Giovani del 2000

Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio

ANNO XXII numero III (78) settembre 2020

Direttore
Maurizio Martini
Vice Direttore
Prof. Antonio Quatraro
Redattori
Massimiliano Matteoni
Luigi Palmieri
Giuseppe Lurgio
Sito web
Mario Lorenzini
sede
via Leonardo Fibonacci 5, 50131
Firenze (FI)
Telefono e fax 055 580523
E-Mail redazione@gio2000.it
Sito internet www.gio2000.it
Tipologia: periodico trimestrale
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.

Rubriche


In questo numero:

Editoriale
Lock down o liberi tutti? di Mario Lorenzini
Cucina
Il riso di Giuseppe Lurgio
Cultura
Lavoro da remoto: i pro e i contro di Lista Mente gruppo Sublimen
Nuovo trend in medicina estetica: da Beverly Hills a Tenerife, i nuovi peelings biostimolanti di Anadela Serra Visconti
Esercizi per piacersi: ringiovanire senza bisturi con la Tecnica Tridimensionale di Anadela Serra Visconti
Filosofia
Una mia riflessione; corsi e ricorsi storici: LA PESTE DEL 1348… di Vito Coviello
Informatica
Come volevasi dimostrare di Mario Lorenzini
Ehi, guida autonoma, ti sei dimenticata di qualcuno di Mario Lorenzini
Medicina
Consigli nutrizionali per l'inverno di Rossana Badaschi
Novità in Farmacopea: XVII parte di Stefano Pellicanò
Novità in Sanità Pubblica: VI parte (VIII) di Stefano Pellicanò
Novità in Medicina: XVII parte di Stefano Pellicanò
Racconti e poesia
Vieni...ti racconto una storia... di Annamaria Antonelli
Galatea di Antonella Iacoponi
Vecchi ricordi di Vito Coviello
Il popolo della notte di Francesco Burroni
Il vestito della cresima di Dunia Sardi
Mastro Falce di Giuseppe Furci
Il nostro albero di Patrizia Carlotti
Riflessioni e critiche
Il rumore del diabete di Annalisa Conte
Smart working: facciamo un po’ di ordine di Mario Lorenzini
La manipolazione mediatica di Sylvain Timsit Tratto da Lista Mente gruppo Sublimen
Personaggi politici: come erano, come dovrebbero essere oggi di Mario Lorenzini
Tempo libero
Il fenomeno delle youngtimer: AUTO DA COLLEZIONE O SEMPLICE NOSTALGIA? di Fabrizio Ferrante
Una breve vacanza a Creta, tra mare, storia e mitologia di Gianfranco Pepe
Ancora Marco Farina! di Giuseppe Lurgio
Per sorridere un pò di Giuseppe Lurgio
La mia esperienza di non vedente in Giappone (seconda parte) di Roberto Lachin
Comunicati
Il sogno di Vito di Giuseppe Lurgio
Diventa socio! E mappe descritte di Paolo Giacomoni
Come si salva il mondo? La sfida di Mosè Santamaria di Martina Ortis
Guardando all'autunno di Girobussola
Ci sono formiche a Palermo? di Girobussola

Editoriale

Lock down o liberi tutti?

di Mario Lorenzini

Stiamo vedendo i risultati dell’isolamento dal corona virus e della seguente “liberazione” progressiva. Si è tentato di riaprire attività e uffici, con le dovute precauzioni, nella speranza che ciò fosse sufficiente a proteggerci. O che, nel frattempo il virus fosse sparito. Ma, a prescindere dal fatto che il rischio contagio zero non esiste, non ci si è comportati bene. E non mi riferisco a regole scritte; perché dopo, per tanti è facile dirlo, non si è rispettata quella normativa o quell’altro dpcm, il tutto approntato frettolosamente e disordinatamente. Poi le polemiche, contraddittorie tra virologi allarmisti e moderati. Ma quando si parla di mascherine non indossate, di assembramenti, di mani non igienizzate, di cosa stiamo parlando? Non dovremmo neanche parlarne. E nemmeno aspettare i diktat del governo, così astrusi. La testa, la ragione, il buon senso; non ci sono. È logico pensare che due persone, l’una di fronte all’altra, prima o poi, gesticolando e argomentando, si muovano e con tutta probabilità, si avvicinino? Agevolando lo scambio di virus e batteri. E allora pensiamo. Ci piace di più una socialità fatta di frequenti contatti ravvicinati o il corona virus? Siamo persone civili, esseri umani pensanti. E allora pensiamo! Ma non è andata affatto così. I contagi sono aumentati nuovamente. Forse la curva degli infettati salirà ancora o scenderà naturalmente. Forse solo una minoranza di questi si ammalerà e una piccola parte in modo severo. Ma se lo scopo era quello di far decrescere il numero dei positivi al covid-19, come mai le cose sono andate diversamente? C’è chi dà la colpa ai giovani, di ritorno da vacanze all’estero, in paesi con forte presenza virale. O che, anche standosene in Italia, frequentano locali notturni, l’uno appiccicato all’altro, infischiandosene dei dispositivi di protezione. E mettiamoci anche la famigerata movida. Poi c’è chi addossa la risalita dei contagi ai continui sbarchi dei migranti, che versano in condizioni igienico sanitarie pessime. Ma qual è la verità? È che NON PENSIAMO! Sì, siamo preda dell’istinto, dell’inciviltà, della paura. Dell’istinto, perché non sappiamo rinunciare a un viaggio o un aperitivo o peggio, a una nottata in discoteca, dove l’affollamento è eccessivo e la frequenza respiratoria, come nelle palestre, è decisamente maggiore, causando una più alta possibilità di veicolo del virus. Dell’inciviltà, perché chi viene nel nostro paese da clandestino, ostentando comportamenti violenti e irrispettosi delle basilari norme di igiene, è tollerato, scusato o non controllato efficacemente; si finisce per scappare dagli hot-spot deputati all’accoglienza, con capienza di molto superata. Della paura, perché manca di coesione e uniformità tutta l’infrastruttura mediatica che informa malamente, in modo certamente non equilibrato. È sicuramente complicato reperire le giuste fonti informative sui vari canali come la TV, la radio o il web. E allora, il mio augurio è che queste poche pagine possano stimolare positivamente la vostra mente, allo scopo di PENSARE sia al benessere individuale che quello collettivo.


