Giovani del 2000

 

Informazione per i giovani del III millennio    numero 22    Settembre  2006

 

 Direttore  Prof. Carlo Monti

 

Vice Direttore  Maurizio Martini

 

Redattori  Alessio Lenzi, Massimiliano Matteoni

 

Collaboratori di redazione Elena Aldrighetti Consuelo Battistelli Luigi Palmieri

 

Redazione

 

Via Francesco Ferrucci 15

 

51100 - PISTOIA

 

Tel.  057322016

 

 

 

e-mail:

redazione@gio2000.it

 

Sito internet:

www.gio2000.it

 

Tipologia: notiziario

 

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4971 del 26.06.2000

 

Gli articoli contenuti nel  periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente   quello del singolo articolista.

 

ELENCO RUBRICHE

 

Annunci

 

Comunicati

 

Cucina

 

Cultura

 

Esoterismo, religioni e dintorni

 

Hobby e tempo libero

 

Informatica

 

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Lavoro

 

Musica

 

Normalità e handicap

 

Patologia

 

Racconti e poesia

 

Riflessioni e critiche

 

Satira

 

Spazio donna

 

Sport

 

In questo numero

 

Editoriale

 

Ma dove è finita l’aristocrazia di platonica memoria?

Di Maurizio martini

 

Comunicati

 

Una commissione per l’integrazione sociale

Di Luigi Palmieri

 

Cucina

 

Tutti in cucina (parte settima)

Di Elisabetta Barsotti

 

Esoterismo religione e dintorni

 

“I diritti degli animali, le proposte, le soluzioni”

A cura di Vita universale

 

Riflessioni di una cristiana

Di Elena Aldrighetti

 

Hobby e tempo libero

 

Lo shiatsu

Di Sauro Fani

 

Musica

 

Una delicata sensibilità

Di Luisa Bartolucci

 

Normalità e handicap

 

Un riconoscimento doc

Di Luisa Bartolucci

 

Riflessioni e critiche

 

Carisma e democrazia

Di Antonino Cucinotta

 

Giornalisti allarmisti: il caldo

Di Mario Lorenzini

 

Sport

 

Germania 2006: giù il sipario

Di Andrea bonfiglio  

 

 

Editoriale

 

Ma dove è  finita l'aristocrazia   di platonica memoria?

di maurizio martini

 

Lontani anni luce sono i tempi in cui Platone, dava voce agli aristocratici

che con pensieri alati e  pregni  di  grandi ideali,   cercavano

di   guidare nel migliore dei modi il popolo.

Da allora molti secoli son passati, tutto si è   trasformato,  tutto è diventato

moderno, insomma, tutti cercano di stare al passo con i tempi.

Come  spesso accade cerchiamo di mutuare dal passato le cose più belle e

utili, ma il risultato otttenuto è quasi sempre  una triste e ridicola parodia

di ciò che fu.

Ad  esempio   i politici, che pur tanto dovrebbero apprendere dai loro antichi

predecessori, pare non siano in grado che ripetere qualche

massima in lingua greca o latina, spesso storpiando e non comprendendo neppure

il senso di ciò che dicono.

Parlando  dei   filosofi, che dichiarandosi tali,   s'ammantano

di una veste che probabilmente nepur nei loro miglior sogni potrebbero mai

comprendere.  Tutto al più, li si  può  definire pappagalli brasiliani che

imparano e ripetono astruse formule  più o meno

meccanicamente, senza immaginare neppur lontanamente che il filosofo in

senso stretto è qualcosa di ben diverso e lontano anni luce.

Ma torniamo ai nostri "amati aristocratici"  dei tempi moderni.

Anche questa figura si tanto importante è giunta ai nostri giorni.

Come detto prima,  se tutti stanno al passo coi tempi, anche loro non  sono

stati da meno.

Allora ecco  il nostro "aristocratico" nazionale per eccellenza, che dopo un

lungo esilio ha fatto   ritorno in Italia,

ma poco tempo è passato prima che questo rappresentante dell'altissima nobiltà,

facesse  visita alle patrie galere, non

certo per sua volontà, ma per reati concreti, e certo indegni del ruolo

rappresentato.

Effettivamente    le accuse  non sono proprio di quelle che danno onore  e

lustro: commistioni col mondo della prostituzione, col gioco d'azzardo, strani

giri di armi, senza considerare gli aiuti che venivano inviati  nel terzo

mondo, aiuti che il nostro "aristocratico" ben specificava dovessero

somigliare  ad "acqua zuccherata", e    comunque  essere di bassa qualità e del

tutto scadenti, visto che erano destinati  a persone,  paragonate ad   animali.

Più o meno questo  è  il  livello di nobiltà del nostro rappresentante

dei valori platonici.

Come non bastasse è di pochissimi giorni fa la notizia, che durante la

permanenza in carcere,    il nostro Vittorio Emanuele nazionale, parlando

al telefono, si vantava di aver  fregato i giudici durante il processo per la

morte del giovane Dik Hammer, colpito da lui stesso

con un'arma da fuoco.

Processo che terminò  con l'assoluzione dell'imputato, ma che per motivi

giuridici sembra non possa essere riaperto, nonostante l'imputato stesso abbia

chiaramente detto di essere stato lui  a colpire il giovane.

Sempre parlando a ruota libera,     ha

definito le forze dell'ordine con termini che non sono stati riportati, tanto

sono ignobili. Tuttavia ha definito gli addetti al controllo delle

telefonate, pezzenti morti di fame che devono spiare i telefoni per

guadagnarsi da vivere.

Cari lettori, Cosa possiamo aggiungere ancora? Quali consigli possiamo dare

a questa ""aristocrazia" decaduta, che di aristocratico non ha più niente,

neppure il nome.

 

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Comunicati

 

Una commissione per l’integrazione sociale

Di Luigi Palmieri e Natale Todaro 

 

Cari lettori, a 14 mesi dalla sua fondazione si comunica che la commissione per l’integrazione sociale dei portatori di handicap, da me costituita con il sostegno della redazione Giovani del 2000 e da altre persone ha avuto buoni risultati.

Oltre ai contatti che sono nel comunicato siamo contattabili anche sul sito www.gio2000.it  nel link servizi utili.

Dal primo Luglio 2005 è stata creata una commissione per il sostegno e l'integrazione sociale dei

portatori di handicap.

Fanno parte della Commissione anche

avvocati, commercialisti, insegnanti di sostegno.

I temi di cui la Commissione intende occuparsi sono i seguenti:

lavoro, scuola, aspetti fiscali (agevolazioni e varie) e quanto altro possa interessare i portatori di

handicap. Lo scopo della Commissione è ben preciso: mettere a disposizione degli utenti le conoscenze e

l'esperienza maturata dai suoi componenti, al fine di consentire e favorire un pieno ed effettivo

inserimento sociale dei portatori di handicap.

Ci auguriamo di fornire un servizio utile a molti.

 

Per contatti, coordinatore Luigi Palmieri

e-mail: lui.palmieri@jumpy.it

fax: 096227674

cell. 328 32 16 896

Da lunedì al venerdì dalle ore 17.00 alle 20.00 il sabato dalle 10.30 alle 19.00

 

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Cucina  

 

Tutti in cucina (parte settima)

di Elisabetta Barsotti

 

Salve Carissimi, ben ritrovati!

 

Allora, come sono andate le vacanze? Siete pronti ad affrontare una nuova stagione di lavoro? Io, devo proprio confessarvelo, ho fatto una fatica immane a ritornare nei ranghi e a lasciarmi alle spalle questo bellissimo agosto vacanziero, davvero uno dei più belli che abbia mai trascorso!

 

Beh, direte voi, basta con queste frasi sdolcinate, rientra in cucina! Ok, ok! La smetto con le frasi sdolcinate e passo a cucinare, sì, ma cosa? Ovvio, con questa atmosfera cosa cucinare se non qualche dolce?

 

Già, ho pronte pronte per voi 3 ricettine al bacio per salutare con dolcezza l’estate 2006, che ne dite, vi piace l’idea?

Spero proprio di sì anche perché vi assicuro che quando le preparerete farete un figurone!

 

Salame di Cioccolato

 

Ingredienti per 8-10 porzioni

100 gr. di biscotti secchi

90 gr. di cacao in polvere amaro

80 gr. di burro

2 tuorli freschi

100 gr. di zucchero

latte

Mezzo  bicchierino di rhum

 

Preparazione

Sbattere i tuorli con lo zucchero fino a quando sono spumosi.

Aggiungere il cacao sciolto in pochissimo latte e il rhum Amalgamatevi il burro morbido e infine i biscotti tritati.

Solitamente io ne riduco metà in polvere con il tritatutto e metà in grosse briciole con le mani.

Dare al composto la forma di un salame e avvolgerlo nella carta forno eventualmente bagnata con dell'altro rhum se amate particolarmente l'accostamento.

Ponete in frigo per almeno 8 ore e servite tagliato a fette accompagnato da un bicchierino di vino passito, io adoro lo zibibbo e il Vinsanto!

 

Dolcetti al cocco

 

Ingredienti

250 gr di farina di cocco

250 gr di ricotta

125 gr di zucchero a velo

600 gr di cioccolato extra fondente oppure, se preferite,  cioccolato bianco

 

Preparazione

Impastare la farina di cocco con la ricotta e zucchero a velo.

Fare delle palline (un po' più grandi di una ciliegia).

Fondere

il cioccolato a

bagnomaria

e immergere ogni pallina (aiutatevi con uno stuzzicadente).

Posizionare ogni pallina su un piatto di plastica e porre in frigorifero per qualche ora prima di servire.

Se vi piace potete grattugiare una parte di cioccolato e unirlo all’impasto di ricotta e cocco, potete anche dividere l’impasto in 2 parti e aggiungere il cioccolato grattugiato solo in una e preparare così dei dolcetti misti.

Sono semplici e veloci da preparare ma, vi assicuro, uno tira l’altro!

 

Torta caprese al limone

 

La versione chiara al delicato gusto di limone della famosa e buonissima torta della tradizione campana. Secondo me è una delizia, spero piacerà anche a voi!

 

Ingredienti per 6 porzioni

170 gr zucchero

200 gr cioccolato bianco

200 gr mandorle sgusciate

150 gr burro

5 uova

2 fialette di essenza di limone (o un bicchierino di limoncello)

buccia di limone

 

Preparazione

Tritare le mandorle finemente con lo zucchero.

Sciogliere il cioccolato con il burro e farlo raffreddare.

Sbattere i tuorli, aggiungere la farina di mandorle con lo zucchero e il composto al cioccolato, attenzione che non sia caldo.

Alla fine aggiungere gli albumi montati a neve e gli aromi.

Infornare in forno già caldo per circa 50 minuti a 170°.

Fare sempre la prova stecchino, l'interno deve restare umido.

 

Ehi ragazzi, mi raccomando, gustatevi queste delizie ma attenzione! Dietro la bontà si nascondono tante tante calorie!

Un abbraccio, alla prossima!  

