricette e altri consigli! Se avete domande o suggerimenti scrivete alla redazione che provvederà a farmeli pervenire!

 

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CULTURA

Il tempo

Di Irina Gregoriev e Renato Bianco

 

“Se nessuno me lo chiede, lo so. Se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non so”. Così si espresse il filosofo Sant’Agostino a proposito del tempo, manifestando tutto il suo disagio di fronte a un fenomeno così familiare, ma che sfugge da sempre alle spiegazioni di filosofi e scienziati. Le spiegazioni e i dubbi sul tempo hanno origini antichissime, da sempre l’uomo si è posto la domanda sul tempo. Le prime notizie documentate le abbiamo con gli Egizi, ed esattamente nella loro cosmogonia. Nella scuola della città di Ermopoli si insegnava che all’inizio vi era il Caos Primordiale in cui le coppie creatici della luce erano riunite in un unico corpo, ma comprendenti quattro elementi maschili (con testa di serpente) e quattro femminili (con testa di rana). Nell’allineamento ecco i due componenti: NUN e NAUNET dell’acqua iniziale, EHN ed EHET dell’infinità spaziale, KEK e KEKET, delle tenebre, AMON e AMONET entità misteriose dotate di invisibilità, spesso sostituite da NIAU e NAUNET per formare il vuoto. Questa Ogdoade, formata da elementi essenzialmente complementari, fece apparire per proprio volere la luce, quindi creò lo spazio e soltanto in seguito, il tempo. Ma il dibattito sul tempo impegnò anche gli antichi greci. Il filosofo Eraclito, per esempio, sosteneva che “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”, perché il mondo e noi stessi cambiamo in continuazione. Un altro filosofo greco, Parmenide, sosteneva al contrario che la cosa più importante è l’esistenza stessa della realtà, non il tempo. C’è perfino chi pensa che il tempo non esista affatto e sia piuttosto un’illusione della nostra mente. La realtà invece, sarebbe composta da una collezione di istanti, che, come tanti fotogrammi, hanno una loro esistenza assoluta e indipendente. Ogni momento che vediamo scivolare nel passato, dunque, non cessa affatto di esistere, ma trova posto in una realtà più vasta e senza tempo. Anche noi, in questo senso siamo immortali anche se ogni istante contiene una persona diversa “noi bambini” siamo eterni e diversi da “noi adulti”. A pensarla così è il fisico teorico britannico Julien Barbour che crede di risolvere in questo modo le contraddizioni delle teorie fisiche esistenti. E, sorprendentemente, è arrivato a conclusioni simili anche il filosofo italiano Emanuele Severino, che però ha percorso una strada diversa, quella della logica. Riguardo alla natura del tempo, però, i filosofi si sono divisi principalmente in due filoni, spiega Giovanni Boniolo docente di filosofia all’Università di Padova: “C’è una posizione ‘sostan-zialistica’, secondo la quale il tempo esiste indipendentemente dagli oggetti che si muovono, ci sarebbe anche se non ci fosse l’universo. E c’è una posizione “relativistica” secondo la quale il tempo non esisterebbe se non ci fossero gli oggetti che si muovono: è il cambiamento a generare il tempo”. Sembrano sottigliezze, ma nel ‘700 contribuirono ad alimentare un dibattito infuocato fra il fisico britannico Isaac Newton, che sosteneva la prima ipotesi e il filosofo tedesco Gottfried Leibniz, convinto della seconda. Un dibattito tra l’altro non ancora risolto. Anche oggi esiste una contrapposizione nella concezione del tempo tra le due principali teorie fisiche esistenti: la relatività di Einstein e la meccanica quantistica, che descrive il mondo atomico. Nella meccanica quantistica, il tempo fa da sfondo alla descrizione della realtà. Non è molto diverso da come lo concepiamo nella nostra vita quotidiana, spiega Giovanni Anselmo Camelia, fisico teorico della Sapienza di Roma. Nella relatività generale, invece, spazio e tempo sono mischiati fra loro e formano un tessuto quadridimensionale, lo spazio-tempo, che dà luogo a fenomeni in apparente contrasto con le nostre percezioni quotidiane. Nei pressi di stelle e pianeti, infatti, gli scienziati hanno osservato fenomeni che possono sembrare bizzarri, ma che sono in pieno accordo con la relatività generale, i raggi di luce si piegano, il tempo scorre più lentamente (fino a fermarsi) e lo spazio si deforma al punto da violare le leggi della geometria euclidea. In alcuni casi estremi, come nei buchi neri, la deformazione dello spazio-tempo è talmente elevata da spingere alcuni fisici a ipotizzare la possibilità di viaggiare nel passato, raggiungere luoghi lontanissimi, oppure creare nuovi universi. Il conflitto fra il concetto di tempo nelle due teorie è una delle difficoltà che impedisce agli scienziati di formulare una teoria unica, capace di descrivere sia il mondo microscopico, (dove vale la meccanica quantistica) sia la gravità delle stelle (descritta dalla relatività). Nonostante queste difficoltà, i fisici cercano comunque di sviluppare una “teoria del tutto”. Arrivando a teorie come la Loop quantum gravity, secondo la quale il tempo non è un flusso continuo come lo scorrere di un fiume, ma è scandito da un ticchettio simile a quello di un orologio: le vicende si svolgono come se fossero tanti fotogrammi di un film, esattamente come un film. Barbour, che tra l’altro è uno dei pochissimi fisici a lavorare in proprio, fuori dalle università, parte da una idea simile e la estremizza. La realtà, dice, è formata da tanti fotogrammi o istantanee. Ma non da fotogrammi in sequenza, che si susseguono e raccontano una storia, bensì da tutti i fotogrammi possibili che corrispondono a tutte le situazioni concepibili. Si potrebbe dire che tutto il possibile, ogni fotogramma include tutta la realtà in un certo istante: noi, il luogo in cui siamo, le persone vicine, la Terra e l’universo. E’ come fermare il tempo: si ottiene una istantanea del mondo. E queste istantanee sono così, come sono, non cambiano, nè compaiono, nè scompaiono, fanno parte di un grande insieme di tutte le configurazioni possibili che Barbour chiama “Platonia”, ispirandosi al mondo delle idee immaginato da Platone. Tra gli infiniti fotogrammi esistenti ci sono quelli che compongono la nostra vita, ma anche quelli che corrispondono ad altre vite possibili o da altri sviluppi dell’universo (universi paralleli). Ci sono tutte le istantanee dei dinosauri, ci sono soli che si sono già spenti e terre circondante da più lune. Tutto è rappresentato in Platonia, anche le storie più improbabili, anche gli universi senza vita. Il tempo e il cambiamento, però, non esistono in Platonia, sono soltanto il frutto della nostra mente, e anche noi siamo immortali, perché esistiamo all’interno di questi fotogrammi. Il cervello ci inganna a questo punto, però sorgono diversi dubbi, innanzi tutto perché noi, all’interno di un fotogramma avremmo l’impressione dello scorrere del tempo? “ Il cervello spesso ci inganna - dice Barbour - non vediamo le cose come sono, ma le vediamo nel modo in cui il cervello le interpreta per noi. “ Su questo ha di certo ragione: basta pensare alle illusioni ottiche che abbiamo tutti sperimentato. Secondo Barbour anche il movimento è una illusione, egli dice : “Sono convinto che in ogni istante il cervello contenga, per così dire i fotogrammi di un film che corrispondono alle diverse posizioni degli oggetti di cui pensiamo di vedere il movimento. Il cervello, in un certo senso, proietta il film”. Il ragionamento è rigoroso, ma si basa su una ipotesi tutta da verificare: i neurofisiologi sono ancora ben lontani dal capire come nasce la percezione del movimento nel cervello. Ammesso che ciò sia vero, comunque, resta ancora da spiegare perché la nostra esperienza ci fornisca un quadro coerente: per esempio, non ci accade di ritrovarci all’improvviso con una cicatrice inspiegabile. Una situazione di questo tipo esisterebbe certamente in Platonia, ma noi non la viviamo. Possiamo parlare di coerenza universale, poichè la ragione sarebbe puramente statistica, secondo Barbour infatti, i fotogrammi “coerenti” cioè quelli che di fatto costituiscono la nostra vita, sarebbero estremamente più probabili degli altri, sono di un tipo che Barbour definisce: “capsule temporali” in quanto contengono al loro interno l’impronta di altri fotogrammi. Un fossile, per esempio è l’impronta di un essere che esiste in altri fotogrammi di Platonia. E anche i nostri

ricordi impressi nel cervello, corrispondono ad altri fotogrammi esistenti. I fotogrammi più probabili, cioè

quelli che ci danno l’impressione di vivere nel tempo, sarebbero quelli coerenti con lo sviluppo dell’universo che conosciamo. Ogni istante è per sempre – l’audace concezione del tempo di Barbour coincide per molti aspetti sorprendentemente, con quella espressa dall’italiano Emanuele Severino docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia che ci è arrivato qualche anno fa, basandosi soltanto su argomentazioni logiche. “Ciò che è chiamato divenire inteso come diventar altro, è impossibile” dice Severino, secondo il filosofo, per esempio un uovo che si rompe, non “diviene” cioè non si trasforma affatto da un uovo intero a un uovo rotto, se l’uovo intero esiste in un istante, esiste in senso assoluto. Esistono l’uovo intero e l’uovo rotto e sono due cose distinte, per tutti gli istanti della nostra vita, e per le nostre emozioni, così conclude Severino: “Qualsiasi stato del mondo è eterno, qualsiasi situazione, evento, cosa, funzione, relazione, sostanza è, e non è possibile che non sia.” La nostra percezione del mondo sarebbe dunque il riflesso di una realtà composta da entità esterne che non possiamo conoscere direttamente. Il dubbio rimane, gran parte degli scienziati e filosofi, pur rispettando queste idee, non le condivide, anche perché non è chiaro se sia possibile verificarle sperimentalmente. E’ passato molto tempo dagli antichi greci, ma molti grandi problemi filosofici sono sempre gli stessi, anche se le discussioni fra scienziati e tra filosofi sono diventate più complesse, forse è necessario che sia così come disse John Wheeler il fisico ideatore dei buchi neri: <Il tempo è il modo che ha la natura di evitare che tutto accada in una volta.>

La fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati, non sono aspetti della realtà come tendiamo a credere, ma creazioni della mente, come parti della mappa, non del territorio. Ogni volta che estendiamo il campo della nostra esperienza, i limiti della nostre menti razionali diventano evidenti e siamo costretti a modificare o persino abbandonare alcuni dei nostri concetti. Le idee di spazio e tempo hanno un posto predominante nella nostra mappa della realtà. Esse servono a ordinare cose e eventi nel nostro ambiente e sono quindi anche nei nostri tentativi di comprendere la natura attraverso la scienza e la filosofia. Non c’è legge della fisica che per la sua formulazione non richieda l’uso dei concetti di spazio e tempo. La profonda modificazione di questi concetti fondamentali, determinata dalla relatività, fu perciò una delle più grandi rivoluzioni della storia della scienza. La fisica classica era basata sull’idea di uno spazio assoluto, tridimensionale, indipendente dagli oggetti materiali in esso contenuti e regolati dalle leggi della geometria euclidea, sia di un tempo inteso come dimensione separata, anch’esso assoluto, che scorre uniformemente e indipendentemente dal mondo materiale. In occidente questi concetti di spazio e tempo, erano così profondamente radicati nella mente dei filosofi e scienziati che furono assunti come proprietà vere e indiscusse della natura.

La convinzione che la geometria, più che far parte della struttura che usiamo per descrivere la natura, sia inerente a questa ha le sue origini nel pensiero greco. La geometria assiomatica era l’aspetto principale della matematica greca ed ebbe profonda influenza sulla filosofia greca. Il suo metodo che consisteva nel partire da assiomi indiscussi per ricavarne teoremi mediante il ragionamento deduttivo, divenne caratteristico del pensiero filosofico greco, tanto da ritenere i loro teoremi matematici espressioni di verità eterne ed esatte riguardanti il mondo reale . La geometria era considerata la combinazione perfetta della logica e della bellezza e pertanto era ritenuta di origine divina. Di qui il detto di Platone: “Il dio è geometra”. Queste concezioni divennero il classico nelle scuole europee fino all’inizio del 1900. Fu necessaria l’opera di Einstein, perché scienziati e filosofi si rendessero conto che la geometria non è inerente alla natura, ma è imposta ad essa dalla nostra mente.

La filosofia orientale a differenza di quella greca, ha sempre sostenuto che spazio e tempo sono costruzioni della mente. I filosofi orientali considerano questi concetti – come tutti gli altri concetti intellettuali – relativi, limitati e illusori. In un testo Buddista troviamo le seguenti parole: “Il Buddha insegnava che il passato, il futuro e lo spazio fisico e le singole cose non fossero che nomi, forme di pensiero, parole di uso comune, realtà puramente superficiali....” Gli antichi filosofi cinesi davano per esempio una spiegazione universale seguendo il loro TAO , ognuno secondo la propria natura ed i loro movimenti che avrebbero potuto essere trattati nella forma essenziale: “non rappresentativa” della matematica e della geometria. Per loro era chiaro che lo spazio e il tempo non sono altro che un modo di particolarizzazione che non ha esistenza reale di per se stesso, Lo spazio e il tempo esistono solo in relazione alla nostra conoscenza che particolarizza. Quindi questi filosofi e scienziati possedevano l’atteggiamento tanto fondamentale per la teoria della relatività, secondo il quale le nostre nozioni di geometria non sono proprietà assolute e immutabili della natura, bensì costruzioni intellettuali. Queste stesse considerazioni valgono per la nostra idea di tempo. Gli orientali collegano entrambe le nozioni di tempo e spazio a particolari stati di coscienza. Essendo essi in grado, mediane la meditazione, di oltrepassare lo stato ordinario, essi si sono resi conto che i concetti convenzionali di spazio e tempo non sono la verità ultima, la loro esperienza mistica porta a concetti di spazio e tempo molto più raffinati, che per molti aspetti somigliano a quelli della fisica moderna così come sono presentanti dalla teoria della relatività.

Qual è dunque questa nuova concezione dello spazio e del tempo che emerge dalla teoria della relatività? Essa si basa sulla scoperta che tutte le misure dello spazio e del tempo sono relative. Per ciò che riguarda lo spazio si sapeva bene, anche prima di Einstein che la posizione di un oggetto nello spazio può essere definita solo rispetto a qualche altro oggetto. Di solito ciò viene fatto servendosi di tre coordinate e il punto dal quale si misurano le coordinate può essere chiamato: “la posizione dell’osservatore” anche se, nel caso di due osservatori, queste coordinate diventano relative. Come nell’esempio seguente che è bidimensionale alle tre dimensioni.

Per quanto riguarda il tempo, tuttavia, la situazione nella fisica classica era completamente differente. Si supponeva infatti che l’ordine temporale tra due eventi fosse indipendente da qualsiasi osservatore e alle specificazioni che si riferivano al tempo – quali “prima” e “dopo” o “simultaneamente” – veniva dato un significato assoluto, indipendente da qualsiasi sistema di coordinate. Einstein riconobbe che anche le specificazioni temporali sono relative e dipendono dall’osservatore. Nella vita quotidiana, l’impressione di poter ordinare gli eventi attorno a noi in un’unica sequenza temporale è creata dal fatto che la velocità della luce 300.000 kilometri al secondo – è tanto grande rispetto a qualsiasi altra velocità della quale possiamo avere un’esperienza diretta, che possiamo supporre di star osservando gli eventi nell’istante stesso in cui essi avvengono. Tuttavia questo non è affatto vero, poiché la luce richiede un certo tempo per andare dall’evento all’osservatore. Normalmente, questo tempo è talmente piccolo che la propagazione della luce può considerarsi istantanea, ma quando l’osservatore si muove ad alta velocità rispetto al fenomeno osservato, il breve intervallo di tempo tra l’istante in cui avviene un evento e l’istante in cui lo si osserva, svolge un ruolo decisivo nello stabilire la sequenza degli eventi. Einstein comprese che in un caso come questo, osservatori in moto con velocità diverse ordineranno diversamente gli eventi nel tempo (presupponendo che per ottenere questo risultato è essenziale tenere conto del fatto che la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori).