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Cucina

Il riso

di Giuseppe Lurgio

Parlare del riso prendendo in considerazione tutti i suoi aspetti e un’impresa non facile per la quantità di informazioni notizie e curiosità che andrebbero riportate. Come sempre mi limiterò ad alcuni cenni di natura generale e a qualche ricetta semplice e di facile esecuzione. Il riso è il cereale più consumato dalla popolazione umana nel mondo ed è alla base della cucina dell'Asia. Pochi alimenti sono pervasi da così profondi significati religiosi come lo è il riso per la grande ed affascinante civiltà Asiatica. Esso è l'espressione di un dono celeste agli uomini. Costituisce il cibo principale per circa la metà della popolazione mondiale e viene coltivato in quasi tutti i paesi del mondo. È uno dei prodotti agricoli con la più alta produzione mondiale (741,5 milioni di tonnellate registrate nel 2014). Le due specie di riso più note, e nello stesso tempo più usate, hanno nome botanico "Oryza sativa" e "Oryza glaberrimaLe". Dalla prima si ricava il riso detto "asiatico", mentre dalla seconda il riso detto "africano". L'Oryza sativa, a sua volta, si differenzia in tre sottospecie: Indica, Japonica e Javanica. In Italia si coltivano principalmente l'Indica, dal chicco lungo e sottile, e la Japonica, dal chicco più corto e tondeggiante. Le origini di questo alimento sono Asiatiche, e precisamente Cinesi e risalgono il sesto millennio A.C., quando era coltivato a scopo alimentare, così come testimoniato da diversi siti del neolitico. rinvenuti nella Cina orientale. Si diffuse poi in Mesopotamia, Persia, Egitto e infine in Europa. Tralasciando la storia della sua diffusione nel mondo e passando ai giorni nostri, l'Italia, con 1,44 milioni di tonnellate di riso prodotti nel 2005, rappresenta il principale produttore Europeo e il ventisettesimo a livello mondiale. La coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, ovvero Vercelli - Novara - Pavia. Viene inoltre coltivato nella provincia di Mantova, in Emilia-Romagna, nel basso ferrarese, in Veneto, in particolare nella bassa Veronese (In Friuli, in alcune zone maremmane, in Sardegna e in Calabria. Ricordiamo che fino al primo ventennio del 1800, il riso si coltivava senza conoscere tipi e varietà. Verso la metà del diciannovesimo secolo, in concomitanza con l'aumento delle importazioni di questo cereale dalla Cina e dal Giappone, per non perdere quote di mercato si cominciarono a selezionare le varietà di riso ed a ricercare i tipi più produttivi, più sani e più completi da un punto di vista nutrizionale. I primi risicoltori che svolsero questa attività selettiva diedero il nome, a determinate varietà di riso, tuttora in commercio: Maratelli, Carnaroli, Rinaldo Bersani, Arborio, Ostiglia. eccetera. Il riso e una pianta graminacea acquatica annuale, di altezza variabile tra i sessanta centimetri e i due metri. È fornita di fusti alti e cavi, dotati di un ampio sistema di lacune che permettono il ricambio gassoso anche nelle parti del culmo immerse nell'acqua, di radici fascicolate lunghe, di colore vario (gialliccio, rossastro, bruno o nero) che con il tempo diventano flaccide ed uno o più culmi che terminano con una infiorescenza a pannocchia, costituita da spighette. Il frutto, cariosside, bianco o giallastro, è rivestito da alcune membrane resistenti, le glumelle. Le fasi della coltivazione sono principalmente tre: semina, in aprile - maggio, mondatura in giugno - luglio e raccolta in agosto - ottobre. Una volta la mondatura, ovvero l'asportazione delle erbacce infestanti era eseguita a mano dalle donne che venivano, per l'appunto, chiamate "mondine". Le poverette lavoravano per oltre dieci ore in condizioni disumane, immerse in acqua fino alle ginocchia e quasi sempre curve in mezzo a orde di zanzare e sanguisughe. Oltretutto sottopagate e maltrattate fisicamente. Proprio dalle condizioni da incubo in cui si lavorava nacquero tante canzoni popolari e tanti films, come ad esempio, "Riso amaro" di Giuseppe De Santis del 1949 e "La risaia" di Raffaello Matarazzo del 1956. Ricordiamo alcune canzoni che oggi fanno oramai parte del folklore italiano: Se otto ore vi sembran poche, Son la mondina, Sciur padrun da li beli braghi bianchi e poi Saluteremo il Signor padrone, canto popolare poi inciso come singolo da Eugenio Finardi nel 1975. Ma riprendiamo il discorso inerente al riso inteso come pianta. La pianta quindi, giunge a maturazione nell'arco di 140 - 180 giorni, in agosto, quando dalla guaina fogliare esce la pannocchia. Ogni pannocchia produce circa 100 semi. La raccolta avviene tra settembre e ottobre, con macchine trebbiatrici e Il prodotto prende il nome di risone. Il risone presenta un grado di umidità oscillante intorno al 21%, troppo elevato per consentirne la conservazione. Viene perciò essiccato prima dell’immagazzinamento, stagionato e, infine, raffinato. Il risone, di colore giallastro, si presenta protetto da una specie di corazza, formata dalle glumelle. Viene sottoposto ad una lunga serie di trattamenti e lavorazioni prima di diventare un prodotto commestibile ed essere messo in commercio. Inizialmente, viene effettuata l'operazione di pulitura: mediante ventilazione si eliminano i semi di altre piante, i residui della raccolta ed eventuali materie estranee. Segue la sbramatura: per mezzo di decorticatori, vengono tolte le glumelle, che vanno a costituire la lolla. Il riso viene poi messo in macchine in grado di separare i grani di spessore diverso; vengono così eliminati i chicchi non formati completamente, o non ancora maturi. Da questa fase si ottiene il riso integrale, o semigreggio, di colore scuro, ancora avvolto da pellicole cellulari ricche di grassi, i quali ne rendono difficile la conservazione, perché si alterano rapidamente, trasformandosi in acidi grassi e glicerina. È necessario quindi, conservare sotto vuoto il riso integrale, o consumarlo in tempi brevi, in modo da evitare il suo irrancidimento. La successiva operazione, la sbiancatura, consiste nel far passare tre o quattro volte il riso attraverso le sbiancatrici, macchine dotate di superfici abrasive e rotanti. I chicchi vengono privati del loro ultimo rivestimento e si ottiene il riso mercantile e, come sottoprodotto, la pula. Dopo un'ultima separazione dei chicchi interi da quelli rotti, il riso raffinato può essere immesso sul mercato. Si potrebbe sottoporlo ancora, per migliorarne l'aspetto, a due procedimenti: la lucidatura, durante la quale il riso viene levigato ed oleato con olio di vaselina in speciali apparecchi ad elica (ne deriva il riso camolino), e la brillatura: il riso viene cosparso di una soluzione chimica di glucosio e talco. Si ottiene il riso brillato, povero rispetto agli altri, di ferro, calcio e fosforo. Il riso si presenta in molti colori, forme e dimensioni. Per classificare le tipologie di riso importanti, ci sono le sezioni trasversali e longitudinali delle cariossidi; uno dei parametri è il rapporto lunghezza/larghezza, altro carattere è l'evidenziazione del dente (presenza dell'embrione). La striscia può essere più o meno scura, la perla può essere vitrea o perlata. La specie japonica dell'Oryza sativa si divide in 5 tipologie: Risi comuni (tondi e piccoli), risi semifini (tondi di media lunghezza), risi fini (affusolati e lunghi) risi superfini (grossi e lunghi), risi aromatici. Alcune varietà di riso sono: Arborio, Baldo, Basmati, Carnaroli, Jasmine, Lido, Maratelli, Originario, Ribe, Riso di Grumolo delle Abbadesse, Riso nero, glutinoso, Riso Roma, Riso Venere, Riso Vialone, Nano Veronese Rosa, Marchetti, Vialone Nano. Una curiosità; spesso abbiamo sentito parlare di una pianta non molto apprezzata specie in alcuni testi Sacri, ovvero la Zizania. Ebbene, essa altro non è che il riso selvatico, conosciuto anche come "riso indiano" o "di America", appartenente alla specie "Zizania acquatica", cresce spontaneamente sulle rive dei laghi del Nordamerica e del Canada. Ha un chicco fusiforme, lungo dai quindici millimetri in su che, dopo la decorticazione, si presenta di colore scuro violaceo o quasi nero. Viene utilizzato decorticato, senza essere raffinato. Grazie all'aroma molto particolare, è apprezzatissimo e venduto a prezzi elevati. E' ideale con i piatti di selvaggina. Inoltre, è commestibile anche la parte alta del fusto di questa specie. Altra curiosità e il Riso Nero o meglio "Riso Venere". Che cos'è il riso Venere? È un riso ottenuto in Italia mediante un incrocio con una varietà asiatica messa a disposizione dall'IRRI (Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso) che ha sede nelle Filippine e che è il più importante Ente per la conservazione delle varietà di riso del Mondo. Brevettato da SA.PI.SE., Sardo Piemontese Sementi, Venere è dotato di aroma e pigmentazione del tutto naturale. Alla pari di tutte le nuove varietà di riso, anche Venere è stato ottenuto mediante un complesso sistema di incroci fra due varietà di riso. Venere non è stato ottenuto con tecniche biotecnologiche, ma solo con tecniche convenzionali. Nato nella Pianura Padana, Venere è stato battezzato con il nome della Dea dell'Amore. Ottenuto presso il Centro Sperimentale della SA.PI.SE. da un ricercatore cinese, presenta le proprietà del preziosissimo e raro riso nero degli antichi Imperatori cinesi. Questo tipo di riso, esiste in Cina da secoli, ma è sempre stato riservato alle tavole dei nobili perché raro e poco produttivo e quindi molto costoso. Bene, dopo aver divagato tra curiosità e notizie varie ora ci occupiamo del riso come alimento e ingrediente fondamentale di infinite ricette. In generale, il riso viene utilizzato in ricette di tutto il mondo e di tutti i tipi, tra cui: piatti unici, antipasti, primi piatti, secondi, dolci e tavola calda. Nella cucina araba il riso è un ingrediente di molte zuppe e piatti a base di pesce. pollame e altri tipi di carne. Viene anche usato per farcire verdure o avvolto in foglie di vite (dolma). In combinazione con latte. zucchero e miele. viene utilizzato per preparare dolci. In alcune regioni, come il Tabaristan. il pane viene preparato con farina di riso. Il riso può anche essere trasformato in porridge di riso o pappa di riso, aggiungendo più acqua del solito, in modo che il riso cotto sia saturo di acqua, di solito al punto in cui si spappola. Il porridge di riso viene comunemente consumato come cibo per la colazione ed è anche un alimento tradizionale per i malati. Tra l'altro, pur avendo un suo particolare sapore, il riso è capace di sposarsi e di valorizzare quello dei cibi a cui viene mescolato, siano essi salati o dolci, saporiti o delicati: carne o pesce, verdure o sughi, formaggi o uova. Ma anche latte, fragole, melone, uvetta, vino o champagne. Il riso, fra tutti i cereali, è uno degli alimenti più completi dal punto di vista nutrizionale: 100 g di riso forniscono infatti circa 330 chilocalorie con un notevole contenuto di fibra e vitamine, oltre a vari sali minerali. Il riso bianco è caratterizzato da un contenuto in carboidrati pari circa al 78%, in proteine al 7% circa e in lipidi per circa lo 0,6%. La sua digeribilità è superiore a quella degli altri cereali, tanto da essere assimilato in 60/100 minuti, mentre la pasta ne richiede intorno alle tre ore. Il riso contiene anche acidi grassi essenziali: acido linoleico fra il 29-42%, e acido linolenico fra 0,8-1%. Ha un rapporto sodio / potassio di 5 mg di sodio ogni 100 di riso, e 9 mg di potassio. Inoltre, questo cereale e totalmente privo di glutine e quindi è un alimento idoneo per le diete di soggetti celiaci e per chi soffre di allergie alimentari. Nelle diete dimagranti, il riso presenta netti vantaggi sul pane: la sensazione di fame si acquieta con grammi 50 di riso pari a 180 calorie, mentre lo stesso risultato non si può ottenere che con grammi 200 di pane, pari a 500 calorie. Bene, un altro prodotto ricavato dal riso è la famosa "Birra di riso", o Arak. Si ottiene dal riso macinato e cotto, sottoposto a leggera fermentazione di pochi giorni con lievito cinese. È una bevanda agrodolce, debolmente alcoolica. Più lunga e laboriosa è invece la fermentazione per la preparazione del Vino di riso o più comunemente conosciuto come "SAKÈ". Il Sakè è ottenuto da un processo di fermentazione che coinvolge riso, acqua e spore Kojiin (Aspergillus oryzae), una muffa i cui enzimi convertono l'amido presente nel riso in zucchero. Certi tipi di riso, se trattati con particolari procedimenti, danno origine a prodotti speciali usati per altri impieghi alimentari. Ad esempio, il riso fioccato o schiacciato si ottiene da una ulteriore lavorazione del riso parboiled: il chicco viene schiacciato tra due rulli in modo da assumere una forma appiattita e sottile. Si usa come ingrediente in molte merendine e per la prima colazione. Il riso soffiato invece è preparato con il riso tondo, cotto insieme allo zucchero e, quindi essiccato. Il chicco viene poi schiacciato tra due rulli, sottoposto ad aria caldissima che permette la fuoriuscita dell'acqua residua e tostato, utilizzato soprattutto per la preparazione di dolci. Esiste anche il riso "precotto" che è stato precedentemente cotto in acqua o a vapore. Questo trattamento permette che possa cuocere in brevissimo tempo. ma è poco gradito dai cosiddetti "tradizionalisti "della cucina che vedono in questo tipo di precottura una perdita di vitamine e sapori ma che al contrario chi ha fretta di cucinare apprezza molto! Ora daremo qualche cenno alla cottura prima di terminare con una piccola serie di ricette. Prima della cottura, il riso viene generalmente sciacquato con acqua per eliminare eventuali impurità e l'amido in eccesso, e può essere, specialmente nel caso di riso integrale, tenuto a mollo per ridurre i tempi di cottura. Dopo queste eventuali operazioni preliminari, il riso generalmente viene cucinato a vapore o attraverso bollitura. Durante la cottura, i chicchi di riso assorbono l'acqua, aumentando di volume. A seconda della tecnica utilizzata, può rimanere acqua in eccesso, che viene scolata dopo la cottura, oppure il riso può assorbirla tutta (cottura all'orientale). Alcune ricette prevedono inoltre di svolgere una frittura veloce del riso in olio o grasso prima della sua cottura in acqua. Questa tecnica viene utilizzata, ad esempio, per la preparazione di risotti. Lo scopo è semplice: ottenere un risotto con chicchi ben staccati tra loro ed integri. Accade infatti, che, durante la tostatura "a secco", l'amido presente in superficie si modifichi chimicamente; in tal modo, per così dire, "si sigilla", guadagnando anche in aroma. Diversamente, il riso risulterebbe bollito. Qualche consiglio sulla cottura del Riso. Volete che il riso non si attacchi restando ben separato tra chicco e chicco? Basta aggiungere un filo d'olio o un po' di burro o di margarina all'acqua di cottura. Per un riso bianco e candido basta versare qualche goccia di succo di limone nella pentola di cottura. Se il riso è stato cotto troppo a lungo e risulta scotto o magari è avanzato, potete usarlo nelle minestre, per il ripieno di peperoni o per gli sformati per crocchette e arancini o addirittura per alcuni tipi di dolci. Le molte varietà di riso esistenti sul mercato presentano, a seconda delle loro caratteristiche, diversi comportamenti di cottura. Ricordiamo, quindi, che ad ogni preparazione si abbina felicemente un particolare tipo di riso. Pesci, Crostacei e verdure, da preferire Arborio. Carni e Cacciagione, da preferire Carnaroli. Formaggi, da preferire Arborio, Carnaroli. Funghi e Tartufi, da preferire Arborio, Carnaroli. Insalate di riso e Riso pilaf, da preferire Ringo, Ribe, Smeraldo, Europa. Sapori speciali, da preferire Volano, Roma, Baldo, Carnaroli. Naturalmente quando scrivo "da preferire" è per un risultato migliore, ma se si usa un altro tipo di riso per mancanza di quello indicato, non vuol dire che la ricetta non si possa eseguire ugualmente. Ora passiamo a fornirvi qualche ricetta scegliendone tra le migliaia che esistono, cercando di trovarne qualcuna di semplice esecuzione e di una certa originalità, in modo da poter fare bella figura a tavola cercando anche di stupire gli ospiti! Vi propongo come prima ricetta un’insalata di riso multicolore e anche multisapore! Insalata di riso di Arlecchino Ingredienti: 250 grammi di riso 2 peperoni, uno rosso e uno giallo scottati, spellati e tagliato a listarelle 100 grammi di funghetti sott'olio tagliati a dadini 2 carote medie sbollentate e tagliate a dadini 100 grammi di olive verdi snocciolate e tagliate a fettine una barbabietola rossa di media grandezza cotta se possibile a vapore tagliata a dadini 3 uova sode 300 grammi di pisellini freschi o in scatola già lessati 150 grammi di tonno sott'olio tritato 100 grammi di carciofini sott'olio tagliati a dadini 500 grammi di spinaci 3 pomodori tagliati a dadini 150 grammi di prosciutto cotto tagliato a dadini 100 grammi di groviera o altro formaggio tenero tagliato a dadini 10 cetriolini sott'aceto tagliati a dadini 3 cucchiai di succo di limone 1 cucchiaio di prezzemolo tritato finemente 5 o 6 cucchiai di olio extravergine d'oliva sale e pepe nero quanto ne occorre. Fate cuocere per 12 minuti il riso in abbondante acqua, dopo averlo ben sciacquato per eliminare un po’ di amido. Quindi scolatelo. passatelo sotto l'acqua corrente e mettetelo in una capace zuppiera Ora conditelo con l'olio. il succo di limone e il pepe macinato mischiandolo delicatamente. Dopo 5 o 6 minuti date un’altra giratina e a questo punto aggiungete i peperoni, la barbabietola, i funghetti, le olive, le carote, le uova sode tagliate a pezzettini, il tonno, i carciofini, i piselli, gli spinaci e i pomodori, il prosciutto, il Groviera o altro tipo di formaggio, i cetriolini. Se occorre aggiustate di sale. Dopo aver ulteriormente mischiato il tutto, adagiate il riso su un ampio piatto di portata. cospargetelo con il prezzemolo tritato e servite. E ora un piatto tipico del Perù, dalla cui semplicità di esecuzione scaturisce un sapore delizioso e particolare. Riso peruviano Ingredienti: 250 grammi di riso 4 uova 1 petto di pollo 200 grammi di prosciutto cotto (in una sola fetta dello spessore di circa 3 mm) tagliata a dadini piuttosto piccoli 2 cipolle una carota media una costa di sedano 4 cucchiai di salsa di soia 30 grammi di burro 4 cucchiai di olio extravergine d'oliva sale e pepe nero macinato al momento quanto basta. Preparazione. Fate cuocere il riso per 10 minuti in acqua salata, poi scolatelo. Mettete in una pentola la carota, il sedano, mezza cipolla, un po' di acqua e fate bollire per 10 minuti. Unite il petto di pollo, il sale e il pepe, proseguendo la cottura finché la carne risulti ben cotta. Scolate ora dal brodo la carne di pollo e tagliatela a pezzetti piuttosto piccoli. In una scodella, sbattete le uova con la forchetta, versatele quindi in un tegamino, aggiungete il burro, il sale, il pepe e cuocete per qualche minuto. Fate raffreddare e tagliate la frittata a pezzettini. Mettete nel frattempo in una casseruola la cipolla rimasta dopo averla finemente tritata, l'olio e fate rosolare senza farla bruciare. Aggiungete la salsa di soia, il pollo, il prosciutto, i pezzetti di frittata, il riso, mescolate bene e servite nei piatti singoli. Ora vi propongo un risotto molto particolare ma dal sapore anch'esso particolare! Risotto alle banane Ingredienti: 200 grammi di riso 2 banane piccole o una grande tagliate a pezzettini un quarto di cipolla un quarto di bicchiere di vino bianco secco 5 o 6 mestoli di brodo vegetale mezzo bicchiere di panna da cucina 70 grammi di grana grattugiato 1 cucchiaio di zucchero 1 pizzico di cannella 40 grammi di burro sale. preparazione Affettate finemente la cipolla, mettetela in una casseruola con 20 grammi di burro, un pizzico di sale e un quarto di bicchiere d'acqua. Fate cuocere per 10 minuti, poi versatevi il riso e mescolando in continuazione fatelo tostare per 2 minuti. Quindi aggiungete il vino mescolando fino a quando è evaporato. Spianate il riso nella pentola. Aggiungete il brodo caldo e lasciatelo cuocere a fuoco non troppo alto senza mescolare. A cottura quasi ultimata unite il burro rimasto, le banane, la panna e il grana grattugiato. Mantecate mescolando energicamente per un minuto, cospargete di zucchero e cannella e servite subito in un piatto da portata. Ora diamo spazio al pesce che ben si sposa con il riso. Questa ricetta e veramente facile da preparare e il risultato e assicurato! Riso Mediterraneo Ingredienti per quattro persone: 300 grammi di riso 250 grammi di tonno sott'olio 5 cucchiai di olio di oliva 6 filetti di acciuga sotto sale lavate e private della lisca 150 grammi di olive verdi snocciolate e tagliate a rondelle sale se necessario. preparazione Mettete sul fuoco una pentola con abbondante acqua; appena inizia a bollire salatela quanto basta, gettatevi il riso, mescolate e fatelo lessare. Scolate quindi il riso e versatelo in una terrina tenuta in caldo. Conditelo con un sugo preparato con il tonno sminuzzato e mescolato ai filetti di acciuga spezzettati e qualche oliva verde ridotta a rondelle, il tutto irrorato con un buon olio extravergine di oliva. Altra originalità! Un piatto dal sapore un po’ forte ma credetemi, ne vale la pena di mangiarlo! Cipolle ripiene di riso Ingredienti per 4 persone. 8 cipolle medie 4 filetti di peperone sott'olio 80 grammi di tonno sott'olio 200 grammi circa di riso già lessato 2 uova sode 40 grammi di burro due cucchiai di pane grattugiato un cucchiaio di aceto bianco brodo vegetale. Preparazione Spellate le cipolle, tagliate loro la calotta superiore e pulite bene quella inferiore togliendo magari la parte radicale ma senza andare troppo in profondità. Fatele cuocere per 10 minuti, in una pentola con acqua bollente con poco sale e un cucchiaio di aceto bianco. Asciugatele, scavatele all'interno con delicatezza senza renderle troppo sottili e tritate la loro polpa con le uova sode, i filetti di peperone, circa 10 grammi di burro e il tonno. Versate il trito in una terrina e aggiungetevi il riso, amalgamando con cura il tutto. Con il composto così ottenuto, farcite le cipolle e disponetele in una teglia. Versatevi sopra il resto del burro fuso. bagnate con il brodo vegetale) e cospargetevi sopra il pangrattato. Passate la teglia in forno già caldo per circa 15 o 20 minuti. Fatele dorare a temperatura media. Servite calde. E ora polpette! Quando si parla di polpette subito pensiamo a quelle di carne, invece provate queste di riso! Polpette di riso Ingredienti per 6 persone 250 grammi di patate già cotte in acqua salata 80grammi di parmigiano grattugiato 250 grammi di riso già cotto 60 grammi di burro due cucchiai di olio d'oliva 2 uova sale tamari noce moscata grattugiata. preparazione Passate allo schiacciapatate le patate. mescolatevi il riso, il formaggio, le uova sbattute l'olio, un terzo del burro. Amalgamate con cura e condite con il tamari, il sale, la noce moscata e rimescolate il tutto. Formate delle polpette di media grandezza e Mettetele in una pirofila unta e cospargete la superficie con il pangrattato e con qualche fiocchetto di burro. Passate il recipiente in forno, già caldo, a temperatura di 200 gradi e lasciate gratinare per circa 15 minuti. Variante. Potete stendere l'impasto direttamente in teglia senza fare le polpette e dopo cotta tagliarla a pezzettini e servire. Nota. Tamari. È una salsa di soia che viene utilizzata soprattutto per le diete vegetariane. Si trova nei negozi di prodotti alimentari naturali. E ora vi riporto una ricetta molto amata dai giovani che spesso ne fanno uso e a volte abuso, nelle rosticcerie. Sto parlando delle crocchette con una variante: invece delle più solite patate usiamo il riso! Crocchette di riso con noci e provola Ingredienti per sei persone: 300 grammi di riso originario 50 grammi di formaggio grana grattugiato tre uova 30 grammi di burro 120 grammi di prosciutto cotto 120 grammi di provola affumicata; 60 grammi di gherigli di noci quattro cucchiai di farina bianca pane grattugiato olio per friggere sale pepe. Preparazione Cuocete il riso in una pentola con abbondante acqua bollente salata, scolatelo, versatelo in una capace terrina e conditelo con il burro ed il grana. Quando e intiepidito incorporatevi due uova, mescolando accuratamente. Tagliate a dadini la scamorza e il prosciutto cotto mentre tritate più finemente i gherigli di noce. Ora amalgamate al riso anche questi ingredienti. Aggiustate con il pepe e eventualmente sale. Infarinatevi le mani e formate con il composto tante palline grosse come un piccolo uovo e compattatele bene, per evitare che si aprano durante la cottura. Mettete su un piatto il resto della farina e su un altro piatto il pane grattugiato; infarinate le palline, immergetele nelle rimanenti uova sbattute e passatele nel pane grattugiato. Scaldate abbondante olio in una padella e friggetevi le crocchette finchè risulteranno ben dorate e croccanti. Scolatele e ponetele su carta assorbente e servitele calde. È il momento di provare a fare una frittata con il riso! Naturalmente, la cuoceremo al forno per renderla meno pesante e anche di più semplice esecuzione. Frittata di riso al forno Ingredienti per quattro persone: tre quarti di litro di latte grammi 160 di riso dieci fettine di fontina grammi 50 di prosciutto cotto quattro uova burro pangrattato sale. Preparazione Fate lessare il riso in una pentola con il latte salato, fino a che lo avrà assorbito tutto. Togliete dal fuoco e versate il tutto in una terrina. Aggiungete il prosciutto e la fontina tagliati entrambi a dadini, i tuorli e poi gli albumi montati a neve ben soda. Mescolate bene, amalgamando accuratamente tutti gli ingredienti. Ungete abbondantemente una teglia e cospargetela di pangrattato. Versatevi quindi il composto preparato e livellate bene la superficie. Passate infine il recipiente in forno, già preriscaldato a temperatura di 200 gradi e fate cuocere per circa 35 minuti. Finalmente, e giunto il momento dei dolci! Si comincia con una torta "Base" che poi potrete a vostro piacimento modificare e arricchire! Torta di riso versione base Ingredienti per sei persone: 250 grammi di riso 7 uova 250 grammi di zucchero un litro e mezzo di latte 60 grammi di burro la scorza di un limone sale. Preparazione. Fate bollire il riso in abbondante acqua salata e scolatelo al dente. Amalgamatelo in una capace terrina con le uova, il latte, lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Versate il composto in una capiente teglia imburrata. Mettete qualche fiocco di burro sulla superficie e cuocete in forno, a 200 gradi, per un'ora. Questa è la versione più semplice del dolce da taglio, diffuso in tutto il Nord e Centro Italia. Alcune varianti più elaborate prevedono l'aggiunta di mandorle tritate, gherigli di noce, pinoli, pistacchi, canditi, liquore all'anice, unita talvolta alla cottura in uno stampo foderato di pasta frolla. Naturalmente il dolce si presta molto ad assecondare la vostra fantasia e quindi potrete addirittura creare nuove combinazioni! Questa ricetta che sto per proporvi e davvero una delle più semplici da eseguire e anche quella che piacerà a tutti! Deriva da un tipico dolce Messinese che un tempo forse era in uso nelle case dei benestanti ma oggi credo si possa inserire nella categoria detta "cucina povera". Riso scuro Ingredienti 200 grammi di riso possibilmente Vialone 80 grammi di cioccolato fondente finemente grattugiato 30 grammi di zucchero semolato Un pizzico abbondante di cannella in polvere. Se si vuole si potrà aggiungere un cucchiaio di liquore aromatico tipo maraschino. Preparazione. Cuocete il riso in acqua leggermente salata. Quando è ben cotto scolatelo e, ancora caldissimo, aggiungetevi la cioccolata fondente tritata e eventualmente il liquore aromatico se si preferisce. Si può servire caldo in coppette spolverizzandolo con un pizzico di zucchero e cannella oppure si può usare anche freddo di frigorifero ottimo specie in estate. Un'altra specialità semplice e originalissima sta per arrivare! Cos'è vi chiederete? Ma sì, è la frutta con il riso! Macedonia di riso e frutta Ingredienti per quattro persone 200 grammi di riso basmati 200 grammi di zucchero 500 grammi di frutta assortita di stagione un limone un bicchierino di rhum. Preparazione Fate lessare il riso in poca acqua con circa 100grammi di zucchero, facendola assorbire poi quella rimanente dopo aver spento il fuoco. Dopo 5 minuti, scolate l'eventuale acqua di cottura rimanente. Irrorate il riso con il succo di limone privato dei semini e lasciatelo raffreddare bene. A questo punto sbucciate e tagliate a dadini la frutta: disponetela in una capace zuppiera, irroratela con il rhum e spolverizzatela con lo zucchero rimasto. Mescolate delicatamente e lasciatela riposare per trenta minuti. Versate il riso nella zuppiera con la frutta e mescolate accuratamente tutti gli ingredienti. Servite dopo un'ora in frigo. Se qualcuno crede che la torta si possa fare solo con la farina e non con il riso, evidentemente non conosce questa vecchia ricetta che pare sia spesso usata in molti monasteri! Torta di riso Ingredienti 500 grammi di riso un litro di latte 200 grammi di zucchero 60 grammi di amido per dolci due bustine di vaniglia (volendo potete usare anche quella a stecca o l'estratto) cinque uova poca farina bianca 80 grammi di canditi a cubetti sale un limone due cucchiai di burro. Preparazione Cuocete il riso in una pentola con acqua leggermente salata. A metà cottura scolate l'acqua e finite di cuocerlo nel latte bollente, che in precedenza avevate già preparato e nel quale avevate versato lo zucchero, la vaniglia e la buccia del limone grattugiata. Un minuto prima di spegnere il fuoco incorporatevi l'amido stemperato nel burro. Fate raffreddare del tutto il riso, poi incorporatevi le uova, uno alla volta. Mescolatevi i canditi e versate il preparato in una tortiera unta di burro e cosparsa di farina. Mettete in forno preriscaldato a temperatura di 200 gradi e fate cuocere finché la torta non risulti bella dorata in superficie. Questa che segue è una crostata. Di solito la si prepara con la marmellata di vari gusti o con la crema pasticcera o con ricotta o altro,io invece voglio proporvi una crostata con il riso! Crostata di riso e latte Ingredienti per otto persone 300 grammi di pasta frolla 80 grammi di riso sette decilitri di latte 150 grammi di zucchero un limone non trattato sale due uova. Preparazione Lessate il riso in acqua salata per cinque minuti, quindi scolatelo. Mettetelo in una casseruola antiaderente con il latte e la scorza del limone grattugiata. Portate a ebollizione e lasciate cuocere a fuoco molto basso e recipiente coperto, per venti minuti circa. Lasciate intiepidire il riso per qualche minuto, quindi unitevi lo zucchero e le uova sbattute. Stendete la pasta frolla piuttosto spessa e tappezzate uno stampo da crostata di circa 22 centimetri di diametro bucherellando il fondo della pasta con una forchetta e versatevi la crema di riso e latte. Ponete lo stampo in forno già caldo a 180 gradi e fate cuocere per 50 - 60 minuti circa. Lasciate raffreddare e servite freddo. Variante. Potete anche profumare il latte, invece che con la scorza di limone, con una stecca di cannella oppure cannella in polvere o altro aroma di vostro gradimento. Mi piace che ora proviate un'altra specialità che sicuramente vi incuriosirà già leggendo il titolo! Budino alla crema con riso e banane Ingredienti per quattro persone. 100 grammi di riso un litro di latte la scorza di un limone (possibilmente non trattato) due banane 100 grammi di zucchero due tuorli d'uovo una noce di burro due cucchiai di farina bianca. Preparazione Mettete in un pentolino mezzo litro di latte, 40 grammi di zucchero, la scorza del limone e portate ad ebollizione; unitevi il riso e fatelo cuocere al dente. Ritiratelo quindi dal fuoco senza scolarlo e mettetelo da parte, lasciandolo raffreddare. In un altro pentolino, sbattete i tuorli d'uovo con il rimanente zucchero e diluite con il latte, aggiungetevi la farina, portate su fuoco bassissimo e fate sobbollire, sempre rimescolando, fino a quando la crema si sarà addensata, prima di spegnere il fuoco unitevi la noce di burro. Mettete in una capace coppa di vetro il riso, unitevi la crema e date una buona mescolata. Ora unitevi le banane tagliate a fettine sottili o a piccoli dadini e mescolate ancora fino ad amalgamare bene il tutto. Ponete infine la coppa in frigorifero e lasciatela raffreddare per almeno due ore prima di servire. Siamo agli sgoccioli di questo nostro cammino gastronomico dedicato al riso. Ecco allora la penultima ricettina! Coppe di riso Ingredienti per quattro persone 150 grammi di riso mezzo litro di latte 100 grammi di zucchero mezzo limone una stecca di vaniglia un tuorlo d'uovo 30 grammi di burro tre cucchiai di liquore all'arancia cannella in polvere pinoli. Preparazione Portate in un pentolino ad ebollizione il latte con la scorza di limone e la vaniglia; versatevi quindi il riso e fate cuocere per dieci minuti. Aggiungete il burro, lo zucchero e proseguite la cottura per altri dieci minuti, mescolando spesso. Spegnete la fiamma, eliminate la scorza di limone, la vaniglia e lasciate raffreddare il riso. In una ciotola, battete il tuorlo con il liquore ed incorporatelo al riso, mescolando velocemente e con cura. Suddividete infine il composto di riso in quattro coppe e mettetele a riposare in frigorifero per almeno trenta minuti. Al momento di servire, decorate le coppe cospargendo con cannella in polvere e pinoli. Bene lettori e lettrici, come detto all'inizio di questo articolo, le ricette inerenti al riso sono forse miliardi. Quindi, per forza di cose, ho dovuto farne una piccolissima, anzi dico microscopica, selezione! Concludo con una ricetta dedicata ai biscotti di farina di riso, praticamente da preparare e divorare! Biscotti con farina di riso Ingredienti 150 grammi di farina bianca 200 grammi di farina di riso 200 grammi di zucchero semolato 150 grammi di burro 10 grammi di lievito vanigliato un uovo quattro cucchiai di latte. Preparazione Mescolate piano il burro rammollito a temperatura ambiente con lo zucchero e l'uovo intero, poi aggiungete il latte, le farine ed il lievito, quindi continuate a mescolare fino ad ottenere un impasto lucido, fine e compatto. Volendo si può usare una piccola impastatrice casalinga che agevola di molto il lavoro. Stendete l'impasto mantenendo uno spessore di circa un centimetro. Tagliate i biscotti a listarelle o con le apposite formine di diverse forme, disponeteli sulla teglia foderata con fogli di carta forno. Infornate a 170 gradi, per dodici minuti circa. Mettete su una gratella a raffreddare.