 

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Esoterismo religione e dintorni

 

“I diritti degli animali, le proposte, le soluzioni”

A cura di Vita Universale

 

Dobbiamo registrare che le condizioni della natura e del pianeta sotto l’aspetto ecologico sono molto gravi; a maggior ragione dobbiamo trovare il modo di dare il nostro contributo affinchè il presente ed il futuro in relazione alla vita e ai diritti degli animali sia migliore; possiamo domandarci quindi cosa può fare ognuno di noi. […]. Ci sono anche dati positivi che dimostrano che la sensibilità verso gli animali e la natura sta crescendo, sia in Italia che all’estero. Lo dimostra una statistica pubblicata da “Repubblica” poche settimane fa secondo la quale in Italia negli ultimi tre anni i vegetariani sono raddoppiati da tre a circa sei milioni, circa il 10 % della popolazione.

Il vegetarianesimo, che ancora poco tempo fa era considerato quasi un’eresia, sta ora diventanto non solo uno stile di vita, ma una scelta etica e spirituale cosciente, per rispetto ed amore degli animali. Potremmo chiamare questo processo “La rivoluzione pacifica del nuovo secolo”. Se vogliamo parlare di diritti degli animali dobbiamo certamente agire sia a livello legislativo, sia con iniziative nazionali e locali volte a sensibilizzare l’opinione pubblica tramite i media, le radio, le tv, i giornali. Per questo molti movimenti ed associazioni si muovono soprattutto sui punti più gravi ed evidenti: l’abolizione della vivisezione, l’abolizione della caccia, il raggiungere migliori condizioni di vita per gli animali sfruttati negli allevamenti di massa e nei macelli, per quanto la meta finale sarebbe proprio di abolire sia gli uni che gli altri. Tuttavia ognuno di noi potrebbe fare ancora molto. La chiave di svolta per risolvere in gran parte il problema della sofferenza animale sta proprio nel numero crescente dei vegetariani. Se amiamo gli animali possiamo contribuire veramente alla loro sorte abbandonando il consumo della loro carne. Per questo motivo, senza fanatismo ma con coscienza, possiamo prendere in considerazione il fatto che divenire vegetariani è un primo passo che può fare ognuno di noi per ridare agli animali la loro dignità e il loro diritto alla vita. Se guarderemo poi un animale negli occhi, ci sentiremo molto meglio.

Questo certamente non basta, gli animali hanno bisogno anche di molto spazio vitale che si riduce sempre più a causa della cosiddetta civilizzazione. Per questo motivo, degli amici degli animali hanno cominciato a sviluppare in Germania, nelle vicinanze di Würzburg un progetto che può essere una risposta o un piccolo inizio, comunque un esempio raro e positivo. Alcuni agricoltori locali, in collaborazione con la Fondazione Gabriele e con l’aiuto di numerosi amici degli animali da tutto il mondo, hanno iniziato ad acquistare boschi e terreni su base privata, in cui gli animali possono vivere la loro vita in pace, dove non vengono più uccisi. Qui viene praticata l’agricoltura definita “pacifica” – cioè non solo senza uso di chimica, ma anche senza sfruttamento animale, senza liquami e letame, con rotazione triennale ed un anno a riposo. Gradualmente si sta formando il più grande collegamento di biotopi europeo, si restituisce al paesaggio il suo volto prima dello sfruttamento intensivo avvenuto tramite la monocultura che ha causato la scomparsa di molte specie animali. Questo avviene con l’installazione di cosiddette “siepi Benjes”, (dal nome del suo fondatore) con l’introduzione di biotopi umidi (stagni e laghetti), biotopi in pietra e di zone dove la natura viene lasciata al suo corso naturale. Attualmente questo progetto si svolge su una superficie collegata di circa 390 ettari. Gli animali selvatici grossi e piccoli ripopolano poco alla volta i boschi, e si rivedono ucceli in pericolo di estinzione. Le persone che hanno iniziato questo progetto pilota si richiamano ai principi del cristianesimo originario secondo il quale il comandamento “non uccidere” vale anche per gli animali. Per questo motivo, secondo le possibilità economiche, vengono salvati anche numerosi animali da pascolo sottratti ai macelli, acquistati e portati su questa terra pacifica, mantenuti per mezzo di adozioni a distanza. Attualmente ci sono circa 280 pecore di diverse specie, pecore da lana, mufloni, e pecore del Camerun, e diverse razze di bovini, circa 40 capi. Dall’altro lato l’associazione Vita Universale, in nome di queste convinzioni etiche e spirituali, opera un’azione di informazione a livello internazionale con manifesti, spot televisivi, programmi radio, manifestazioni di piazza, che invitano a prendere coscienza che gli animali sono esseri senzienti e che hanno un’anima, al contrario di quanto dice la chiesa da secoli. Essi meritano il nostro affetto e la nostra cura in quanto esseri indifesi e lasciati alla balia – meglio sarebbe dire alla “responsabilità” - dell’uomo. Queste azioni concrete sono il nostro piccolo contributo alla causa animalista.  In Internet abbiamo iniziato in questi giorni a mettere a disposizione dei filmati che parlano di questa realtà ricordando le parole del profeta Isaia che profetizzò, 3000 anni fa, la venuta del regno della pace sulla terra:

 

“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme ed un fanciullo li guiderà.

La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli.

Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi…”

 

Chi volesse saperne di più può consultare i seguenti siti, può richiedere l’opuscolo informativo gratuito della Fondazione Gabriele o consultare i libri pubblicati da Vita Universale tra i quali segnalo “Gli animali soffrono, il profeta denuncia” – tradotto e distribuito gratuitamente in tutto il mondo in oltre 200mila copie e “L’assassinio degli animali è la morte degli uomini” – Oppure il libretto “l’amore di Gesù per gli animali finora tenuto nascosto”, dove fonti antiche dimostrano che i primi cristiani erano vegetariani. Potete scriverci, siamo a vostra disposizione per ogni eventuale domanda:

 

Dalla Relazione di Stefano Delù, Giornalista e produttore indipendente Radio Tv - Esponente Associazione Vita Universale/ Radio Santec & TV, al Congresso degli Animalisti Italiani ONLUS tenutosi il 3 maggio 2006 presso Palazzo Marini a Roma

 

www.vita-universale.org –

www.radio-santec.com

 

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Riflessioni di una cristiana

 

di Elena Aldrighetti

 

Non è facile introdurre questa mia riflessione, il tema sul quale vorrei

meditare è abbastanza "scottante", sono i movimenti religiosi.

Da qualche anno lavoro nell'ambito ecumenico e, ultimamente, mi è capitato

di leggere esperienze di ex membri di alcuni movimenti cattolici, oppure di

sentire testimonianze dirette di membri ancora attivi.

Non  citerò apertamente i nomi perché alcuni di questi

"testimoni", una volta usciti da questi istituti secolari, hanno subito

azioni di denigrazione e ritorsioni e, se venissero citati, questi stessi

movimenti o istituti secolari o prelature, ribatterebbero immediatamente

che le mie fonti sono assolutamente inattendibili.

Del resto capita sempre così, quando si fa parte di una associazione,

qualsiasi essa sia, nel momento in cui non si condividono più le idee della

stessa, si viene criticati e cacciati, senza confronto o possibilità di

dialogo, e questo si chiama: FANATISMO.

Nel mio lavoro ecumenico sono spesso a contatto con alcuni movimenti

cattolici, devo dire che, chiaramente, al loro interno ho trovato delle

bellissime persone, il problema sono i vertici che dettano legge e i membri

devono seguire la linea stabilita.

Lavorando ecumenicamente, si dovrebbe cercare di lavorare insieme per

effettuare dei documenti o delle manifestazioni, che tengano conto di tutte

le pluralità cristiane che fanno parte del lavoro ecumenico.

Tutti dovrebbero essere armati di: carità cristiana, tolleranza, dialogo,

confronto.

In realtà però, in linea generale, ognuno marcia per sé.

Mi sono resa conto che, purtroppo, fra coloro che fanno parte di questi

movimenti e gli integralisti, non vi è alcuna differenza.

Con entrambi non si riesce a dialogare, entrambi restano sempre della loro

opinione e, peggio ancora, anche se non lo dicono apertamente, ti fanno

capire che sono loro ad essere dalla parte della ragione e tu no.

Ma viene da pensare, avere ragione su cosa? Cosa fa stabilire di essere

assolutamente nel giusto?

Mi rendo conto che mi sto addentrando in discorsi piuttosto controversi da

secoli.

Utopisticamente io ho sempre creduto che credere in Dio fosse il

denominatore comune dei cristiani, a quanto pare non è così.

I primi secoli di vita del cristianesimo erano abbastanza conformi

all'insegnamento di Cristo, poi però, se si osservano attentamente gli

avvenimenti storici e i documenti dei Padri della Chiesa, ci si rende conto

che si è voluto, questo ovviamente è il mio parere personale, concentrare

l'attenzione non tanto sulla spiritualità, che dovrebbe essere la

priorità assoluta, ma sulla manipolazione delle menti deboli delle persone

e sul potere temporale.

So che in questo momento chi è fermamente convinto che ci si debba far

guidare da chi ne sa più di noi, questa è la convinzione dei fedeli di

tutte le Chiese Cristiane, mi additerà come una pazza ignorante.

Se pensiamo alla filosofia greca, ci dovremmo ricordare, dai tempi di

scuola, di Socrate.

Veniva predicata la società civile gestita da saggi, i quali appunto con la

loro saggezza, erano in grado di guidare la popolazione, tenendo in

considerazione l'integrità dell'uomo fatta di spirito e corpo.

Questo dovrebbe fare la chiesa di Cristo, ma temo non sia così.

Ci si maschera sempre dietro la frase: "La chiesa è fatta di uomini", che

peraltro è vero, ma se allora è così, cioè i fedeli devono perdonare gli

errori dei loro pastori perché sono umani, perché c'è chi sostiene che il

papa sia il vicario di Cristo in terra e che sia infallibile?

Non vi sembra un tantino presuntuoso?

Per essere vicario di qualcuno o di qualcosa, bisogna avere il permesso di

questo qualcuno o di questo qualcosa per rappresentarlo. Quindi si presume

che Cristo abbia apertamente fatto delle "deleghe".

Comunque la cosa che mi intristisce è il constatare che alcuni fondatori di

questi movimenti o istituti secolari, prelature, si sono fatti, per così

dire, prendere la mano, parlando di illuminazioni divine e facendosi

"venerare" in maniera talmente sottile da far sì che gli stessi veneratori

nemmeno se ne accorgevano.

Ho avuto modo di leggere libri di alcuni ex di questi movimenti ecc, e,

partendo dal presupposto che chi è nel torto attacca quasi sempre per

primo, ho ritenuto attendibili queste testimonianze che dipingevano questi

"illuminati" come dei megalomani manipolatori di menti.

Questi testimoni parlano di "caduta del velo" quando riescono ad uscire dal

loro fanatismo, vedendo così la vera natura dell'istituzione della quale

facevano parte.

Ho sentito, tempo fa, l'intervista di uno di questi fondatori (parlo sempre

al maschile come fatto generico, ma potrebbero essere anche donne), che

parlava del suo movimento e mi ha molto sorpreso il tono usato, non tanto

come atteggiamento, ma parlava tutto al singolare: "Io" era la tematica

ricorrente.

Scusatemi se sembra un attacco, ma in realtà è semplicemente un constatare

come ci siamo allontanati da quell'interezza spirituale che caratterizzava

le prime comunità cristiane.