Poiché spazio e tempo sono ora ridotti al ruolo soggettivo di elementi del linguaggio usato da un particolare osservatore per descrivere i fenomeni naturali dal suo punto di vista, ciascun osservatore descriverà questi fenomeni in modo diverso. Questa condizione è nota come il principio di relatività ed è il punto di partenza della teoria stessa. Einstein capì che questo principio può essere soddisfatto nella descrizione di moltissimi fenomeni, solo se tutte le specificazioni, non sono solo spaziali, ma anche temporali. Questa teoria ha dimostrato che lo spazio non è tridimensionale e il tempo non è una entità separata. Entrambi sono profondamente e inseparabilmente connessi e formano un continuo quadridimensionale chiamato “spazio-tempo”. Questo concetto di “spazio-tempo” fu introdotto da Hermann Minkowski con le seguenti parole: “Le concezioni di spazio e di tempo che desidero esporvi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse sono fondamentali. D’ora in poi lo spazio di per se stesso e il tempo di per se stesso sono condannati a svanire in pure ombre e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente, basti pensare al legame profondo che esiste fra spazio-tempo in astronomia, e questo ancor prima della teoria della relatività.”

Gli astronomi hanno a che fare con distanze estremamente grandi e di nuovo, in questo caso, diventa importante il fatto che la luce impieghi un certo intervallo di tempo per andare dall’oggetto osservato all’osservatore, Poiché la velocità della luce è finita, gli astronomi non osservano mai l’universo nel suo stato attuale, ma guardano sempre indietro, nel passato. Per andare dal Sole alla Terra la luce impiega otto minuti, e quindi noi vediamo il Sole come era otto minuti prima. Analogamente vediamo la stella più vicina come essa era quattro anni fa, con i nostri telescopi possiamo vedere le galassie come erano milioni di anni fa. Per gli astronomi questo costituisce un vantaggio, perché permette loro di osservare le fasi dell’evoluzione delle stelle, guardando semplicemente nello spazio e indietro nel tempo.

Questa unificazione del tempo - spazio è una caratteristica della relatività, ma noi non abbiamo alcuna esperienza sensoriale diretta dello spazio tempo quadridimensionale e degli altri concetti relativistici.

Ogni volta che studiamo dei fenomeni naturali che comportano alte velocità, ci risulta molto difficile trattare questo concetto, sia a livello di intuizione, sia a livello di linguaggio ordinario. Per esempio nella fisica classica si è sempre dato per scontato che un righello ha la stessa lunghezza in moto o in stato di quiete, la teoria della relatività ha dimostrato che questo non è vero. La lunghezza di un oggetto dipende dal suo moto rispetto all’osservatore e cambia con la velocità di quel moto, la variazione è tale che l’oggetto si contrae nella direzione del moto. La lunghezza del righello è massima in un sistema di riferimento nel quale esso è in quiete e diminuisce con il crescere della velocità rispetto all’osservatore. Durante gli esperimenti di “diffusione” della fisica delle alte energie, in cui le particelle si urtano a grandissime velocità, la contrazione relativistica raggiunge valori così elevati che particelle di forma sferica vengono schiacciate fino ad assumere la forma di “frittelle”.

E’ importante comprendere che non ha alcun senso chiedersi quale sia la lunghezza “reale” di un oggetto, proprio come nella vita quotidiana non ha senso chiedersi quale sia la lunghezza reale dell’ombra di una persona, l’ombra è la proiezione su un piano bidimensionale di un insieme di punti dello spazio tridimensionale e la sua lunghezza è diversa a seconda dell’angolo di proiezione. Analogamente la lunghezza di un oggetto in moto è la proiezione, su un piano tridimensionale, di un insieme di punti dello spazio- tempo quadridimensionale, essa è diversa in sistemi di riferimento diversi.

Ciò che è vero per le lunghezze, è anche vero per gli intervalli di tempo. Anch’essi dipendono dal sistema si riferimento, ma al contrario delle distanze spaziali, diventano tanto più lunghi quanto più aumenta la velocità rispetto all’osservatore. Ciò significa che gli orologi in moto rallentano e il tempo scorre più lentamente. Questi orologi possono essere di tipi svariati: orologi meccanici, atomici, o addirittura il battito cardiaco umano. Il rallentamento degli orologi in moto, per quanto possa sembrare incredibile, è facilmente sottoposto a verifica nella fisica delle particelle. La maggior parte delle particelle subatomiche sono instabili, cioè dopo un certo periodo di tempo si disintegrano in altre particelle. Numerosi esperimenti hanno confermato il fatto che la vita media - (occorre fare una precisazione tecnica: quando parliamo della vita di un determinato tipo di particelle instabili, intendiamo sempre la vita media. A causa del carattere statistico della fisica subatomica, non possiamo fare alcuna affermazione precisa sulle singole particelle) – di una di queste particelle instabili dipende dal suo stato di moto e aumenta con la sua velocità. Particelle che si muovono con una velocità pari all’80% di quella della luce vivono circa 1,7 volte di più delle loro “gemelle” lente, mentre con una velocità pari al 99% della velocità della luce vivono circa 7 volte più a lungo. Anche in questo caso ciò non significa che cambia la vita media reale della particella. Dal punto di vista della particella, la sua vita media è sempre la stessa, ma dal punto di vista dell’osservatore nel laboratorio, “l’orologio interno” della particella ha rallentato e perciò essa vive più a lungo.

A questo punto non possiamo non parlare del “paradosso dei gemelli”. Se di una coppia di gemelli uno dei due partisse per un veloce viaggio di andata e ritorno nello spazio esterno, al suo rientro a casa, risulterebbe più giovane del fratello, perché dal punto di vista di quest’ultimo, rimasto a terra, tutti i suoi “orologi”: il battito del cuore, il flusso del sangue, le onde cerebrali ecc, sarebbero rallentanti durante il viaggio.

Il viaggiatore naturalmente non si accorgerebbe di alcunché di insolito, ma al suo ritorno si renderebbe improvvisamente conto che ora il fratello gemello è molto più vecchio. E’ questo uno dei paradossi più famosi della fisica moderna, ecco dunque una prova eloquente che la realtà descritta dalla teoria della relatività non può essere facilmente afferrata dalla nostra intelligenza ordinaria.

I mistici orientali, come è già stato detto prima, sembrano in grado di raggiungere stati di coscienza non ordinari, nei quali trascendono il mondo tridimensionale della vita quotidiana per provare le esperienze di una realtà superiore, pluridimensionale. Lo yogi Aurobindo, per esempio, parla di “un mutamento sottile che fa sì che la vista veda una specie di quarta dimensione”. Le dimensioni di questi stati di coscienza non sono forse le stesse con le quali abbiamo a che fare nella fisica relativistica, ma è sorprendente il fatto che esse abbiano condotto i mistici a nozioni di spazio e tempo che sono molto simili a quelli della teoria della relatività . In questi yogi sembra essere presente una profonda intuizione del carattere “spazio-temporale” della realtà. Con insistenza si afferma che spazio-tempo sono uniti in maniera inseparabile, un fatto, questo, peculiare della fisica relativistica, tanto da far dire a uno di questi yogi ( D.T. SUZUKI)

<Il significato dell’esperienza che si ha nel mondo durante lo stato di illuminazione è incomprensibile, a meno di non provare una volta....uno stato di totale dissolvimento in cui non c’è più distinzione fra mente e corpo, soggetto e oggetto...Ci guardiamo intorno e sentiamo che...ogni oggetto è connesso con un altro oggetto...non solo spazialmente, ma temporalmente...Come realtà di pura esperienza, non c’è spazio senza tempo, non c’è tempo senza spazio, essi si compenetrano. >

Confrontando la citazione di Suzuki e quella di Minkowski, è interessante notare che sia i fisici che lo yogi sottolineano il fatto che le loro concezioni di spazio-tempo sono basate sull’esperienza: in un caso su esprimenti scientifici, nell’altro sull’esperienza mistica.

Nella “teoria generale della relatività” lo schema della teoria speciale è stato esteso fino ad includere la gravità. L’effetto delle gravità, secondo la relatività generale, è di curvare lo spazio-tempo. Di nuovo questo fatto è estremamente difficile da visualizzare. Per comprendere il significato dello spazio-tempo curvo dobbiamo servirci, come analogie, di curve bidimensionali. Immaginiamo per esempio la superficie di una sfera. Il fatto decisivo che rende possibile l’analogia con lo spazio-tempo è la curvatura, una proprietà intrinseca alla superficie, e può essere misurata senza uscire nello spazio tridimensionale. Un insetto bidimensionale, confinato sulla superficie della sfera è incapace di percepire lo spazio tridimensionale, potrebbe lo stesso scoprire che la superficie sulla quale vive è curva, purchè sia in grado di eseguire misurazioni geometriche. Confrontiamo il nostro insetto con un altro che vive su una superficie piana. E immaginiamo che i due insetti comincino a studiare goemetria tracciando una linea retta, definita come il percorso più breve fra il punto A e B.

Vediamo che il primo insetto ha disegnato una linea retta, mentre il secondo ha disegnato una curva (o per essere esatti un arco di cerchio massimo). Se i due insetti decidono di continuare a studiare geometria , il primo scoprirà le leggi della geometria euclidea, ma il suo collega sulla sfera scoprirà leggi diverse. La differenza sarà piccola per figure geometriche piccole, ma aumenterà a mano a mano che le figure geometriche diventeranno più grandi.

Quindi possiamo definire come spazio tridimensionale curvo, uno spazio nel quale non è valida la geometria euclidea, avremo qui una geometria “non euclidea” una geometria di questo tipo è stata introdotta dal matematico Georg Reinemann nel diciannovesimo secolo, come idea matematica puramente astratta, ma in seguito Einstein propose la rivoluzionaria ipotesi che lo spazio tridimensionale in cui viviamo è di fatto curvo, secondo Einstein la curvatura dello spazio è prodotta dai campi gravitazionali dei corpi. Dovunque sia presente un oggetto con nassa, lo spazio circostante è curvo e il grado di curvatura dipende dalla massa dell’oggetto. Le equazioni che mettono in relazione la curvatura dello spazio e la distribuzione di materia presente in esso possono essere applicate per determinare le variazioni locali di curvatura nelle vicinanze di stelle e pianeti, ma anche per scoprire se c’è una curvatura globale dello spazio su larga scala. A questo punto cosa dire del tempo? Visto che esso tempo non può essere separato dallo spazio, la curvatura prodotta dalla gravità non può rimanere limitata allo spazio tridimensionale, ma deve estendersi allo spazio-tempo quadridimensionale. Le distorsioni prodotte dalla curvatura riguardano non solo le relazioni spaziali descritte dalla geometria, ma anche la durata degli intervalli di tempo. Il tempo non scorre con la stessa rapidità che avrebbe nello “spazio- tempo – piano” e con il variare della curvatura da punto a punto, in rapporto della distribuzione della massa dei corpi, varia corrispondentemente lo scorrere del tempo. E’ importante rendersi conto tuttavia che questa variazione dello scorrere del tempo può essere vista solo da un osservatore che rimanga in un luogo diverso da quello degli orologi usati per misurare tale variazione. Se l’osservatore, per esempio, si spostasse in un luogo nel quale il tempo scorre più lentamente, anche tutti i suoi orologi rallenterebbero e quindi egli non avrebbe alcun mezzo per misurare tale effetto. Nel nostro ambiente terrestre, gli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo sono talmente piccoli da essere insignificanti, ma nell’astrofisica, che tratta con corpi di grande massa, quali pianeti, stelle e galassie, la curvatura dello spazio-tempo è un fenomeno importante. Finora tutte le osservazioni hanno confermato la teoria di Einstein e siamo spinti a credere che lo spazio-tempo sia curvo. Gli effetti più drastici della curvatura spazio-tempo si manifestano durante la contrazione o “collasso” gravitazionale di una stella di grande massa. Secondo le idee correnti dell’astrofisica, nel corso della sua evoluzione ogni stella raggiunge una stadio durante il quale essa si contrae a causa della mutua attrazione tra le sue particelle. Poiché l’attrazione aumenta rapidamente con il diminuire della distanza delle particelle, la contrazione accelera, e se la stella ha una massa sufficientemente grande, per esempio due o più volte quella del Sole, nessun processo conosciuto può impedire che la contrazione prosegua indefinitamente. A mano a mano che la stella si contrae e diventa più densa, la forza di gravità sulla sua superficie cresce sempre di più, e di conseguenza aumenta anche la curvatura spazio-tempo nella regione circostante. A causa della crescente forza di gravità sulla superficie della stella, diventa sempre più difficile allontanarsene e alla fine la stella raggiunge uno stadio in cui dalla sua superficie non può sfuggire nulla, neanche la luce. A questo stadio diciamo che attorno alla stella si forma un “orizzonte di eventi” perché nessun segnale può allontanarsi da essa per comunicare un evento qualsiasi al mondo esterno. Lo spazio intorno alla stella è quindi talmente curvo che tutta la luce rimane confinata al suo interno e non può uscirne. Noi non siamo in grado di vedere una stella di questo tipo, perché la sua luce non potrà mai raggiungerci e per questo motivo la chiamiamo BUCO NERO. L’esistenza dei buchi neri era già stata prevista nel 1916, ma recentemente l’argomento è stato posto al centro dell’attenzione dalla scoperta di alcuni fenomeni stellari che sembrerebbero indicare l’esistenza di una stella pesante che ruota intorno ad una compagna invisibile, la quale potrebbe essere un buco nero. I buchi neri sono fra le teorie più interessanti. La forte curvatura dello spazio-tempo attorno ad essi non solo impedisce a tutta la loro luce di raggiungerci, ma ha un effetto altrettanto impressionante sul tempo. Se un orologio che ci trasmette i suoi segnali, si trovasse sulla superficie di una stella che si sta contraendo, noi osserveremmo che questi segnali rallentano a mano a mano che la stella si approssima “all’orizzonte degli eventi”, finché una volta che la stella fosse diventata un buco nero, non ci giungerebbe più segnale dell’orologio. Ci possiamo chiedere, quanto tempo occorre realmente per la contrazione, un tempo finito o un tempo infinito? Nel mondo della relatività questa è una domanda senza senso. La durata della vita di una stella che si contrae, come tutti gli altri intervalli di tempo, è relativa e dipende dal sistema di riferimento dell’osservatore. Quindi nella teoria della relatività i concetti classici di spazio e tempo come entità assolute e indipendenti sono totalmente aboliti, non solo perché dipendono dall’osservatore, ma l’intera struttura è inestricabilmente legata alla distribuzione della materia. Siamo dunque giunti a comprendere che le idee di spazio euclideo tridimensionale e di tempo lineare sono limitate alla nostra esperienza ordinaria del mondo fisico e devono essere completamente abbandonate quando ampliamo questa esperienza.