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Cultura

Lavoro da remoto: i pro e i contro

di Lista Mente gruppo Sublimen

Il lavoro da remoto è uno dei nuovi fenomeni della nostra cultura. Ma una maggiore autonomia del lavoratore può avere anche un risvolto invasivo e rovinare il suo mondo sociale. Al tempo stesso, potrebbe impoverire il suo lavoro dal punto di vista intellettivo. Negli ultimi anni il mondo del lavoro è cambiato notevolmente. Una delle trasformazioni più importanti è l'irruzione e la massificazione del lavoro da remoto. Al giorno d'oggi è una modalità presente praticamente ovunque nel mondo. E si prospetta che in futuro sarà la modalità dominante. Il lavoro da remoto offre enormi benefici: permette di risparmiare tempo prezioso negli spostamenti da un punto all'altro, oltre a ridurre il traffico stradale e, quindi, l'inquinamento atmosferico. In linea di massima, consente maggiore flessibilità nell'organizzazione del tempo e dà un più ampio margine di autonomia al lavoratore. Tuttavia, lavorare da remoto presenta anche diverse problematiche. Tra le tante, lavorare in solitudine. Non c'è il collega accanto con cui discutere di qualcosa o con cui scherzare durante la pausa. Gli altri iniziano a essere una presenza astratta e meramente funzionale. Questo aspetto fa sorgere domande sul futuro delle aziende. Non esisteranno più contesti di collaborazione? Quali conseguenze avrà il mancato contatto con i colleghi, quello che molto spesso aiuta a risolvere problemi e ad avere nuove idee? Se volete andare in fretta, andate soli; se volete andare lontano, andate insieme -Proverbio africano- I pro del lavoro da remoto Il lavoro a distanza offre vantaggi davvero importanti. Il primo tra questi, già menzionato, è la possibilità di risparmiare tempo prezioso, in genere sprecato negli spostamenti. Questo comporta anche un risparmio in termini di denaro e di energie emotive, visto che non ci sarà più bisogno di affrontare la frenesia tipica delle grandi città. Risulta quindi più economico per il lavoratore, l'azienda e la società. D'altra parte, con il lavoro da remoto (detto anche telelavoro) crollano i confini geografici. Una persona può lavorare da qualsiasi parte del mondo, per qualunque azienda nel mondo. L'azienda ne esce vincitrice, perché questo le permette di accedere a profili persino più qualificati. E il lavoratore può attingere a un mercato del lavoro molto più ampio. Il telelavoro, in particolare, offre un ampio margine di autonomia al lavoratore. Avrà più possibilità di trattare sugli orari e di evitare altre fonti di pressione spesso presenti nel lavoro in presenza. Per esempio, dovrà investire meno nell'abbigliamento da ufficio. Al tempo stesso, potrà progettare il proprio ambiente di lavoro e nel modo che lo mette più a suo agio. Infine, il lavoro da remoto rende il lavoratore più indipendente. I contro del telelavoro Se da una parte, il lavoro da remoto garantisce maggiore autonomia, richiede anche una forte autodisciplina. Manca una figura preposta a controllare rigidamente il lavoro svolto e ciò potrebbe indurre alcune persone alla disorganizzazione. C'è chi non riesce a ripetere la routine aziendale quando si trova in casa. Ed ecco che disordine e instabilità saranno gli aspetti preponderanti. Visto che non si esce da casa tutti i giorni, in alcuni casi i problemi domestici finiscono per interferire con il lavoro. Non c'è una linea di separazione con il contesto familiare e se l'ambiente non è sano, potrebbe avere conseguenze negative sul rendimento. È anche possibile che in casa ci siano più interruzioni e distrazioni rispetto al posto di lavoro. Questo potrebbe incidere su un maggiore spreco di tempo, impiegato in altre attività. D'altra parte, manca un gruppo di colleghi fisicamente presenti e sui quali poter contare. Questo potrebbe impoverire la vita sociale e provocare una sensazione di solitudine. Al tempo stesso, può danneggiare il lavoro, perché può tradursi in numero inferiore di stimoli cognitivi ed emotivi. Di conseguenza, il lavoro potrebbe risentirne, così come la predisposizione al lavoro di squadra. Un modello in fase di sviluppo Il lavoro da remoto è una modalità relativamente nuova (principalmente associata all'informatica, anche se guardando indietro nella storia troveremo altri casi precedenti, come nel caso delle sarte). Ci troviamo in una fase in cui i metodi e i processi relativi a questa modalità di lavoro sono ancora in fase di definizione e affinamento, fino a trarre i massimi benefici. Nel mondo informatico, in realtà, non si mostra ancora un particolare interesse nella risoluzione di problemi relativi a questa modalità di lavoro. La distanza non dovrà essere un limite alle esperienze di collaborazione e di integrazione, che sono le basi dell'innovazione. Oggi predomina la struttura cosiddetta a "polipo", in cui c'è una testa dalla quale si diramano i tentacoli, da cui hanno origine e a cui fanno capo tutte le componenti. Questo aspetto dovrà cambiare nel tempo. In una situazione ideale, il lavoro da remoto non dovrebbe essere sinonimo di lavoratori isolati, solitari e costretti a vivere un'invasione del lavoro nelle loro vite private. Sono molti gli aspetti da migliorare, il telelavoro è una sfida per le aziende e per chi si occupa di benessere organizzativo aziendale. Di certo ci aspettiamo risposte efficaci a queste sfide nel giro di pochi anni.


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Nuovo trend in medicina estetica: da Beverly Hills a Tenerife, i nuovi peelings biostimolanti

di Anadela Serra Visconti

Pelle in primo piano: la bellezza è oggi una pelle levigata a tutte le età, perché grazie a queste nuove preparazioni possiamo ottenere (e soprattutto mantenere) una pelle di porcellana. Sono i peelings biostimolanti, prodotti di nuova generazione, che non puntano tanto sulla esfoliazione cutanea, ma sì allo stimolo sottocutaneo. Qui si ha il derma, impalcatura di sostegno della pelle: applicando regolarmente queste sostanze, si incrementa la produzione di collagene, la microcircolazione, l'elasticità e il turgore cutaneo, e questo dà alla pelle un aspetto più giovane e levigato, senza rughe. Questi peelings sono tutti prodotti a stretto utilizzo del medico estetico, che li applica dopo aver scelto la formula più idonea in base al tipo di pelle del paziente, la presenza di macchie, il grado di invecchiamento cutaneo. I peeling biostimolanti possono contenere retinolo, arbutina, aloe, acido fitico, vitamina C ed altre sostanze schiarenti e/o biostimolanti. In 4/8 sedute settimanali cancellano le macchie e ringiovaniscono la pelle di circa 10 anni: creano arrossamento per un certo periodo ma ci si puó truccare tranquillamente. Ovviamente, al trattamento ambulatoriale, si affianca quello cosmetico a casa. I peelings richiedono una protezione solare 50. Quando la pelle è severamente invecchiata si ricorre a peelings più profondi che comportano effetti post-intervento un più complessi (uso di acido retinoico, tricloroacetico, esfoliazione, medicazioni, ecc.) ma con un po’ di pazienza riportano la pelle al rosato di un bebè, con un ottimo potere liftante.


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Esercizi per piacersi: ringiovanire senza bisturi con la Tecnica Tridimensionale

di Anadela Serra Visconti

Davanti agli altri è facile dimostrarsi contenti del proprio aspetto. Ma ingannare sé stessi davanti allo specchio è molto più complicato! La frase ricorrente è: "ma secondo te dovrei già fare qualcosa o è troppo presto? Forse potrei aspettare ancora un po’ " gli altri non possono che assecondarci. Ma la verità è lì: l'avversario più difficile da battere siamo sempre noi stessi. Ma perché non dare ascolto alla nostra voce interiore? Per fortuna, molto in aiuto ci viene dalla medicina estetica. Ottenere un effetto lifting senza chirurgia oggi si può: per correggere occhiaie, zampe di gallina, perdita di volume degli zigomi e cedimento dell'ovale del viso che tende a modificarsi con l'età. Quando siamo giovani, in effetti, il nostro viso è assimilabile ad un triangolo con la punta in giù. Invecchiando, invece, il triangolo si inverte e la parte larga forma la base del nostro viso, con la perdita tra l'altro della punta formata dal mento che si perde ai cedimenti laterali. A questo punto, per riottenere giovinezza, dobbiamo agire in forma TRIDIMENSIONALE, lavorando soprattutto sui volumi del viso più che sulle singole rughe e rughette. TRATTAMENTO Si realizza in uno studio di medicina estetica. Quindi niente ricovero, niente anestesia, niente cicatrici. Si realizza con micro-infiltrazioni di acido ialuronico, usando microcanule dalla punta smussa e si inietta acido ialuronico ad alta o a media intensità a seconda delle zone da trattare. Si inizia sempre dall'alto: fronte, tempie e contorno degli occhi. Si puó arrotondare la fronte, si eliminano le zampe di gallina, le occhiaie e si rialzano palpebre e sopracciglia. Terminata questa prima fase, si avrá un effetto ingrandimento dell'occhio, con uno sguardo più giovanile e riposato senza rughe o infossamenti. Si prosegue poi al trattamento del terzo medio del volto, con piccole iniezioni puntiformi (micro-boli) in punti strategici del volto. Questi partono lateralmente dalla zona che dalle tempie e arrivano alla zona zigomatica. Queste piccole infiltrazioni profonde servono da ancoraggio per rialzare il viso, ma non comportano assolutamente (a meno che non sia necessario) un aumento di volume degli zigomi. Creano solo un'impalcatura antigravitazionale. Già questo intervento crea un effetto di rialzamento del volto e di ringiovanimento generale, anche perché attenua i solchi nasogenieni e crea una nuova luminosità della faccia. Infine, si tratta il terzo inferiore del viso: sempre con microcanula si ridefinisce l'ovale del viso agendo sull'angolo mandibolare e sul mento, per ritrovare il "triangolo facciale" giovanile. Di fatto il nostro viso recupera la sua forma, un aspetto naturale e riposato con il solo uso di acido ialuronico. Il trattamento si esegue in circa 30/40 minuti, il risultato estetico è immediato e la sua durata è di circa 6 mesi/un anno, a seconda della situazione di partenza. Naturalmente, per un buon mantenimento del risultato sono consigliabili piccoli ritocchi periodici. Passati alcuni mesi, il trattamento si potrá ripetere senza alcuna controindicazione. Il bello di questa tecnica è che ci rende più giovanili rispettando la nostra filosofia: "MIGLIORARE SENZA CAMBIARE".


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Filosofia

Una mia riflessione; corsi e ricorsi storici: LA PESTE DEL 1348…

di Vito Coviello

...Era arrivata dal nord e probabilmente dai territori germanici e virulenta e mortale si era diffusa rapidamente a macchia d'olio morivano in tanti da non poter avere degna sepoltura o messa di commiato. Si veniva raccolti da carri e ammassati gli uni sugli altri, si veniva scaricati in grandi fosse comuni, insieme a calce viva che era versata su ogni strato di cadaveri. Le case che avevano avuto un morto in famiglia venivano sigillate in quarantena con assi di legno inchiodate alla porta e alle finestre imprigionandovi così tutti gli abitanti della casa. Si immaginava vi fossero degli untori, si immaginava che arrivasse dall'aria o che alcuni cibi come il pesce ne portassero la trasmissione, ma i piu credettero ad una punizione divina conseguente alla immoralità del tempo. La gente per espiare e chiedere a dio la propria salvezza si ammassava nei luoghi di culto aumentando così il contagio e la mortalità all'infinito. Gli inglesi avevano creduto di essere protetti dal mare che circondava la loro isola, ma il morbo attraversò l'inutile baluardo della Manica e fece grandissima strage degli abitanti dell'isola. Per tutta l'Europa si aggirava la morte nera con la sua falce assetata del sangue degli indifesi uomini al di la del censo e mai sazia. Ad Avignone credevano erroneamente di essere, in quanto rappresentanti di Dio in terra, protetti dalla croce di Cristo, ma la signora dalla falce munita falcidiò in si gran numero la vita di preti, suore monaci che lo stesso Papa ne ebbe gran timore. Ma nonostante la morte braccasse la di lui vita il Papa di Avignone si salvò grazie alla prescrizione del suo medico, che gli aveva imposto di indossare sul volto una maschera a forma di becco di uccello al cui interno vi erano mandragora ed altre spezie ed erbe officinali atte a purificare e disinfettare l'aria da lui respirata. Il Papa di Avignone si salvò grazie al suo medico, ma il medico che era riuscito a salvarlo non riuscì a salvare sé stesso e ne morì tra mille sofferenze dimenticato e mai piu ricordato....


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Informatica

Come volevasi dimostrare

di Mario Lorenzini

Avevo ragione, più o meno. I messaggi intimidatori di Microsoft sulla ormai avvenuta morte di Windows 7, si sono ripresentati ancora e con frequenza maggiore. Questo sia che spegnessi il computer o lo posizionassi in freezing. Alla riapertura del coperchio del mio notebook la sorpresa non è stata poi tale. La solita vecchia videata bluastra con i pulsanti che non lasciano scampo: o chiarimenti o rimando al prossimo avviso. Nessuna check box dove applicare un bel flag con la scritta “non ricordarmelo, mai più. Pare che il messaggio compaia ogni giorno dopo le ore 12, o comunque, all’avvio del pc. Forse è un po’ troppo? No, non per Microsoft che vuole convincerci che il suo sistema operativo sia ormai da pensionare. Beh, alla fine ho deciso di arrendermi, per così dire, alla creazione di Gates. Ho acquistato un altro notebook, nuovo fiammante (come richiesto dalla casa di Redmond), ma solo perché il mio cominciava a mostrare i primi segni di senilità: crash occasionali, rallentamenti, spazio disco quasi saturo. Ma l’interfaccia? Purtroppo ho dovuto rinunciarci. Non che non sappia adattarmi all’ennesimo cambiamento dell’ambiente Windows ma, se Windows 7 ha vissuto oltre 10 anni di gloria un motivo ci sarà. Non si sono rilevati evidenti pecche al desktop, al contrario di quanto invece è penosamente accaduto con Vista. Forse eravamo giunti quasi allo stato dell’arte? Riconosco che siano parole grosse; i tempi cambiano, gli approcci alle strumentazioni informatiche pure. Sono in atto studi sull’intelligenza artificiale e sul riconoscimento del parlato, che si sta diffondendo con naturalezza sui diversi dispositivi (ricordate Dragon naturally speaking, sparito dalle scene dal 2016). In mezzo a tutti questi tentativi, vincenti o fallimentari, si resta saldamente ancorati alla grafica. Fattore questo, ancora attraente, a volte determinante al fine della decisione: quale macchina comprerò? Dopo l’hardware, il software ci ha ormai abituati a cadenze più o meno lunghe, dopo le quali l’attesa dovrebbe ripagarci con nuove funzionalità associate a maggiorr facilità di utilizzo, tradotto oggi come user-friendly. Ma la nostra interfaccia amichevole è sempre suscettibile, col trascorrere degli anni. La verità sta in mezzo ai necessari ammodernamenti tecnologici che i tempi ci richiedono e le politiche commerciali. Le grandi aziende come Microsoft si rendono conto che gli aggiornamenti e le pezze fornite di tanto in tanto, non bastano più. Per conquistarsi nuovi clienti, e mantenere quelli vecchi, devono proporre qualcosa di innovativo, direi sbalorditivo. E allora gli studi sulla grafica dettano ancora legge. Parlando di interazioni uomo-macchina, ci sono state variazioni più o meno marcate nei sistemi di input, tra dispositivi wireless e comandi vocali. Ma il fattore che da sempre ha intrigato l’aquirente, è quel rettangolo, che sia un monitor da quasi 30” o un piccolo 5”, in estensione orizzontale o verticale. Quello che ci sta dentro, il suo design, tra colori e forme, fa tutt’ora la differenza. Ed è il cardine di Windows. Il menu avvio che appare e scompare, di versione in versione; con tiles animate o meno, redistribuzione delle app, ecc. Si parla di toglierlo del tutto, in una futura release. Che cosa ci riserva il nuovo ambiente? Mi augurerei, tra le altre cose, un avviso diverso che mi informasse sul decadimento del mio sistema operativo; qualcosa di meno invasivo e stancante. Magari con la possibilità di disattivare il relativo prompt per non essere disturbati ulteriormente. La realtà delle cose è che esistono alcuni sistemi per disattivare l’avviso di cui sopra e continuare a usare Windows 7, preferibilmente offline, come piattaforma di prova per applicativi o altro. La validità e solidità dell’interfaccia è stata confermata negli anni dagli utenti. Ora è difficile adattarsi a Windows 10, capire le sue stranezze. Credo che una delle innovazioni dei sistemi operativi futuri dovrebbe essere lo sviluppo separato dell’interfaccia rispetto alle modifiche della sicurezza , delle performance e della stabilità. E perché no? Offrire più “vesti” personalizzabili. Ma forse questo toglierebbe senso alla globalizzazione…