All'inizio del mio lavoro ecumenico ero piena di speranza ed entusiasmo,

ora, non ho perso l'entusiasmo, ma sono diventata più realista.

Io lavoro molto con questi movimenti e ho notato lo spirito di protagonismo

che vi aleggia all'interno.

Molti lavorano ecumenicamente solo per facciata, solo perché la sede di

Roma insegna che è importante l'ecumenismo. Scavando si scopre che a loro

interessa solo che si parli di loro, di ecumenico non hanno assolutamente

nulla, restano sempre convinti che la Chiesa Cattolica sia il depositario

assoluto della Verità e tutti i cristiani dovrebbero sottostare alle sue

regole.

Regole che, detto da loro, sono universali e indiscutibili.

A parole tutti sono ecumenici, sono i fatti poi a smentire, ma loro non lo

ammetteranno mai.

E' veramente sorprendente e preoccupante vedere che chi parla tanto di

amore, carità ecc., in realtà poi si comporta esattamente al contrario.

Inoltre coloro che seguono questi movimenti, non si rendono nemmeno conto

di essere, spesso, sfruttati.

Alcuni di questi movimenti, istituti secolari o prelature, cercano i loro

"adepti" solo fra la gente che conta, persone di buona famiglia, persone

altolocate e in posti di potere.

Tutto ciò, mi sembra, abbia ben poco da spartire con ciò che predicava il

Cristo.

Qui non si tratta di giudicare o condannare, è una questione proprio di

etica.

La Chiesa Cattolica spesso e volentieri parla di etica e condanna tutti

coloro che non viaggiano nella sua direzione.

Poi però, non fa caso se nel suo interno ci siano tante chiese nella

chiesa.

Non fa caso che tutti questi fondatori e illuminati, molto spesso sono

persone megalomani che si nutrono di gloria personale, obbligando, con vari

mezzi, i loro associati ad adorarli.

Spesso la Chiesa Cattolica critica le altre chiese cristiane tacciandole di

proselitismo, se per caso qualche cattolico "emigra" in altre chiese

cristiane, non tenendo però conto del proselitismo che effettuano tutte

queste strutture interne al suo seno.

Certo è un proselitismo sottile, non evidente, viene usata la debolezza e

la grande fede delle persone, per convincerle che se entrano in questi

gruppi, adempiranno il volere di Dio.

Purtroppo la fragilità umana impedisce che si vedano le cose con chiarezza.

 

Se, per esempio, una donna non è entrata in convento per farsi suora, per

quale motivo deve convincersi di entrare a far parte di un gruppo facendo i

"voti" di castità, povertà e obbedienza?

Se una persona vuole vivere in castità, al di fuori di un ordine religioso,

non vedo che cosa glielo impedisca. Non penso sia necessario appartenere a

"qualcosa" per poterlo fare.

Credo ci siano tanti modi per essere casti.

La Chiesa, purtroppo, evidenzia solo quello dell'astinenza sessuale",

grande bestia nera, da sempre, per la Chiesa.

In tutti questi secoli, tutte le religioni hanno combattuto verso la

sessualità delle persone, cercando di far vivere come peccato questa cosa

assolutamente naturale.

La sessualità hanno sempre voluto paragonarla al male, solo se si procrea

va bene.

Eppure se si legge l'Antico Testamento, si potrà constatare che alcuni

profeti come Abramo, se non avevano figli direttamente dalla propria

moglie, li avevano dalle loro concubine.

Più che un volere divino questo mi sembra un atteggiamento un po'

maschilista e misogino.

Certo c'è una risposta a tutto, alcuni sacerdoti mi hanno detto che la

situazione nell'antichità era diversa, i bambini morivano anche appena nati

e quindi, per salvaguardare l'esistenza della "tribù" bisognava fare molti

figli.

Mi sembra un po' arrampicarsi sui vetri.

Oggigiorno noto che la gente ha un bisogno sempre maggiore di

spiritualità, non solamente credere ciecamente in un Dio e affidarsi a lui.

 

Il fatto è che spesso le istituzioni religiose non ci aiutano ad affidarci

ciecamente a Lui, ma a loro, a diventare dipendenti da altri uomini

ritenuti superiori a noi perché ispirati da Dio e dallo Spirito Santo.

Quante cose orribili ha visto lo Spirito Santo fatte in Suo nome!!!!

Con la grande secolarizzazione avvenuta negli ultimi decenni, il risultato

è che la gente si trova spaesata.

Non avendo più un Dio nel quale credere, diventa facile preda di ciarlatani

carismatici.

Io credo si dovrebbe imparare a cercare lo spirito divino che è in noi,

coltivarlo e ascoltarlo.

Se si impara ad ascoltare quella vocina interiore che Dio ci ha donato, si

eviteranno manipolazioni mentali e fregature enormi.

Non tutti sanno uscire dal fanatismo indenni, molti subiscono scompensi

psicologici e addirittura psichiatrici.

Alcuni arrivano persino a togliersi la vita perché non riescono a

sopportare il "disonore" della diffamazione fatta da questi "gruppi

caritatevoli" che, nel momento in cui una persona decide di uscire dalla

rete, incominciano una politica infamatoria tale da distruggerla.

Credo che Cristo non abbia inteso "Ama il prossimo tuo come te stesso", in

questo modo.

Come al solito, chi predica bene razzola male.

Spero veramente che ci sia una calata di velo generale, così coloro che

sono manipolati o offuscati dal fanatismo, capiscano che non conta ciò che

vedono e pensano gli uomini.

Le nostre azioni vengono giudicate altrove e quindi, anche se ci venerano

qui, non è affatto detto che verrà fatto anche presso il Padre.

 

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Hobby e tempo libero

 

Lo shiatsu

 

di Sauro Fani

 

Lo shiatsu è una pratica manuale che, tramite precise modalità  di pressione esercitate su tutto il corpo, ha come obiettivo di stimolare le risorse vitali innate in ogni individuo.

La sua applicazione spazia dal campo dell'estetica al miglioramento della vitalità e quindi delle prestazioni fisiche e sportive richieste. Aiuta a superarre momenti di disagio psico-fisico , facilita il ripristino del normale movimento articolare e muscolare, stimola gli organi interni, concorrendo al miglioramento delle funzioni da essi espletate.

Ha iniziato a diffondersi in Italia verso la metà degli anni '70, ma le sue radici sono nel patrimonio comune alla cultura estremo-orientale, ed ha ricevuto in Giappone i principi operativi su cui si fonda e le modalità tecniche con cui viene applicato.

Shiatsu è una parola giapponese composta che significa "pressione con le dita". Come tecnica manipolatoria a se stante, nasce ufficialmente all'inizio del 20o secolo e nel 1925 T. Namikoshi fonda la prima di una serie di scuole che nel 1940 portarono alla creazione dell'Istituto Giapponese di Shiatsu, chiamato oggi Nippon Shiatsu School.

Acavallo tra gli anni 60-70 il maestro Masunaga creò un proprio stile che si contraddistinse per una maggiore varietà delle tecniche utilizzate per unpreciso riferimento alla visione  taoista dell'uomo, peraltro molto diffusa in estremo oriente.

Nell'eseguire il trattamento l'operatore interviene sempre nel rispetto enell'ascolto delle specifiche e personali esigienze del ricevente. La specificità delle tecniche utilizzate permette sempre di valutare la tolleranza e la risposta allo stimolo applicato.

Nello shiatsu non vengono mai utilizzate manovre brusche o eccessive che  potrebbero risultare pericolose per l'utenza che ne usufruisce.

Lo shiatsu attiva la capacità di riequilibrio della persona e gli fornisce strumenti di consapevolezza della propria capacità di mantenersi in salute . Ha un'importante efficacia preventiva, si occupa di condizione di benessere e di disagio, differenti in termini concettuali da quelli utilizzati dalla cultura medica occidentale del nostro tempo..

E'  quindi estraneo ai concetti di malattia e terapia come correntemente intesi.

 

 

Riflessioni di una allieva.

 

Parliamo di shiatsu

 

L'esperienza

 

Luca sta leggendo la posta. Un'amica di Roma gli ha girato una mail con una segnalazione : "L'Accademia Italiana Shiatsu-Do, sede di Firenze, organizza a Tirrenia un corso introduttivo di tecnica shiatsu. Il corso inizierà alle ore 9:00 di sabato mattina e avrà la durata di 12-14 ore distribuite nell'intero week-end. Per informazioni.."

E' la mattina di sabato, sono a Tirrenia, ore 9:00. Un vento mietitore stacca le ultime pigne dagli alberi, che cadono a terra assieme a sottili gocce di pioggia, ed è il solo rumore che si sente, assieme a quello di passi frettolosi  sul selciato, di fronte all'albergo.

Luca è appena arrivato, tra due minuti inizierà per lui e per altri 18 partecipanti, la prima sessione del corso introduttivo allo shiatsu, tenuto da Lilli e dai suoi tre assistenti Antonella, Monica e Sauro, dell'Accademia Italiana Shiatsu-Do di Firenze. La scuola, una delle più affidabili in Italia, con sedi in tutto il territorio nazionale, ha accettato di distaccare uno dei suoi corsi a Tirrenia, mantenendo lo stesso programma e nodalità dei corsi nornalmente svolti in sede. 

Varie le motivazioni che portano qui shiatsuka da tutta Italia: c'è chi ha già subito un massaggio e vuole imparare a farlo, chi ne ha solo sentito parlare e vuole capire cos'è; chi, molto vicino alla filosofia orientale, lo riconosce come un valido strumento di cura, e chi pensa di integrarlo nella propria pratica professionale a beneficio dei propri pazienti. E fioccano subito le prime precisazioni. Seduti in cerchio su un tatami di fouton (spessi tappeti di cotone) nella grande sala messa a disposizione dall'albergo Le Torri, si impara che non si parla di massaggi ma trattamenti, che non si subisce ma si riceve, che non si cura (non siamo medici) ma si aiuta l'organismo a sbbloccare la propria energia vitale e a ritrovare il proprio equilibrio, che non ci sono pazienti, schiene, artriti o stomaci, ma persone. E' questa forse la novità più sorprendente: si parla di scambio tra chi riceve e chi tratta.

Il lavoro proposto sarà quasi esclusivamente pratico ed avrà la finalità di provare a muovere i primi passi nello shiatsu tramite l'uso di una sequenza semplice ma completa (katà)  su tutto il corpo. per capire c'è un solo modo: fare.

Divisi a coppie, ukè (chi riceve) si sdraia prono e passivo, mentre torì (chi tratta) si porta in se-sa (in ginocchio, seduto sui talloni) alla sua sinistra, una mano sulla schiena di ukè, in attesa. Per tutto il tempo, la voce sicura di Lilli  descriverà le posture di base e guiderà i movimenti, mentre gli assistenti gireranno tra gli allievi correggendo posture, suggerendo consigli o prestandosi a trattamenti-test.

All'inizio l'attenzione è tutta su di se e la propria tensione. Lentamente ssi sposta e ci si abbandona all'altro, in un paziente lavoro di conoscenza che  partendo Dalla tecnica arriva all'intimo delle persone, per ritornare alla tecnica.   Per nove ore, interrotte solo da una breve pausa pranzo, la sessione si snoda tra prove, commenti, critiche e confronti. Non mancheranno battute di spirito, a stemperare la tensione e rasserenare l'ambiente.