I saggi orientali parlano di ampliamento della loro esperienza del mondo durante gli stati superiori di coscienza e affermano che questi stati superiori di coscienza comportano un’esperienza totalmente diversa dello spazio e del tempo. Essi insistono sul fatto che non solo durante la meditazione vanno al di là dell’ordinario spazio tridimensionale, ma anche – e sottolineano questo con ancor maggior vigore – trascendono l’ordinaria consapevolezza del tempo. Invece di una successione lineare di istanti, essi percepiscono – così dicono – un presente infinito, eterno e tuttavia dinamico. Ecco come esprimono questo “eterno presente”:

< Dimentichiamo il trascorrere del tempo, dimentichiamo i contrasti di opinioni. Facciamoci assorbire dall’infinito e occupiamo in esso il nostro posto. > (Chuang TZU , saggio taoista) .

< L’assoluta tranquillità è il momento presente, Sebbene sia in questo momento, questo momento non ha limiti, e qui vi è eterno diletto.> (sesto patriarca Zen Hui-Neng)

< In questo mondo spirituale non ci sono suddivisioni di tempo come passato, presente e futuro; esse si sono contratte in un singolo istante del presente, nel quale la vita freme nel suo vero senso...Il passato e il futuro sono entrambi racchiusi in questo momento presente di illuminazione e questo momento presente non è qualcosa che sta in quiete con tutto ciò che contiene, ma si muove incessantemente. > (studioso contemporaneo dei Buddhismo D.T. Suzuki).

 

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HOBBY E TEMPO LIBERO

Lo scasso

Di Angelo Ricci

 

Come nasce un vignieto a terrazze.Viene scelto l'appezzamento del terreno, possibilmente posizionato in maniera che sia ben esposto ai raggi del sole e, se è possibile, la posizione sia rivolta nel punto cardinale sud-est, o a sud-ovest.

Quindi è necessario iniziare il lavoro, detto di SCASSATURA, cominciando dalla parte bassa del terreno, premesso che: il terreno in questione può essere anche un bosco, un frutteto, una vecchia vigna o pure qualsiasi altra cosa, l'importante che sia un terreno il meno sassoso possibile.

Cominciamo facendo in maniera che nel terreno siano tagliati tutti gli alberi, o qualsiasi altra cosa invada la superficie e come dicevamo, partiamo dal basso creando un fossato per la larghezza del terreno, per una grandezza in superficie di almeno un metro, tenendo conto che la profondità dovrà essere di un metro circa, è necessario calcolare che lo sterro della fossa, viene appoggiato sul terreno adiacente al primo scavo, dopodiché si deve iniziare il primo scavo almeno con due metri di rientro dal confine.

Una volta aperta la prima fossa, subito a fianco ne viene aperta un'altra, con le stesse dimensioni della prima e il contenuto della seconda fossa, viene versato nella prima, facendo bene attenzione che il primo strato di superfice, vada a depositarsi nel fondo e continuare così, per tuttoil terreno che abbiamo a disposizione. Una volta arrivati al limite massimo, è necessario lasciare i soliti due metri, perché l'ultima fossa possa essere chiusa con  la terra avanzata dei due metri di superficie, altrimenti non si potrebbe chiudere la fine del lavoro.

Arrivati al termine e chiuso anche l'ultimo cannello, così si chiamano le fosse finora fatte, possiamo pensare come è il sottosuolo che è stato lavorato, e quello che non è stato lavorato, immaginiamo  di poter vedere una scala a gradoni di un metro, per tutta l'altezza e la grandezza del nostro terreno, naturalmente parlando di un vigneto a teerrazza, in superficie appare come una grande discesa senza nessun appiglio, una grande discesa di colore marrone, ma a volte appare anche di due o tre colori di diverso marrone.

Il lavoro così come si trova, ha bisogno di riposare almeno un mese, per poter passare poi al lavoro di rifinitura e quindi al così detto di appianamento. Trascorso il tempo, è bene controllare bene il terreno prima di iniziare il lavoro di appianamento, o pure detto anche di terrazzatura, una volta deciso come iniziare il lavoro è necessario munirsi di due picchetti e di un buon rotolo di corda, la quale serve per dividere il terreno, in misura più precisa possibile, per poter creare la prima terrazza, iniziando dalla parte più alta partiamo col calcolare la grandezza della prima spianata, quindi piantiamo i picchetti, in posizione orizzontale dove inizia la lavorazione, lì leghiamo la corda e proseguiamo fino alla fine del lavorato, è di lì che nasce la prima terrazza. Una volta, che la corda é stata posizionata, con una buona zappa, viene asportato il terreno lungo tutta la lunghezza della corda stesa e continua il lavoro fino a che non si è creato lo spazio perché possa essere spianata la seconda terrazza. Una volta arrivati alla larghezza consentita per poter costruire la terza spianata, togliamo i picchetti e la corda che in precedenza abbiamo messi per costruire la prima terrazza, e spostando il tutto nella spianata appena fatta, riprendiamo le misure e riportandosi al margine del terreno, ripiantiamo i picchetti, rilegando e tirando la stessa corda e sempre in parallelo, creiamo la seconda terrazza. Continuando così, fino alla fine del terreno lavorato, premesso che: quando creiamo le spianate o le terrazze, è necessario rimanere sempre al di sotto delle stesse, altrimenti il lavoro non si può realizzare, e proseguendo così, arriviamo alla fine e guardando il nostro lavoro rimaniamo molto felici perché lì, veramente, possiamo vedere i veri gradoni posti gli uni sugli altri, e dopo un tempo definito di circa tre mesi, potremo piantare la nostra vigna. Questo lavoro, si realizza rigorosamente a mano, più o meno in qualunque periodo dell’anno.

 

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INFORMATICA

Winguido (Lezione 2)

Di Marco Ostuni

 

Il programma WINGUIDO si presenta con 19 voci che costituiscono il "menu principale", selezionando

le quali, è possibile accedere ad altrettanti sottomenu. Si possono selezionare le voci del menu

principale: o scorrendole premendo i tasti "freccia su, freccia giù", o premendo il tasto corrispondente

alla lettera iniziale della voce che si intende selezionare, fino a quando la sintesi non indica che il

cursore si è posizionato sulla voce cercata; a questo punto è possibile aprire il relativo sottomenu,

premendo il tasto "enter" ("invio"). Vengono elencate qui di seguito le voci del menu principale:
dati, file, internet, calcolatore, orologio, calendario, scanner, libreria, musica, ricette-cucina, giochi,

menu di avvio, appunti, controllo, aggiornamento, configurazione, prova-tastiera, uscita, guida.
In questa sede intendiamo presentare la voce del menu principale "file".
Aprendo il sottomenu relativo a questa voce come si è precedentemente illustrato, appare un menu

costituito da 6 voci, che consente di accedere ad altrettanti sottomenu, per la cui apertura vale quanto si

è già detto a proposito del menu principale. Le voci del sottomenu file sono: configura area file,

gestione file, ascolto mp3, excel, archivio, testo.
Aprendo il sottomenu relativo alla voce "configurazione" e configurando l'area file, si può escludere dal menu principale la voce file ed inserire nello stesso menu principale le voci costitutive del sottomenu

file. Saranno esaminate nel prossimo numero, una per una, le voci del sottomenu "file".

 

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MUSICA

I Duran Duran...durano!

Di Mario Lorenzini

 

Ne è passato di tempo da quando, nel 1981, i Duran Duran si sono fatti conoscere con “Planet Earth” (oltre 2 milioni di copie vendute!)”. E da lì “Rio”, con le sue atmosfere estive, primo brano a far parte del secondo album omonimo. E svariate altri, come “Save a prayer”, tra le più apprezzate dagli italiani, e “The wild boys”, che diventa un inno generazionale di portata mondiale a tutti gli effetti. Ma non sono certo questi gli unici brani ad aprire la strada del successo alla band inglese. Ricordiamo la metafora di “hungry like the wolf”, la travolgente “The reflex”.

Il gruppo pop entra subito nelle charts internazionali. Gli avvenimenti seguenti sono l’importante “A view to a kill”, il cui video, tra i loro più belli, fa da sfondo al film di 007 con una coreografia realizzata sulla torre Eiffel di grande effetto. E anche qui siamo ai primi posti in classifica.

Ma i Duran Duran non sono immobili: la formazione base, Simon Le Bon (voce), Nick Rhodes (tastiere), John Taylor (basso), Andy Taylor (chitarra), Roger Taylor (batteria), si “disperde”, per motivi di naturale evoluzione artistica, almeno per un po’; nel 1985 infatti, Andy e John lasciano la formazione, e i 3/5 della band diventano gli “Arcadia”, mietendo ancora fama con “So red the rose”. John e Andy non saranno da meno: assieme a Robert Palmer formeranno i “Power station” e spopoleranno con “some like it hot”.

L’anno dopo è tempo di riorganizzazione. Ecco i cambiamenti: Andy e Roger non ci sono più, entra in gioco Nile Rodgers (seconda chitarra), Warren Cuccurullo e Steve Ferrone. Il risultato: l’album “Notorius”, eccezionale grazie all’entrata dei due nuovi musicisti. Da rilevare appunto il brano omonimo e “Skin trade”, che mostrano, insieme a “All she wants is” un certo cambiamento di tendenza, leggermente riflessivo, forse meno brioso degli esordi ma sicuramente ricco di spunti interessanti che denotano la maturità verso cui sta andano il gruppo. Per oltre 10 anni ancora si sale in qualità, intesa come raffinatezza musicale. Nel 2000 l’album “Pop trash” e, ai giorni nostri la rinascita, per così dire, della mitica formazione storica. Il 46enne vocalist Simon Le Bon non ha perso assolutamente nulla della grinta e sensualità che da sempre lo hanno contraddistinto e che hanno coinvolto le masse.

“Astronaut” anno 2004. Ecco come si spalanca di nuovo la porta (mai stata chiusa!) della band. Ad iniziare dal singolo “(reach up for the) sunrise”, in background allo spot televisivo della TIM. E poi il brano che dà il nome all’album, fantascienza, sensualità…un gioco di attrazione in “Want you more”, una spensierata “Taste the summer”, e la riflessiva “What happens tomorrow”.

Non sto a descrivere le altre tracce presenti nell’ultimo album, certo è che i Duran sono ancora alla ribalta, e per chi, come me, adolescente ai tempi del loro esordio, ha potuto constatare ancora una volta che sono ancora lì, presenti, per niente…invecchiati? Beh, questo fa sicuramente da scudo contro alcune affermazioni del tempo, che li avevano definito come i soliti gruppi che scrivono pochi testi e poi scompaiono…Le canzonette vanno bene un anno o due, ma dopo vent’anni e passa credo che…che lo crediate anche voi.

 

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NORMALITA' E HANDICAP

La scuola materna e i bambini non vedenti

Di Antonino Cucinotta

 

Fin da quando i ragazzi ciechi sono stati ammessi a frequentare le scuole elementari ordinarie, ho sempre avuto la viva preoccupazione che un tale inserimento, anziché favorire potesse danneggiare non solo l'apprendimento e la formazione di una solida cultura, ma anche la normalizzazione senso-percettiva e motoria. Tale normalizzazione è stata giustamente ritenuta indispensabile dal Romagnoli per consentire ai non vedenti l'acquisizione della capacità di orientarsi nello spazio e di muoversi in maniera autonoma e disinvolta, requisiti, questi, indispensabili affinché il cieco possa dare di sé un'immagine non penosa e non pregiudizievole. Questa mia preoccupazione mi ha sempre fatto pensare all'opportunità di ritornare agli istituti per ciechi, ancorché radicalmente ristrutturati, rinnovati e resi pienamente funzionali, al soddisfacimento dei bisogni dei ragazzi ciechi che, comunque dovrebbero continuare a frequentare la scuola ordinaria. Tale mia tesi non ha incontrato e non incontra il favore delle famiglie dei ragazzi ciechi e della nostra Unione, che, nonostante i risultati in generale non incoraggianti dopo ormai decenni di esperienze negative, sostengono l'impossibilità e l'inopportunità di tornare indietro e la necessità di continuare a percorrere il nuovo cammino intrapreso. Anche tiflologi e pedagogisti, realisticamente, non si nascondono le difficoltà che si frappongono alla soddisfacente soluzione del problema, difficoltà evidenziate dalle perduranti situazioni di disagio che quotidianamente i ragazzi non vedenti incontrano. Ma poiché indietro non si torna, è giusto impegnarsi affinché tali difficoltà vengano superate per consentire ai bambini ciechi una vita scolastica normale, attiva, produttiva e gioiosa . In questo senso, sono lodevoli, anche se non sufficienti, le diverse iniziative che intraprendono non poche Sezioni provinciali dell'Unione e altri Enti pro ciechi impegnati affinché agli alunni non vedenti non manchino di quanto è loro scolasticamente necessario per una regolare partecipazione alle lezioni. A questo fine, mi sembra ovvio e doveroso impegnarsi in modo totale per reperire e fornire a coloro che si interessano dell'educazione e dell'istruzione dei bambini ciechi ogni aiuto che possa loro facilitare al meglio l'assolvimento di un così difficile e delicato compito. Per evitare gli inconvenienti cui possono andare incontro i nostri bambini inseriti direttamente nella scuola elementare ordinaria, ritengo necessario che essi non vi giungano psicologicamente impreparati, disorientati, spauriti, incapaci di muoversi e di inserirsi nei gruppi che i bambini spontaneamente formano. Questo compito preparatorio può essere svolto, secondo me molto bene, dalla scuola materna. Come è noto, questa scuola accoglie i bambini normodotati e handicappati dai 3 ai 6 anni e si propone il loro armonico sviluppo formativo fisico, psichico, cognitivo, affettivo e sociale. E' l'età in cui bambini sono meno smaliziati, meno prevenuti e più spontaneamente portati all'apertura sociale e alla solidarietà. Il luogo quindi, dove i bambini ciechi possono essere accolti con atteggiamenti di corretta comprensione e di amicizia. Essa è una scuola dove l’educatrice non impartisce lezioni ex cattedra; dove non esistono né regole né programmi rigidi, ma ogni attività si svolge in forma spontanea, ludica e gioiosa ed ha come protagonista oltre la stessa insegnante animatrice di ogni attività, sempre il bambino che si muove e agisce liberamente e spontaneamente, arricchendo così la sua personalità di sempre nuove esperienze.