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Ehi, guida autonoma, ti sei dimenticata di qualcuno

di Mario Lorenzini

Negli ultimi anni si parla di implementare la guida autonoma, cioè quel sistema che cerca di sollevare il guidatore di un veicolo proprio da questo compito: pilotare egli stesso. L’automezzo è visto essenzialmente come mezzo di trasporto, anche se alcune persone, patite dei motori, non lascerebbero mai la decisione a un dispositivo automatico, considerato il puro piacere del controllo della macchina. Ma perché la guida autonoma? Inizialmente c’è stata una consapevolezza: con l’aumento del traffico, la gestione della sicurezza è divenuta una priorità. L’attenzione richiesta, non sempre è sufficiente. La velocità è un fattore concomitante. Riuscire a dosarla efficacemente a seconda del percorso battuto, è certamente di grande aiuto per una guida sicura. Su terreno dissestato o in centro città, la velocità sarà sicuramente di gran lunga inferiore rispetto a quella che si può tenere in autostrada. In linea generale tutto questo sistema funziona in conseguenza al rispetto del codice della strada. I segnali stradali ci danno le indicazioni di supporto. Ma poi sta a noi metterle in pratica. Attenersi scrupolosamente alle indicazioni, con occhio vigile e in salute. Questi sono elementi fondamentali al fine di evitare incidenti. Ma l’uomo non è una macchina: si può distrarre, stancare, subisce azioni negative che influiscono sul suo umore alterando anche la guida. E allora, considerando il livello tecnologico raggiunto, ci si domanda: Può un meccanismo computerizzato esentare l’uomo dall’onere della guida? Non dover prestare attenzione ai vari segnali, allfluttuazioni del viaggio e a tutte quelle cose più o meno prevedibili, come il classico pedone che attraversa, incidentalmente, dove non ci sono striscie pedonali. In realtà sono già stati realizzati e collaudati alcuni prototipi di veicoli dotati di tali meccanismi. In questo campo, leader indiscusso è Tesla, produttore di auto elettriche che, recentemente, ha aggiornato il software autopilot del proprio veicolo che si basa proprio sul principio della guida sempre più indipendente dalle mani di un essere umano. Pare che quest’ultima release sia in grado di rilevare gli impianti semaforici e i segnali di stop. C’è ancora un piccolo passo verso la totale autonomia, il cosiddetto livello 5. I livelli di guida si classificano infatti dal livello a totale conduzione umana, lo 0, seguendo uno step di 6 passaggi, fino all’ancora non raggiunto livello massimo, il 5 per l’appunto, nel quale non ci sarà bisogno di mettere mani sul volante (sempre che ci sia ancora a quel punto). E non ci sarà necessità di tenere d’occhio la strada e l’ambiente circostante. Proprio questo è il punto di questa disamina. Perché abbiamo voluto pensare sì, alla sicurezza, sì, a permettere agli occupanti dell’automobile di fare altre cose anziché guidare, come leggere o parlare liberamente con gli altri; ma non abbiamo forse spinto sul pedale più importante; quellodell’inclusione sociale. Pensando ai disabili, solo marginalmente presi a pretesto per lo sviluppo di questa tecnologia. La guida è da sempre stata preclusa a un non vedente, per ovvi motivi. Quasi tutto il panorama degli ostacoli o, comunque, delle cose di cui tener di conto, ruota intorno al visivo: non solo tenere la carreggiata, frenare in prossimità di altri veicoli e quando ci sono gli incroci; anche pensare ad avvenimenti che non attendiamo, come altri mezzi che ci affiancano, dai quali dobbiamo distanziarci opportunamente, rilevare la presenza di persone che possono avvicinarsi a noi, ecc. Abbiamo pensato alle cose “più facili” o d’effetto. Come la prova di un’auto che se ne va dalla Liguria al Piemonte e riesce, nelle gallerie dell’autostrada, a dosare la velocità fino a un massimo di 140 Kmh. Di queste plateali spettacolarità non abbiamo bisogno. Pensate a un non vedente che, nel raggio di massimo 10 chilometri, abbia degli amici, dai quali non può recarsi, perché i mezzi pubblici non ci sono o sono comunque scomodi. I taxi hanno un costo proibitivo. Limitando la velocità di un veicolo sicuro a guida autonoma, alla metà dei 140 Kmh citati prima, e senza la pretesa di andare dalla Calabria al Veneto, forse riusciremmo a rendere più autonomi non tanto e non solo i veicoli, ma anche i non vedenti che potrebbero muoversi, seduti al posto di… “guida” del proprio mezzo. Il vettore elettrico pare essere quello giusto per questo genere di sperimentazione: basse velocità e tragitto limitato. Si parla anche di percorsi preconfezionati da inserire come mappe di viaggio che il sistema potrebbe interpretare per condurre a un’unica destinazione. È chiaro che se si vuol mettere su strada un bolide che possa interagire con pressoché qualunque accadimento possiamo incontrare, e che ci regali il capriccio di cambiare continuamente itinerario, le prove tangibili saranno sempre rimandate; e con esse l’autonomia dei disabili visivi. Io credo che, oramai, la tecnologia abbia la disponibilità di tutto ciò che serve: computer di bordo che si interfaccia con l’utente, avvisandolo vocalmente del percorso; sensori capaci di rilevare ostacoli. Naturalmente dobbiamo esser consci delle intrinseche limitazioni di ognuno di essi: i fotorecettori saranno in difficoltà in assenza di luce o con giornate nuvolose. Useremo allora rilevatori di oggetti che si basano sulle onde sonore, tipo sonar. Un mix di soluzioni concorrenti dovrebbe essere la scelta vincente. Si tratta solo di partire, scusate l’incidenza del termine con l’argomento. Perché realizzare un’autovettura completamente a guida autonoma spingendo al massimo del rischio su tutti i fronti? Forse perché il guidatore, normodotato, sarebbe in grado, in qualunque momento, di riprendere il controllo, giungendo a destinazione in modo manuale, parziale o totale. E invece no; Pensate all’analogia con i mezzi come gli autobus, nei qual il passeggero mai si sognerebbe di mettersi alla guida se l’autista fosse indisposto. È bene pensare piuttosto, alla assoluta mancanza di ingerenza da parte dell’occupante il veicolo. Costruire anche un dispositivo capace di entrare in funzione in caso di malfunzionamento del sistema principale; e, in ultima analisi, qualora si dovesse riscontrare una grave avaria, da non permettere la prosecuzione, la possibilità di richiedere l’intervento di un tecnico per risolvere il problema, in modalità remota. Secondariamente un operatore specializzato di zona si potrebbe recare fisicamente a riparare il mezzo o a trainarlo verso il vicino centro di assistenza. Chiaramente quest’ultima evenienza deve dovrebbe manifestarsi con un valore percentuale prossimo allo zero. Per far sì che questo avvenga, i veicoli potrebbero essere sottoposti a test prima e dopo ogni viaggio. Un software di self-check invierebbe i dati rilevati al centro assistenza che, dopo averli analizzati, confermerebbe o negherebbe il via libera al viaggio. Ho esposto poche idee tra le tante da mettere sul piatto al fine inclusivo. Credo che molti non vedenti sarebbero ben felici, a fronte di un esborso sicuramente maggiore della media, di acquistare un mezzo sifatto , il tutto in abbinamento a un contratto di monitoraggio come quello che ho descritto. Mi piacerebbe che si iniziasse. Ho già sentito di associazione di non vedenti che si stanno facendo promotrici di questo progetto. Ma il tempo passa e vorrei tanto “vedere” nelle strade della mia città quei pochi veicoli a guida autonoma, senza che le idee dell’immobilismo non frenassero oltremodo questo sviluppo. Dobbiamo mettere in secondo piano burocrazia, etica, politica, ecc., puntando al pensiero dell’autonomia, quella delle persone.


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Medicina

Consigli nutrizionali per l'inverno

di Rossana Badaschi

L’inverno è arrivato! Questa stagione porta con sé basse temperature, climi rigidi ed è quindi necessario riparare il nostro corpo dal freddo e coprirci maggiormente con abiti adatti. Cosa cambia invece dal punto di vista dietetico? Quali sono gli alimenti da favorire quando le temperature subiscono un brusco calo? Per quanto riguarda le calorie non c’è molta differenza rispetto alla stagione precedente. Infatti, anche se è vero che il freddo ci fa consumare una percentuale più elevata di calorie (solitamente il 10%), la maggior parte di noi trascorre le giornate in ambienti chiusi, riscaldati, spesso con temperature eccessive (a volte fin troppo elevate!). Inoltre, in questo periodo favorito anche dalla presenza delle festività natalizie (ormai concluse), si eccede con calorie, grassi e zuccheri! Tuttavia, l’importanza di un’alimentazione sana non deve essere mai sottovalutata, soprattutto in inverno quando sono in agguato in modo più ricorrente tosse, raffreddore e influenza, che richiedono un’adeguata prevenzione per potenziare le difese immunitarie del nostro organismo. Durante questa stagione, una categoria di alimenti da privilegiare è senza dubbio la frutta fresca, in particolare tutti gli agrumi e i kiwi perché questi cibi, grazie all'apporto di buone quantità di vitamina C, aiutano a combattere le infezioni e a prevenire i classici malanni dei periodi freddi! Non dimentichiamo di consumare anche le verdure di stagione! Tra quelle disponibili abbiamo ad esempio la zucca, le carote, tutta la famiglia delle crucifere (cavolo, cavolfiore, broccoletti, cavolini di Bruxelles, ecc.), la cicoria, le rape, perché forniscono sali minerali, vitamine, antiossidanti ed aiutano a combattere lo stress fisico legato anche al freddo. Favoriamo inoltre i cibi che aiutano l'eliminazione delle tossine e che combattono il gonfiore, quindi poveri di sale e ricchi di acqua. Tra questi abbiamo ad esempio l’aglio, antibiotico naturale contro le infezioni gastrointestinali, la cipolla con azione antibatterica, espettorante e diuretica, il prezzemolo ricco in carotenoidi e che determina anch’esso un aumento della diuresi, i broccoli che rafforzano il sistema immunitario e indicati anche in caso di stipsi. Tra i pilastri di una sana alimentazione annoveriamo anche i legumi, quali ad esempio i fagioli, i ceci, i piselli e le lenticchie. Essi costituiscono una fonte preziosa di proteine di origine vegetale, sono completamente privi di colesterolo e apportano anche importanti sali minerali quali il ferro, fondamentale per combattere l’anemia e la stanchezza, il calcio per la robustezza delle ossa, il magnesio per la salute del sistema nervoso e, grazie alla presenza di fibre, migliorano la peristalsi intestinale, aiutano a prevenire alcuni tipi di tumori, oltre a procurare un elevato senso di sazietà! Facciamo invece attenzione alle diete eccessivamente ipocaloriche. Infatti, diete troppo restrittive, con pochissime calorie e povere di grassi, sono sconsigliate nei periodi freddi poiché rallentano la capacità di regolare la temperatura corporea e spesso, come risultato, favoriscono uno scorretto dimagrimento ed una maggiore tendenza ad ingrassare! Un altro errore frequente è anche l’utilizzo dell’alcol come rimedio contro il freddo! Infatti, il vino e le altre bevande alcoliche procurano inizialmente una vasodilatazione (l'aumento di calibro dei vasi sanguiferi) donando una sensazione di calore, ma subito dopo lasciano spazio ad una vasocostrizione (riduzione di calibro di vasi sanguiferi per contrazione delle loro fibre muscolari) che procura freddo. Volete un esempio pratico e semplice di come concretizzare alcuni di questi consigli alimentari e realizzare un menù invernale equilibrato, con proprietà preventive? Potete iniziare la colazione con una tazza di the verde ricco in catechine (sostanze con proprietà antitumorali), accompagnato con qualche fetta biscottata spalmata con la crema tahin (a base di sesamo e ricca in calcio) unitamente a marmellata o a confettura che, vi assicuro, risulterà un’associazione di gusto vincente! Aggiungete inoltre un frutto di stagione, ad esempio un kiwi o eventualmente una spremuta di agrumi, e non dimenticate qualche gheriglio di noce, una decina di mandorle (o altra tipologia di frutta oleosa), per fare un pieno di proprietà antiossidanti, proteine, fibre, vitamine e sali minerali. Tra i dolcificanti, in alternativa al classico zucchero bianco, potete scegliere lo zucchero integrale o, meglio, il malto di cereali (ad esempio il malto di riso o di frumento) con un impatto meno diretto sulla glicemia. La frutta fresca, come accennato, sarà sempre protagonista sia a metà mattina che a metà pomeriggio seguita eventualmente da un coffee break (se proprio non riuscite a farne a meno) e, se avvertite ancora un languorino, consumate eventualmente uno yogurt preferibilmente vegetale, privo di colesterolo. A pranzo fra le pietanze di eccellenza da consumare in inverno, abbiamo disponibili tutti i piatti unici della dieta mediterranea, come ad esempio pasta e fagioli, riso e piselli, polenta e lenticchie, ecc., preparazioni da accompagnare sempre con verdure di stagione! A cena favorite zuppe di cereali, minestroni di verdura, seguiti da secondi piatti proteici tra i quali alternare i preziosi legumi. Quando acquistate il pane, date preferenza a quello integrale o preparato con farine di cereali alternative alle farine di frumento (preferibilmente da agricoltura biologica), ma potete consumare anche gallette di riso, di mais (o altri gusti a piacere), cracker, cracotte, grissini di sesamo, ecc. Tra i condimenti sul podio abbiamo l’olio extravergine d’oliva! Infatti, la Food and Drug Administration (FDA), l’ente governativo che vigila sulla regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha rivisitato la definizione di olio extravergine d’oliva da alimento salutare ad alimento medicinale: questo a seguito delle numerose e solide evidenze scientifiche di efficacia clinica “dell’oro giallo” nella prevenzione di malattie cardiovascolari, oltre che nel ridurre il rischio del diabete mellito di tipo II. Durante le giornate fredde, se desiderate, potete assumere anche tisane o infusi che, oltre a idratare, donano una sensazione di benessere generale, favoriscono il rilassamento e scaldano il corpo. In questa stagione fredda non dimentichiamo di praticare un po’ di movimento! Infatti, proprio a causa delle condizioni atmosferiche impervie dettate dalla presenza di giornate piovose, con freddo e neve, si riducono molto le attività fisiche all’aperto, sospendendo anche semplici passeggiate quotidiane, contemplate a volte per piccole commissioni. Sappiamo inoltre che l’attività fisica è fondamentale in ogni fase della vita, ha effetti positivi sul metabolismo, sull’umore e aiuta a perdere quei fastidiosi chili di troppo, spesso accumulati proprio durante la stagione invernale!


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Novità in Farmacopea: XVII parte