La sera inonda la sala, segnando la fine della prima giornata di lavoro. Dieci minuti di stretching e rilassamento, poi via per una doccia e una pizza.

Si riprende la domenica mattina, con un briefing dedicato a chiarimenti sul percorso completo di studio e sugli sbocchi professionali, per continuare con il ripasso del katà appreso il giorno prima.

E' il momento dei saluti. C'è entusiasmo nelle parole  di Lilli, per la qualità del lavoro svolto, per la velocità di apprendimento e l'assoluta autonomia dei partecipanti.

C'è soddisfazione per il lavoro di Sauro, non-vedente,  organizzatore del corso e alla sua prima esperienza come assistente.

C'è sorpresa per le parole di Luca, vedente,  che, confessando un iniziale disagio,  ringrazia per l'accoglienza in una realtà a lui ignota.

Uno dei meriti di questo corso è stato infatti di realizzare con gran semplicità l'integrazione tra queste due realtà (vedenti e non-vedenti) in un lavoro omogeneo, superando retorici stereotipi.

Sotto questo aspetto, lo shiatsu è per tutti, allo stesso modo.  Un'attenzione alla persona da riportare costantemente  anche nella vita di tutti i giorni, a partire da noi..

 

Per saperne di più..

 

Fani Sauro

tel.: 347 3801448

e-mail: SAURO.FANI@GMAIL.COM

 

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Musica

 

Una delicata sensibilità

di Luisa Bartolucci

 

E’ raro che la cecità venga rappresentata nella maniera più corretta, ciò vale sia per la letteratura che per il cinema. Ma è ancora più inconsueto che si parli di essa, o che la si rappresenti in un video di una canzone. Eppure Gianna Nannini, eclettica ed intelligente, è riuscita anche in questo, infatti il video del suo singolo “Sei nell’anima” canzone gettonatissima dai primi mesi del 2006, brano portante del suo ultimo cd “Grazie”, mostra una coppia di giovani non vedenti alla presa con azioni della quotidianità. Per questa ragione abbiamo pensato di intervistare la cantante senese.

D. - Come nasce il video di “Sei nell’anima”?

R. - Ma innanzitutto nasce da una collaborazione che ho avuto con il regista Kal Karman, il quale ha avuto l’idea di questo video ascoltando le parole del mio pezzo. Karman è americano e le parole, talvolta, vanno oltre quello che si vuole esprimere solo poeticamente. Credo che anche la voce gli abbia suggerito questa visione dell’amore, che delle volte non ci riesce di vedere da vicino. Ci capita di essere non vedenti davanti all’amore, come se fosse qualcosa di più forte e più importante di noi talora; spesso le relazioni finiscono ma l’amore va avanti. Credo che nel video si volesse di fatto indicare questo, questo significato molto interno del rapporto che hai con un altro. Ci volevano le persone giuste, delle persone adatte, così siamo andati a Bratislava ove vi erano due ragazzi non vedenti attori, che hanno partecipato alla realizzazione del video, trasmettendo questo messaggio d’amore. Trovo che sia un video molto delicato, in cui la cecità è vista in maniera molto naturale al punto che non subito si riesce a comprendere se uno vede o meno; è evidente alla fine.

D. - Sei consapevole del fatto che un simile video, trasmesso un’infinità di volte ha veicolato in questi mesi un’immagine positiva e tra virgolette rassicurante della cecità, sortendo, soprattutto tra i giovani, un maggiore effetto che non numerosi articoli di giornale?

R. - Ne sono consapevole anche perché questo video mi ha emozionato, trasformava in immagini esattamente quanto io volevo esprimere per il tramite delle parole. Sono consapevole del fatto che abbia comunicato messaggi importanti, vi sono tante cose che noi stessi non riusciamo a vedere.

D. - Ti è mai capitato di incontrare persone non vedenti?

R. - Sì, mi è capitato, ho molti fans che non vedono; attraverso loro ho capito come arrivano le mie canzoni, alcuni mi hanno addirittura detto che mediante esse riescono ad avere delle visioni, o perlomeno che hanno delle particolari visioni. Certamente credo sia una cosa molto individuale, diversa da caso a caso. Ultimamente mi sono esibita a Berlino con Andrea Bocelli ed abbiamo anche un po’ scherzato sulla canzone. Andrea mi spiegava di non aver visto ancora il video, giacché non gli era mai arrivato. Ora glielo ho spedito. Per me è stato anche un po’ strano fare un duetto con una persona sul palco, trovarmi di fronte una platea, vedere un mare di gente e sentirmi accanto una persona come Andrea... ma la musica è una vibrazione non è un solo modo di vedere o sentire.

D. - Per la stesura di alcuni testi del tuo ultimo cd hai collaborato con la scrittrice Isabella Santacroce; ecco che la musica rock si avvicina al mondo della letteratura.

R. - Diciamo che sono delle sfumature in più, perché uno scrittore ha anch’egli una visione diversa della parola; a me riesce esprimere con la voce qualcosa in più, se delle volte ho degli input in più, così come negli arrangiamenti di violini di Will Malone, che è riuscito a darmi un colore in più. Lo stesso vale per Isabella, la quale è molto capace di dare un colore diverso dal mio alle parole. Il mio modo di scrivere è più crudo, molto più diretto, il suo è molto più colorato e delle volte riesce a conferire alla mia voce una maggiore espressività. E’ un bel connubio questa nostra collaborazione.

D. - Che cos’è per te la letteratura?

R. - Ma è difficile che mi piaccia, che io vi entri dentro e che mi avvinca, perché deve essere scritta in una maniera sonora la parola, diversamente mi annoio subito a leggere. Mi stanco.

D. - Forse prediligi la poesia?

R. - Sì, preferisco senz’altro la poesia.

D. - Il tuo poeta preferito?

R. - I poeti francesi mi hanno ispirata moltissimo: Baudelaire, Rimbaud; mi piacciono comunque anche altri scrittori, Voltaire, e l’esistenzialismo, un po’ Sartre e da lì sono arrivata direttamente a Pasolini.

D. - Sei un’interprete molto conosciuta e realmente apprezzata anche all’estero. Come viene accolta la nostra musica ad esempio in Germania?

R. - Ma quando vi è un’identità precisa ed una vocalità espressiva come la mia, credo che sia la voce a catturare l’attenzione, al di là della lingua che uno parla, quindi il rock ha questo linguaggio di comunicazione internazionale, dunque il pubblico che reagisce al rock a Berlino non è poi diverso da quello di Roma, o di Milano. Credo le reazioni siano molto vicine anche se non vengono comprese tutte le parole.

D. - Del tuo cd fa parte anche una canzone dal contenuto assai significativo “Babbino”. Vuoi parlarcene?

R. - Questa canzone è stata scritta in un momento particolare, stavo perdendo mio padre, quindi è un po’ una lettera scritta un po’ da adolescente, come si scriverebbe ad un padre molto meno da grande. Riguarda il mio vissuto con mio padre, che non voleva che cantassi, i diverbi, la figura del padre, in questo brano, è un po’ simbolica. “Babbino” rappresenta il padre inteso come ruolo sociale nella vita; ognuno ha il suo tipo di babbo, io ho parlato del mio, giacché vi è stato un momento in cui ho provato particolari emozioni, davanti alla malattia, davanti al dolore, si diventa tutti un po’ più fragili.

D. - Vi è un altro testo di estremo interesse, quello della canzone che conclude l’album “Alla fine”. Che messaggio intendevi veicolare?

R. - “Alla fine” fa riferimento alla guerra in Iraq. Sono andata a Bagdad con questa associazione che si chiama “Aiutiamoli a vivere” per restare vicina agli artisti ed anche ai musicisti di un’accademia delle belle arti. Con quella canzone ho voluto descrivere questo mio viaggio, offrire una mia visione, sottolineare la figura che faceva l’Italia, che ha accettato incondizionatamente di andare a mettere le truppe là senza sentire, ascoltare il parere del popolo di tutto il mondo, che diceva no a questa guerra.

D. - Una domanda che ti avranno rivolto in molti: vi è una canzone che avresti voluto scrivere tu?

R. - A me piace molto “My way”, la trovo una canzone molto completa, però nella versione dei Sex Pistols. Quindi punk...

D. - La canzone alla quale sei più legata?

R. - Ma sai le canzoni sono tutte legate a noi, vi sono le canzoni di maggior successo che, però, non vuol dire che abbiano una maggiore importanza. In questo momento sono legata a tutto il mio ultimo disco, l’ho sentito davvero dall’inizio alla fine... forse in questo momento la canzone “Sei nell’anima” ha talmente centrato il cuore della gente che mi trasmette questo sentimento ogni sera nei concerti... così per me questa è diventata la canzone loro, non più la mia.

D. - Ricordo una delle tue prime apparizioni televisive, su Telemontecarlo, con una canzone densa di significato “Siamo vivi”...

R. – Sì. “Siamo vivi”! Erano gli inizi, ero lì, sola con il mio pianoforte; il brano raccontava di una donna appena uscita dalla galera; io parlavo sempre di drammi nelle mie prime canzoni; è bella “Siamo vivi”, mi piacerebbe un giorno fare una cover...

D. - Come è cambiata Gianna Nannini, da “Siamo vivi” ad oggi?

R. - Il cambiamento non è avvenuto dal punto di vista del successo, perché siamo tutte persone che vivono in questo mondo e quindi è inutile gasarsi. Il successo comporta maggiori responsabilità, ti dà una certa contentezza, il fatto di comunicare con tanta gente che ti vuole bene, quando esci per strada, fa molto piacere; forse è quello che uno vuole quando comincia a fare la cantante, è proprio questo abbraccio del pubblico, senti proprio che le persone ti danno amore.

D. - E l’evoluzione musicale quale è stata?

R. - Ma, l’evoluzione musicale continua ad esserci, per me ogni maestro che incontro, che può essere un musicista o un produttore, ha qualcosa da insegnarmi, dà qualcosa da sviluppare, giacché la musica non può fermarsi a ciò che era nel secolo scorso. Le armonie sono cambiate, anche l’impatto sonoro è diverso, quindi io seguo molto, sono molto attenta alle nuove sonorità.

D. - Hai duettato con diversi artisti. Quale è stato per te il duetto più bello?

R. - Quello con Andrea Bocelli, più che quello con Sting, giacché il sogno della mia vita era fare un duetto con una persona che avesse fatto l’opera, con un tenore, proprio per contaminare la voce rock con l’opera, giacché è quello che ci vuole. Questo graffio della voce rock sull’opera mi ha dato la certezza che è possibile fare del rock con l’opera, che è poi un po’ la mia strada.

D. - Qualcosa di simile a ciò che fece Freddy Mercury con Montserrat Caballé?

R. - Quello con il cantante dei Queen è uno dei duetti che avrei dovuto fare, purtroppo, però, egli è venuto a mancare; mi era stato richiesto all’epoca di fare qualcosa con lui, poi si ammalò e quindi non si fece più.