Tutte le attività si fondano sul gioco ed è attraverso il gioco che i bambini apprendono, ampliano e approfondiscono i rapporti interpersonali; imparano a meglio dominare le loro emozioni, a modificare il loro frequente egocentrismo, ad essere aperti e solidali. L'attuazione dei principi ispiratori della scuola materna, storicamente messi in pratica soprattutto da pensatori quali Federico Froebel, Maria Montessori e le sorelle Rosa e Carolina Agazzi, denota l'importanza che nell'età moderna ha assunto l'educazione dei bambini ancora in età prescolare. In questo contesto educativo, penso che i bambini ciechi possano trovare le condizioni più propizie per la loro rieducazione senso-percettiva e comportamentale. A conferma di ciò è bene evidenziare l'importanza dell'impegno delle educatrici a tener conto nel formulare la programmazione annuale dell'eventuale presenza nella classe di bambini ciechi, per i quali è necessario adottare e applicare criteri didattici particolari. A questo punto si manifesta l'importanza della presenza dell'insegnante di sostegno per attuare un opportuno insegnamento individualizzato. Infatti i bambini ciechi, soprattutto se affetti da cecità congenita e assoluta spesso non sono in condizioni di muoversi autonomamente. Comprensibilmente essi non avvertono la curiosità di esplorare l'ambiente in cui operano per potersene impadronire; devono prendere coscienza della realtà che non conoscono, superando a questo fine la paura dell'ignoto e la timidezza naturale che per lo più li domina; devono sviluppare il senso di socializzazione per essere stimolati ad entrare in rapporto sia con gli altri bambini che con gli adulti. Usciranno così dal loro isolamento e parteciperanno gioiosamente alle attività ludiche individuali e collettive. E' necessario che essi, saggiamente guidati da insegnanti ed educatori, facciano opportune esperienze per favorire la partecipazione personale e lo sviluppo delle loro capacità percettive, cognitive e comunicative, di socializzazione e di maturazione emotiva. L'acquisizione di queste capacità richiederà necessariamente molto tempo, molto esercizio e molta pazienza. Prima di tutto sarà compito precipuo dell'educatrice far cominciare loro ad orientarsi nell'ambiente della sezione, e a questo fine, ella avrà cura che il bambino non vedente si renda conto della posizione spaziale del locale e degli oggetti che ivi si trovano. Inoltre la capacità di orientamento consente al bambino non vedente di partecipare attivamente alla vita di relazione, a prendere contatti ad esaminare ed a confrontare le cose e prenderne coscienza,, cosicché l'apprendimento ricevuto non costituirà una semplice acquisizione mentale e puramente verbalistica. Pur con la dovuta cautela, l'insegnante andrà attenuando gradualmente la sua stretta vigilanza e servendosi di attività stimolanti, soprattutto di natura ludica, susciterà la curiosità del bambino e lo spingerà a muoversi liberamente nell'ambiente mentre in questo frattempo egli imparerà a conoscere la voce dei suoi compagni con i quali inevitabilmente finirà con l'entrare in rapporto, favorito in ciò dal progressivo affinarsi del tatto, dell'udito e della sensibilità facciale che, come è noto, sono fattori indispensabili per la rieducazione senso-percettiva dei non vedenti. Dal ristretto ambiente della sezione, il bambino passerà quindi ad esplorare gli altri ambienti scolastici, compreso il giardino se esiste, nei quali, avendo opportuni punti di riferimento, dovrà riuscire a muoversi con sicurezza e disinvoltura. Sappiano le educatrici che il bambino cieco, dotato di un adeguato sviluppo uditivo è capace di percepire gli ostacoli di una certa consistenza, posti anche a distanza e di scansarli, anche se agli astanti profani, potrà sembrare che debba andare a cozzarvi contro.

Lo sviluppo del tatto, poi, consentirà al bambino di toccare e osservare le cose per rendersi conto della loro forma, della loro consistenza e della loro dimensione. Ciò è necessario affinché ne acquisti una sempre più chiara cognizione, si formi la giusta idea delle proporzioni e acquisti quindi la capacità di riprodurre le cose concretamente, usando la plastilina, creta o alto materiale didattico adatto alla circostanza. Con ciò, l'educatrice stimolerà anche l'immaginazione e la fantasia, l'interesse e la curiosità del bambino non vedente. Per una sua regolare e armonica crescita fisica e mentale, l'educatrice farà bene a lasciarlo correre, saltare, arrampicarsi e sbizzarrirsi in tanti giochi individuali e collettivi. Potranno esserci cadute, urti, e scontri, di cui non bisogna preoccuparsi più di quanto non ci si preoccupi per i bambini normodotati. L'educatrice tenga ben presente che attraverso l'osservazione diretta delle cose, il mondo si scopre alla mente del bambino non vedente, arricchendola di sempre nuove e preziose esperienze cognitive. E poiché non tutte le cose della realtà possono essere osservate direttamente, nasce l'importanza dei sussidi didattici, all'uopo costruiti, che favoriscono l'acquisizione dei concetti spaziali; la comprensione della lateralizzazione e ancora la comprensione delle operazioni logico-matematiche, come la classificazione, la selezione, e la seriazione. Sarà così che egli conquisterà la sua autonomia, la fiducia e la sicurezza in se stesso che gli consentiranno sempre una consolidata normalizzazione senso-percettiva e motoria, fondamentale come autorevolmente sostiene il Romagnoli, per poter fare sempre nuove e feconde esperienze di vita. Da quanto detto, mi pare che risulti abbastanza chiaro che la frequenza nella scuola materna da parte dei bambini non vedenti, possa essere propedeutica all'ammissione alla scuola elementare, alla quale il bambino cieco così rieducato possa giungervi già in possesso dei prerequisiti che il nuovo indirizzo scolastico presuppone. Ciò certamente favorisce la soluzione dei problemi educativi che ancora oggi affliggono genitori, tiflologi e insegnanti al momento in cui i bambini ciechi fanno il loro ingresso nella scuola elementare ordinaria. Infatti, giungendo alla scuola elementare rieducati e preparati, ritengo che essi non incontreranno eccessive difficoltà di inserimento e avranno modo di proseguire, di ampliare e approfondire in maniera regolare competenze, abilità e nuove conoscenze. E’ chiaro quindi che la rieducazione dei bambini ciechi, a cominciare dalla scuola materna, sarà tanto più completa e proficua, quanto più concorreranno al successo situazioni ambientali favorevoli e persone psicologicamente e didatticamente ben preparate. Non mancano nel settore esperienze del tutto positive e penso che esse potranno essere sempre più numerose con risultati brillanti se i bambini saranno sostenuti da un adeguato affetto dei familiari e guidati da educatrici, come già detto, sensibili, psicologicamente e didatticamente preparate, libere da pregiudizi e animate da una profonda fede nella riuscita dell'opera che sono chiamate a svolgere. L'esperienze realizzate mi convincono ancor più dell'opportunità, anzi della necessità che i bambini ciechi frequentino la scuola materna , come d'altronde fu suggerito anche dalla Commissione preposta alla formulazione dei programmi della scuola elementare del 1985 per gli handicappati in genere. A questo fine, non bisogna mancare di fare opera di persuasione presso i genitori interessati e opportunamente intervenire presso chi di dovere per ottenere interventi legislativi che diano ai bambini ciechi la precedenza nelle iscrizioni.

 

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RACCONTI E POESIA

Il dono

Di Lia Simoni

 

Mezzanotte è già passata da un pezzo. Ora è giunto il momento di andarmene a letto, e così finalmente può calare il sipario su questa giornata lunga, intensa, ma estenuante...

Una corsa veloce per gli acquisti dell'ultimo minuto, la gente come impazzita, presa dalla frenesia di scegliere l'ultimo regalo, l'oggetto che manca per le decorazioni, il tocco finale per il pranzo dell'indomani; un tripudio di suoni, odori, luci e colori, come soltanto in questi giorni si possono sentire... I preparativi per la cena di stasera, la cucina piacevolmente invasa dai profumi e dai sapori più svariati, un viavai continuo con teglie, piatti e vassoi... E la sera, finalmente, tutti attorno alla tavola imbandita, la musica, l'albero e i regali, tutto il calore che solo una sera come questa può trasmettere... La sensazione piacevole di ritrovarsi insieme, la famiglia finalmente riunita... No, in realtà non tutta, qualcuno non è qui con noi a festeggiare questa notte, non è più così da parecchio tempo: eppure ne avvertiamo chiaramente la presenza a ogni istante, in ogni nostro gesto, sappiamo che in realtà lei è lì con noi, ci sorride, felice di ritrovarci insieme, sereni, anche se senza di lei...

E ora, eccomi qui... Prima di infilarmi voluttuosamente sotto le coperte, spengo la luce, però, anche se mi sento esausta, decido di non dormire subito, quindi lascio che il faretto sul comodino continui a diffondere tutt'intorno la sua lucina brillante, poi accendo la radio, come faccio tutte le volte che sento il bisogno di riacquistare un po' di serenità...

Eppure, è la notte di Natale, stasera sono stata bene in famiglia, e so che adesso dovrei sentirmi del tutto serena e in pace con me stessa: sì, proprio come accadeva quando ero bambina, e mi bastava così poco per sentire tutto il calore di questa festa! Ma ora non è così, avverto una strana sensazione come di vuoto, un'angoscia sottile, come se mancasse qualcosa, qualcosa d'indefinito, a rendere magico questo momento. Ma perché, mi chiedo, non sono più in grado di vivere come un tempo lo spirito magico di questa notte, che è il simbolo per eccellenza della rinascita, una rinascita che è anche la nostra? Perché non riesco a far mio il significato più profondo di questa festa che pure ho sempre tanto amato?

A un tratto, però, mi attraversa un pensiero: forse è proprio vero che in una notte come questa ogni cosa può accadere, anche di ritrovarsi come per incanto in un altro tempo, in un altro luogo... Socchiudo piano gli occhi, e la mia mente a poco a poco si svuota di tutti i pensieri e le angosce, e adesso avverto soltanto una piacevole sensazione di pace...

E' la notte di Natale di molti anni fa, dieci o forse di più. Io e mia sorella camminiamo affiancate verso la chiesa. Nonostante il freddo pungente, abbiamo deciso di andarci a piedi, dal momento che si trova a pochi passi da casa nostra: io avvolta nel mio lungo cappotto nero, lei nel suo piumino bianco, che la fa sembrare ancora più bambina. Entrambe cantiamo nel coro della chiesa, non è molto numeroso ma comunque piuttosto ben strutturato, quest'anno poi abbiamo iniziato le prove un paio di settimane prima del solito e abbiamo allestito per la messa di Natale un repertorio di canti di tutto rispetto. Oltretutto stasera io ho un motivo in più per sentirmi emozionata: l'organista ha pensato di assegnarmi una parte da solista, e dopo un iniziale attimo d'imbarazzo ho accettato con entusiasmo, data la mia smisurata passione per il canto! Mi auguro solo di esserne all'altezza! La chiesa è gremita, c'è gente in piedi in prossimità dell'ingresso e anche addossata alle pareti, e noi dobbiamo farci largo a fatica per raggiungere la scaletta a chiocciola di legno, che saliamo precipitosamente. La messa è solenne e si protrae più del solito, la nostra esibizione è impeccabile, e anch'io riesco a cavarmela piuttosto bene, almeno credo. Alla fine anche noi scendiamo e ci uniamo agli altri per scambiarci gli auguri di rito: è questo un momento particolare, in cui può capitare d'incontrare persone che non vedevi da tempo, qualcuno che è tornato a trovare i parenti per le vacanze, tanti volti nuovi, in una comunità piccola come la nostra, dove tra di noi ci si conosce più o meno tutti. E poi a mano a mano la chiesa si svuota, e ci troviamo tutti sul sagrato, per un altro di quei momenti che rendono questa notte unica: pandoro e vino caldo speziato per tutti, e per i più piccoli, numerosi e festanti, cioccolata calda e una pioggia di doni, distribuiti da un improbabile Babbo Natale con tanto di slitta e sonagli! E il freddo ormai non lo sentiamo più, anzi, nessuno vorrebbe forse muoversi di lì e porre fine a questo momento...

E poi, di nuovo a casa, a scartare finalmente i regali che da troppo tempo facevano bella mostra di sè sotto l'albero: alcuni già previsti, altri inaspettati ma forse per questo ancora più graditi! E via a letto, perché domani sarà una giornata molto intensa, col grande pranzo in famiglia e tutto il resto! Ma prima di addormentarmi leggo un po', è una cosa che adoro fare quando mi sento particolarmente serena, e questa è senz'altro una di quelle volte! E poi è Natale, quindi come potrebbe essere altrimenti?

Il giorno dopo mi sveglio felice e riposata, pur non avendo dormito molto. Scostando le tende, mi accorgo che è una mattinata splendida: a quanto pare si preannuncia un'altra giornata estremamente gelida, e chissà che entro la serata questo Natale non ci regalerà una bella nevicata...

Arriviamo a casa della nonna con congruo anticipo, per scambiarci gli auguri e naturalmente per dare una mano affinché tutto sia pronto all'arrivo del resto della famiglia. com'era prevedibile, fervono i

preparativi per il pranzo: la nonna, com'è solita fare nelle grandi occasioni, non ha badato a spese, e da quello che possiamo vedere appena facciamo capolino in cucina, ce ne sarebbe per sfamare un intero esercito!

Ed eccola lì, infatti, tutta indaffarata ai fornelli, sempre bellissima anche con addosso quello strano grembiule, con il suo portamento elegante e il suo fare allegro, che ci corre incontro felice di vederci, ci saluta e ci bacia con calore. Ah, la mia adorata nonna, con la sua inconfondibile risata, musicale e contagiosa, che puntualmente ti fa venire voglia di ridere insieme a lei, così, senza apparente motivo; e che riesce sempre a farti dimenticare ogni tua angoscia, tristezza o turbamento... Sì, perché infatti mi bastano cinque minuti della sua compagnia per farmi scordare completamente i guai col mio ragazzo, il fatto che neanche quest'anno lui è qui con me a festeggiare il Natale, che ci siamo sentiti soltanto ieri mattina per scambiarci gli auguri e che con ogni probabilità non riuscirà a chiamarmi prima di qualche giorno... Tutto questo mi causa una sofferenza indicibile, anche se faccio di tutto per non darlo a vedere, ma la nonna è lì a rincuorarmi: lo sai che ti vuole bene, ma che per ora non può fare altrimenti, vedrai, sono certa che riuscirà a chiamarti oggi stesso, e che l'anno prossimo ci sarà anche lui a festeggiare qui con noi... Be', in realtà sulle prime ho diversi dubbi che tutto ciò avvenga, ma la nonna, non so perché, ha lo strano potere di farmi credere che qualcosa può anche accadere, se solo lo desidero veramente: con me ce l'ha sempre avuto questo potere, fin da quando ero piccola, e devo ammettere che la sua determinazione a volte mi ha spronato e aiutato a realizzare delle cose in cui credevo...

E mentre sorridendo corro con la mente a lui, e lo immagino circondato dall'affetto dei suoi familiari, in una situazione molto simile alla mia, cominciano ad arrivare tutti, e sono baci, abbracci, era da tanto che non ti vedevo, ma quanto sei cambiata!, come stai bene vestita così!...

Finalmente ci mettiamo tutti a tavola, felici di ritrovarci ancora una volta tutti insieme, allietati dalle prelibatezze preparate dalla nonna, che anche in questa occasione ha davvero superato se stessa, rivelandosi la cuoca eccellente che è sempre stata... Lei che non si siede a tavola fino a quando l'ultimo commensale non è stato servito a dovere, e questo nonostante tutti i nostri dolci quanto inutili rimproveri... Alla fine cede e prende posto anche lei insieme a noi, sempre pronta comunque a scattare in piedi se solo si accorge che qualcosa manca o non è perfettamente in ordine: una padrona di casa assolutamente impeccabile, la prendiamo bonariamente in giro, e lei ride, con la sua risata che tutti conosciamo e adoriamo!

La giornata procede tranquilla, l'armonia tra di noi è totale, il calore della festa ci rende tutti sereni! E così, tra i brindisi beneauguranti, lo scambio dei regali, il viavai di amici e parenti, la tombola, arriva l'ora di tornare a casa... Ci salutiamo, promettendoci di ritrovarci al più presto, sicuramente molto prima del prossimo Natale... E uscendo, mi accorgo con sorpresa che quello che avevo previsto la mattina si sta avverando: ha iniziato da poco a nevicare...

Torno a casa con nel cuore una strana gioia, e dopo pochi minuti capisco il perché... Sento il telefono squillare, e quando vado a rispondere ho un tuffo al cuore: all'altro capo c'è lui, riconosco con gioia la sua voce...