di Stefano Pellicanò

A) EMATOLOGIA a) L’EMA (Agenzia Europea Medicinali) approva crizanlizumab, il primo farmaco mirato per l’anemia falciforme L'anemia falciforme è una patologia genetica del sangue con manifestazioni molto gravi con un forte impatto sull'attesa e qualità di vita dei pazienti. Il farmaco mira a prevenire e affrontare la vaso-occlusione, le crisi dolorose ed altre sue conseguenze devastanti. Lo studio clinico SUSTAIN di 52 settimane, controllato con placebo, ha dimostrato che ha ridotto in modo significativo (45%) il tasso mediano annuale di crisi vaso-occlusive a 1,63 rispetto al 2,98 del placebo. B) FARMACI GENERICI a) L'EMA verso il blocco di alcuni generici testati dall'azienda indiana Panexcell Clinical Laboratories Priv. Ltd. I farmaci, tra cui l’antivirale per l'HIV atazanavir e l’antibiotico amoxicillina, erano stati autorizzati in Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Malta, Olanda, Spagna, Svezia e Regno Unito. Diversi farmaci alternativi sono disponibili e i pazienti potranno contattare il loro medico o farmacista. Non ci sono prove di danni o inefficacia ma saranno sospesi finchè non si avranno dati a supporto di fonti più affidabili rispetto all'Azienda che li ha testati. La decisione è arrivata dopo che ispettori austriaci e tedeschi hanno riscontrato irregolarità negli studi di bioequivalenza (se il farmaco generico produce la stessa quantità di principio attivo nel corpo come i farmaci di marca); che i campioni di pazienti erano eccezionalmente simili e che la temperatura della stanza in cui erano lavorati i campioni non era quella giusta. C) INFETTIVOLOGIA a) SARS-CoVid-19: AIFA autorizza altri tre studi clinici (siamo a 38), ma non quello su Adenosina. I 21 farmaci in uso per altre patologie che sembrano bloccarlo. Atomi dell'oro per il suo trattamento Continua in tutto il mondo la ricerca di nuove potenziali terapie per il SARS-CoVid-19. In Italia, con l'approvazione degli ultimi tre studi clinici, salgono a 38 quelli avviati. Il primo, di fase II, è sull'efficacia e la sicurezza di Acalabrutinib, un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK), in aggiunta alle terapie di supporto. Il secondo è uno studio multicentrico di fase II per il trattamento con Interferone-ß-1a (Irccs Ospedale San Raffaele di Milano). Il terzo è uno studio di fase II/III, che valuta efficacia e sicurezza di ABX464, una molecola ancora in sperimentazione e i cui dati in vitro indicano un possibile duplice effetto antivirale e di riduzione della risposta infiammatoria. Per quanto riguarda uno studio sull’Adenosina, portato avanti dal GOM di Reggio di Calabria, l’AIFA ha chiesto integrazione agli studiosi mentre sta per essere replicato negli USA, dove sta per partire uno studio sperimentale, con l'intento, in caso di conferme, di estenderlo a livello internazionale (§ b). Studiosi dello Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute di La Jolla (California) con un maxi screening su 12.000 molecole hanno individuato 100 molecole con attività antivirale confermata in laboratorio e, di queste, 21 farmaci esistenti hanno dimostrato di bloccare la replicazione di SARS-CoV-2 in dosi che garantivano la sicurezza dei pazienti. Il Remdesivir, attuale trattamento standard, ha dimostrato di abbreviare i tempi di recupero per i pazienti ospedalizzati ma non funziona sempre. Inoltre, 4 di questi hanno funzionato in sinergia con remdesivir, incluso tetrandrina (derivato della clorochina hanfangchin), un antimalarico che ha raggiunto gli studi clinici di fase 3. Sulla base dello studio, clofazimina, hanfangchin A, apilimod e ONO 5334 rappresentano le migliori opzioni a breve termine. Gli studiosi stanno attualmente testando i 21 composti in modelli animali e organoidi polmonari, che imitano il tessuto umano (fonte: Nature, 2020). Ricercatori del Dipartimento di Scienze chimiche e geologiche dell'Università degli Studi di Cagliari stanno lavorando al progetto “Gold(I/III) metal-drugs in the treatment of covid-19 pandemic (AuCovid)”, con l'aiuto di SCAI (SuperComputer Applications and Innovation), con una potenza di picco di circa 32 Pflop/s, tra i più potenti al mondo (al 9° posto nella top 500 mondiale, al 2° in UE e 1° in Italia) per studiare complessi di oro, come il composto metallorganico Auranofin, attivo contro il virus SARS-CoV-2 e immediatamente utilizzabile in quanto già in uso contro l'artrite reumatoide e quale antivirale. Il progetto si inquadra in una più estesa attività di ricerca che prevede la sintesi di nuovi complessi metallici e lo studio della loro applicazione quali farmaci antimicrobici e antineoplastici. b) SARS-CoVid-19: Adenosina proposta per la terapia Studiosi delle U.O. di Oncologia (Immunoterapia) e di Anestesia e Terapia intensiva del Grande Ospedale Metropolitano (GOM) di Reggio di Calabria hanno avviato uno studio clinico basato sull’Adenosina prodotta dal nostro organismo, capace di spegnere l'infiammazione virale e indurre i processi di riparazione, un nucleoside composto da una molecola di adenina legata a un ribosio (o desossiriborsio) attraverso un legame ß-N9-glicosidico, importante nella costituzione degli acidi nucleici DNA e RNA e anche con un ruolo fondamentale nei processi biochimici, come ad es., nel trasferimento di energia (da ATP ad ADP) e nella trasduzione del segnale, attraverso l’AMPciclico (cAMP). Oltre al suo ruolo fisiologico, presenta anche diverse implicazioni farmacologiche infatti la sua liberazione, per deplezione dell'ATP e successiva degradazione dell'AMP, sarebbe un probabile meccanismo di vasodilatazione coronarica in risposta a un aumentato metabolismo del tessuto cardiaco. Dopo aver espletato il suo ruolo biologico ci sono diverse possibilità di trasformazione metabolica, quando entra in circolo è degradata principalmente dall'enzima adenosina deaminasi, presente nei tessuti in tre varianti ma quella captata a livello cellulare può subire almeno altri due destini metabolici: la sua fosforilazione da parte dell’adenosina chinasi in adenosin-monofosfato (AMP) e successiva degradazione dell'AMP da parte della nucleoside fosforilasi, con scissione in adenina e ribosio-5-fosfato. Esistono tre classi di recettori per l'adenosina: A1, accoppiato con la proteina G, GTP-dipendente, di tipo inibitore (Gi1) dell'enzima adenilato-ciclasi; A2a e 2b che si accoppiano a una proteina G stimolatoria (Gs) ed elevano la produzione di cAMP e, infine, A3 che si accoppia a una isoforma di proteina G inibitoria (Gi3) e come il recettore A1 e abbassa la produzione citosolica di cAMP. La molecola, quindi, attraverso dei recettori specifici, ferma completamente l'infiammazione, mette a riposo il tessuto, comincia il processo di riparazione e avverte il sistema immunitario. Questo processo funziona sempre, solo nel polmone ci possono essere dei problemi, in quanto l'ossigeno è un inibitore del processo di trasformazione dell'ATP in adenosina. Da qui l'intuizione degli studiosi di utilizzare nei pazienti affetti da CoVid-19 un farmaco antiaritmico, ma con una forte azione antinfiammatoria, con somministrazione attraverso nebulizzazione ad alti flussi. Ad agosto 2020 il trattamento sta dando ottimi risultati, la maggior parte dei pazienti ha lasciato il GOM entro una settimana con un quadro di polmonite in pratica risolto e, a quasi quattro mesi di distanza, dodici su quattordici pazienti sono guariti e sono in ottime condizioni generali. Gli studiosi hanno chiesto uno studio sperimentale all'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che, a fronte dei numerosi studi finora approvati, circa 38, per due volte ha chiesto ulteriore integrazione agli studiosi, nonostante l’urgenza ma, in questo caso “ovviamente” stranamente si può aspettare… Non per fare dietrologia né facile ed amaro vittimismo né essere polemici, ricordiamo che anni fa il nostro manuale “Profilassi delle Malattie del Viaggiatore” è stato giudicato eccellente da alcune Case Farmaceutiche, utile per omaggiare i Medici di Famiglia nazionali ma poi non acquistato perché aveva il difetto che l’Autore era e viveva “sotto” Roma. Come riferito da un rappresentante il discorso sarebbe stato completamente diverso se da Roma “in su”. Peccato per esse che il Manuale ci viene ancora richiesto anche dalla Svizzera ! Da notare, comunque, che lo studio sull’Adenosina sta per essere replicato negli USA, dove sta per partire uno studio sperimentale, con buona pace di AIFA, con l'intento, se confermato in casistiche più ampie, di estenderlo a livello internazionale. c) SARS-CoVid-19: perché alcuni pazienti si ammalano più gravemente. L'EMA monitorerà l’uso di farmaci e vaccini con tre progetti Ricercatori della Stanford University of Medicine della California, analizzando il sangue di 79 pazienti con forme più o meno gravi di infezione virale, hanno scoperto la presenza massiccia di tre molecole che favoriscono l’infiammazione, forse prodotte da organi come i polmoni o nella gola e che in quelli affetti da una forma più aggressiva il sistema immunitario innato, cioè quello più generico e che si attiva più rapidamente quando il corpo viene attaccato, non reagisce come dovrebbe, rimanendo come “paralizzato“ ma interviene con ritardo permettendo al virus di proliferare (fonte: Science, 2020). Il primo progetto dell’EMA sarà dedicato all'impatto dell'infezione sulla gravidanza, per ottenere indicazioni sull'uso appropriato dei trattamenti e dei vaccini. Il secondo riguarda l'uso dei medicinali sperimentali, con l'obiettivo di identificare coorti di pazienti e protocolli per studi internazionali. Il terzo, infine, è dedicato ai vaccini, e si propone di indentificare metodi per monitorarne efficacia e la sicurezza. I risultati dei progetti saranno integrati nel lavoro della task force pandemica dell'EMA e dei vari comitati scientifici, per assicurare che le evidenze portino a opinioni scientifiche sull'uso ottimale di medicinali e vaccini. d) SARS-CoVid-19: stop dall’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) sull’uso off-label per alcuni farmaci al di fuori di studi clinici I farmaci off-label sono impiegati, nella pratica clinica, per il trattamento di patologie e disturbi non previsti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto del Ministero della Salute, che fornisce informazioni su come utilizzarli in modo corretto. L’AIFA ha sospeso l’uso di clorochina, idrossoclorochina, lopinavir/ritonavir (magari in associazione con idrossiclorochina o antibiotici come azitromicina) e darunavir/cobicistat al di fuori degli studi clinici contro il CoVid19 in quanto al di fuori delle osservazioni in vitro, le evidenze disponibili non consentono di definire il loro effettivo ruolo terapeutico contro SARS-CoVid19. D) NEUROLOGIA a) Emicrania: Fremanezumab, anticorpo monoclonale anti-CGRP, somministrabile per via sottocutanea una volta/mese o una volta/tre mesi a scopo profilattico I circa sei milioni di italiani che soffrono di emicrania, oltre a dover fare i conti con il dolore, vivono una vita ansiogena sospesa tra un attacco e la costante paura del successivo magari avendo già assunto diversi farmaci per prevenire o ridurre gli attacchi con scarso beneficio e magari con effetti collaterali. A differenza degli attuali analgesici, che agiscono sull'effetto, il nuovo farmaco appartiene alla nuova classe di farmaci in grado di bloccare la piccola proteina CGRP (Peptide correlato al gene della calcitonina), che svolge un ruolo importante nella genesi degli episodi di emicrania, agisce sulla sua causa, con benefici evidenti già una settimana dopo l'inizio del trattamento, mantenuti nel tempo anche nei pazienti refrattari agli altri trattamenti preventivi. Lo studio clinico FOCUS ha valutato l'efficacia su pazienti che avevano già praticato diverse terapie, dimostrando che fremanezumab evita, in media, 4 giornate al mese di emicrania e, in un terzo di questi pazienti, il numero di giorni trascorsi con emicrania è risultato più che dimezzato già nel primo mese di trattamento. Negli studi clinici HALO circa il 48% dei pazienti con emicrania episodica (quando il mal di testa si manifesta per meno di 15 die/mese) e il 41% circa con emicrania cronica (quando è presente per 15 o più die/mese) trattati mensilmente hanno visto dimezzare il numero di giorni trascorsi con emicrania o cefalea. Dagli studi clinici emerge, inoltre, la riduzione dei sintomi emicrania-collegati, come nausea, ipersensibilità alla luce o ai suoni e vomito, a fronte di una tossicità molto bassa. Si stima che finora meno del 30% dei pazienti riusciva a gestire la sua condizione, il nuovo farmaco deve essere però accompagnato da una maggiore conoscenza e comunicazione a livello della popolazione generale per spiegare a tutti che l'emicrania non è un semplice mal di testa per seguire un adeguato iter diagnostico-terapeutico. Il trattamento può essere prescritto, per i pazienti che rientrano nei criteri stabiliti dall'AIFA, in regime di rimborsabilità dai Centri per la diagnosi e la terapia delle Cefalee individuati dalle Regioni. E) ONCOLOGIA a) Carcinoma mammario in stadio avanzato: licenza per sviluppo e commercializzazione mondiale per elacestrant Il elacestrant è un SERD orale (degradatore selettivo del recettore degli estrogeni), in atto in fase 3 in sviluppo avanzato. I SERD orali hanno il potenziale di far parte di nuove terapie per il carcinoma mammario dando nuove opzioni terapeutiche ai pazienti.


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Novità in Sanità Pubblica: VI parte (VIII)

di Stefano Pellicanò

A) Disagio psichico in Italia e psicofarmaci (dati 2018). In tre anni 8.000 operatori in meno Il consumo di farmaci fornisce dati interessanti sul disagio psichico nazionale. Nel 2018, ultimi dati disponibili, le prestazioni erogate in un anno sono state 11 milioni, in media 14/utente e sono state vendute 49 milioni di confezioni, 36,5 mln antidepressivi e 12 mln antipsicotici mentre è rimasta costante la percentuale di accessi al P.S. per motivi psichiatrici (circa 617.326, 3%). Il numero di confezioni di antipsicotici acquistate nel 2018 in farmacia ha superato i 5,5 milioni, a cui si sommano i 6,5 milioni in distribuzione diretta, cioè attraverso i Centri di Salute Mentale (CSM) o gli Ospedali. Dai disturbi di ansia e depressioni a psicosi e schizofrenia, solo nei Servizi Territoriali nel 2018 sono stati assistiti dai CSM 837.000 utenti mentre le dimissioni ospedaliere sono state 107.662 con 7.407 trattamenti sanitari obbligatori (TSO), indice di una mancanza di intervento precoce. Ma, a fronte di una tale situazione, si osserva che il personale, costituito da circa 31.600 unità nel 2016, scese a 28.700 nel 2017 e a 26.200 nel 2018 (di cui 9% medici, 6% psicologi e 45% infermieri) con una riduzione, dal 2016 al 2018, di circa 5.400 operatori sanitari, a cui si sommano i circa 2.500 persi nel 2019 per un totale di circa 8.000 in meno in tre anni. Tornando ai farmaci, la discrepanza tra le confezioni vendute in farmacia, che superano i 36 milioni, e 565.000 fornite in distribuzione diretta è indice del rischio di inappropriatezza prescrittiva in quanto la ricetta per acquistarli in farmacia può esser fatta da qualsiasi medico quindi il disagio psicopatologico bypassa gli specialisti pertanto mancano notizie sulla diagnosi della condizione, prognosi e effetti della terapia (fonte: Rapporto sulla Salute mentale del Ministero della Salute, Sistema Informativo Salute Mentale o SISM). B) Rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sui consumi farmaceutici ospedalieri e territoriali nei primi mesi del 2020 in pandemia da SARS-Covid-19 Il Report, realizzato col contributo dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali (OsMed), segnala un aumento dei consumi di vitamina C e D; idrossiclorochina, acquistata dai cittadini a proprie spese e un incremento degli ansiolitici (§ C). Tra i farmaci per i pazienti affetti da CoVid-2, idrossiclorochina e azitromicina fanno registrare i maggiori consumi nel periodo in esame mentre, in ambito ospedaliero, incrementi significativi si rilevano per gli iniettivi e l’ossigeno, di prevalente impiego nelle terapie intensive con un maggior consumo di anestetici generali, sedativi iniettivi e curari a partire dal febbraio 2020. L’AIFA il 12 marzo ha attivato l’Unità di crisi e sono state centralizzate le approvazioni degli studi clinici per la pandemia. Dal Rapporto, inoltre, emerge che nei mesi più difficili, da marzo a maggio, si sono mantenuti stabili i consumi dei farmaci per le malattie croniche con l’estensione della validità dei piani terapeutici, la dematerializzazione della ricetta medica e l’informazione istituzionale. C) SARS-CoVid-19: Fase 3 e l’aumento delle psicopatologie Come avevamo purtroppo facilmente previsto (vedi numero precedente) l’isolamento domiciliare cui siamo stati sottoposti, anche in Regioni dove non era assolutamente necessario dal punto di vista scientifico, avrebbe comportato una pandemia psichiatrica, nel senso che persone del tutto normali avrebbero cominciato ad avere dei problemi e pazienti con problemi psichiatrici li avrebbero visti aumentati. In atto in Italia l’emergenza sanitaria al momento sembra essere sotto controllo, prova ne sia che noi sudditi, pardon cittadini comuni, siamo costretti a usare la mascherina e il distanziamento, continuando a essere terrorizzati sulla “prossima” ondata e dovendo badare col metro alla distanza mentre i nostri “governanti” accolgono la “musulmana” strettamente vicini, mangiano la pizza in piazza strettamente vicini vicini e gli extracomunitari clandestini, anche positivi, sono liberi di girare per le nostre contrade e di scappare dai centri di raccolta ! Buon Dio, in che mani siamo ! Adesso purtroppo si iniziano a vedere le conseguenze a lungo termine che la pandemia, il periodo di quarantena e la conseguente crisi economica ha lasciato in maniera diretta ed indiretta tra cui la grave emergenza riguardante la salute mentale. Vari studi dimostrano un aumento dei disturbi psicopatologici: la quarantena ha causato nel 75% della popolazione infantile sintomi quali ansia, disturbi del sonno, inquietudine e irritabilità (fonte: Indagine dell’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova); un altro studio ha evidenziato 200.000 nuovi casi di depressione i cui fattori di rischio sono tutti correlabili al periodo emergenziale e post-emergenziale (fonte: Fondazione Onda). Ricercatori della Clinica della Memoria del dipartimento di Neuroscienze umane dell’Università La Sapienza di Roma hanno effettuato lo studio “Facing dementia during the Covid-19 outbreak” arruolando 139 pazienti del Centro, visitati nelle settimane immediatamente precedenti l’isolamento e poi ricontattate dopo quattro settimane dal suo inizio con una intervista telefonica si è verificato il loro stato clinico e quello psichico delle persone che prestano loro assistenza, quindi un’analisi solo delle conseguenze delle misure di distanziamento, che nel 66% dei pazienti erano state scrupolosamente osservate, nonostante i pazienti con demenza siano poco abituate a regole stringenti. I risultati hanno mostrato un peggioramento delle condizioni cliniche e cognitive (> 30%), un aggravamento dei disturbi comportamentali (54,7%), in parte preesistenti e in qualche caso nuovi; insorgenza di nuovi disturbi comportamentali (ansia, irritabilità e disturbi del sonno i più diffusi). Nel 7,2% dei casi è stato necessario modificare la terapia farmacologica quindi per oltre un terzo degli arruolati, i piccoli progressi che in una condizione come la demenza si conquistano lentamente, hanno ricevuto un brusco stop. Da aggiungere che oltre il 50% dei/delle badanti ha accusato un’accentuazione di precedenti disturbi o disagi emozionali, come acutizzazione di ansia e stress. Un analogo quadro emerge anche dai dati di vendita dei farmaci più utilizzati per trattare disturbi come ansia, depressione, DOC e disturbi da stress post-traumatico. In Toscana, ad es., la vendita di Benzodiazepine, SSRI (Inibitori Selettivi Ricaptazione Serotonina) e SNRI (Inibitori Ricaptazione Serotonina-Noradrenalina) è notevolmente incrementata nel periodo febbraio-giugno in controtendenza con il mercato, che nel settore delle farmacie ha fatto registrare una flessione. L’abuso del consumo di questi farmaci può dare luogo a fenomeni di tolleranza (riduzione della risposta che induce assuefazione e il conseguente bisogno di aumentare il dosaggio) e astinenza (sintomi fisici e psichici dopo l’interruzione del farmaco) per quanto riguarda le benzodiazepine od a sintomi da sospensione per gli antidepressivi, grave rischio poiché spesso si pensa che aumentando il dosaggio migliori l’efficacia. Il grave pericolo è che questa tendenza possa peggiorare nei prossimi mesi, essendo ancora la fase iniziale della crisi economica che sta mettendo in ginocchio milioni di famiglie italiane. Con l’isolamento si è scoperto che si può stare accanto ai pazienti affetti da demenza anche con la telemedicina (§ D): anche solo attraverso una telefonata i/le badanti si possono sentire sollevati/e e li si può aiutare a gestire aspetti pratici semplici, specie se il paziente è noto. L’Assistenza Domiciliare passa, inoltre, dalla Medicina del Territorio e dalla sua riorganizzazione. Infine i contatti tra strutture territoriali e famiglie permetterebbero di recarsi nei centri di riferimento specialistici soltanto nell’ assoluta necessità di una visita in presenza. D) Telemedicina: Linee guida della Commissione Salute Secondo una ricerca dell’Osservatorio Innovazione digitale in Sanità del Politecnico solo il 4% dei medici specialisti e il 3% di medicina generale hanno utilizzato soluzioni di televisita nonostante il 38% e il 50%, rispettivamente, vorrebbero utilizzarle. Per quanto riguarda altri strumenti di comunicazione medico-paziente, solo il 10% dei medici specialisti e il 18% di medicina generale utilizza piattaforme di comunicazione certificate. Molto più diffusi gli strumenti “per il consumatore”, non nati per questo scopo e che non vanno utilizzati per condividere informazioni sensibili: il 57% degli specialisti e il 64% dei medici di famiglia utilizza WhatsApp per condividere documenti (67% in entrambi i casi) e informazioni di natura clinica (60% e 57%) con i propri pazienti. Il Future of Health Index 2019, un’indagine su medici e altri operatori sanitari in 19 Paesi, identifica cinque ostacoli all’adozione diffusa della telemedicina a livello globale: modelli obsoleti di rimborso e pagamento; atteggiamenti culturali; mancanza di incentivi finanziari; politiche restrittive e infrastrutture tecnologiche inadeguate, come l’accesso alla banda larga. Le televisite, quando il medico ritiene possano essere effettuate in sicurezza, sostituiscono le visite tradizionali, a tutti gli effetti, eventualmente completata, senza ulteriori oneri, in modalità tradizionale. Le Aziende Sanitarie Regionali inoltre, possono avviare sperimentazioni su servizi di tele-monitoraggio e tele-riabilitazione. Da qui le Linee guida della Commissione Salute che dettano regole omogenee, sottoposte il 27 luglio 2020 ai Presidenti regionali. a) Le prestazioni erogabili in Televisita Le ambulatoriali che non richiedono l’esame obiettivo del paziente ed in presenza delle seguenti condizioni: il paziente è inserito in un percorso di follow up da patologia nota o in un PDTA formalizzato in Azienda o a livello regionale; necessita di: monitoraggio, conferma, aggiustamento o cambiamento della terapia in corso (es. rinnovo piano terapeutico o modifica dello stesso); di valutazione anamnestica per la prescrizione di esami di diagnosi o di stadiazione di patologia nota o sospetta; di spiegazione degli esiti di esami di diagnosi o stadiazione effettuati, cui può seguire la prescrizione di eventuali approfondimenti o di una terapia ed infine ogni altra situazione a valutazione del medico. b) Attivazione del servizio di telemedicina Richiede l’adesione preventiva del paziente o del tutore, al fine di confermare tra l’altro la disponibilità di un contatto telematico per la interazione documentale/informativa con lo specialista ed accedere ad un sistema di comunicazione remota secondo le specifiche tecniche e le normative vigenti in materia di privacy e sicurezza. Essa può anche essere attivata dallo specialista, in sostituzione della visita già prevista (controllo o altro tipo di visita del PDTA), nella fase di richiamo dei pazienti prenotati. Il collegamento deve avvenire in tempo reale, consentire di vedere il paziente e interagire con esso eventualmente, qualora necessario, anche avvalendosi del supporto del/della badante nella gestione della comunicazione. c) Regole omogenee Prestazioni: sistema tariffario, classificazione, rilevazione, rendicontazione. Adesione informata del paziente. Responsabilità sanitaria durante l’attività. Comunicazione dell’esito della prestazione ambulatoriale. d) Elementi necessari Caratteristiche di base. Rete di collegamento medici/pazienti sempre disponibile. Portale web a cui i medici accedono con il proprio account per gestire i pazienti da notebook o tablet o smartphone. Il paziente si connette alla rete internet con computer, tablet o smatphone con un login semplice, con un loro account e con verifica dell’identità. Compatibilità con il GDPR per il trattamento dei dati personali. e) Limiti di applicazione Dal momento che non esistono esperienze quantitativamente significative pregresse, sono sconsigliate, a titolo precauzionale, l’utilizzo dei servizi in telemedicina in: pazienti con patologie acute o riacutizzazioni di patologie croniche in atto; con patologie croniche e fragilità o con disabilità che rendano imprudente la permanenza a dom E) Terapie contro le Epatiti virali B e C in calo del 90% con l’isolamento domiciliare Le Epatiti virali da HBV e HCV possono avere effetti particolarmente gravi, talvolta letali. Poiché la B può essere prevenuta con il vaccino e la C curata con farmaci efficaci e risolutivi, l’OMS aveva fissato l’obiettivo di eliminazione della C entro il 2030, un risultato possibile grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva e senza effetti collaterali. L’Italia, prima dell’isolamento domiciliare aveva discrete possibilità di perseguire l'obiettivo dell'OMS, durante l’isolamento si è invece assistito a una riduzione di oltre il 90% e, dopo la sua fine, i trattamenti stentano ancora a riprendere con il ritmo precedente, nonostante siano passati tre mesi dal 4 maggio. Da notare che la stagione estiva non è favorevole a una rapida ripresa in quanto il personale sanitario è molto provato dagli ultimi mesi e, in previsione anche di un difficile autunno, dovrà prendersi una pausa e dopo servirà anche un'azione incisiva per la ricerca dei casi misconosciuti (fonte: Tavola Rotonda “e HCV. Quale ruolo potrà ricoprire l'Italia? Tra cronaca, attualità e aggiornamento, ipotesi e aspettative concrete di politica sanitaria e ricerca”, on line, in occasione della Giornata mondiale delle Epatiti, 28 luglio).