D. - Per ciò che concerne le colonne sonore, hai composto la colonna sonora per Momo...

R. - Per me il cinema è motivo di ispirazione; è molto facile fare musica per il cinema perché per me le canzoni sono legate ad una visione; quando la visione è già pronta, quindi hai una scena ben precisa come nel cartone animato nel quale vi è anche molta fantasia, vi sono paesaggi, e disegni che non sono così reali, come è invece una foto, ciò mi ispira tantissimo per la musica, attraverso la musica io vedo. Posso vedere ad occhi chiusi, anche se il video non è esattamente il video che riflette quella cosa. Però ogni parola che io scrivo deve far parte di una visione.

D. - Tu sei toscana, precisamente di Siena, che percezione hai del Palio?

R. - Io sono nata in contrada, sono dell’Oca, per cui quando vi è stato il palio ero alla televisione trepidante, perché vincesse la mia contrada; chi nasce lì è parte del popolo della contrada; io sono una popolana dell’Oca. Il palio è una passione, lo può capire solo chi è nato lì, è un rito di possessione. Quando vinci sei come posseduto, non capisci più niente. E’ un po’ come il calcio, ma il palio ha una sua tradizione storica.

D. - A proposito di calcio: hai scritto anche l’inno di Italia 90, con Edoardo Bennato...

R. - E’ una canzone che è rimasta per sempre, la gente la ricorda, tutti la cantano. Dovrò cantarla anche questa sera, mi aiuterà il pubblico a ricordarne le parole.

D. - Dove potranno venirti a sentire i nostri lettori?

R. - Girerò in lungo e in largo tutta l’Italia; le date sono anche su internet. Farò molte date in Sicilia, anche ad Udine, Verona.

D. - Cosa vuoi dire, per concludere, a chi leggerà questa intervista?

R. - Vorrei conoscervi più da vicino, mi farebbe piacere avervi ai miei concerti e che mi faceste sapere che ci siete. Dunque il mio messaggio è: fatevi vivi!

 

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Normalità e handicap

 

Un riconoscimento doc

di Luisa Bartolucci

 

Il 29 di giugno si è tenuta a Roma, presso la Sala degli Affreschi del Palazzo della Cancelleria, l’undicesima edizione del Premio Louis Braille, che quest’anno ha visto l’Unione Italiana dei Ciechi affiancata e supportata anche dalla Amministrazione Provinciale di Roma. Nel chiarire il significato di questo premio che per il sodalizio riveste una notevole importanza, il Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi prof. Tommaso Daniele ha detto: “I problemi dei ciechi si rinnovano anno dopo anno, anzi giorno dopo giorno e quella del premio Braille è un’occasione che abbiamo voluto creare al fine di promuovere una nuova immagine del non vedente, al fine di poter parlare delle nostre problematiche e rivolgere un appello alle diverse istituzioni affinché siano con noi, insieme a noi”.

Il Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Roma, Enrico Gasbarra, dal canto proprio, ha così motivato l’impegno del suo ente in questa iniziativa: “La provincia di Roma ha voluto sostenere questa iniziativa; questa è una serata che scalda il cuore delle persone è stato detto, noi ci auguriamo che scaldi il cervello delle persone nelle istituzioni, nella cultura, nella mentalità, nel difficile cammino dei diritti, giacché il tema non è certo guardare con tenerezza, ma guardare alla luce del diritto i nostri cittadini, a partire da chi ha qualche difficoltà e, in questo caso bisogna dire che i non vedenti si dimostrano molto più vedenti di tanti di noi, che potrebbero fare di più al fine di far “veder meglio” una comunità che diventa normale”.

Quattro i Premi Braille consegnati: al dott. Gianni Letta, al giornalista Candido Cannavò, alla redazione del programma “Le Iene” ed alla Croce Rossa Italiana. Ad essi è stato aggiunto il conferimento all’avvocato Alessandro Licheri, difensore civico della Amministrazione Provinciale di Roma, del premio Aurelio Nicolodi, riservato esclusivamente a quei non vedenti che con la loro opera od attività abbiano dato particolare lustro alla categoria proponendo un’immagine ed entità positiva di questa disabilità. Le premiazioni hanno avuto luogo durante una serata di gala condotta dalla giovane Eleonora Daniele, nel corso della quale si sono esibiti artisti di grande prestigio quali, la Grande Orchestra Russa Tchaikovsky della repubblica di Udmurtia, magistralmente diretta dal maestro Leonardo Quadrini, il Coro della Pace di Terni, il soprano Cecilia Gasdia, il tenore Gian Luca Terranova, Gabriel Orit, l’attore Mario Grotta; tra l’altro sono state eseguite canzoni con testi composti dal prof. Tommaso Daniele su musiche del Maestro Nino Manna. Vi è stata anche una parte dedicata alla musica leggera che ha visto salire sul palco la cantautrice Mariella Nava ed il nostro Aleandro Baldi. Un angolo è stato inoltre riservato al folk mediante l’esibizione del Canzoniere della Ritta e della Manca. Ma torniamo ai premiati: il primo a salire sul palco per ricevere il Premio Louis Braille è stato il dott. Gianni Letta, premiato per la costante attenzione riservata alle tematiche dei non vedenti e per il suo determinante intervento per l’approvazione della legge a favore dei pluriminorati.

Al dott. Letta abbiamo rivolto alcune domande:

D. - Dottor Letta, ha appena ricevuto il Premio Louis Braille, qualche impressione...

R. - Non si fa mai a sufficienza per meritare un premio prestigioso come questo, che ha un grandissimo significato sociale; esso deve richiamare l’attenzione di tutto il paese sui problemi di chi, come voi, merita non solo attenzione, ma affetto, perché, come dice quel bellissimo cartoncino esplicativo che accompagna l’invito, il buio fa paura; tuttavia voi avete diritto alla luce e vi sono, oggi, i mezzi per darvi, nei limiti del possibile, una luce che vi consenta di vivere in condizioni di normalità e di affrontare le gioie e le prove della vita, di poter lavorare, di essere in condizione di godere delle opere d’arte, come questa bellissima sala ci dimostra. Non è mai sufficiente l’impegno che si profonde per affrontare e tentare di risolvere i vostri problemi. L’ho fatto, lo faccio da molti anni, sono al vostro fianco da quando dirigevo “Il tempo” a Roma e non ho mai abbandonato la vita della vostra associazione che ha davvero molti meriti. Voi, inoltre, avete un Presidente Nazionale straordinario, che ha una tenacia, una capacità di organizzazione, una volontà di perseguire ed una forza davvero ammirevole. I successi ottenuti sul terreno della legge per la quale ricevo questo premio e quelli molto più numerosi che mi auguro si potranno realizzare in futuro, moltissimo si debbono all’impegno, alla costanza, alla perseveranza nonché al coraggio del prof. Tommaso Daniele.

D. - Lei è sempre stato un uomo di comunicazione, pertanto è anche in grado di valutare l’odierno grado della cultura dell’handicap nel nostro paese...

R. - La cultura dell’handicap ha certamente compiuto molti passi in avanti, tuttavia essa è ancora lontana da quel traguardo che tutti dobbiamo impegnarci a farvi raggiungere, perché essa si deve diffondere; ancora è circoscritta purtroppo a determinati ambienti. Deve diventare una cultura di base del nostro paese.

D. - A suo giudizio cosa può fare in più un’associazione come la nostra per far comprendere non solo agli uomini della politica, ma anche al complesso mondo della comunicazione le proprie istanze?

R. - Occorre che continuiate a fare quello che già fate. Debbo dire che operate benissimo, agite con molto impegno, con tante iniziative nei più diversi campi e certo un premio come questo serve, sul piano della comunicazione, a far conoscere problemi e possibili soluzioni e, soprattutto, a risvegliare l’attenzione e l’interesse di un vasto strato dell’opinione pubblica.

 

E’ stata quindi la volta del giornalista Candido Cannavò, premiato per aver reso visibile il tema della disabilità nella sua ricchezza e complessità con il libro “E li chiamano disabili”:

D. - “E li chiamano disabili”, un libro che ha venduto un gran numero di copie, con una significativa introduzione scritta da Valter Veltroni. Uno straordinario viaggio nel mondo della disabilità. Forse da un giornalista sportivo non ci si attende un libro del genere ed invece ecco un piccolo gioiello...

R. - Grazie. Non condivido che non ci si possa aspettare da chi dirige un giornale sportivo un discorso di umanità, giacché nello sport ve ne è molta ed in genere non si prescinde assolutamente dagli interessi della vita. Personalmente mi interesso di mille cose, mi sono interessato del carcere, ho scritto anche un libro sul carcere di San Vittore, ove ho trovato fonti di umanità grandiosa, ho quindi fatto questo viaggio meraviglioso che ha indubbiamente arricchito la mia vita.

D. - Come nasce questa idea? Nel libro lei descrive, tra l’altro, un incontro con l’avvocato Giuseppe Castronovo, Presidente della Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità.

R. - Indubbiamente l’avvocato Castronovo ha contribuito al formarsi di questa idea, ma non è stato l’unica fonte; naturalmente certe culture le devi avere dentro. Ad un certo punto della vita esse vengono fuori, secondo me è la vita che decide per noi. Giuseppe mi ha chiesto esplicitamente di scrivere un libro sui disabili... avevo appena terminato il libro sul carcere di San Vittore. E’ stato lui ad occuparsi di far trascrivere in Braille “E li chiamano disabili”. In questo modo tale scritto è, in qualche misura, divenuto anche un poco il libro dell’Unione Italiana dei Ciechi, ha avuto una forma di adozione. Sono già alla settantaquattresima presentazione di questo libro; la prima è avvenuta a Messina, alla fiera, alla presenza dell’avvocato Terranova. E’ quindi nata una sorta di simbiosi con l’Unione Italiana dei Ciechi che, debbo dire, mi ha insegnato davvero molte cose.

D. - E’ il suo un libro estremamente vario, completo, all’interno del quale si analizzano anche differenti tipologie di handicap, si raccontano diverse esperienze di vita. Quale tra queste l’ha colpita maggiormente?

R. - Beh, non si possono fare delle graduatorie, secondo me vi sono delle storie più lievi altre estreme; vi è la storia della ragazza della copertina che è sublime, dimostra come sia possibile realizzare una vita così bella, intensa anche nascendo senza le braccia. Vi è poi la storia dello scienziato siciliano Fulvio Frisone che è veramente estrema, è la storia di chi ha avuto dalla vita “le cose peggiori” e ne è venuto fuori con questa mente scientifica, che stupisce il mondo. Ma ciò che è stato molto gradito è proprio il tono del libro, esso è dalla parte della vita, il libro finisce con l’essere un atto d’amore per la vita.

D. - Quando si parla di disabilità è facile cadere nel banale e nel pietismo, elementi questi totalmente assenti nel suo libro. Come è riuscito a cogliere in maniera anche oggettiva i tratti della disabilità?

R. - Si stupiscono tutti di ciò. In questo io credo che un po’ mi abbia aiutato il mio essere giornalista di lungo corso, di lunga esperienza. Ne ho viste tante nella mia vita, ma in verità mi ha molto aiutato anche l’aver preso delle sberle molti anni fa, per aver sbagliato questo atteggiamento con delle persone non abili, quindi certe ferite mi sono rimaste dentro come insegnamento. Ciò credo mi abbia aiutato un po’. Vi era il timore da parte di alcuni che potesse venir fuori un libro pieno di lacrime e di pietismo, invece “E li chiamano disabili” è un libro bello, quasi allegro per certi versi.