Volevo farti una sorpresa, non potevo far passare questa giornata senza sentirti! Buon Natale, amore... Io sono troppo felice ed emozionata per parlare, riesco ad articolare solo qualche parola: buon Natale anche a te, e grazie per avermi chiamata... Lui sorride, lo sento, e dopo un attimo di silenzio mi sorprende di nuovo: vedrai, presto le cose cambieranno, l'anno prossimo sarà tutto diverso, te lo prometto! Potrai mai perdonarmi?... Io a poco a poco mi riprendo dal turbine di emozioni che ancora provo: lo sai che non ho niente da perdonarti! E poi, questa telefonata è stato il regalo più bello che potessi farmi... Abbasso gli occhi e, non so perché, mi ritornano alla mente le parole che la nonna con tanto amore mi ha detto stamattina: e sorrido tra me: pensando a lei... Parliamo allegramente per qualche minuto, di come abbiamo trascorso la giornata, dei nostri progetti per il Capodanno... Alla fine salutarci è difficile, ma lo facciamo con la consapevolezza che fra qualche giorno potremo finalmente riabbracciarci...

Ma c'è un altro dono, meraviglioso, il dono più bello che potessi ricevere questa notte, una magica notte di Natale di molti anni dopo: addormentarmi sentendo intorno a me le braccia della nonna che mi stringono forte a sè... Io che affondo il viso nell'incavo della sua spalla, e aspiro voluttuosamente il suo delicato profumo... E lei che mi sussurra dolcemente in un orecchio: buon Natale, tesoro!...

Buon Natale anche a te, nonna, dovunque tu sia!...

 

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Lettera di Dio agli sposi

Di Antonella Iacoponi

 

"La creatura che hai al fianco è mia. Io l' ho creata: Io le ho voluto bene da sempre.
Per lei non ho esitato a dare la mia vita. Ho dei grandi progetti per lei.
Te l'affido! La prenderai dalle mie mani e ne diventerai responsabile. Quando tu hai incontrato questa mia creatura, l' hai trovata bella e te ne sei innamorato. Sono le mie mani che l' hanno plasmata; è il mio cuore che le ha messo dentro la tenerezza e l'amore; è la mia sapienza che ha formato la sua sensibilità e tutte le belle qualità che tu hai trovato.
Però non basta che tu goda del suo fascino... Ti renderai conto che ha bisogno di tante cose: casa. vestito. serenità. gioia. equilibrio. affetto. tenerezza. ecc. Ma dovrai renderti conto che ha bisogno soprattutto di Me e di quello che l'aiuta a incontrarMi: la pace del cuore, la purezza dello spirito, la preghiera, la Mia Parola, il perdono, la speranza e la fiducia in Me, la Mia Vita. Dobbiamo fare un patto tra noi: l'ameremo insieme! Io la amo da sempre, tu hai incominciato ad amarla da qualche anno. Sono io che ho messo nel tuo cuore l'amore per lei: è stato il modo più bello perché tu ti accorgessi di lei, è stato il modo più bello per dirti "te l'affido".  Ti renderò capace di amarla come io l'amo!
Dobbiamo metterci d'accordo: Non è possibile che tu l'ami in un modo e io in un altro..
Molti si illudono di poter fare a meno di Me! Ma se Io non sono con voi nell'edificare la vostra vita e il vostro amore, vi affaticherete invano. Di più. Se vi amerete in questo modo diventerete forza anche per gli altri.. Oggi si crede così poco all'Amore Vero!! Si cercano le emozioni amorose più che l'Amore! Se voi saprete amarvi come Io amo, con una fedeltà che non viene mai meno, sarete una speranza per tutti, perché tutti vedranno che l'Amore è una cosa possibile! Facendo riferimento a Me, scoprirai quale sia il modo di amare e ti svelerò quale vita ho sognato per questa creatura che è diventata tua sposa, tuo sposo!"

 

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RIFLESSIONI E CRITICHE

Siamo davvero liberi?

Di Elena Aldrighetti

 

Mai come oggi si parla di democrazia e di libertà. Probabilmente è diventata anche una moda, addirittura ora viene anche esportata. Come se si potesse esportare un modus vivendi. Ma è poi vero che siamo così liberi? Certo siamo liberi di uscire, andare in giro usando la macchina, la bicicletta, la moto oppure fare una bella passeggiata a piedi. Siamo liberi di comprare ciò che vogliamo per mangiare; liberi di scegliere cosa leggere, che film vedere ecc. almeno così, sembra in apparenza. Potremmo discutere sulla nostra libertà di scegliere un oggetto piuttosto che un altro. Non è forse vero che siamo bombardati da messaggi pubblicitari, di ogni tipo, che ci invogliano a scegliere un prodotto piuttosto che un altro? Mi è capitato spesso di sentire persone che, al supermercato, compravano un determinato detersivo perché avevano visto la pubblicità in televisione; oppure compravano dello yogurt perché in tv dicevano che era magro e aiutava il riequilibro della flora batterica intestinale. I nostri figli comprano oggetti per emulare amici, parenti, per essere alla moda.

I genitori comprano di tutto ai propri figli per non essere diversi dagli altri, perché ormai i ragazzi è giusto che abbiano tutto, e poi, come si fa a dire di no? Tutto questo non vi ha mai fatto riflettere? Credo sia banale trincerarsi dietro il solito “così va il mondo, che ci vuoi fare”. Se una cosa è sempre stata sbagliata, deve continuare ad esserlo? Io penso che tutti i condizionamenti che abbiamo, in ogni settore, ormai preferiamo ignorarli piuttosto che combatterli. Pensiamo di poter scrivere ciò che vogliamo, in tutta libertà, ma in fondo poi scriviamo su di un argomento, piuttosto che su di un altro, in base ai condizionamenti che abbiamo su questo o su quello. E’ veramente difficile liberarsi dalle catene, anche perché per farlo, dobbiamo renderci conto che siamo incatenati. Quando scegliamo un libro da leggere, spesso veniamo attratti da come è stato impostato il titolo, dalla trama. L’editore sa perfettamente come incuriosire il futuro acquirente, quindi, poi, finiamo a volte per leggere ciò che vogliono che noi leggiamo. Che dire poi dei media? In televisione passa quello che vogliono farci vedere e credere. Una volta la medesima notizia veniva raccontata, dai vari telegiornali, in maniera differente. Ora, se ci fate caso, viene proposta in maniera molto simile da tutti i notiziari, questa non è forse una forma di globalizzazione? Non riusciamo mai a farci un’idea reale su un avvenimento. Un caso veramente lampante è stata la guerra in Iraq. I potenti non ammettono che è stata una guerra inutile e che sta causando tante vittime, insistono sul fatto che, nonostante i morti, noi ora viviamo in un mondo più sicuro. Molte notizie che parlano della guerra, vengono già presentate facendo vedere, innanzitutto, le crudeltà dei terroristi, ma alla crudeltà degli occidentali che sfruttano il mondo da decenni, nessuno ci fa caso? Anche nella sfera personale, tutto ciò che facciamo è fortemente influenzato dalla morale che ci è stata impartita da bambini, quindi non abbiamo scelto se a noi andava bene oppure no, e ci hanno anche insegnato a tenere in considerazione l’opinione altrui.

In molte occasioni mi è capitato di vivere situazioni di falsa libertà. Credevo di essere libera di scegliere ma poi mi rendevo conto che, la mia scelta era velatamente pilotata. E’ veramente molto difficile opporsi a questo inganno. Credo che una delle armi migliori per superare questi “obblighi”, sia quello di non fermarsi mai all’apparenza. Non accontentarsi di quello che ci viene propinato e, soprattutto, non credere ciecamente in nulla. Qualsiasi cosa, per giusta che sia, che viene presentata come verità assoluta, a mio parere, è già fallata in partenza. Talvolta ho proprio l’impressione che ci vogliano schiacciare, tenere sotto come dei poveri ovini stupidi, lo fanno però con il sorriso sulle labbra. Il malessere psicologico nel mondo sta aumentanto sempre più. I suicidi sono all’ordine del giorno, così come le stragi famigliari. L’aumento dell’uso degli psicofarmaci è in aumento vertiginoso. Non credo che questo sia il quadro di popolazioni libere. Spesso, infatti, quando si cerca di andare contro corrente, c’è sempre qualcuno che, prontamente, cerca di far nascere dentro di te, sensi di colpa, sfiducia, non stima in se stessi. Tutto ciò porta, inevitabilmente, ad uno squilibrio psicofisico. Per tutto ciò che ho scritto, quando sento parlare di libertà, sorrido perché ci si riempie spesso la bocca con questa parola, poi però, rimane solo una bella parola e niente più. In nome della libertà si fanno milioni di cose, il più delle volte, però, sono fatte per scopi ben precisi e nascondono interessi economici. In questo periodo è venuto fuori anche lo scandalo Buttiglione; non voglio entrare nel merito di ciò che ha detto, voglio solo sottolineare che il ministro si è indignato della sua bocciatura parlando di complotto, razzismo nei confronti dei cattolici e integralismo da parte delle sinistre e delle associazioni gay. Permettetemi una riflessione: come si fa a parlare di libertà, democrazia e quant’altro, quando si vuole imporre il proprio modo di pensare? Troppo semplicistico trincerarsi dietro: “Io la penso così, non voglio imporre a nessuno il mio pensiero”. Quando si giudica l’orientamento sessuale e lo stile di vita, ipso facto, andiamo contro la libertà di ognuno di noi di fare della propria vita ciò che vuole.

Se vogliamo cercare di rendere le persone libere e incondizionate, bisogna, prima di tutto, abolire i giudizi.

Nel momento in cui ci si fa scudo delle proprie ideologie, si interrompe qualsiasi tipo di dialogo.

Il rispetto altrui credo sia il fondamento di un mondo libero e in pace.

 

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Società, Media, tecnologie

Di Luisa Maffettone

 

Cari lettori, queste tre parole sono spunto di una considerazione, una mia riflessione che, condivisa o no, è alla base del nostro vivere quotidiano. Senza rendercene conto, rischiamo di diventare solo un agglomerato di persone, spesso in competizione tra loro per raggiungere un modello di perfezione, sempre all’avanguardia sulle tecnologie evolute, sull’apparire inteso come essere, comportando tutto ciò un continuo decadere dell’individualismo, di emozioni e reazioni vere e spontanee, un completo abbandono di problematiche che si ha paura di affrontare dando così spazio a modelli di comportamenti imposti, che piacciono, ma non appartengono sempre all’individuo che li ammira, e vi si identifica. L’uomo a differenza degli animali, ha una capacità di pensiero e parola, ma ha anche l’esigenza di essere guidato come in un branco, per dar forza alle sue debolezze, incertezze e prese di posizione, idee, che da solo non è in grado di sostenere. Si lascia quasi rappresentare anche nel manifestare i suoi sentimenti, le sue emozioni, mediante la tecnologia, che se finisce in mani sbagliate potrebbe dominare o condizionare la capacità di pensiero, fantasia, mente… C’è ad esempio la televisione, strumento divulgativo di messaggi, creati da uomini maestri nello studio sul comportamento (sociologi, psicologi), che sanno arrivare alla gente, imponendo ciò che vogliono esprimere. Quindi vediamo ciò che vogliono farci vedere, dando vita a delle reazioni a catena di chi riceve, innescando sentimenti esasperati, come la voglia di apparire, il delegare al tubo catodico l’espressione d’affetto, d’amore, d’odio, risentimento. Osservando ad esempio nei reality show, l’esasperazione (reale o falsa) del comportamento dei partecipanti, è facile comprendere se si riesce, quanto condizionano e quanto risultano talvolta veri nel vivere quotidiano. Si preferisce prendere modelli prototipo di uno o l’altro carattere di quella persona in tv, senza realmente analizzare un pensiero individuale. lasciandoci in pratica, senza un’identità autentica, con chi fa tutto per noi, dicendoci ciò che è giusto fare e cosa non fare, lasciandoci così, in un nostro individuale torpore. Mi rendo conto che la loro popolarità, la loro diffusione, è stata imposta.

E’ vero che il telecomando ci dà l’opportunità di cambiare canale, cercando programmi alternativi, argomenti che meritano più attenzione, ma se oltre questi programmi demenziali, non viene trasmesso un bel film, documentari interessanti, un programma comico, allora, Il grande fratello, l’isola dei famosi, c’è posta per te, amici, uomini e donne, saranno programmi che in un modo o nell’altro ci verranno non solo propinati, ma entreranno nel vissuto quotidiano senza che neppure ce ne accorgiamo.

Perché, ditemi, chi non possiede un televisore in casa o un portatile, chi non lo accende specie se passa giornate intere a casa, chi non possiede un telefonino con cui può ascoltare di tutto, meno che prepararsi il caffè? Chi non possiede al lavoro un computer con cui andare su internet, per accedere, anche a notizie su personaggi dello sport, a modelle, reality show? La radio che sempre attraverso alte sfere, ci propone la musica da ascoltare, ciò che bisogna dire. Le emittenti locali hanno lasciato il posto ai Network, che ci ubriacano di musica, notizie stravaganti, creando nell’ascoltatore un rapporto distante e un po’ falsato con chi trasmette. Ecco che la tecnologia si è impadronita di noi.

Nessuno può dirsi completamente immune da tutta questa spazzatura. Il nostro iter è questo. Pur evitando di addentrarci, c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti mette al corrente di ciò che viene trasmesso. Resistiamo, finché un giorno restando in casa, accendendo la tele, troviamo o un branco di persone che litigano in tv per accaparrarsi un uomo o una donna (uomini e donne), soap, che ti fanno immedesimare nella tua quotidianità, o ti distraggono dai tuoi problemi. Si nota poi che i personaggi famosi devono la loro notorietà alla loro partecipazione a questi programmi e… subdolamente pensi: “Ma che mancanza di professionalità, se vuoi essere qualcuno devi passare per queste tappe; se la mia vicina di casa è in tv, perché non posso esserci anch’io?” Poi quando per caso ti soffermi a guardare questi programmi, ti rendi conto che per quanto finti, colpiscono in noi cose che vogliamo vedere, in cui ci vogliamo immedesimare, che ci appartengono. Possiamo insomma esasperare, mediante le telecamere, i desideri ad esempio di gloria che ognuno di noi ha, quando si guarda un ragazzo cimentarsi nello studio della danza, del canto o recitazione, e in diretta si assiste a tutte le fasi che gli consentono di diventare un artista. Se sei un ragazzo, pensi, “beato lui che ha questa opportunità!” e lo ammiri estasiato. Se sei un adulto magari saresti contento di essere suo conoscente o genitore; innescando un desiderio recondito di sentirsi protagonista. Altrimenti, come si spiega che per una edizione che finisce, ce n’è subito pronta una che comincia?

Oppure si rimane a guardare tante pretendenti in competizione per esser scelte da un corteggiatore e viceversa, per rendersi conto che è giusto mettersi in gioco, a scapito della propria dignità, purché lui o lei sia bello. Come si ha difficoltà a comunicare, solo attraverso la tele, internet, sms, si può sostituire un corteggiamento tra uomini e donne. C’è insomma anche una voglia di nascondersi, ampliata da questa tecnologia o con fantocci che sono a lungo andare i nostri rappresentanti delle emozioni, dei sentimenti, della voglia soprattutto recondita in tutti noi, di apparire, di sentirci protagonisti, divi, anche solo per un attimo. La mia riflessione, mi porta a non abbassare la guardia sul lavaggio del cervello che i media esercitano su di noi, ma comprendere che se li usassimo come strumenti di approfondimento delle nostre conoscenze, monito dei nostri difetti, come nostro mezzo attraverso cui si può non avere condizionamenti, si amplierebbero i nostri orizzonti non perdendo per strada i valori, le cose che realmente contano, la capacità di essere uomini oltre le apparenze, in grado di rispettarsi. I pensieri sono di tutti, tiriamoli fuori dagli archivi della mente! Solo così saremo liberi e vivi.