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Novità in Medicina: XVII parte

di Stefano Pellicanò

A) GINECOLOGIA a) La variante genetica KCNG4 che funziona da epidurale naturale e si trova solo in una donna su 100, limita la capacità delle cellule nervose di inviare segnali di dolore al cervello facendo partorire senza dolore Il parto è una delle esperienze fisicamente più dolorose per una donna, tuttavia l'esperienza varia molto da donna a donna e partorire senza dolore è il sogno di ogni mamma. Studiosi dell'Università di Cambridge hanno cercato di indagare sul motivo per cui alcune madri avvertono meno dolore. Hanno quindi reclutato un gruppo di donne che aveva partorito il primogenito senza analgesia durante un parto vaginale (Gruppo A) e un gruppo che aveva avuto necessità dell'epidurale durante il parto (gruppo controllo, Gruppo B). I risultati hanno mostrato nel Gruppo A meno sensibilità durante una serie di test per il calore, il freddo e la pressione meccanica. Successivamente è stato sequenziato il codice genetico: quelle del Gruppo A avevano una prevalenza più alta di una variante rara del gene KCNG4 che fornisce il codice per la produzione di una proteina che controlla il segnale elettrico che scorre nelle cellule nervose (fonte: Cell Reports,2020). B) INFETTIVOLIGIA a) SARS-Covid-19: sei i ceppi diffusi nel mondo. Risposta cellulare all'infezione. Ricercatori dell'Università di Bologna hanno analizzato 48.635 genomi di coronavirus isolati nei laboratori di tutto il mondo, tracciando la distribuzione geografica, individuando sei ceppi virali, e la frequenza delle diverse mutazioni concludendo che il virus continua a mutare poco, circa 7 mutazioni in media a campione, meno della metà vs al virus dell'influenza e che le terapie in sperimentazione, a partire dal vaccino, potrebbero essere efficaci per tutti i ceppi individuati. I sei ceppi virali individuati sono: il ceppo L, quello originale di Wuhan, rilevato a dicembre 2019; il ceppo S, la prima mutazione, comparsa a inizio 2020, mentre a metà gennaio sono stati isolati i ceppi V e G. Da quest'ultimo a fine febbraio sono derivati i ceppi GR e GH, che tutti insieme costituiscono il 74% di tutte le sequenze genomiche analizzate e sono caratterizzati da quattro mutazioni. Come distribuzione geografica, i ceppi G e GR sono i più diffusi in Italia e in UE. In particolare il ceppo GH sembra essere assente in Italia ma molto presente in Francia e Germania. In Nord America il ceppo prevalente è GH, mentre in Sud America il ceppo GR. In Asia, dove si è diffuso inizialmente il ceppo L, in atto sta aumentando la diffusione dei ceppi G, GH e GR, comparsi all'inizio di marzo. Gli studiosi hanno inoltre individuato alcune mutazioni rare, che sono meno dell'1% del totale dei genomi sequenziati ma è importante continuare a studiarle per identificarne la funzione e tenerne sotto controllo la frequenza (fonte: Frontiers in Microbiology, 2020). A inizio agosto 2020 in Italia persiste una trasmissione diffusa del virus che, quando si verificano condizioni favorevoli, provoca focolai anche di dimensioni rilevanti, talvolta associati all'importazione di casi da Stati esteri (fonte: ISS, Ministero della Salute). Per quanto riguarda la risposta cellulare all'infezione i dati attuali indicano che il virus è particolarmente capace di eludere le risposte immunitarie nella fase iniziale dell'infezione per: risposte inadeguate dell’IFN di tipo 1; per una massiccia produzione di citochine infiammatorie; forse per un difetto nelle funzioni delle cellule NK e per un’evasione della risposta immunitaria adattativa. Sebbene vi sia relazione tra la gravità della malattia e la risposta immunitaria, il ruolo dell’immunità protettiva è ancora misconosciuto infatti alcuni pazienti restano positivi al virus, suggerendo che il suo controllo da parte della risposta immunitaria potrebbe essere difficile da indurre in alcuni di essi. Per definire i marker di efficacia dei futuri vaccini sarebbe importante monitorare meglio le risposte delle cellule T e B nei guariti e capire l'impatto dell'invecchiamento sulle risposte immunitarie al virus C) LABORATORIO a) SARS-CoVid-2: in casi moderati forte calo degli anticorpi in 3 mesi . Uno studio dell’Università della California a Los Angeles su 34 pazienti che si erano ripresi dall’infezione di gravità “moderata”, ha osservato un calo degli anticorpi a circa la metà nei primi 73 giorni dopo la comparsa dell'infezione. Secondo gli studiosi, se la diminuzione continuerà a questo ritmo sparirebbero completamente in un anno. I risultati dello studio, se confermati in casistiche più ampie, sono di particolare importanza in questa fase in cui il ruolo degli anticorpi viene considerato importante nello sviluppo di possibili terapie. D) NEONATOLOGIA a) SARS-CoVid-2 non contagia con parto e allattamento Sulle precauzioni da adottare dopo il parto, ci sono Paesi che consigliano l'allattamento al seno e altri che invece isola il neonato dalla mamma. Studiosi del Weill Cornell Medicine-New York Presbyterian Komansky Children's Hospital hanno arruolato 120 donne positive, a cui dopo il parto è stato permesso di tenere il neonato nella stessa camera e di allattarlo seguendo, come precauzioni, l'uso della mascherina e il lavaggio frequente delle mani. In tutti i neonati il tampone è risultato negativo all’inizio e sui due terzi del campione ripetuto una e due settimane dopo il parto. Lo studio in atto rassicura che il rischio di trasmissione dalla madre è molto basso (fonte: Lancet Child and Adolescent Health, 2020). E) ONCOLOGIA a) Tumori gastrointestinali (stomaco, pancreas, colon-retto,GIST): i bisogni insoddisfatti dei pazienti Le neoplasie gastrointestinali in Italia costituiscono tre tra le prime cinque cause di morte oncologica. Sono ad alta complessità clinica che richiedono una gestione ottimale dell’iter diagnostico-terapeutico. Alcune delle attuali problematiche comprendono, tra l’altro, tempi lunghi dell’iter diagnostico con conseguenti diagnosi tardive per la mancanza di metodi di screening per il tumore gastrico e del pancreas; disomogeneità quantitativa delle strutture di cura di eccellenza; scarsa attenzione alla continuità terapeutica-assistenziale ospedale-domicilio in atto presente prevalentemente nel Centro-Nord. Con l’allungamento della sopravvivenza si prevede nel 2040 un incremento del 25%-40% della necessità di cure palliative, specie negli over- 85, ne consegue che la possibilità di usufruire di una assistenza quotidiana diagnostica-terapeutica domiciliare da parte di un team multidisciplinare rappresenterebbe un notevole miglioramento della qualità della vita (QV) nei cronici e terminali e dei loro parenti, oltre al risparmio del 45% dei costi relativi all’ultimo mese di vita. La stragrande maggioranza dei pazienti al loro primo accesso in un Day Hospital (D-H) vorrebbero programmi di alimentazione da seguire nel corso delle terapie ma spesso le risposte sono vaghe o disattese pertanto ci si rivolge al dottor internet attuando programmi nutrizionali senza alcuna validità scientifica, che possono oltretutto arrecare danni, contribuendo ad un declino fisico e alla non tolleranza delle cure oncologiche, con conseguente peggioramento di uno stato psico-fisico già compromesso. Il supporto nutrizionale nei pazienti con tumori gastrointestinali è un percorso imprescindibile al fine di migliorare la QV e consentire una maggiore efficacia delle terapie, poiché i malnutriti hanno una maggiore probabilità di abbandonare le terapie e hanno una QV e una prognosi peggiore. La loro presa in carico, soprattutto in fase avanzata, potrebbe essere molto migliorata attraverso un approccio multidisciplinare, con diverse professionalità (terapista del dolore, all’assistenza, nutrizionale, psicologica e all’inclusione sociale; oncologo medico, chirurgo, anatomo-patologo, radiologo, radioterapista, fisioterapista, psicologo) tra loro collegate con una sua gestione globale e della malattia col miglioramento dell’aspettativa e della QV. Per i pazienti con carcinoma del colon-retto avanzato, che hanno avuto notevoli problemi durante la pandemia, in quanto molti reparti di oncologia sono stati chiusi o riconvertiti, sarebbe molto importante usufruire delle terapie domiciliari. Soprattutto per i malati in fase avanzata, l’accesso a terapie innovative è un aspetto cruciale, per tenere sotto controllo la malattia e garantire una buona QV. La problematica del lavoro è una dimensione fondamentale per la QV e per la dignità del paziente ma spesso invece il paziente, dopo una diagnosi di neoplasia, deve affrontare pure la perdita della sua attività professionale. Il NET, tumore neuroendocrino, colpisce anche il tratto gastrointestinale limitando molto la vita sociale e lavorativa del paziente perché crea disagio nella quotidianità. Si tratta di un tumore raro e la sua scarsa conoscenza non facilita, anche perché il paziente non ha segni fisici evidenti e quindi diventa difficile ottenere permessi o un più adeguato carico di lavoro o di essere avvicinati alla propria residenza o per il riconoscimento di diritti come l’invalidità. Il paziente deve combattere con chi, in realtà, dovrebbe assicurargli un aiuto, in primis le istituzioni e l’ambiente di lavoro. In una patologia a decorso rapido come il carcinoma del pancreas, è fondamentale arrivare a una diagnosi tempestiva e differenziale in tempo per garantire un percorso di cura dignitoso al paziente, che deve sentirsi al centro di cure personalizzate. Per il K al pancreas, in particolare, offrire mesi in più di vita ha valore se quel tempo, poco o tanto che sia, è di qualità, limitando il dolore e i disagi, offrendo ascolto, dimostrandosi attenti alle singole istanze, restituendo la dignità necessaria ad ogni essere umano. Fra i tumori gastrointestinali sono compresi anche i Gist e i pazienti affetti sono doppiamente colpiti, da un lato per la malattia seria e complessa dall’altro la sua rarità che ha diverse implicazioni come la diagnosi, il grandissimo problema pertanto la creazione di una rete nazionale dei tumori rari, consentirebbe in primis una presa in carico omogenea ed efficace e soprattutto una diagnosi più tempestiva e corretta. F) VACCINAZIONI a) SARS-CoVid-19: i primi risultati delle sperimentazioni più promettenti Nello scorso numero abbiamo diffusamente descritto le innumerevoli prospettive vaccinali contro SARS-2 (Prospettive terapeutiche farmacologiche e vaccinali per SarsCov2. Stato dell’Arte : 48 – 62) . In atto, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine, i candidati vaccini sono in totale 218 di cui 27 sono basati su DNA, 15 su RNA, 45 su vettore virale, 17 su virus attenuato o inattivato, 66 su proteine, e 48 utilizzano altre piattaforme. Riteniamo opportuno fare adesso un breve approfondimento sullo stato della ricerca, premettendo che dobbiamo necessariamente fidarci di quanto dichiarato dalle Case produttrici. Il vaccino di Johnson & Johnson, basato su vettori derivati da adenovirus di serotipo 26 (Ad26), ha provocato una forte risposta immunitaria nei soggetti testati con una sola dose, cioè la presenza di “anticorpi neutralizzanti” in grado di prevenire in modo completo o quasi infezioni successive e proteggere dal virus i polmoni di primati non umani nello studio pre-clinico (fonte: Nature, 2020). La tabella di marcia prevede che passi adesso al trial clinico su volontari sani negli USA e in Belgio e a settembre il passaggio alla sperimentazione di fase 3. Il vaccino dell’Astra Zeneca e del team di Oxford, in fase di test su migliaia di persone, ha prodotto le reazioni immunitarie desiderate senza gravi effetti collaterali. Quello della società americana Moderna con il National Institutes of Health degli USA ha mostrato risposta anticorpale sulle 45 persone che lo avevano ricevuto. Ora è partita quindi la terza fase di sperimentazione su 30.000 adulti sani. Infine altri vaccini in sperimentazione che stanno mostrato risultati incoraggianti, sono quello sviluppato dalla CanSino Biologics in Cina e quello della società tedesca BionTech con il colosso farmaceutico Pfizer, che ha annunciato l’avvio della fase 2/3.


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Racconti e poesia

Vieni...ti racconto una storia

di Annamaria Antonelli

Comincio il mio racconto presentandomi: sono Annamaria e vivo a Matera, la città dei Sassi. Mi piace la fotografia e scatto tante foto in modo “istintivo”, senza tecnica, solo con il mio cellulare. Una sera, com’è mia abitudine fare, giravo nella centralissima Piazza Vittorio Veneto per alcune fotografie e casualmente, senza pensarci, ho scattato una foto apparentemente senza significato: c’erano due pioli. L’ho poi mostrata a mia madre e lei subito mi ha detto: “Sai cosa sono quei due pioli? Sono detti i due pezzoni (U dij pzzjn) e rappresentavano i due testimoni nei contratti e negli accordi tra le persone e, anche se c’erano i notai, molti contratti si facevano sulla parola tra galantuomini! Vieni a sederti con me, ti racconto una storia…” “Come sai la nostra famiglia lavorava nei campi e le cosiddette buone annate si alternavano con quelle di magra raccolta. I terreni erano alcuni di proprietà e altri a mezzadria, c’era il padrone del terreno e il mezzadro che lo coltivava. Il raccolto si divideva a metà tra loro con un accordo davanti ai due “testimoni” il 15 Agosto di ogni anno, giorno dell’Assunta (detto anche di Santa Maria). Nello stesso giorno si pagavano anche i fitti relativi ai contratti, stipulati durante l’anno, per i terreni e/o per le case. A volte quanto guadagnato con la vendita del raccolto non era sufficiente a pagare la locazione e i contadini preoccupati chiedevano di lavorare a giornata o dovevano chiedere un prestito a chi era benestante, ancora una volta davanti a “U dij pzzjn” i silenziosi testimoni. A fine accordo il creditore diceva, nel nostro dialetto: “Qui te li ho dati e qui li rivoglio”. Ma, quando non si riusciva a recuperare il credito alla scadenza, spesso ci si rivolgeva ad un intermediario, il cinciglione un insistente personaggio che alcuni credevano portasse sfortuna. E proprio per questa credenza popolare provvedevano al pagamento del debito in denaro o a volte con i prodotti agricoli.” Storie come questa e altre più divertenti si raccontavano allora e si raccontano ancora oggi … servono come “Ricordi” … Matera quest’anno è la capitale europea della cultura 2019 ma, la sua bellezza c’era già prima e ci sarà anche dopo questo anno di fama perché, secondo il mio pensiero, la natura non segue i tempi dell’uomo, si mostra sempre nella sua bellezza in ogni epoca e regala ai nostri occhi quella serenità che si cerca continuamente nella vita quotidiana ma, che basta trovarla semplicemente aprendo la porta di casa. Piazza S. Giovanni: questa era l’abitazione di Piazza Vittorio Veneto: questi sono Vito COVIELLO (Autore del libro) “U dij pzzjn”


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Galatea

di Antonella Iacoponi

Piccole onde accarezzano il mare, cristalli di blu in dolci trilli, mentre un gabbiano inizia a danzare, e tu, graziosa ninfa, che brilli come il sole d’oro, narra una volta ancora l’antica storia! Son così belli i tuoi capelli, ornati da perle! L’aurora si affretta, per darti il benvenuto; ricordi i convegni d’amore? Quanto era bello Aci! Chini la testa, con un cenno muto, Polifemo, innamorato di te,… furente, lo uccise con un masso, ma, grazie al tuo aiuto, il sangue si trasformò in sorgente, e il giovane pastore divenne un dio fluviale, nipote del Simeto, scorre placidamente; fluttui tra le onde con un carro speciale, una conchiglia trainata dai delfini, a celebrare un legame forte, immortale, in alto, scagliano frecce gli amorini.