D. - Le Paralimpiadi hanno quest’anno avuto una maggior visibilità, probabilmente anche grazie ad un libro come il suo, che ha contribuito a sensibilizzare un gran numero di persone. Che rapporto intercorre tra lo sport ufficiale e quello praticato dai disabili?

R. - Occorre mettere ogni cosa al proprio posto. Le Paralimpiadi sono sicuramente state una punta avanzata di una crescita di cultura, perché nella disabilità molto spesso vi sono delle ferite fisiche e, invece, con le Paralimpiadi ci si espone, si compete, si sta insieme, ci si raduna. Sono queste tutte cose che farebbero a pugni con i vecchi concetti della disabilità che andava nascosta, mimetizzata. Indubbiamente sotto questo profilo le Paralimpiadi hanno un grosso merito. Circa il rapporto tra lo sport degli abili e quello dei disabili beh, lasciamo che le cose vadano per il loro corso... forse un giorno le due cose si uniranno e se ciò non avverrà l’importante è che eventi simili vengano vissuti nella maniera migliore possibile, con animo aperto e con cuore veramente generoso. Oggi vi è anche la necessità di restituire la dignità alla parola sport, siamo in un momento nero, soprattutto per il calcio, ma credo che ormai bisognerà rassegnarsi forse a compiere una distinzione, mettere un confine tra il calcio ed il resto dello sport. Il calcio professionistico, infatti, ha toccato un punto di livello così basso, di immoralità, di caos, di confusione ed è veramente un grande peccato. Speriamo che dal processo possa venir fuori qualcosa che contribuisca a ristabilire certi valori che possono far bene anche al resto del nostro paese, visto e considerato che il calcio è un volano di popolarità. Si ritorni al rispetto delle leggi, delle regole, a non pensare che tutto sia imbroglio, questo è ciò che oggi manca al nostro paese e se ciascuno di noi fa una piccola parte...

 

Premiata anche la redazione de “Le Iene”, rappresentata dal Trio Medusa al completo e da Lorenzo Maiello, capo degli autori che operano a Roma, premiati per aver trattato con ironia ed intelligente disincanto le complesse problematiche dei ciechi, contribuendo ad accreditare di essi un’immagine nuova. Diversi i servizi realizzati dalle Iene, candid-camera, interviste e persino l’organizzazione e la realizzazione di una partita tra cinque ragazzi non vedenti e cinque calciatori della Lazio. Dice Lorenzo Maiello:

“Quella della partita è stata un’idea del Trio Medusa.”.

Proseguono e spiegano i ragazzi del Trio:

“La partita è stata vinta dai non vedenti, ovviamente, i giocatori della Lazio erano bendati e sono stati battuti per ben 4 a 0. La prima domanda che abbiamo posto ai ragazzi è stata: “Ma voi come fate a giocare?” E loro hanno risposto:

“Ad occhi chiusi”. Lì abbiamo capito che da loro avevamo solo da imparare. Memorabile la battuta di Delio Rossi rivolta ai suoi: “Giocate meglio con gli occhi bendati!”. Noi sicuramente continueremo a parlare non solo di non vedenti, ma di disabilità in generale, questo perché nel nostro pubblico vi sono molti ragazzi e riteniamo sia importante che costoro si avvicinino a questi temi con un sorriso. In realtà le cose che facciamo noi le fanno tutti, soltanto che noi abbiamo la fortuna di essere una banda di cialtroni infinita, graffianti ed irriverenti e ciò permette di trattare temi “scomodi” in maniera un po’ più ironica e quindi i ragazzi li seguono. Noi siamo le scimmie che, casualmente, battendo i tasti su una macchina da scrivere scrivono Shakespeare: questa è la nostra definizione”.

 

Premiato anche il Presidente della Croce Rossa Italiana Massimo Barra, rappresentato dal dott. Giancarlo Sandri vicepresidente della Scuola Regionale per assistenti sanitari della Croce Rossa. In merito alla convenzione stipulata tra Unione Italiana dei Ciechi e la Croce Rossa Italiana ha così detto il dott. Sandri:

“E’ una convenzione di estrema importanza, giacché è nell’intenzione delle due associazioni promuovere la dignità delle persone. La Croce Rossa lo fa da 142 anni in tutto il mondo e quindi anche in Italia, promuove la dignità delle persone, soprattutto di quelle in difficoltà. Quindi direi che è una buona operazione quella conclusa grazie alla volontà del nostro presidente Massimo Barra e del Presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi prof. Tommaso Daniele. Penso che il testo della convenzione sia un punto di partenza ben chiaro per fare cose importanti insieme: pronto farmaco, assistenza domiciliare e molte altre cose che potremo studiare insieme al fine di essere utili”.

 

Nel corso della serata, come si è detto, è stato altresì consegnato il premio Aurelio Nicolodi all’avvocato Alessandro Licheri, difensore civico dell’Amministrazione Provinciale di Roma.

D. - Avvocato Licheni, cosa si prova a ricevere un premio quale l’Aurelio Nicolodi?

R. - Una grandissima emozione ed un profondo senso di gratitudine per l’attenzione riservata da parte dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti verso coloro che, nell’ambito dell’attività associativa o professionale, si distinguono dando, se così si può dire, lustro alla categoria. L’emozione è davvero tanta e grande.

D. - Lei ha dedicato questo premio alla sua famiglia...

R. - Io credo che la disabilità trovi il suo momento di equilibrio e di comprensione, prima di tutto, proprio nell’ambito familiare, perché è la famiglia il primo nucleo sociale ed è proprio là che la diversità diventa eguaglianza.

D. - Difensore civico dell’Amministrazione Provinciale di Roma, è per lei un grosso traguardo raggiunto. Vuol spiegare in due parole la funzione del difensore civico?

R. - Il difensore civico è un istituto di garanzia e di tutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, a fronte di eventuali ritardi, inerzie omissioni da parte della medesima. Ciò detto, naturalmente in termini molto ampi, tutto andrebbe maggiormente dettagliato e meglio specificato. Il difensore civico, comunque, è un soggetto indipendente, opera con totale situazione di non gerarchia nei confronti dell’amministrazione ed è, tra l’altro un’autorità eletta e non nominata, di conseguenza non può essere revocato; egli nella sua azione è insindacabile, in quanto non ha sopra di sé alcuna autorità, tranne i cittadini ai quali dover rendere conto.

D. - La sua attività sarà certamente molto intensa. Vi è qualcosa in cui la disabilità visiva può ostacolarla, oppure oggi, grazie anche alle nuove tecnologie gli ostacoli sono praticamente quasi tutti superati? Come svolge il suo lavoro?

R. - La tecnologia certamente rende autonomi, però talvolta, può diventare essa stessa un ostacolo, una difficoltà. Per fare il difensore civico non vi è bisogno di molta tecnologia, soprattutto ci vuole attenzione, molta disponibilità, accoglienza nei confronti del cittadino, la capacità di ascoltare e, soprattutto, è necessario occuparsi dei problemi anziché preoccuparsene.

 

Abbiamo avvicinato anche Aleandro Baldi e Mariella Nava:

D. - Aleandro Baldi al premio Braille hai presentato un tuo nuovo pezzo, “L’isola”...

R. - Questa canzone farà parte di un progetto che porteremo avanti il prossimo inverno, speriamo solo che piaccia.

D. - Un nuovo cd con nuovi  testi, nuove canzoni dunque...

R. - Sì.

D. - Puoi anticiparci qualcosa?

R. - Uscirà il prossimo inverno; per scaramanzia non voglio anticipare tanto, sarà un disco che a noi piace, ci siamo impegnati molto per realizzarlo e speriamo piaccia anche a chi lo ascolta. E’ questa una cosa che desideravo fare da tanto tempo insieme a dei musicisti bravi, come i ragazzi che hanno suonato con me questa sera e che lavoreranno con me anche in questo disco. Dunque tutto bene.

D. - Ricordiamo le tue canzoni più conosciute “Passerà”, “Non amarmi”, “La nave va”, “Soli al bar”. A quale brano sei maggiormente legato?

R. - A quelli nuovi, quelli che dovranno venire. Non è retorica, ma le canzoni sono un po’ come i nostri figli, quando crescono e vanno nel mondo si spera sempre che  si trovino bene; per quelli già avviati non vi sono problemi né preoccupazioni di sorta, mentre per i nuovi si avverte trepidazione, ci si preoccupa affinché stiano bene, si trovino bene.

D. - “L’isola” ha dei ritmi diversi rispetto alla tua produzione passata. Rappresenta per te un cambiamento forse, una sorta di cesura con il tuo passato?

R. - In parte sì ed in parte no; in parte sì perché “L'isola” è una canzone diversa dalle canzoni d’amore fatte in precedenza, ma in un certo senso no perché è un po’ un ritorno alle mie origini; nel mio primo disco “Aleandro Baldi” facevo canzoni molto più intimiste, improntate ad una certa filosofia. Quindi alla tua domanda rispondo dicendoti: un po’ sì, un po’ no.

D. - Maggiore importanza data alla chitarra, alle percussioni ed al basso, una minore presenza dell’orchestra rispetto al passato?

R. - Abbiamo pensato di dare importanza a tutto.

D. - Mariella Nava per la prima volta al Premio Braille. Cosa significa per lei esibirsi nel corso di una manifestazione come questa?

R. - Significa essere parte attiva di tutti quei momenti in cui la musica si unisce alle tematiche sociali e dove essere presenti è un segnale tangibile che testimonia che non si è scollati dalla realtà. Spesso gli artisti lo sono all’inizio vicini e poi se lo dimenticano quando volano un po’ più in alto. Invece rimanere vicini alle tematiche, alle problematiche credo che sia la cosa più importante, anche per poter raccontare... io sono una che racconta nelle canzoni, quindi mi piace vivere in mezzo. Credo inoltre che la musica serva veramente a collegare, a non perdersi mai, a risolvere, a fare conquiste importanti. Quindi anche nel mio piccolo mi piace dare un contributo, o almeno tentare.

D. - Lei ha iniziato in qualità di autrice di canzoni importanti, ha poi deciso di iniziare anche a cantare. Come è avvenuto questo mutamento?

R. - Ma io non ho mai deciso, in realtà ho iniziato scrivendo, poi qualcuno nel sentire i provini che facevo per offrire la mia musica ai più bravi, mi ha consigliato di continuare anche a cantare e non soltanto a scrivere, perché il modo in cui porgevo le mie canzoni risultava anch’esso interessante attraverso la mia voce. Quindi ho iniziato parallelamente questo percorso da interprete.

D. - Una cantante particolare, che invita a riflettere il proprio pubblico, con testi impegnati. Questo suo modo di essere come si coniuga con partecipazioni a momenti di spettacolo tanto diversi quali ad esempio il reality “Music farm”?