 

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Noterelle sulla conquista delle Americhe nei suoi risvolti intrinseci ed attuali

Di Marius

 

In breve, per comprendere il significato della conquista spagnola delle Americhe mi pare occorra soffermarsi su due aspetti: l’uno anche simbolico, relativo al nome del primo, storico

navigatore verso quelle terre e poi alla di lui cultura, in modo da vedere se pure la consuetudine di attribuirgli la convinzione d’esser giunto in Cina (allora, Cipango) sia retta o meno; l’altro, concernente la speciale dimensione extratemporale, sacrale, in cui vennero a combattere le truppe di Cortés: leggendo le memorie trasmesseci da Díaz del Castillo, il quale ne fece parte, questa componente sacrale, ad attenta introspezione dei periodi dell’opera in parola, m’è balzata con evidenza all’occhio. Valuterò, per ora, solo questo secondo aspetto. Ho cercato di immergermi con apposite visualizzazioni partecipazionistiche dei templi e costumi aztechi, nel clima dell’epoca di cui sto trattando, così da comprendere come il paganesimo azteco potesse essere a sua volta compreso dalla mentalità del soldato cristiano spagnolo. Portato verso le sponde di Messico, il milite iberico non poteva non riguardare a quegli uomini che si trovò a combattere con una precisa intelligenza di derivazione anche scritturale. I più cólti, senza dubbio credettero (e non a torto, se si pensa al sistema altamente sofisticato dei sacrifici umani degli indigeni) di aver davanti qualcosa di paragonabile agli antichi culti pagani cananei e amorrei ben descritti in varie pagine dell’Antico Testamento. Questa imprevista, palpabile attualizzazione di un dato biblico così lontano, dovette pur infondere in molti di quegli uomini, esigui per numero rispetto agli avversari, un'ispirazione bellico-fideistica nuova: di lotta al coltello non semplicemente contro un’ulteriore ma rispettabile civiltà (come era accaduto, secolarmente, verso gli arabi, nel 1492 cacciati anche da Granada) bensì proprio contro IL NEMICO, contro l’incarnazione più prossima e socialmente ben individuabile dell’AVVERSARIO per eccellenza del Cristo. Si respira, qua e là nelle pagine del Castillo, quest’aura. I soldati spagnoli distrussero e accaparrarono non solo per ingordigia e ferocia, comune a ogni esercito: soprattutto, ci pare evidente, per far dimenticare il più possibile ai posteri ciò di cui tristemente essi furono, come cristiani (in primis), testimoni.

Si pensi alla sorte dei prigionieri, quale attendibilmente ricaviamo dalla cronaca citata. Mentre nel campo spagnolo, aduso alla pietas militare per più di cinquecento anni di RECONQUISTA, ognuno dei catturati veniva trattenuto ma con clemenza, gli spagnoli presi dall’esercito nemico venivano immancabilmente fatti salire per le interminabili scale dei loro templi, agghindati con penne a saltare come in una specie di danza preparatoria (e propiziatoria) e poi, con un coltellaccio di quarzo – sottolinea il nostro storico – squarciati nel petto, sottratti del cuore e fatti a pezzettini da coloro che poi ne avrebbero arrostito braccia e gambe da spartirsi per laute cene, conciando le pelli dei visi onde farne, infine, tamburi.

Son cose, queste, che di per sé portano già, chi le vive prima allevato nella fede di Cristo, fuori di un certo ordine di tempo: che è sempre il tempo sacro di una determinata civiltà. Sono infatti i riti religiosi e i costumi e gli usi giornalieri a essi ispirati che “formano” l’IDEA di tempo presso ogni popolo. Anche per questa ragione, è sempre stato un po’ difficile ricostruire storicamente le civiltà precolombiane, muovendosi esse entro un ordine temporale ISPIRATO in modo radicalmente difforme da quello indo-mediterraneo (poiché anche gli arabi e gli iranici esprimono un’IDEA di tempo analoga alla nostra, non così i “gialli”). In questo senso, aveva ragione Croce, ribadendo che non possiamo proprio – in Europa – non dirci Cristiani.

Fu veramente uno scontro di civiltà, quello tra spagnoli ed aztechi: uno dei meno arbitrari che la storia ci raccomandi. La verità della Pietas contro il vitalismo senz’ordine di Dite; la memoria simbolico-realista (il “fate questo in memoria di me” della cena mistica, ricondotto a virtù attuale e capacitate in primis dal PENSIERO DELLA FEDE) contro la memoria tellurica del sangue, capace di nutrirsi di intellettualmente cieche operazioni intra-materiche rivolte verso una deità gelosa e abscondita per natura, già superata, da noi, sia presso l’egizio che il caldeo (Abramo). Sorprende, a questo proposito, il triste incidente in cui venne incappando un grande occultista del nostro tempo (noto sotto lo pseudonimo di Leo) il quale, in breve recensione a un libro letterario sfiorante gli stessi antichi culti messicani, esalta inopinatamente la fede di QUETZAQUALCOYOTL (la sanguinaria deità azteca) di contro all’opera misericordiosa e civilizzatrice dei sacerdoti cristiani.

Veramente, come civiltà di morte, quella azteca meritava d’essere sconfitta, annientata, dissolta. Le stesse popolazioni limitrofe soggette al potere centrale azteco, come i Tlaxcaliani, finirono per solidarizzare con Cortés, stanche di vedersi sacrificare al dio sanguinario migliaia di giovani, in età prepuberale, ogni anno. Quanto sinora osservato non può che condurci alla seguente breve conclusione. La guerra può ritenersi giusta solo laddove a un PRINCIPIO ATTIVO di morte si vuol sostituire, per tramite di essa, un PRINCIPIO ATTIVO d’Amore. Non così, certamente, l’attuale conflitto iracheno, impostato su di una cupidigia ancor peggiore (l’ac-caparramento del petrolio altrui) di quella propria al dittatore (comunque, di uno Stato sovrano) appena defenestrato e, peggio, trattandosi di cupidigia mascherata sofisticamente di solidarietà e valori.

 

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Riflessioni varie

Di Maurizio Martini

 

Nei giorni scorsi, pensando all’articolo che avrei scritto e sul tema da trattare, mi son trovato a dover scegliere fra molti temi tutti impegnativi. Così alla fine, ho deciso di scrivere alcune righe, su due temi lontani fra loro, ma particolarmente importanti. Mi è d’obbligo iniziare dedicando qualche riga alle recenti elezioni avvenute negli Stati Uniti. Come tutti sapete, Bush presidente in carica è stato eletto per il suo secondo mandato, riscotendo un numero divoti popolari molto consistente. Che dire su questa nuova elezione? Difficile esprimere un giudizio. Certo, l’elezione di Kerry, non avrebbe risolto i problemi del mondo, per risolvere tali problemi occorrerebbero ormai persone in grado di compiere miracoli, mentre ultimamente quest’arte, sembra del tutto perduta. Quello che posso personalmente augurarmi, è che la politica del presidente Bush, abbia almeno due cambiamenti: primo, coinvolgere maggiormente le nazioni europee ed arabe nelle decisioni importanti, decisioni che poi provocano reazioni a catena che coinvolgono tutti. Secondo, penso sarebbe del tutto auspicabile che l’idea quanto meno fanciullesca, per non dire altro di combattere il terrorismo dichiarando guerre a destra e a manca a titolo preventivo, venga accantonata. Tuttavia, ritengo sia inutile ribattere su questo tema. Le posizioni sono state ampiamente discusse, analizzate, quindi ognuno di noi che lo voglia o meno, dovrà prendersi le proprie responsabilità di ciò che attende questo sciagurato mondo nei prossimi anni. Chiusa la parentesi statunitense, desidero spendere due righe su un libro che potrete scaricare dal nostro sito in maniera del tutto gratuita. Il libro di cui parlo, intitolato “Kankropoli, la mafia del kankro”, è stato scritto dal signor Mondini. Alberto Mondini, da moltissimi anni si occupa di un tema quanto mai delicato e ricco di risvolti oscuri nel quale il giro di miliardi di euro è praticamente infinito. Sto facendo riferimento al male del secolo, cioè il cancro, e alle varie cure esistenti, che la scienza ufficiale continua a negare. Questo signore, in molti anni di ricerca e indagini, ha redatto un vero e proprio dossier nel quale, potrete trovare una marea preziosissima di dati: nomi, cure, eventi d’ogni genere accaduti negli ultimi cinquanta anni di ricerca medica. Ebbene, sapete cosa risulta da questa indagine? Esprimerlo su carta sarebbe perlomeno difficile, tanti sono i dati disponibili. Comunque in sintesi possiamo affermare che: la scienza ufficiale propone per la cura del cancro due rimedi, chemioterapia, e radioterapia. Ecco, il libro in questione, rende pubblici molti altri rimedi esistenti aventi capacità curative molto valide, e il tutto senza produrre nel corpo del paziente danni spesso irrimediabili, prodotti invece dalle cure chemioterapiche. Quello che sconcerta, è che la scienza ufficiale, utilizza tutta la sua potenza economica e non solo, per occultare, negare in ogni modo l’esistenza di tali rimedi curativi. Ogni altro commento da parte mia, sarebbe superfluo ed inutile. L’invito che faccio a tutti i nostri affezionati lettori, è quello di scaricare il testo dal sito del periodico, e di farvi voi stessi un’idea della situazione vigente in questa parte di mondo che solitamente definiamo avanzata e democratica. Per tutti coloro che dovessero avere difficoltà nello scaricare il libro, basterà scrivere in redazione e provvederemo noi stessi ad inviare il testo in questione. Concludendo, invito tutti voi a leggere con attenzione l’articolo che segue. Si tratta di una relazione scritta dallo stesso Mondini. Sono sei paginette molto illuminanti. Mi sembra doveroso informare tutti voi, che la relazione da noi pubblicata, è la stessa, che il signor Mondini vorrebbe leggere e divulgare nel famoso programma “Maurizio Costanzo show”; relazione, che per motivi a dir poco discutibili, ad oggi non è stato possibile divulgare nel suddetto programma.

 

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Associazione per la Ricerca e la Prevenzione del Cancro

Chemioterapia, una pratica assassina, ovvero il tradimento della medicina in nome del profitto

Di Alberto Mondini

 

Ciò che voglio dimostrare in questa relazione è quanto ho dichiarato in un precedente comunicato stampa e che si articola, essenzialmente, in due punti.

1) La chemioterapia non guarisce dal cancro, ma uccide.

2) Il suo uso trova fondamento solo negli interessi economici delle ditte farmaceutiche.

Cenni storici.

Per capire come sia stato possibile un simile tradimento, come sia possibile sostenere per così tanto tempo un simile inganno, bisogna conoscere il contesto economico e politico in cui esso è nato e si è sviluppato. “Nei primi decenni del secolo scorso alcuni avvenimenti hanno segnato il destino della medicina per almeno un secolo. All'inizio del ventesimo secolo il gruppo di Rockefeller controllava già la maggior parte del commercio di petrolio negli Stati Uniti e in molti altri paesi. Sulla base di questi trilioni di dollari di reddito, questo gruppo di investitori ha trovato una nuova area di mercato: il corpo umano. Il profitto o il ritorno su questo investimento dipendeva dalla brevettabilità delle medicine farmaceutiche inventate. I profitti da trilioni di dollari di questa nuova industria di investimento sono stati usati per convertire sistematicamente la medicina in un commercio farmaceutico guidato dall’investimento. Nel giro di pochi decenni, la medicina è caduta sotto il controllo di questi gruppi di interesse attraverso la loro influenza nelle scuole di medicina, nei media e nell'arena politica”.

Nel frattempo la psichiatria (che, non dimentichiamolo, è una branca della medicina) stava preparando le teorie della razza e dell’eugenetica. “Nel 1905, basandosi sulle teorie espresse da Malthus, Kraepelin e Spencer, Rüdin (uno dei più autorevoli psichiatri tedeschi. N.d.A.) fonda la Società per l’Igiene della Razza, costituita al fine di ottenere la purezza razziale. Rüdin è il primo promotore delle teorie di psichiatria genetica. La follia, ogni aberrazione e la superiorità o inferiorità razziali, secondo Rüdin sono determinate dalla trasmissione genetica”.

Quasi trent’anni più tardi, Rüdin salutò l’ascesa di Hitler come l’occasione che la storia dava alla psichiatria per la realizzazione dei suoi ideali. “La presenza medica dominante nel programma di sterilizzazione nazista fu il dottor Ernest Rüdin, uno psichiatra di fama internazionale... Allievo in origine del grande psichiatra classico Emil Kraepelin. Rüdin divenne uno stretto collaboratore di Alfred

Ploetz nella fondazione della Società Tedesca per l’Igiene Razziale. Rüdin fu un ricercatore infaticabile e vide come una sua missione l’appli-cazione di leggi mendeliane e di principi di eugenetica alla psichiatria” Per completare il quadro di quel momento storico manca ancora un elemento: i soldi. E’ ormai storia che i finanziatori dell’ascesa al potere di Hitler sono stati i gruppi petrolchimici-farmaceutici.

E precisamente: il gruppo Rockefeller in America, Rothschild in Inghilterra e I. G. Farben in Germania. Per quanto riguarda quest’ultimo, il tribunale di guerra di Norimberga nel 1946/47 ha stabilito che la seconda guerra mondiale non sarebbe stata possibile senza di esso. Come conseguenza, I. G.Farben è stato tagliato in Bayer, Basf e Hoechst ed alcuni dei relativi responsabili sono stati dichiarati colpevoli di guerra contro il diritto internazionale, omicidio di massa, sfruttamento e

saccheggio internazionali della proprietà privata e pubblica in paesi stranieri e di altri crimini contro l’umanità. Hitler muore, ma i responsabili dei gruppi petrolchimici-farmaceutici americano e inglese continuano ad espandere il loro potere indisturbati.

Attualmente il gruppo Rockefeller controlla più di 200 ditte farmaceutiche, è dietro ad alcune delle più grandi e influenti istituzioni finanziarie del mondo, compresa la Chase Manhattan Bank.

Possiede la Exxon ed altre aziende petrolchimiche multinazionali. Inoltre controlla molti media, compreso Time Warner, CNN ed una enorme rete di giornali, radio e TV. Il reddito di questo gruppo sorpassa da solo il prodotto nazionale lordo della maggior parte delle nazioni del pianeta.

Nel 1972 il gruppo Rockefeller fonda la Commissione Trilaterale per tutelare i suoi interessi finanziari in tutto il mondo. Ad essa appartengono personaggi dell’alta finanza di USA, Europa e Giappone. L'obiettivo della Commissione Trilaterale è di generare un ”Nuovo Ordine Mondiale”;

il che essenzialmente significa sottomettere il pianeta agli interessi del cartello petrolchimicofarmaceutico-finan-ziario. Non hanno fatto mai alcun segreto sulle loro idee, tanto è vero che hanno anche pubblicato un sito: www.trilateral.org. Anche se le sue riunioni avvengono poi sempre a “porte chiuse”... Il 50 % dell’amministrazione Bush è formato da alti funzionari di ditte farmaceutiche. Donald Rumsfeld, l'attuale ministro della guerra è stato il direttore generale di parecchie multinazionali farmaceutiche. Su questo intreccio di politica, finanza, guerre e ideologie soppressive mondialiste si sviluppa e prospera l’industria farmaceutica. “Uno dei problemi primari affrontato da questa industria era la concorrenza dei prodotti naturali per la salute. Era chiaro al mondo scientifico che senza queste molecole (vitamine N.d.A.), essenziali al metabolismo cellulare, le cellule non avrebbero funzionato correttamente e ciò sarebbe stato l'origine della malattia. Gli strateghi degli investimenti farmaceutici lo hanno capito ed hanno intrapreso una campagna globale per ostacolare che queste informazioni salva-vita diventassero ampiamente disponibili alle persone del mondo intero. Ma far tacere queste informazioni era soltanto il primo punto. Ulteriori punti strategici per sviluppare il fraudolento schema commerciale farmaceutico hanno incluso il discredito delle informazioni sanitarie su queste terapie naturali non brevettabili e infine la messa fuori legge di ogni asserzione sui sistemi naturali curativi e preventivi.