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Vecchi ricordi

di Vito Coviello

Bisognerebbe coniare nuovi aggettivi per descrivere le bellezze dei Rioni Sassi. Sono unici e rappresentano l’identità di noi materani. A dire il vero non ho mai vissuto, per una questione anagrafica, negli antichi Rioni, ma la mia infanzia è stata comunque segnata dalla vita del vicinato. Sono nato e vissuto alla periferia della città, nei primi insediamenti di case popolari realizzate a Matera, ma posso dire di essere cresciuto nei “Sassi”. Per la precisione nel Barisano, dove vivevano i nonni materni e la nonna di mia madre, persone a cui sono stato molto legato. Poi arrivò la c.d. legge “risanamento Sassi”, che determinò il progressivo trasferimento della popolazione nelle abitazioni al piano. Passavo i miei pomeriggi a casa loro, ed è stato in quegli anni che io, bambino di 6/8 anni, ho conosciuto coetanei che pur non avendo le comodità di noi abitanti della città, vivevano in maniera semplice, divertendosi facendo rotolare con l’aiuto di un bastone di legno, un cerchio di ruota di bicicletta lungo Via Fiorentini o giocando a nascondino tra i vari vicoli oppure organizzando incontri di calcio caratterizzati dalle continue interruzioni necessarie al recupero della palla che puntualmente terminava tra i traini parcheggiati sul lato della strada. Probabilmente è stato in quei luoghi che, ascoltando, ho imparato il dialetto, l’unica lingua parlata da quei compagni di gioco, quel dialetto che era parte di ogni abitante dei Sassi. Negli anni a seguire comunque, pur se i miei genitori parlavano quasi esclusivamente il dialetto, personalmente non l’ho mai utilizzato. Nel tempo, complice anche l’innalzamento del livello di istruzione, si è assistito alla graduale scomparsa del dialetto, che poco alla volta è stato sostituito da una babele di lingue, proprie della gente che nel corso degli anni si è trasferita a Matera dall’entroterra. Oggi purtroppo a parlare il dialetto sono rimasti solo pochi vecchi che ogni tanto, per sentirsi al passo con i tempi, tendono anche ad italianizzare molti termini. Quando anche gli ultimi custodi della nostra lingua se ne saranno andati perderemo la nostra identità e non basterà essere inseriti nell’elenco dei siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità o essere stati Capitale Europea della Cultura per raccontare ai nostri figli chi erano e come vivevano i nostri antenati.


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Il popolo della notte

di Francesco Burroni

(dedicato a Elena e agli amici dell'Unione Italiana Ciechi e ipovedenti di Siena) Una notte d'estate
seduti sotto a un ulivo
con le cicale che cantavano
e un venticello leggero
che regalava un lontano
sapore di mare
lei finalmente gli svelò
il magico segreto
del popolo notturno

il buio non è
una pagina nera
ma una pagina bianca
un terreno vergine
dove i suoni e i profumi
il toccare e l’assaporare
scrivono ogni giorno
la loro storia
lasciando a ognuno
la libertà di inventarsi
le proprie immagini
e di scoprirne altre
che voi che vivete
nel mondo della luce
non riuscite a sentire

lo sanno i poeti
perché anche se loro
vedono davvero il mondo
poi lo fanno sparire
così se il poeta
vede un albero
poi quell'albero non c'è più
il poeta lo trasforma
in una parola
e quando poi il lettore
legge “albero”
non vedrà mai
l'albero che ha visto il poeta
ma si immagina
il proprio albero
forse una quercia
forse un pioppo
forse con le foglie d’estate
forse spoglio d’inverno
forse immobile
forse mosso dal vento

lo sanno gli attori
che ti invitano a teatro
e poi creano artificialmente il buio
per far apparire
dal mondo della fantasia
le loro irreali creature

lo sanno i musicisti
che fanno sparire da sempre
ogni immagine
e la trasformano in suono
immateriale
e inafferrabile bellezza

così quando io non vedo
ma sento
un profumo di rosa
posso immaginarmi
la “mia” rosa
forse rossa
forse bianca o gialla
forse aperta
forse ancora in boccio

ora hai forse capito
che il buio
non è il mondo
oscuro delle tenebre
ma il mondo vivo
delle immagini
dei sogni a occhi aperti
della fantasia
il mondo di chi riesce
a vedere e sentire
anche un'altra realtà


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Il vestito della cresima

di Dunia Sardi

Tratto dal libro “La bambina con la farfalla sulla testa” editore Attucci, Carmignano. “Quest’anno farai la Cresima”, mi disse un giorno la mamma. Quello della Santa Cresima era il primo rito religioso, era la prima volta nella vita che un bambino si sentiva protagonista di un evento di cui parlava tutta la famiglia. Avevo otto anni, quando la mamma, con fare solenne e misterioso, mi disse che avrei fatto la Santa Cresima. Erano i primi anni del dopoguerra e allora i bambini facevano prima la Cresima della Comunione. Rimasi sorpresa più dal suo tono che dalle parole; sembrava che dovessi crescere tutto insieme “Per essere degna” mi diceva “dovrai essere più buona e obbediente,” dovrai andare tutte le domeniche alla Santa Messa e soprattutto frequentare la dottrina, che insegnano nella canonica della vecchia Chiesa, dopo la messa”. In casa c’era un’atmosfera strana, sentivo la mamma preoccupata “Che gli metteremo addosso a questa povera creatura,” diceva. “bisognerà farle un vestito adatto, almeno quel giorno bisognerà comparire, chissà che vestiti faranno alla nostra vicina o alla nipote del fattore, certo saranno vestiti tutti pizzi e ricami!”. Io cominciai a preoccuparmi immaginando il mio vestituccio da tre soldi, visto che in casa tutto quello che si risparmiava, dividendo perfino i fiammiferi di legno in due, serviva per costruire la casa nuova che aveva già le fondamenta. Diventai triste e cominciai a trovare scuse per non andare più alla dottrina, spiegando che mi faceva paura la Cresima, perché avevo sentito dire che mettevano una fascia sulla fronte delle bambine perché prima gli ci avevano piantato un chiodo. Un giorno la mamma mi prese per mano e mi portò da Bombo, un venditore ambulante che abitava vicino, a comprare la stoffa per il vestito della Cresima. “Ti cucirò io il vestito” mi disse “Poi lo ricamerò a punto gigliuccio e lo intaglierò come un merletto!” Mia madre era una brava ricamatrice, e su quello scampolo di lino bianco incominciò a lavorare. Cucì una gonnellina e un bolerino e, su quelli, iniziò il ricamo tutti i giorni prendeva la seggiolina impagliata e per stare tranquilla andava giù nell’orto, sfilava la stoffa dove doveva nascere il ricamo a punto gigliuccio, e cucì e cucì per giorni e giorni. Finché arrivò il fatidico giorno della Cresima. La mattinami svegliai tutta emozionata, avevo dormito poco dal pensiero, mi lavai il viso con acqua fredda per scionnarmi, e con il cuore che mi batteva forte e le mani che mi tremavano mi accinsi a indossare il vestito bianco. Lo guardai e riguardai pensando di sognare su quel vestito era sbocciata la primavera! Era tutto ricamato con balze di gigliuccio ai bordi e con margherite intagliate sul bolerino e sulla gonnellina. Entrai in bianco foderato di azzurro lasciava intravedere, con il suo ricamo a intaglio, il cielo.