R. - Sono io che faccio questo mestiere, che ho scelto di fare questa vita e di parlare alla gente attraverso la musica; quindi se la musica passava anche da lì è giusto dare questa forma anche in un reality, è giusto che la gente possa attingere ad uno show televisivo anche sapendo che vi sono persone che seriamente conducono questo genere di vita anche nell’arte. Mi sono impegnata ad offrire questa faccia di me vera, reale. So che inizialmente strideva, anche nella mia stessa mente, questa cosa mi faceva un po’ paura; poi però, man mano, pensandoci ho detto, perché no? Perché non dare anche... visto che in televisione passano quasi esclusivamente immagini di artisti di un certo tipo, mi son detta, perché non fare vedere e dare certezza che vi è anche quest’altra parte? Io ne sono una rappresentante e dunque ho voluto tentare. Ne ho pagato anche un po’ le conseguenze, giacché non è stato facile essere lì. Però sono stata forte ed ho ritenuto di dover dare questa certezza e questa garanzia a chi mi segue e vede anche questi spettacoli e cerca altro.

D. - Che percezione ha della cecità?

R. - Ma io ho avuto questa esperienza vicina perché ho avuto amici ed anche colleghi, come Andrea Bocelli, che hanno portato al successo alcune cose mie; Annalisa Minetti... ho potuto vivere un po’ accanto a loro e capire che cosa significa. Me lo hanno anche raccontato ed io me lo sono lasciato raccontare. Alla fine ho visto un percorso molto uguale al mio, ho capito che non è vero che si vede con gli occhi e ciò ha contribuito ad aprirmi una nuova strada, mi ha dato una nuova luce. Io pensavo di dover raccontare loro, invece sono stati loro ad aprire a me nuove vie di comunicazione, nuove vie di ispirazione. Ho anche avuto un professore di Filosofia non vedente che spesso ci raccontava la vita in un modo che forse nessun altro vedente avrebbe potuto fare. Così ho compreso che si può guardare tramite le mani, si guarda con gli odori, attraverso l’udito, anche solo con la presenza accanto. Ora non so quanto lei stia percependo in questo momento di me, però sarà la stessa cosa che percepisco io di lei e non attraverso gli occhi, sicuramente esistono altre fonti di comunicazione molto più penetranti. Forse la realtà di oggi cerca di minimizzarle, di sottovalutarle, perché esse fanno paura, sono le più vere. Forse è proprio dalla vostra realtà che si può recuperare questo grande patrimonio che gli esseri umani hanno.

D. - A cosa sta lavorando e dove sarà possibile venirla ad ascoltare?

R. - Sto lavorando ad un nuovo disco che uscirà nei primi mesi del 2007, intanto però ho voluto dare un assaggio ed infatti uscirà nei prossimi giorni un mini cd che conterrà due canzoni delle quali una da me dedicata al cammino, al percorso non facile del Papa Giovanni Paolo II, un uomo di grande forza, una persona da cui anche la mia stessa strada di artista ha tratto forza nel momento in cui l’ho incontrato, perché ho avuto questa fortuna di stringergli la mano ed egli mi ha trasmesso questa energia. Io volevo raccontare questa esperienza... Vi è poi nel mini cd un’altra canzone d’amore, il singolo di quest’estate “Guarda giù”, che praticamente è un volo d’amore come spesso mi piace raccontare. Per il resto sono in giro in concerto in tutte le piazze italiane che mi vorranno chiamare.

 

Abbiamo rivolto anche alcune domande al Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Roma onorevole Enrico Gasbarra:

D. - Presidente, Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ed Amministrazione Provinciale di Roma unite nella realizzazione di un’iniziativa importante, l’undicesima edizione del Premio Louis Braille. Come nasce questa idea?

R. - E’un cammino avviato su una collaborazione con l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ma nel suo complesso con tutto il mondo del sociale, che va avanti da tre anni e che in questa provincia trova anche un esempio concreto di integrazione e normalità, come a me piace chiamarla, nella figura del difensore civico avvocato Alessandro Licheri. Quindi sostenere il Premio Braille perché sia un momento di festa ma sia anche un momento di analisi e soprattutto di rivendicazione come il presidente Daniele ha voluto dire durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento. E’ quella del Premio Braille un’occasione per mettere insieme quelle energie che fanno diventare una comunità normale e forte solo quando avrà compiuto dentro se stessa, per se stessa, nelle istituzioni, il passaggio della normalità sulla diversità.

D. - Nel corso del suo intervento in conferenza stampa ha evidenziato la necessità di non medicalizzare più gli interventi sull’handicap, sul sociale ed ha anche fatto una sorta di promessa da parte della sua amministrazione, quella di impegnarsi per la soluzione del problema inerente il servizio civile. Cosa può dirci in merito?

R. - Ho sempre ritenuto sbagliato l’approccio nel mondo del sociale di carattere medico o pietistico. Sono cose di cui questo settore non ha assolutamente bisogno, è un atteggiamento di grande normalità in un settore che è una risorsa anche in termini non solo di lavoro per la nostra comunità, ma anche in termini economici; rispetto alla situazione difficile che si ha per il volontariato del servizio civile e le difficoltà del governo, ho assicurato la mia partecipazione alla rivendicazione, ma questo è facile farlo. Per venire incontro ai problemi dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e, nel contempo, alle difficoltà del Governo, sono pronto a sostenere come Amministrazione Provinciale di Roma quei progetti esclusi per mancanza di fondi, sono disposto a coprirli con parte dei fondi della Provincia, ciò vale naturalmente per quei progetti che si inseriscono nel territorio della nostra Provincia.

 

Al termine della serata abbiamo chiesto al Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi alcune impressioni. Egli ha così risposto:

“Mi reputo molto soddisfatto, Carmen Lasorella ha detto che questo premio, a mano a mano che invecchia, diventa migliore, proprio come il vino. Carmen è una persona degna di fede ed io mi fido del suo giudizio; ma al di là del suo giudizio vedo facce allegre, gente soddisfatta, nonostante il caldo estivo tutti hanno resistito fino alla fine. La musica è stata buona, gli artisti bravi.

Io direi che possiamo archiviare questa edizione ed iniziare già a pensare alla prossima”.

 

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 Riflessioni e critiche

 

Carisma e democrazia 

di Antonino Cucinotta

 

C’è chi sostiene che, anche in Democrazia, il carisma possa avere un significato positivo, quando, produce effetti favorevoli.

Ma, anche senza prescindere dai risultati che si possono conseguire in situazioni di emergenza, non possiamo non notare che il carisma rappresenta effettivamente la morte della democrazia intesa nella sua accezione più logica.

In proposito, sono numerosi gli esempi storici eclatanti che ci devono indurre a diffidare e rifiutare qualsiasi atteggiamento carismatico.

La Democrazia, infatti, si fonda sul confronto dialettico delle idee, da cui deve nascere la verità e quindi l’adozione delle decisioni più opportune.

Non necessariamente il confronto dialettico deve svolgersi fra una maggioranza e una minoranza precostituita, come, di norma avviene nei consessi politici, come il Parlamento Nazionale, le Assemblee Regionali e locali dove, peraltro, l’esperienza ci insegna che raramente il confronto si risolve in una soluzione unitaria. Il confronto democratico si attua anche nei Consigli di Amministrazione degli Enti pubblici e privati, nei sindacati, nelle associazioni, dove ogni componente ha il diritto e anche il dovere di intervenire con proposte proprie anche in dissenso con gli altri Consiglieri e con lo stesso Presidente.

In Democrazia, la critica costruttiva è essenziale per un approfondimento delle decisioni prese o da prendere, per una valutazione più obiettiva e realistica delle situazioni, per eliminare errori che potrebbero nuocere all’Ente che si amministra.

E’ chiaro che l’attività democratica valorizza i singoli soggetti che hanno tutti uguale dignità da rispettare. Ciò non avviene ed è un’offesa per tutti, quando il Consiglio si lascia dominare passivamente da un Presidente sia pure carismatico che, appunto per tale suo carisma, impedisce il confronto e la critica.

Si ha così l’unanimismo che uccide la Democrazia e mortifica la dignità delle persone.

Penso, infatti, che sia veramente umiliante essere soggiogati alla volontà altrui, dimostrando così una personalità povera di idee e di contenuti, carente di proposte valide da fare e da sostenere.

L’unanimismo passivo, determinato dalla presenza della figura carismatica, impedisce soprattutto ai giovani di allenarsi alla dialettica, di esercitare le proprie facoltà mentali e prepararsi così all’assunzione di incarichi dirigenziali importanti.

Il quietismo è quindi da condannare anche quando la figura carismatica ottiene risultati brillanti, né la sua egemonia può giustificarsi con la situazione di emergenza che invece richiede l’impegno di tutti che giustamente, soprattutto nel caso di necessità, devono stringersi attorno al Capo e doverosamente sostenerlo.

Cerchiamo quindi di non equivocare sul concetto semantico di unanimismo che non va confuso con l’unanimità che si ha, quando attraverso la partecipazione attiva ai lavori consiliari si giunge ad un’approvazione unitaria e quindi unanime.

Non affidiamoci quindi all’opera di uno solo, ma cooperiamo con lui e con lui condividiamo la gioia del successo e anche l’amarezza del fallimento.

 

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Giornalisti allarmisti: Il caldo

 

di Mario Lorenzini

 

Caldo equatoriale, caldo africano! Siccità, rischio salute, ecc. Questo è quanto si è detto e si dice del

attuale clima estivo. Ci rendiamo tutti conto che il caldo umido e prolungato crea dei disagi al

nostro vivere. Ma come quando abbiamo un problema di salute il medico ci deve informare ma non

allarmare, ovviamente è preferibile non essere malati e guarire il prima possibile, quindi dobbiamo

pensare positivamente, allo stesso modo i giornalisti, ci dovrebbero dare un’informazione chiara e

veritiera, senza calcare troppo la mano. Tutto ciò crea panico, allarmismo inutile ed eccessivo, e,

conseguentemente, malessere nelle persone, quel malessere che solo il caldo non provoca. A volte

anche le parole contribuiscono a migliorare o peggiorare il nostro stato d’animo. Ma io dico, che

gusto ci provano questi cosiddetti professionisti dell’informazione ad amplificare le negatività che

invece andrebbero sminuite, non è certo correttezza professionale, non è certo uno scoop, forse è

mancanza di idee da approfondire,o forse i signori della carta stampata pensano che il nostro livello

culturale comune sia così basso che crediamo a tutto quello che ci propinano, e che di questi

discorsi allarmistici possiamo farne un pettegolezzo da discutere tra amici, anziché parlare di una

utile scoperta scientifica in campo medico. Forse è proprio questo il punto: una notizia scientifica

della quale possiamo parlare 5 minuti o giù di lì, non siamo certo tutti medici, ripetere invece per

un’ora tra amici o colleghi che fa un caldo bestiale è, come dire, di tendenza

Ma veniamo a qualcosa di più concreto che indipendentemente dal bello o brutto della notizia, ci

faccia capire che, in fondo in fondo, possiamo glissare su certe notizie, perché non possono essere

attendibili. E poi, se non dico qualcosa, e qualcuno legge queste righe, potrebbe dire subito che sto

dicendo panzane.

Intanto diamo subito un’occhiata al calendario, siamo nel 2006; non è questa l’estate più calda, fece

invece scalpore quella del 2003. Il sole fu veramente cocente, per mesi, senza tregua, temperature

alte e forte tasso di umidità Ma benché anche questa estate sia caldina,con umidità, non è certo

paragonabile a quella di 3 anni fa. Ci sono stati dei temporali, anche se di breve durata,e sparsi,e il

caldo vero e proprio è giunto nel mese di luglio, il mese notoriamente più bollente (siamo in estate

dopo tutto) fino alla metà di agosto, più o meno.