Tutte queste misure hanno avuto soltanto uno scopo: proteggere l'industria farmaceutica di investimento basata sulle medicine brevettabili, che riguardano soltanto i sintomi, dalle terapie naturali non brevettabili che sono essenziali per ottenere la salute cellulare. Nel forte contrasto, i fatti scientifici circa le molecole naturali essenziali per le funzioni cellulari di base e descritte nei manuali di biologia, sono materia di vita o di morte per questo intero commercio di investimento.

Se le malattie potessero essere evitate ottimizzando la salute cellulare con le molecole non brevettabili naturali, ciò minaccerebbe la base stessa dell’intero affare farmaceutico di investimento sulle malattie. Una malattia che è evitata o sradicata sarà semplicemente un mercato in meno.

Di particolare importanza è riflettere sull'influenza dell'industria farmaceutica sulla professione medica. Attraverso la fondazione di facoltà di medicina private negli Stati Uniti, comprese le cosiddette università della “Ivy League” come Harvard, Yale, la clinica Mayo ed altre, l’industria farmaceutica di investimento ha semplicemente comprato l'opinione medica in tutto il mondo.

Sempre di più, l'insegnamento delle terapie mediche si è concentrato sulle medicine chimiche ed, allo stesso tempo, i trattamenti sanitari naturali sono stati banditi efficacemente come ”antiquati”.

Ogni medico che si è laureato nelle ultime decadi ha imparato appena che il primo premio Nobel per il ruolo di vitamina C nel metabolismo cellulare è stato assegnato nel 1937. Quindi, durante più della metà di un secolo, generazioni di milioni di medici finirono l’università senza alcuna conoscenza circa il ruolo di salva-vita e di beneficio per la salute delle vitamine, dei minerali e degli oligoelementi”.

Delineato brevemente il quadro storico, vediamo ora, all’atto pratico, i frutti che la medicina moderna ha generato. Date le premesse, non possono essere che frutti velenosi. Limitiamoci ad analizzare quello che costituisce l’argomento di questa relazione: la chemioterapia.

Dati scientifici.

Come è nata questa strana pratica di somministrare terribili sostanze ai pazienti per guarirli?

Essa “si basa sul fatto che le cellule cancerose sono più deboli di quelle sane, pertanto, sotto l'azione di veleni o di radiazioni ionizzanti, sono le prime a morire. Questa constatazione porta però a una delle pratiche più insensate della storia della medicina: avvelenare ed irradiare il paziente per guarirlo! Anche la persona meno informata, riesce a comprendere che guarigione significa miglioramento della salute. Nessuna persona sana di mente penserebbe che l'inquinamento, gli esperimenti atomici o l'incidente di Chernobyl siano i provvidenziali vantaggi dei nostri tempi per mantenerci sani”.

Tutte queste discussioni fatte in televisione in questi (e altri) giorni su chemio o medicine alternative hanno un solo scopo: confondere le idee e annebbiare le menti della gente. In verità la questione è di una semplicità lapalissiana e disarmante. Vogliamo sapere se la chemio è una terapia valida o no? E’ molto facile saperlo; basta fare quello che si fa con qualsiasi altra cosa di qualsiasi genere per sapere se funziona o no: si osservano i RISULTATI. Su di essa esistono studi, statistiche, dati ufficiali accurati. E’ vero che gli oncologi, con la complicità dei media, creano su di essi una cortina fumogena, ma non è per niente difficile averli: basta chiederli. Io li ho trovati e ve li posso comunicare. Ripeto: questi non sono i miei dati, sono i dati ufficiali dell’oncologia ufficiale.

Prima di tutto bisogna sapere cosa si intende in oncologia per paziente guarito di cancro. Poiché effettive guarigioni non ne ottengono mai, definiscono guarito colui che sopravvive almeno cinque anni dal giorno della diagnosi, anche se muore cinque anni e un giorno dopo, anche se alla fine del quinto anno ha un cancro grande come una zucca che gli sta straziando il corpo. Credo che poche persone conoscano questo dato. Non crediate tuttavia che venga tenuto segreto; ma, per darvi un’idea, in tanti anni io per televisione l’ho sentito dire solo un paio di volte e di sfuggita.

Confrontate ciò con le migliaia di ore di chiacchiere trionfalistiche di Tirelli and company.

Ricordatevi poi che cambiare il significato alle parole è un mezzo per confondere e dominare.

Questo dato pertanto è fondamentale, è la chiave per capire veramente tutti i discorsi che fanno gli oncologi quando parlano di “guarigione”. Premesso ciò: ogni 100 persone che si ammalano di cancro, 61 muoiono entro 5 anni dalla diagnosi.

Le statistiche di sopravvivenza a 10 anni sono più difficili da trovare. Sono così sconsolanti che gli oncologi si vergognano veramente a farle vedere. Sembra comunque che siano attorno al 10 -15%.

Provate un po’ ad immaginare un impresario edile che costruisce case il cui 61 % crolla entro cinque anni dalla costruzione. Prima di tutto nessuno comprerebbe più da lui e poi verrebbe messo in galera; a meno che qualcuno non lo appenda prima al più vicino lampione... Invece gli oncologi vengono strapagati, onorati, vezzeggiati, ascoltati per ore e ore in noiosissime trasmissioni televisive. I più famosi oncologi italiani riescono a farsi pagare 200 euro o più per visite di 10-15 minuti! Incomprensibile... Il fatto è che costoro fanno leva sulla paura, sul dolore e sull’ignoranza di questi dati da parte dei malati e dei loro famigliari. Come la paura e l’ignoranza vengono poi alimentate sistematicamente con ogni mezzo, potete facilmente constatarlo voi stessi.

A fronte di un’efficacia nulla della chemioterapia, ben testimoniata dai risultati, vi è una terribile tossicità delle sostanze usate, tanto è vero che le autorità sanitarie hanno dovuto prendere drastici provvedimenti per salvaguardare la salute dei lavoratori addetti alla produzione e alla somministrazione di questi cosiddetti farmaci (medici, infermieri e farmacisti).

Poiché la lista degli effetti collaterali è molto lunga, mi limito a darvi alcune delle caratteristiche tossicologiche in generale e di un paio di sostanze specifiche, prendendole da una pubblicazione dell’Istituto Superiore della Sanità.

Chemio in generale. Tra una ventina di effetti collaterali, troviamo: sterilità, aborti, malformazioni nei figli, danni a cuore, fegato, reni, sistema nervoso e produzione di tumori secondari (!!!). “Infatti, non solo essi sono in grado di innescare la trasformazione di cellule normali in maligne, ma tendono a ridurre le difese endogene contro l’insorgenza di neoplasie”. Lo sanno anche loro che questa è una pratica assassina. Comunque di questo non avevo dubbi. Antraciclinici: “Stomatite, alopecia e disturbi gastrointestinali sono comuni ma reversibili. La cardiomiopatia, un effetto collaterale caratteristico di questa classe di chemioterapici, può essere acuta (raramente grave) o cronica (mortalità nel 50 % dei casi). Tutti gli antraciclinici sono potenzialmente mutageni e cancerogeni”.

Procarbazina: “E’ cancerogena, mutagena e teratogena (malformazioni nei figli N.d.A.) e il suo impiego è associato a un rischio del 5-10 % di leucemia acuta, che aumenta per i soggetti trattati anche con terapia radiante”.

Bene; potrei fermarmi qui e finire questa relazione; sarebbe più che sufficiente. Ma poiché non mi basta chiudere la bocca agli oncologi e ai loro lacchè, ma voglio anche cucirla con filo d’acciaio, ecco di seguito una valanga di altri dati.

Qualche anno fa, dopo che era scoppiato il caso Di Bella, gli oncologi cominciarono a dichiarare pomposamente su televisione e giornali che “ora abbiamo il 50 % di guarigioni”, ovviamente sempre evitando di dire che guarigione significa sopravvivenza a cinque anni. Eppure le statistiche ufficiali davano sempre un 39 %. Cosa era successo? Un’improvvisa e geniale scoperta? Nooo! Per guadagnare quell’11 % in più, hanno fatto la media delle “guarigioni” dei vari tipi di tumore con una manipolazione matematica per la quale verrebbero bocciati con disonore all’esame di licenza media inferiore.

Faccio un esempio di come fanno la media delle “guarigioni” e, per semplificare, prendo in esame solo due tipi di tumore. Tumore al polmone: 40.000 casi all’anno, 10 % di “guarigioni”; tumore al testicolo: 2.000 casi, 87 % di “guarigioni”. (87+10)/2=48,5. La percentuale media di guarigioni dei due tipi di cancro sarebbe così il 48,5 %. E’ indegno che si permetta a queste persone di dire pubblicamente simili cialtronerie! En passant, l’operazione corretta è questa:

(40.000x10/100+2.000x87/100)/(40.000+2.000)x100=13,7. La reale percentuale media è dunque il 13,7 %. Una bella differenza! Analizziamo un altro “dato” trionfalistico. Gli oncologi vanno dicendo che le possibilità di guarire dal cancro sono molto più alte oggi, il 39 % (oppure il famoso 50 %), rispetto al 20 % del 1930. Ma come mai allora le morti per cancro sono spaventosamente aumentate negli ultimi 70 anni (vedi più avanti)? Il fatto è che nel 1930 non esistevano tutti i sofisticati mezzi di diagnosi e le campagne di sensibilizzazione alla diagnosi precoce; pertanto il cancro veniva scoperto tardivamente e così il tempo fra la diagnosi e il decesso era breve, se non brevissimo. Oggi invece, poiché la diagnosi avviene in tempi molto più precoci, la morte arriva più tardi rispetto alla diagnosi stessa e più sovente oltre i fatidici 5 anni!

Il Prof Luigi Di Bella avverte che "se una persona viene dimessa dall'ospedale si dice che è in remissione. Quando ritorna viene curata e viene dimessa un'altra volta. Se ogni dimissione viene considerata come un dato positivo, i conti aumentano. E siccome non si può morire più di una volta, se un individuo è stato dimesso 9 volte ed è morto una volta sola si avrà un 90% di guarigione e il 10% di mortalità. La fortuna dei medici è che si muore una volta sola”.

Estremamente importante è poi “la vasta indagine condotta per 23 anni dal Prof. Hardin B. Jones, fisiologo presso l'Università della California, e presentata nel 1975 al Congresso di Cancerologia, presso l'Università di Barkeley. Oltre a denunciare l'uso di statistiche falsificate, egli prova che i cancerosi che non si sottopongono alle tre terapie canoniche (chemio, radio e chirurgia N.d.A.) sopravvivono più a lungo o almeno quanto chi riceve queste terapie. Come dimostra Jones, le malate di cancro al seno che hanno rifiutato le terapie tradizionali, mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella di 3 anni raggiunta da coloro che si sono invece sottoposte alle cure complete”.

“Uno studio condotto da quattro ricercatori inglesi, pubblicato su una delle più autorevoli riviste mediche del mondo, The Lancet del 13-12-1975, e che riguarda 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi. La vita media di quelli trattati con chemioterapia completa fu di 75 giorni, mentre quelli che non ricevettero alcun trattamento ebbero una sopravvivenza media di 220 giorni.

Un altro dato fondamentale che indica come le terapie ufficiali per i tumori siano inefficaci, sono le statistiche di morte per tumore. Nonostante le decine di trilioni di lire spesi per la ricerca e le centinaia di trilioni per i trattamenti, i dati degli istituti di statistica di tutti gli stati occidentali mostrano che le morti per cancro dal 1950 alla fine del secolo sono continuamente e notevolmente aumentate. Riunione del settembre 1994 del President's Cancer Panel: "Tutto sommato, i resoconti sui grandi successi contro il cancro, devono essere messi a confronto con questi dati" aveva detto Bailar, indicando un semplice grafico che mostrava un netto e continuo aumento della mortalità per cancro negli Stati Uniti dal 1950 al 1990. "Torno a concludere, come feci sette anni fa, che i nostri vent'anni di guerra al cancro sono stati un fallimento su tutta la linea."

Chi è questo personaggio che esprime idee così eretiche, un medico alternativo? Un ciarlatano, come è stato definito Di Bella? Un guaritore che approfitta dei poveri malati? Uno che non conosce le percentuali di guarigione?

Niente di tutto questo. Risulta difficile definire ciarlatano o incompetente, John C. Bailar III, insigne professore di epidemiologia e biostatistica alla Mc Gill University, uno dei più famosi esperti di oncologia degli Stati Uniti e dell'intero pianeta. Non parlava del resto ad una platea di sprovveduti; il President's Cancer Panel è nato in conseguenza del National Cancer Act, un programma di lotta contro il cancro, firmato dal presidente americano Richard Nixon il 23 dicembre 1971 e per cui si sono spesi fino al 1994 ben 25 miliardi di dollari. I dati relativi alla situazione della lotta al cancro vengono forniti direttamente al Presidente degli Stati Uniti.

La conclusione principale di Bailar, con cui l'NCI (National Cancer Institute) concorda, è che la mortalità per cancro negli Stati Uniti è aumentata del 7% dal 1975 al 1990. Come tutte quelle citate da Bailar, questa cifra è stata corretta per compensare il cambiamento nelle dimensioni e nella composizione della popolazione rispetto all'età, cosicché l'aumento non può essere attribuito al fatto che si muore meno frequentemente per altre malattie”. I dati “grezzi” sono ancora più pesanti.

Infine cito la conclusione a cui sono arrivati ricercatori del Dipartimento di genetica e di biologia molecolare dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma attraverso ricerche sperimentali.  Essi “confermano, infatti, che alcuni chemioterapici, quali la citosinarabinoside, il metotrexato, la vincristina ed il cisplatino4 (sostanze usate comunemente e quotidianamente nei trattamenti N.d.A.), in particolari linee tumorali aumentano la resistenza alla morte cellulare (...) Questi risultati sono sorprendenti, poiché dimostrano che i suddetti chemioterapici non uccidono le cellule tumorali, come invece generalmente si ritiene, bensì, impedendo l’apoptosi (= morte della cellula N.d.A.), facilitano la crescita del tumore”.

A questo punto penso di poter veramente chiudere questa relazione in quanto i due punti

dichiarati nel mio comunicato stampa.

1) La chemioterapia non guarisce dal cancro, ma uccide.

2) Il suo uso trova fondamento solo negli interessi economici delle ditte farmaceutiche.

Possono considerarsi dimostrati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Ovviamente ho dovuto tralasciare molti altri dati estremamente interessanti, per rimanere nelle dimensioni previste per una mezz’ora di relazione; suggerisco perciò, a chi volesse approfondire certi argomenti, i seguenti libri o articoli che possono essere scaricati gratuitamente dal sito www.aerrepici.org

Cancro, politica, medicina alternativa e ufficiale:

_ Alberto R. Mondini – Kankropoli, la mafia del cancro

_ Prof. Linus Pauling – intervista

_ Dott. Matthias Rath – intervista I risultati della medicina ufficiale:

_ Alberto R. Mondini – La medicina, prima causa di morte in USA (783.936 morti in media all’anno)

_ Ricercatori vari – Morte per medicina (Death by Medicine, ricerca in lingua inglese).