E pensiamo al nostro benessere fisico: da sempre stare esposti al sole all’ora di pranzo fa male, alla

pelle, ci causa mal di testa e insolazioni, ci disidrata togliendoci quei Sali minerali e altro utili al

nostro sostentamento. E appunto, dopo i giornalisti, arrivano i medici a mitigare quello che è stato

comunicato poco prima. Il dottore ci consiglia, ce lo ha sempre consigliato, da anni a questa parte,

di mangiare leggero, di bere molta acqua durante la giornata e, soprattutto,non stare esposti ai raggi

del sole nelle ore centrali del giorno,diciamo dalle 12 alle 16 del pomeriggio.

Insomma, oggettivamente quanto è cambiato, da 50, 100 anni fa ad oggi? Intendo, nel fattore

climatico. Quanto è realistica l’informazione? Io credo che non lo sia, i giornalisti hanno la pessima

abitudine di enfatizzare le cose, ma per farlo vanno un po’ oltre il limite; come se io raccontassi a

un’altra persona di una terza che si è rotta un dito: prima gli dico che questa si è fratturata il pollice,

il giorno dopo gli dico che probabilmente anche il polso è coinvolto, il giorno seguente mi invento

che potrebbero esserci ripercussioni sull’osso dell’avambraccio.Ma solo il dito è rotto, e andrà a

posto nei 20 giorni di degenza previsti, non nei possibili 45 ipotizzati dai giornalisti per

complicazioni fantasma.

Mi spiace di aver usato un esempio così sciocco, ma spero di aver reso l’idea.

Comunque forse fa caldo, o sarebbe meglio dire sentiamo caldo, più degli anni precedenti, o un

numero maggiore di persone sente caldo rispetto al passato, ma perché?

Penso che faccia veramente più caldo di qualche anno fa, ma in misura veritiera di un 30 per 100

rispetto a quanto affermato dai giornalisti. La percentuale restante va suddivisa in due fattori: quello

psicologico provocato da questi informatori, e un altro, non molto o per niente citato; quello della

resistenza ambientale del nostro fisico, che è diminuita in molte persone negli anni a causa degli

stress provocati dal nostro stile di vita sbagliato. Alimentazione, inquinamento, ecc. i soliti elementi

che peggiorano le condizioni di salute, e ci fanno sentire più caldo, più freddo,  più fatica, ci fanno

ammalare di piccole e grandi patologie nuove.

E’ perciò preferibile mantenere un certo distacco dall’informazione, a volte si capisce che la

ripetitività dell’argomento è proprio indice del fatto che si sta per andare oltre il veritiero. Dal punto

di vista del fattore caldo quindi, possiamo rimediare facilmente ai 2/3 del disagio; basta non prestare

molta attenzione a quanto ci viene comunicato, non sto dicendo di chiudere il giornale e spegnere

definitivamente la tv. Ma cerchiamo di documentarci anche da altre fonti in modo da avere un

raffronto multiplo, o magari chiedere direttamente a un esperto del settore, che potrebbe essere

nostro amico, e comunque non giornalista.

E a riguardo del fattore fisico, beh, possiamo fare poco o tanto,possiamo cercare di modificare un

po’ quelle che sono le abitudini di vita che ci portano ad un indebolimento progressivo, dico, tanto

per dire, il peso eccessivo del nostro corpo, cattive abitudini igieniche, alimentazione povera di

fibre, ecc. Ma ovviamente, io, che non sono un dietologo,un laureato in campo medico o scientifico,

e, per l’appunto, non sono nemmeno giornalista, sarò giudicato poco credibile. Non voglio, non

pretendo certo che qualcuno legga questo articolo come fosse un sicuro trattato sulla salute fisica e

una certezza sulla malafede giornalistica. Mi piacerebbe però aver messo, come si suol dire, la pulce

nell’orecchio a una persona o due e che queste non stiano passivamente davanti alla radio o tv,

specie le emittenti più conosciute o commerciali (che fanno dell’informazione un profitto), e che

sfoglino qualche rivista alternativa, facciano qualche ricerca su internet o si documentino in una  biblioteca aggiornata.

Io dico, questa è informazione vera, questa è cultura.

 

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Sport

 

Germania  2006: giù  il  sipario

di Andrea Bonfiglio 

 

 Ci eravamo lasciati con un auspicio nel precedente 

numero,  ricordate?

Facendo riferimento al clima di tensione (dovuto allo scandalo di

Calciopoli) che precedeva l'inizio della rassegna iridata e che ricordava,

per certi versi, l'atmosfera della vigilia del mondiale del 1982, ci

auguravamo che anche la conclusione della competizione potesse essere la

medesima. Ebbene, così è stato. Lo scorso 9 luglio, infatti, la nazionale

italiana si è laureata campione del mondo battendo la Francia ai calci di

rigore. E' stata una finale al cardiopalma; sconsigliata ai deboli di

cuore. Già due minuti dopo il calcio d'inizio, difatti, la compagine

transalpina ha beneficiato di un calcio di rigore assegnato in maniera

generosa dal direttore di gara per un presunto fallo del difensore

Materazzi. Ad incaricarsi della battuta è stato Zidane, il quale ha

freddato Buffon con un tiro "morbido" (un cucchiaio alla Totti) che prima

di spedire il pallone oltre la linea di porta lo ha scagliato contro la

parte inferiore della traversa. Gli azzurri tuttavia non si sono abbattuti

e dopo venti minuti di assedio all'area presidiata da Barthez hanno trovato

il pareggio con un colpo di testa dello stesso Materazzi che è svettato

alle spalle di Vieira ed ha finalizzato l'azione nata da calcio d'angolo.

Il primo tempo si è quindi concluso in parità, nonostante il bomber Toni ed

ancora uno scatenato Materazzi abbiano sfiorato il raddoppio prima del

45°. Nella seconda frazione di gioco è salita in cattedra la Francia che

pian piano ha schiacciato l'Italia nella propria metà campo rendendosi

pericolosa con Ribery, Henry e Zidane. Ciononostante è stata l'Italia ad

avere l'occasione più nitida con Toni, il quale si è visto annullare un

magnifico gol siglato di testa a causa di un millimetrico fuorigioco. Si

è scivolati dunque al 90° senza ulteriori sussulti ed il persistente

pareggio ha imposto alle due squadre altri 30 minuti di fatica. Le maggiori

emozioni si sono però avute nel primo tempo supplementare con uno Zidane in

versione Dr. Jekyll e Mr. Hyde che ha prima sfiorato il gol del vantaggio

con uno splendido colpo di testa (sventato soltanto in extremis da una

straordinaria parata di Buffon) ed ha poi colpito con una testata al petto

il solito Materazzi, colpevole a suo dire di inaccettabili provocazioni.

Questo gesto - sfuggito all'occhio arbitrale - gli è comunque costato

l'espulsione grazie all'intervento - non proprio tempestivo - del

guardalinee che ha richiamato l'attenzione del suo collega, impegnato a

seguire lo svolgimento del gioco, riferendogli l'accaduto. Gli azzurri,

ormai alle corde, si sono ritrovati in superiorità numerica ed hanno così

potuto rifiatare fino al termine dell'incontro. L'immutato risultato ha

costretto le due finaliste a contendersi il titolo ai calci di rigore. Dopo

una ponderata riflessione il CT Marcello Lippi ha designato i 5 rigoristi:

Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero, Grosso. Nessuno di loro ha sbagliato

e ciò ha reso possibile - grazie anche all'errore del francese Trezeguet

- la realizzazione di un sogno di milioni di italiani che non appena hanno

visto il pallone calciato da Grosso gonfiare la rete si sono riversati

nelle piazze e nelle strade per dare sfogo a tutta la loro gioia.

 

A detta di una intera nazione questa è stata la vittoria del gruppo, che

grazie allo spirito di coesione, alla cultura del lavoro e del sacrificio

ha saputo tramutare le sopraggiunte difficoltà in benzina da ardere nel

proprio motore per tagliare un traguardo divenuto obiettivo comune.

 

Tra i giocatori azzurri quelli che hanno maggiormente impressionato sono

stati Grosso (senza ombra di dubbio l'uomo decisivo: basti pensare al

rigore procuratosi al 93° contro l'Australia, al gol segnato al 119° nella

semifinale contro la Germania, nonché all'ultimo rigore trasformato in

finale), Cannavaro (storico capitano e difensore insuperabile), Buffon

(insostituibile portiere autore di interventi miracolosi: vedi quello su

Zidane nella finale), Gattuso (cuore grintoso e generoso; instancabile

motorino della squadra), Pirlo (imperturbabile metronomo della cavalcata

azzurra), Materazzi (inaspettato protagonista sia nella fase difensiva che

offensiva; ha sostituito egregiamente uno dei più abili difensori al mondo,

tale Alessandro Nesta) e Zambrotta (infaticabile pendolino sulla fascia

destra e all'occorrenza sulla sinistra). Meritano certamente un elogio

anche gli altri componenti della rosa, a partire da Del Piero (umile

campione votato al sacrificio per il bene collettivo), Totti (impalpabile

sul campo ma coraggioso a non tirarsi indietro quando chiamato in causa) e

Camoranesi (genio e sregolatezza espressi in una cornice tatticamente

impeccabile), per giungere a De Rossi (mediano talentuoso e irrequieto),

Perrotta (tecnica e corsa al servizio dei compagni), Toni (lottatore mai

domo), Gilardino (bomber sgusciante e disciplinato) e Iaquinta

(sorprendente jolly offensivo).

 

 

 

 

UNO SGUARDO GENERALE

 

 

Tra le nazionali che hanno ben figurato - oltre ad Italia e Francia - ci

sono sicuramente il Portogallo e la Germania che si sono affrontate nella

finale per il 3° posto terminata 3-1 per i tedeschi. Tra le rivelazioni del

torneo spiccano i nomi di Ucraina e Australia (protagoniste di un ottimo

torneo ed eliminate soltanto dall'Italia) nonché di Ecuador e Ghana

(qualificatesi per gli ottavi di finale contro ogni pronostico), mentre

nella lista delle delusioni compaiono in primis Brasile e Argentina,

seguite a ruota da Inghilterra e Olanda.

 

Per quanto riguarda i calciatori - se si esclude il semisconosciuto Maxi

Rodriguez, argentino in forza agli spagnoli dell'Atletico Madrid - non sono

venuti alla luce nuovi talenti (l'attesissimo baby-fenomeno inglese Teo

Walcott non è mai sceso in campo ed è rimasto un oggetto misterioso), ma

alcuni tra quelli più noti hanno deluso. Su tutti i brasiliani Ronaldinho e

Ronaldo che sono apparsi davvero irriconoscibili. Tra coloro che invece non

hanno tradito le attese - eccettuando giudizi sugli azzurri - ci sono

Henry, Zidane (nominato miglior giocatore del mondiale, nonostante la

ignobile testata rifilata a Materazzi), Nedved, Shevchenko, Figo e Klose

(laureatosi capocannoniere del torneo).    

 

 

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