La medicina, scienza o truffa:

_ Prof. dott. Hans-Ulrich Niemitz – perizia tecnico-giudiziaria sulla validità scientifica della medicina

_ Associazione Forces Italiana - La truffa del fumo passivo.

La vera natura della psichiatria e il suo ruolo dietro guerre passate e presenti e terrorismo:

_ Dott. Roberto Cestari – L’inganno Psichiatrico

_ Luca Bistolfi – La verità sull’olocausto

 

Casorezzo, 30 ottobre 2004.

 

Il Presidente dell’ARPC

Alberto R. Mondini

 

ARPC - via del Carso n° 18 - 20010 Casorezzo (MI) Italy - sede di Firenze: via di Novoli n° 91/n

tel. 3488718706 fax 1782207681 - email: arpc@aerrepici.org sito web: www.aerrepici.org - cod. fisc.:

 97547130019

 

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SPORT

Una giornata per la diffusione del golball

Di Cesare Intravaia

 

Sabato 02 ottobre si è svolta a Mirano provincia di Venezia, una dimostrazione di golball presso una scuola del posto nell’ambito di una manifestazione organizzata presso l’A.V.O. Associazione Volontari Ospedalieri e tra le varie iniziative vi era inclusa anche la nostra. L’evento è stato possibile in forza del gemellaggio dell’Associazione Disabili di Venezia e l’Associazione oltre l’orizzonte Treviglio. Degna di nota, la discreta presenza di pubblico e questo incoraggia il progetto delle associazioni gemellate per continuare l’opera di diffusione di questi sport per non vedenti presso le scuole. Ricordo che insieme a queste due associazioni esiste il gemellaggio anche con il gruppo sportivo non vedenti di Livorno che ha accettato di organizzare in collaborazione varie attività di cui man mano daremo notizia. Le associazioni in

questione sono le seguenti: Cesare Intravaia presidente associazione oltre l’orizzonte Treviglio, Luigi Russo presidente Associazione disabili di Venezia, Maurizio Campeol presidente gruppo sportivo non vedenti Livorno.

 

Cosa è il golball?

 

Il campo da gioco ha le seguenti dimensioni: 18 metri per 9. Struttura del campo: sul lato più corto vi è una porta con rete che misura 9 metri per 1,20 di altezza. A metri 1,5 dal fondo vi sono due linee tracciate con nastro adesivo bianco con sotto una striscia di corda dove si posizionano le due ali. A tre metri sempre dal fondo vi è una linea che segnala la posizione del centrale; a 6 metri la linea di battuta. Il pallone, del peso di kg 1,250, al momento del tiro deve effettuare il primo rimbalzo al di qua della suddetta linea. In caso contrario viene fischiato un fallo chiamato hig ball. Al contrario del torball, ogni fallo è un rigore. Il rigore è un tiro che si effettua uno contro uno e deve essere tassativamente parato da chi ha fatto il fallo. A 9 metri vi è la linea di centro campo, si gioca tre contro tre. Dal momento che il giocatore ha il pallone in mano ha 10 secondi per effettuare il tiro pena il rigore. Quando un giocatore respinge il pallone su un tiro avversario, ai lati del campo, oltre la linea che delimita il campo stesso, vi è una ulteriore linea a metri 1,5 dalla stessa. Se il pallone esce solamente dalla linea laterale il tempo continua a scorrere, se invece oltrepassa anche l’altra linea il tempo viene azzerato. Queste sono le principali regole del golball.

 

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Tiro con l'arco, passione e evoluzione

Di Piero Bracali e Luca Dolfi

 

Alle ultime olimpiadi di Atene gli arcieri italiani hanno dominato la scena e vinto la medaglia d’oro individuale, ottenendo così il massimo risultato possibile dal punto di vista sportivo.

Se l’Italia ha saputo porsi ai massimi livelli dell’arceria mondiale il merito va, oltre che alle indubbie qualità personali degli atleti, anche allo sviluppo dei materiali e delle attrezzature impiegate, in continua evoluzione. In questa ottica di innovazione di tecniche e materiali si deve a due pistoiesi appassionati di tiro con l'arco, Piero Bracali, geometra del Comune di Quarrata, e Luca Dolfi, infermiere professionale del 118 di Pistoia, la progettazione e realizzazione di un riser per arco compound in fibra di carbonio dalle caratteristiche di resistenza e leggerezza uniche nel suo genere. Il prototipo è stato realizzato nella prima metà dell’anno 1998, e da allora sono state rilasciate migliaia di frecce, utilizzando gli accessori previsti dai regolamenti nazionali F.I.T.A. e F.I.AR.C., senza che la struttura abbia presentato cedimenti o richiesto alcun tipo di intervento, a riprova della validità del progetto e della tecnologia impiegata. Una tecnologia talmente innovativa che nel gennaio del 2004 è stato rilasciato dal Ministero per le Attività Produttive il brevetto relativo al “Procedimento per la realizzazione di riser monolitico in roving di fibra di carbonio per arco compound”.

Ma vediamo di capire meglio di cosa si tratta: l’arco compound nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ‘60, e successivamente si diffonde in Europa e nel resto del mondo, affermandosi come attrezzo sportivo e ad uso venatorio sostituendo le esistenti tipologie di archi ricurvo e longbow. Il longbow è l’arco più antico e tradizionale, l’arco di Robin Hood e delle guerre medievali. E’ caratterizzato da un unico raggio di curvatura e dalla maggiore lunghezza rispetto al ricurvo, inoltre il riser occupa assai meno spazio che negli altri archi, con la finestra di tiro appena accennata.

L’arco ricurvo è più efficiente rispetto al longbow grazie ad una doppia curvatura dei flettenti, realizzati principalmente in fibre sintetiche e lamine di legno, che lo rende più morbido e contenuto nelle dimensioni. L’arco compound si differenzia dai precedenti per avere dimensioni più contenute ed è composto da una parte centrale, detta “riser”, che alloggia i due flettenti, alle estremità dei quali si trovano le ruote o “camme”; troviamo poi, oltre alla corda, due cavi che, ancorati a loro volta alle ruote, lavorano in sinergia per piegare i flettenti stessi. Inoltre, mentre longbow e ricurvo sono realizzati esclusivamente in legno (ad eccezione del ricurvo olimpico), l’arco compound viene realizzato con la parte centrale (riser) in metallo. Sostanzialmente gli archi lavorano seguendo il principio della molla, ovvero più tiriamo e più aumenta la resistenza alla trazione; l’arco compound, grazie alle sue ruote eccentriche, funziona esattamente al contrario, ovvero lo sforzo maggiore si ha al momento dell’apertura, ma superata circa la metà dell’allungo (picco di tensione) lo sforzo si riduce del 65-75 % a seconda del tipo di cammes, permettendo all’arciere di tenere teso l’arco con il minimo sforzo. Inoltre questo tipo di arco, per le sue caratteristiche ipertecnologiche che ne fanno un attrezzo estremamente preciso, viene solitamente dotato di diversi accessori che ne consentono un uso di alto livello, come mirino, stabilizzatore, appoggia freccia (rest).

Attualmente il compound è forse l'arco più diffuso, per le sue caratteristiche di versatilità e semplicità d'uso rispetto a ricurvo e longbow. Questi infatti richiedono, per essere impiegati al meglio, un lungo apprendistato ed un allenamento costante, visto che non vi sono mirini e che i libbraggi impiegati sottopongono l'arciere ad un notevole sforzo fisico, superiore sicuramente a quello necessario a tendere un arco compound.

 

Ed ecco cosa ci hanno raccontato gli autori :

Nel 1997 è iniziato lo studio relativo alla realizzazione di un riser per arco compound di caratteristiche superiori, per materiali e tipologia costruttiva, rispetto a quanto in commercio, preferendo l’uso della fibra di carbonio viste le superiori caratteristiche di resistenza meccanica e strutturale rispetto all’alluminio.

·         Uno dei problemi dei riser in commercio è quello relativo alla precisione costruttiva, a causa delle deformazioni dovute al raffreddamento del metallo una volta estratto dallo stampo, che comportano una successiva raddrizzatura. Questa, oltre ad essere di scarsa precisione, influisce negativamente sulle caratteristiche di resistenza meccanica del metallo stesso. 

·         Oggi si realizzano anche riser in alluminio ottenuti per fresatura che, se da una parte hanno il vantaggio di una maggiore precisione costruttiva, non risolvono il problema della deformazione elastica dell’arco al momento del rilascio della freccia, oltre ad avere costi ben più elevati.

·         I metalli sono caratterizzati da un certo modulo di elasticità che ne consente una deformabilità non permanente, ma nel caso del tiro con l’arco questo non è un vantaggio. Infatti il rilascio della freccia provoca deformazioni elastiche del riser che causano una minore velocità della freccia stessa ed una quantità di vibrazioni che vanno ad influire sulla precisione del tiro. Tali vibrazioni vengono in parte abbattute mediante l’impiego di stabilizzazioni che aumentano però il peso dell’arco.

·         Un riser in alluminio ha un peso, variabile a seconda della forma, che incide notevolmente sul peso totale dell’arco che, senza accessori, varia dai 1800 gr fino ai 2100 gr. L’impiego di stabilizzatori, mirino, rest aumenta ulteriormente il peso complessivo, limitando la precisione del tiro e condizionando anche il rendimento fisico dell’utilizzatore.

 

Questo riser in carbonio è invece caratterizzato da una costruzione monolitica precisa, estremamente rigida (quindi non soggetta a deformazioni elastiche dinamiche) e leggera (circa il 40% di peso in meno) ed ha caratteristiche che lo rendono esente dalla gran parte dei difetti sopra descritti.

Studio iniziale – La progettazione

 

Il riser

Inizialmente sono state valutate le caratteristiche dimensionali generali, con particolare riferimento alla riflessione del riser ed alla lunghezza asse/asse complessiva, utilizzando un riser in metallo, che è stato prima raddrizzato, rettificato e poi modificato mediante lavorazioni meccaniche fino ad ottenere una tipologia che consentisse il migliore compromesso tra velocità e stabilità di tiro.

Successivamente le quote ottenute sono state riportate su carta, cercando di coniugare al meglio le necessità tecnico-strutturali con le esigenze estetiche.

In seguito tali dati sono stati trasferiti su PC, ed è stato eseguito lo studio definitivo relativo alla forma del riser sulla base dei dati ottenuti sperimentalmente e graficamente.

Lo studio della forma è stato quello che ha richiesto la maggior quantità di tempo, necessario per l’ottimizzazione delle sezioni al fine di ottenere un prodotto leggero ma anche estremamente resistente e rigido. La scelta di una forma così particolare, realizzata sulla base di quella che si può definire una struttura a traliccio, ovvero reticolare tridimensionale, è motivata dalla necessità di unire alle caratteristiche di leggerezza propria di un materiale come la fibra di carbonio, anche una assoluta rigidità strutturale, eliminando quindi ogni sorta di deformazione elastica e consentendo una adeguata distribuzione dei pesi, il tutto nel rispetto della massima sicurezza per l’utilizzatore. Il riser è stato previsto con il pivot point, ovvero il punto di pressione della mano, passante per il centro verticale dell’arco, seguendo una tendenza già sperimentata da tempo che ha dimostrato la validità di questa tipologia rispetto ai casi intermedi dove il centro dell’arco sta tra punto di incocco e pivot point.

L’ideale sarebbe, da un punto di vista puramente teorico, porre punto di incocco della freccia e pivot point sulla stessa linea, cosa fisicamente impossibile a meno di non avere un buco nella mano.

 

Gli inserti in alluminio

Vista la necessità di utilizzare diversi accessori a corredo dell’arco, sono stati studiati degli inserti in alluminio da inserire in fase di realizzazione nel riser; trattandosi di un collegamento tra un materiale elastico (alluminio) ed uno anelastico (carbonio) gli inserti sono stati realizzati con una forma esterna che consente una buona presa con le fibre del carbonio, ma che al tempo stesso permette di dissipare le vibrazioni provenienti dai flettenti eliminando il pericolo dell’entrata in risonanza dell’intera struttura.

 

I pocket

Contemporaneamente alla definizione del riser sono stati dimensionati anche i pocket, ovvero i supporti dei flettenti, realizzati anch’essi in carbonio. Questo poiché i pocket in metallo, oltre ad un maggior peso, non garantivano la necessaria rigidità strutturale dell’insieme, a causa della forma particolare delle teste del riser, ovvero dei punti di attacco dei flettenti.

 

Il modello

Una volta definita la forma del riser, si è passati alla realizzazione del modello in scala 1:1, da utilizzarsi per poter costruire lo stampo.

Nel modello sono stati previsti anche i fori per le spine, per consentire un preciso inserimento delle boccole filettate in fase di stampaggio e tutte le superfici sono state rettificate e lucidate. Sono stati inoltre definiti i piani di sformo al fine di ottenere una facile estrazione del pezzo dallo stampo.

Stesso discorso è stato fatto per i pocket, con particolare riguardo all’accoppiamento riser-pocket al fine di ottenere un preciso allineamento dei flettenti con l’asse dell’arco.

 

Collaudo – Prove dinamiche

Realizzato nella prima metà dell’anno 1998 il prototipo, si è passati quindi alla fase di collaudo, al fine di verificare la validità del progetto e del procedimento costruttivo seguito.

Nel periodo 1998-2001 sono state provate svariate configurazioni di assemblaggio dell’arco, variando sia il tipo di flettente che la misura ed il tipo di camme oltre al libbraggio, ed utilizzando diverse lunghezze di cavi e corda.

La configurazione scelta prevede un carico di 65 libbre (1 libbra = 0,453 Kg) ed un peso freccia di 240 grani (1 grano = 0,0648 grammi), soluzione che permette una buona velocità ma che evita di stressare eccessivamente i flettenti a causa di un peso della freccia troppo ridotto rispetto al carico dei flettenti stessi. L’arco è stato testato sia in configurazione “arco nudo”, con rilascio manuale, che in configurazione “illimitato” utilizzando stabilizzatore, sgancio meccanico, mirino e comunque tutti gli accessori che i regolamenti F.I.T.A. e F.I.AR.C. prevedono per queste categorie.

 

Dalla metà del 1998 ad oggi sono state rilasciate diverse migliaia di frecce, utilizzando sia il rilascio manuale che vari tipi di sgancio meccanico senza che la struttura abbia presentato cedimenti o richiesto alcun tipo di intervento.

Nel gennaio del 2004, come già detto in apertura, il Ministero per le Attività Produttive ha rilasciato il brevetto relativo al “Procedimento per la realizzazione di riser monolitico in roving di fibra di carbonio per arco compound”; finora questo è l'unico riser di questo tipo mai realizzato in Italia.

 

Per informazioni, o semplicemente per curiosità, se avete intenzione di iniziare a tirare con l’arco potete provare con www.fitarco.it , sito ufficiale della Federazione Italiana Tiro con l’Arco per quanto riguarda il tiro olimpico o alla targa, oppure con www.fiarc.it, sito ufficiale della Federazione Italiana Arcieri Tiro di Campagna, per la pratica del tiro venatorio, simulando situazioni di caccia con l’utilizzo di sagome di animali in carta o tridimensionali, su percorsi appositamente tracciati nei boschi.

In ogni caso, sia che vogliate diventare campioni olimpici, sia che vogliate riscoprire quei valori ancestrali propri della caccia (simulata) con l'arco, affidatevi a compagnie di tiro della zona, che vi aiuteranno ad evitare i fatidici (e spesso costosi!) errori di gioventù ed agite sempre con attenzione, senza offendere l’equilibrio della nat\ura in cui svolgiamo la nostra attività.

 

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