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Mastro Falce

di Giuseppe Furci

C'era una volta mastro Falce, un uomo che definire astuto era troppo riduttivo. La sua furbizia, difatti, era proverbiale. In zona, come imponeva la consuetudine del luogo, veniva chiamato familiarmente "mastru Runcigghiu", equivalente dialettale calabra dell'espressione italiana "mastro Falce". La sua cerchia di amici comprendeva, tra gli altri, Cicco e Peppe, due banditi che si erano guadagnati sul campo la fama di "ira di Dio". Sebbene di tanto in tanto non disdegnassero qualche gita in città, il terreno preferito dei due lestofanti era la campagna, dove potevano scorrazzare indisturbati, seminando il terrore a destra e a manca. Tutti i giorni, domeniche e festivi compresi, sia che fosse primavera, estate, autunno o inverno, uscivano di casa prima del sorgere del sole, per farvi ritorno la sera col buio. La loro ferocia era pari alla loro bizzarria. A volte se la prendevano con qualcuno, anche con amici e parenti, soltanto per puro divertimento o per capriccio. Un giorno è saltato loro il ticchio di uccidere mastro Falce. E tutto per il gusto di beffarsi dell'astuzia del compare. Sarebbero andati a trovarlo quella sera stessa, appena messo piede in paese. Un uccellino, che non visto aveva ascoltato casualmente la loro conversazione, si è premurato di avvertire per tempo in gran segreto la vittima di turno. Mastro Falce si è messo subito all'opera per ritardare l'evento il più possibile, ben sapendo che la propria furbizia gli avrebbe permesso soltanto quello. Li conosceva troppo bene, i mascalzoni, e non ignorava che niente e nessuno sarebbe riuscito a far cambiare loro idea, a fermarli, quando si mettevano certi grilli per la testa. Non aveva dubbio alcuno che, con la loro mania di rispettare puntigliosamente gli orari, si sarebbero presentati a casa sua alle otto di sera. La moglie, che ovviamente aveva accettato di collaborare di buon grado, era, al contrario, estremamente fiduciosa. Il suo sesto senso femminile le diceva che alla fine, in qualunque maniera si fossero messe le cose, la sua astuzia gli avrebbe consentito di trionfare anche contro i bruti. Al momento opportuno, come convenuto col marito, donna Antonuzza ha preparato i fagioli secchi e li ha messi a bollire nella pignatta, il recipiente bombato di terracotta che si usava, e si usa ancora tutt'oggi, per cucinare i legumi con la legna sul focolare. Qualche minuto prima delle venti, marito e moglie hanno ripulito accuratamente il focolare dalla legna, dai carboni e dalla cenere, quindi hanno rimesso al suo posto la pignatta, che ha ripreso a bollire come nulla fosse. Bisogna sapere che il focolare è costruito con mattoni che, quando il fuoco è acceso, hanno la caratteristica di assorbire il calore e di restituirlo per parecchio tempo dopo lo spegnimento della legna. Durante quella fredda giornata d'inverno il fuoco era stato tenuto acceso dalla mattina alla sera. Il focolare, dunque, aveva avuto tutto il tempo di surriscaldarsi a sufficienza, così da fornire alla pignatta, già sufficientemente calda per proprio conto, il calore necessario per continuare a bollire ancora per un bel pezzo. Alle venti, puntuali come i proverbiali orologi Svizzeri, i manigoldi hanno bussato alla porta. "Chi è?" ha chiesto mastro Falce, pur sapendo perfettamente chi fosse. Giustamente doveva evitare accuratamente che scoprissero che era a conoscenza del loro piano criminale. "Siamo noi, i vostri compari!" hanno risposto giovialmente i due energumeni in coro, a loro volta ben decisi a non fargli capire in anticipo quali fossero le loro intenzioni reali. "Apro subito, compari carissimi! -è esploso mastro Falce altrettanto giovialmente, precipitandosi giù per la scala. -A che devo, l'onore della visita dei miei diletti compari?" si è informato appena aperta la porta... "Niente di speciale, compare carissimo! Volevamo soltanto sapere se state bene! -ha risposto prontamente Peppe, non tralasciando di scambiare un'occhiata d'intesa col suo degno compare, come per dire: -Fra poco lo saprai, come, se lo saprai, perché siamo qui!" "Mai stato meglio!” ha risposto mastro Falce con apparente entusiasmo. Sempre gentilissimi, i miei amabili compari! Grazie, grazie di cuore per la vostra delicatezza!" La prima cosa che i banditi hanno notato, salendo al primo piano, è stata la pignatta. Come aveva previsto mastro Falce, sono stati profondamente colpiti dal particolare che bollisse senza fuoco. "Si tratta effettivamente di una pignatta magica, -ha confermato il padrone di casa.- L'ho scovata casualmente ad una fiera e non ci ho pensato due volte, a comprarla, anche se mi è costata un occhio della testa." "Interessante!" ha commentato Cicco con una sincerità disarmante. "Ce la dovete vendere, compare carissimo! -lo ha esortato caldamente Peppe. Purtroppo, il lavoro che facciamo ci porta continuamente in giro, quasi sempre lontanissimo da casa, con la conseguenza che a mezzogiorno siamo costretti ad accontentarci di un po' di pane e di companatico, roba fredda, insomma. Potete immaginare, dunque, quanto ci faccia comodo trovarci a portata di mano dei fagioli caldi." "Che vendita d'Egitto, carissimo compare! Se potessi, ve la regalerei! Due amici e compari come voi non si trovano tutti i giorni! -ha ribattuto mastro Falce con aria scandalizzata. Il guaio è che non posso disfarmene neppure per tutto l'oro del mondo. Sapete benissimo che mia moglie ed io non siamo più giovani, che le forze ci vengono continuamente e rapidamente meno, che ogni giorno che passa ci è sempre più difficile procurarci della legna per il fuoco. Capite, dunque, quanto sia importante, per noi, la pignatta?" "Dimenticate, carissimo compare, che il mio socio in affari ed io disponiamo di un sacco di soldi e che possiamo spendere a nostro piacimento! -lo ha apostrofato Cicco. -Tranquillo, dunque! Ve la pagheremo tanto profumatamente, la pignatta, che, finchè vivrete, vostra moglie e voi potrete comprarvi tutta la legna che vorrete!" Mastro Falce l'ha portata parecchio per le lunghe, prima di decidersi a cedere, così da impedire, ai due, di subodorare l'inganno. "Lo faccio per voi, compari carissimi, non per i soldi! -ha commentato solennemente al termine dell'estenuante tira e molla. -Se fosse venuto a chiedermela mio fratello, la preziosa pignatta, non l'avrei ceduta per nessuna ragione al mondo, ci potete contare!" I banditi non hanno perso tempo ad impadronirsi del recipiente miracoloso e a togliersi dai piedi. Per quella sera, dunque, mastro Falce l'aveva fatta franca, ma non poteva avere alcun dubbio che la sera seguente sarebbero ritornati alla carica. Perciò la mattina successiva si è recato di buonora dal macellaio, comprando una enorme vescica di maiale e tanto sangue, sempre di porco, quanto ne occorreva per riempire la stessa vescica. La moglie aveva approvato senza riserve il suo piano d'azione ed era pronta a sostenere la propria parte. Nel frattempo, i banditi, raggiunto il luogo di combattimento in aperta campagna, avevano sistemato la pignatta già pronta per l'uso su una grossa pietra e si erano allontanati con la certezza che, a mezzogiorno, avrebbero trovato i fagioli bell'e cotti. Si può immaginare qual'è stata, la loro delusione, quando, ritornando presso la pignatta, hanno trovato i legumi crudi. L'acqua li aveva gonfiati soltanto. Poco prima delle venti donna Antonuzza ha sistemato accuratamente la vescica piena di sangue sotto la camicetta, a contatto diretto con la pelle in corrispondenza del cuore, in maniera che non si notasse all'esterno. Quindi ha cominciato a recitare la parte della moglie che aveva sbagliato e che faceva di tutto per convincere il marito a calmarsi. Mastro Falce, da parte sua, si dimostrava sempre più arrabbiato, sempre più furente, inveendo contro la moglie con sempre maggiore irruenza man mano che l'ora fatidica si avvicinava. I banditi sono arrivati puntualmente alle otto. "La comare deve averla combinata grossa, troppo grossa!" ha bisbigliato Peppe all'indirizzo del socio con un sorriso malizioso. "Se il nostro carissimo compare sapesse cosa l'aspetta, fra poco, eviterebbe sicuramente di farsi il sangue acido prima del tempo!" ha ribattuto Cicco con aria canzonatoria. Marito e moglie sentivano benissimo quei colpi sempre più frenetici e poderosi contro la porta, ma, per rendere credibile la propria sceneggiata, dovevano fingersi totalmente assorbiti dalla lite fino all'esasperazione. È appunto perciò che l'uno badava ad inveire, a minacciare sempre più furiosamente, e l'altra pensava a supplicare, ad implorare pietà, sempre più terrorizzata. "Chi è?" si è finalmente deciso a chiedere mastro Falce, dopo averli fatti penare per un bel pezzo, lasciando trapelare ad arte la propria irritazione per quell'intrusione fuori luogo. "Siamo noi, compare Falce!" ha risposto prontamente Peppe. "Chi, noi?" ha insistito il padrone di casa scocciatissimo, fingendo di non conoscere la voce dell'interlocutore. "I vostri compari Cicco e Peppe!" ha chiarito Cicco lanciando la solita occhiata d'intesa al socio. "Perdonatemi, compari carissimi, vi prego! -ha mormorato con finta contrizione mastro Falce, quando, dopo essersi precipitato ad aprire la porta, se li è ritrovati di fronte. -Purtroppo, qualche volta quella fannullona della mia signora mi fa perdere completamente il lume della ragione, e così finisco per non riconoscere neppure i miei migliori compari! Ma io l'ammazzo, per Dio!" "Calmatevi, carissimo compare! -lo ha esortato Peppe con un amabile sorriso. -Non è il caso, credetemi, di prendersela a questo modo! La comare non mi sembra poi tanto fannullona, così cattiva!" "Mi dispiace di non poter essere d'accordo con voi, compare Peppe! -ha ribattuto mastro Falce riprendendo ad agitarsi rabbiosamente. -Purtroppo voi non la conoscete, mia moglie, altrimenti sapreste che non è come dite voi!" "Che ci volete fare, carissimo compare! -ha commentato Cicco, che non vedeva l'ora di conciarlo per le feste. -Purtroppo, le donne sono fatte così e bisogna compatirle!" "A tutto c'è un limite! -ha ringhiato tra i denti il padrone di casa. -Stavolta quella buona a nulla ha superato la misura alla grande ed io la devo ammazzare!" Così dicendo, mastro Falce si è lanciato su per la scala come una furia. I banditi, sorpresi dalla sua veemenza, hanno perso diversi secondi, prima di entrare in azione per fermarlo, un tempo più che sufficiente perché lui potesse impadronirsi di un coltello in cucina e affondarlo nel cuore della moglie. La donna è stramazzata al suolo tra mille spasmi, rimanendo presto immobile in un mare di sangue. "Compare, che avete fatto?" gli hanno chiesto i due all'unisono, sgranando gli occhi di fronte ad uno spettacolo così orrendo. "Niente di grave, compari carissimi!" ha risposto allegramente mastro Falce, come se avesse combinato la cosa più naturale del mondo. "Come, niente di grave? Avete ucciso vostra moglie! Vi sembra poco?" è esploso Peppe in senso di rimprovero, sconcertato non poco per quella che giudicava la più grossa cavolata che gli fosse capitato di sentire in tutta la propria vita. Cicco è rimasto addirittura senza parole. "Di che vi preoccupate, amici miei? L'ho già fatto numerose altre volte!" "Come avete potuto farlo altre volte, se fino a poco fa la comare era viva e vegeta?" ha obbiettato Peppe con gli occhi fuori dalle orbite. "Non è, per caso, che ci volete prendere in giro?" lo ha incalzato Cicco accigliato. "Come potete pensare che possa prendervi in giro, amico mio! -ha osservato il padrone di casa fingendosi quasi offeso. -Vedete, ogni tanto mia moglie si permette il lusso di farmi perdere le staffe ed io le ricambio il piacere uccidendola. Poi ci bevo su e mi fumo una sigaretta, il tutto per calmarmi, e la faccio risuscitare. Adesso che non mi sente, ve lo posso confessare: vedete, in fondo non potrei fare a meno di lei." I banditi, increduli più che mai, lo hanno esortato a far vedere loro come faceva, a far risuscitare la donna, una cosa che giudicavano inaudita, impossibile. "Certo, che ve lo faccio vedere, amici miei! Prima, però, ci beviamo un buon bicchiere di vino e ci fumiamo una sigaretta, due piaceri che, credetemi, sarebbe un peccato mortale non concederci!" Cicco e Peppe erano troppo impazienti di arrivare al dunque, per cui hanno vuotato il bicchiere in un colpo solo e fumato la sigaretta in men che non si dica. Mastro Falce, invece, se l'è presa estremamente comoda. Beveva e fumava con esasperante lentezza, badando a chiacchierare di gusto e fregandosene altamente di tenerli sulle spine. Era inevitabile, dunque, che i due accogliessero con un enorme sospiro di sollievo la sua decisione di passare finalmente alle vie di fatto. Mastro Falce ha tirato fuori da una tasca, sempre con calma olimpica, uno di quegli organetti che si suonano con la bocca, cominciando con qualche nota alla buona e proseguendo con un brano ballabile che via via si faceva sempre più frenetico. Alle prime note la moglie ha aperto gli occhi, cominciando a muovere la testa, le braccia e le gambe. Quando la musica si è fatta più intensa, è balzata decisamente all'impiedi, danzando e cantando sulla scia del suo ritmo sempre più indiavolato. "Basta, marito mio, ti supplico! -ha iniziato ad implorare donna Antonuzza ad un certo punto. -Non ne posso proprio più, credimi!" "Ancora un po', moglie mia! -ribatteva puntualmente mastro Falce smettendo di suonare per qualche secondo. -Così, la prossima volta ti ricorderai meglio e non mi farai più arrabbiare." Durante le pause, seppur brevissime, la donna riusciva a fiatare. Poi la musica riprendeva ancor più frenetica di prima e lei era costretta a ricominciare a danzare al suo ritmo. Bisognava far credere ai banditi che fosse l'organetto, a costringerla a ballare, così come l'aveva fatta risuscitare. Quando mastro Falce, prendendo atto che l'operazione era riuscita alla grande, si è deciso a smettere di suonare, era stanchissima, letteralmente sfinita, e si è lasciata cadere pesantemente su una sedia. Il marito non ha avuto alcun problema a farle capire, senza destare alcun sospetto, che aveva superato se stessa, che era stata veramente fantastica. Non poteva ricevere compenso più gradito. I banditi, che avevano seguito ogni cosa senza perdersi una virgola, sono stati costretti ad arrendersi all'evidenza dei fatti, sebbene non riuscissero a spiegarsi come potessero accadere delle cose del genere. Hanno chiesto a mastro Falce di vendere loro l'organetto magico, e tutto perché, essendo più nervosi ed impulsivi di lui, sarebbe tornato loro utilissimo... Chiaramente erano disposti a non badare a spese, pur di accaparrarselo. Tutto si poteva dire, di loro, meno che alle mogli non volessero un bene dell'anima. Malgrado non fossero sempre teneri neppure con loro, le adoravano! "Ed io come la metto? -si è lamentato mastro Falce.- Avete visto pure voi come sono combinato, no?" "All'occorrenza potrete rivolgervi sempre a noi, -ha sentenziato Peppe anche a nome del compagno.- Che compari saremmo, se non vi dessimo una mano in caso di bisogno?" Il tira e molla è andato avanti per un bel po', ma alla fine, come da programma, mastro Falce si è lasciato convincere a cedere, intascando una bella sommetta. Certo, si trattava di una magra consolazione, se pensava a ciò che lo avrebbe atteso, ma per il momento l'aveva fatta franca, e ciò, in fondo, era quello che contava. I due banditi sono usciti di casa euforici come bambini. Per la strada litigavano aspramente per stabilire chi dovesse usare l'organetto per primo. Alla fine, nemmeno loro sapevano come, sono riusciti a trovare un accordo, decidendo che il privilegio sarebbe toccato a Cicco. Il fortunato ha raggiunto casa propria come una furia, bussando rabbiosamente alla porta con mani e piedi. La moglie è corsa ad aprire col cuore in gola. Sapeva, per esperienza, che, quando il marito si presentava in quello stato, c'era poco da scialare. Quella sera, infatti, Cicco si inventava ogni sorta di scusa, per aggredirla a tutto spiano. Qualunque cosa lei dicesse o facesse non gli stava bene. Così ha finito per vibrarle un tremendo colpo di pugnale sul petto, in corrispondenza del cuore, facendola stramazzare per terra in una pozza di sangue. A quel punto il bandito si è seduto comodamente a tavola, come aveva visto fare a mastro Falce. Sempre come aveva visto fare a mastro Falce, ha bevuto un grosso bicchiere di vino e fumato una sigaretta, il tutto con una lentezza esasperante, pregustando col massimo del godimento il momento in cui avrebbe messo mano e bocca all'organetto. A cose fatte, ha recuperato lo strumento dalla tasca e ha cominciato ad emettere le prime note con lo sguardo fisso sulla moglie, aspettandosi di vederla dare segni di vita, come aveva visto fare alla moglie del compare. Solo che, mentre comare Antonuzza si era mossa fin dalla prima nota, la sua signora rimaneva ostinatamente immobile al centro della pozza di sangue. "Evidentemente non suono bene!" ha concluso l'uomo, disperato, facendo di tutto per ricordare ed imitare i movimenti e le note di mastro Falce. Purtroppo, per quanto accelerasse o diminuisse la velocità e l'intensità della musica, provando anche a cambiare brano, il risultato rimaneva inesorabilmente lo stesso. E' andato avanti fino all'alba sempre più in preda allo scoramento, seppur sorretto dalla speranza di riuscire a trovare la combinazione musicale giusta. Alla fine, è stato costretto ad arrendersi all'evidenza dei fatti. Era afranto, distrutto dal dolore. Voleva talmente bene alla moglie, che, se non avesse avuto la certezza di poterla risuscitare, non avrebbe compiuto il folle gesto per nessuna ragione al mondo. La sua ira contro mastro Falce ha raggiunto vette mai toccate in precedenza. Il suo unico desiderio era quello di annientarlo. Non gliene fregava niente che fossero stati lui ed il compagno a provocarlo con la loro assurda pretesa di farlo fuori senza alcun motivo. "Peppe ed io abbiamo sempre fatto tutto assieme, indovinato e sbagliato tutto insieme, -ha mormorato tristemente tra sé e sé. -Perciò, non è giusto che paghi soltanto mia moglie. Anche la sua deve fare la stessa fine! Solo dopo penseremo a mastro Falce, e può essere certo che stavolta la sua furbizia non gli servirà a niente." Ha chiuso ermeticamente la cucina, si è lavato e cambiato accuratamente, quindi si è comportato come sempre, chiudendo l'uscio esterno e attendendo Peppe in strada. L'unica variazione sul tema è stata quella di dimostrarsi allegro più del solito, così da impedire al socio di sospettare qualcosa. Solo a cose fatte gli avrebbe rivelato la verità vera. "Allora è proprio vero, che l'organetto del compare funziona!" ha osservato Peppe vedendolo così pimpante. L'ansia di appurare com'erano andate le cose gli aveva messo le ali ai piedi. "Meglio di così non poteva andare, credimi! -è esploso Cicco entusiasticamente. -Mia moglie ha ballato per tutta la notte. Dovevi vederla, la mia adorata, come ballava di gusto! Quand'è andata a letto, poco fa, era talmente stanca morta, che si è addormentata quasi all'istante." Peppe ha intascato l'organetto con l'entusiasmo del bambino che non vede l'ora di trovarsi al luna park. La sera e la notte successive si è comportato esattamente come Cicco, ovviamente col medesimo risultato finale... La mattina seguente si è presentato al cospetto dell'amico affranto dal dolore. "A me è andata male, amico mio!" ha osservato, scuro in volto. "Perché, a me è andata meglio?" ha ribattuto l'altro aprendo la porta della cucina, dove la consorte giaceva ancora nella pozza di sangue. I banditi non ci hanno pensato due volte a lasciar perdere il lavoro, per quella mattina, e ad avviarsi in fretta e furia verso la casa del compare. Mastro Falce li attendeva rassegnato, ben sapendo che l'aveva combinata troppo grossa, per poter sperare di farla nuovamente franca. I due lo hanno chiuso in un sacco e si sono incamminati in direzione del mare, portandolo a turno sulle spalle, con la ferma determinazione di gettarlo in pasto ai pesci. In aperta campagna entrambi si sono trovati improvvisamente a fare i conti con la necessità impellente di dover svuotare l'intestino. Hanno appoggiato il sacco per terra ai piedi di un albero, sicuri che nessuno l'avrebbe notato, e si sono allontanati di parecchio, così da mettersi al riparo da occhi indiscreti. Non avevano fretta, ciò che contava era che portassero a termine la loro missione senza intoppo alcuno, per cui se la sono presa comoda, anche troppo. Peppe e Cicco avevano fatto appena in tempo ad imboscarsi, quando Mastro Falce si è accorto che un giovane pastore stava arrivando verso di lui col suo gregge. Tirare fuori dal cilindro magico uno dei suoi proverbiali conigli e passare alle vie di fatto è stato tutt'uno. Ha atteso che giungesse a portata di orecchio, quindi ha cominciato a piagnucolare, lamentandosi per la malasorte che lo perseguitava. Inizialmente il pastore non gli ha badato, poi si è avvicinato sempre più incuriosito. "Che hai, da lamentarti a quel modo?" ha domandato infine. "E me lo chiedi? -ha risposto mastro Falce tra un lamento ed un altro, incavolatissimo. -Vogliono farmi sposare la figlia del re ed io non la voglio. Non la voglio, capisci?" "Vogliono farti sposare la figlia del re e tu non la vuoi?" ha insistito l'altro, che credeva di non aver capito bene. "Proprio così! -ha confermato mastro Falce scoppiando in un pianto accorato. -Vogliono farmi sposare la figlia del re ed io non la voglio!" "Allora è proprio vero, che il Signore manda il pane a chi non ha i denti! -ha commentato sconsolatamente il giovane.- Perché una fortuna simile non è capitata a me?" "Se proprio ci tieni, posso cederti il mio posto, -ha ribattuto mastro Falce con convinzione. -A giudicare dalla voce, sei molto più bello di me, e la principessa non potrà non accettarti con gioia." "Quand'è così, esci dal sacco!" lo ha esortato il pastore con l'atteggiamento di chi aveva ricevuto in dono la luna. "Come faccio, ad uscire dal sacco, se non sleghi la corda?" ha obbiettato mastro Falce. "Hai ragione, amico mio! Quanto sono stupido!" Il pastore si è affrettato ad aprire il sacco e a prendere il suo posto. Mastro Falce ha sigillato il sacco con altrettanta sollecitudine. Più volte, in precedenza, gli era capitato di vedere all'opera Cicco e Peppe mentre chiudevano dei sacchi, ed ogni volta era rimasto puntualmente stupito nel notare che entrambi si comportavano sempre alla stessa maniera. Non ha avuto problemi, dunque, ad annodare la corda esattamente come avevano fatto loro. Sebbene avesse fretta di allontanarsi con le pecore di quel tanto che bastava per nascondersi alla vista dei banditi, non ha dimenticato di fare la predica al pastore. "Attento a ciò che fai, se ci tieni a non cacciarti nei guai e a sposare la figlia del re! Se quelli scoprono prima del tempo che hai preso il mio posto, non solo verranno a cercare me, ma ti uccideranno peggio di un cane! Quando giungerete alla corte del re, invece, non potranno più muovere un dito. Qualunque cosa accadrà, prima di trovarti al cospetto della principessa, dunque, dovrai fare finta di non vedere e di non sentire. Uomo avvisato, mezzo salvato!" "Tranquillo, non vedrò e non sentirò!" lo ha rassicurato l'inconsapevole malcapitato. Si dava il caso che il giovane e mastro Falce avessero pressappoco lo stesso fisico e lo stesso peso. E' appunto per ciò che, al loro ritorno, Cicco e Peppe non si sono accorti minimamente dello scambio di persona. Recuperato il sacco, hanno raggiunto il mare e lo hanno buttato in acqua agganciato ad un enorme macigno, così da non lasciare scampo alcuno al suo ospite. Durante il viaggio di ritorno erano euforici, più soddisfatti che mai, per aver reso la pariglia all'odiato compare. Ora che il peggio era passato, seppur a discapito di un povero innocente, la vita aveva ripreso a sorridere a mastro Falce. Per un campione di astuzia del suo calibro, è stato un giochetto da bambini approntare un piano d'azione per mettere fuori combattimento una buona volta per tutte i suoi persecutori. Li ha attesi al varco, pascolando il gregge nella zona dove a loro insaputa era stato effettuato lo scambio di persona, per fare loro una bella sorpresa. Qualche minuto prima che giungessero sul posto, ha cominciato ad inveire sempre più rumorosamente ora contro questa, ora contro quell'altra pecora, anche se, in realtà, gli ovini erano tutt'altro che ribelli. Cicco e Peppe non credevano ai propri orecchi, quando, ad un certo punto, è sembrato loro di sentire la sua voce. Hanno accelerato il passo di brutto, rosi dalla curiosità di verificare prima possibile se fosse realmente lui e, ppena lo hanno avvistato, poco dopo, non hanno potuto fare a meno di ammettere che ne sapeva sempre una più del diavolo. "Vi devo rimproverare di brutto, compari carissimi! -li ha apostrofati severamente, accigliatissimo, quando se l'è ritrovati di fronte. -Se mi aveste buttato al largo appeso ad un macigno, invece di buttarmi vicino alla riva appeso ad un sassolino, avrei preso molti più animali e, cosa che non sarebbe guastata, di gran lunga più grossi! Invece mi sono dovuto accontentare di questi quattro animaletti! Pazienza, sarà per la prossima volta! La prossima volta, mi raccomando, dunque, fate le cose come si deve!" "Volete dire che quelle pecore le avete prese in fondo al mare?" gli ha domandato Cicco, sgranando gli occhi al pari del socio in affari. "Scusate, non mi avete buttato a mare voi stessi?" ha ribattuto mastro Falce con calma olimpica. I banditi non potevano certo sostenere il contrario. "Quand'è così, ritorniamo indietro e ci buttiamo a mare pure noi! Che ne dici?" ha chiesto Peppe al socio, pronto a saltargli addosso e a sbranarlo, se si fosse azzardato a contraddirlo. Non c'è stato bisogno che attuasse i suoi progetti bellicosi, Cicco era ancor più entusiasta di lui e non ha perso tempo a lanciare il proprio proclama di guerra: "Ne prenderemo tantissimi, di animali, i più grossi, e diventeremo ricchi sfondati!" Entrambi hanno accettato con estrema gratitudine la mano tesa di mastro Falce, che si era dichiarato disponibile a dare loro un paio di consigli preziosi, a patto che avessero voglia quanto meno di ascoltarlo, e lo hanno seguito in religioso silenzio. "Prima di tutto vi suggerisco di allontanarvi dalla riva quanto più vi riesce. Non dimenticate che più in alto mare andrete, più numerosi e più grandi saranno gli animali che troverete. Poi buttatevi in acqua con addosso i macigni più grossi che riuscirete a recuperare, così da giungere sul fondo il più rapidamente possibile. Solo arrivando alla velocità di un fulmine riuscirete a sorprendere gli animali. Vedete, più grosse sono, quelle bestie, e più svelte sono ad accorgersi del pericolo e a scappare. Se, invece, riuscirete ad afferrarne una, di bestia, posso garantirvi, sulla base dell'esperienza che mi avete costretto a fare, che gli altri animali non scapperanno più. Così potrete catturarli tutti senza alcuna difficoltà." Gli ingenui banditi sono ritornati in fretta e furia a mare, si sono procurati una barca enorme e due giganteschi macigni. Una volta in alto mare, se li sono legati accuratamente al collo e si sono tuffati in acqua, annegando miseramente in un batter di ciglia. Mastro Falce, rientrando a casa, ha trovato la moglie in agitazione. Qualcuno l'aveva avvertita di aver visto il marito in compagnia di un grossissimo gregge di pecore, inducendola ad attenderlo sulla porta d'ingresso. Era combattuta tra la convinzione che difficilmente i banditi si sarebbero fatti fregare un'altra volta e la speranza che la sua astuzia proverbiale gli permettesse di trovare un'altra buona soluzione per togliersi dagli impicci. Da quel momento in poi, marito e moglie sono vissuti felici e contenti, non dimenticando, di tanto in tanto, di rivolgere il loro pensiero riconoscente allo sfortunato pastore che si era inconsapevolmente immolato al posto di un altro.


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Il nostro albero

di Patrizia Carlotti

Di sentinella, su quella collina resti immobile, beatamente ascolti musica sinfonica del frusciare delle foglie, quale melodia soave più amata da te...
Adori restare in silenzio ad osservare il giorno che arriva, passa, tramonta e invecchia...
Scegliesti il nido dove stabilirti, mettere radici, e far nascere i tuoi frutti...
Ben dritto sul tappeto verde speranza, osservi sbocciare fiori profumati, colorando ogni momento, e sorridi compiaciuto mentre animaletti giocondi si divertono a rincorrersi ...
I piedi più saldi affondono la terra, non tremeranno mai...
Saggio e stabile, pozzo profondo di sapienza , attingiamo acqua pura, dissetandoci costantemente senza togliere l'arsura... Padre, olivastro dalla pelle dura, sicuro e forte, sei l'olio buono, nutriente e genuino, rifocillandoci, cresciamo sani, con valori sinceri...
Rigoglioso, imponente, maestoso, il vento ti parla, il sole scalda la chioma folta e misteriosa...
Sei ossigeno che respiriamo, sei vita...
Rifugio caldo, dove noi uccelli migratori disorientati e impauriti, torniamo sempre, trovando consolazione tra le braccia tue accoglienti.
Finalmente a casa, ritroviamo pace, l'equilibrio perduto, le origini...
Dall'alto dei tuoi anni nulla ti scalfisce,
albero giovane fuscello ieri, albero grande maestro oggi!

Dedicato al mio adorato babbo...


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Riflessioni e critiche

Il rumore del diabete

di Annalisa Conte

il diabete quando arriva fa un gran baccano! Tu te ne stai lì tranquilla e ti esplode accanto questa bomba, quando non sapevi nemmeno di essere in guerra. Arriva questa parola che stride, "diabete"... Che sembra abbia un suono diverso a seconda di chi la pronuncia, spaventosa nella voce dei medici, quasi dolorosa quando, a pronunciarla, è tua mamma che la mischia alle sue lacrime, addirittura straziante quando è urlata dai silenzi di tuo papà, fino a diventare impalpabile quando sei tu a pronunciarla, tu, una bambina, Che con la sua ingenuità si chiede:" il diabete... ma quando se ne andrà"?... "perché... se ne andrà... vero"...?!?!?! Sono ormai trent'anni che io e il Signor Diabete ci teniamo per mano! Al suo esordio non avevo neanche 12 anni, ma tornando indietro con i ricordi, forse in quel momento non l'ho vissuto nemmeno come un trauma perché, nonostante i medici me lo avessero presentato come slogan del diamante tipo "un diabete è per sempre”, a 12 anni, evidentemente, non avevo ancora molto chiaro il concetto del “per sempre”. Ero convinta che si, forse sarebbe durato per un po', ma poi tutto sarebbe andato a posto, con l'ingenuità che solo un bambino può avere. Crescendo, più o meno verso i 15 anni, il concetto del “per sempre” ha iniziato a diventare molto più chiaro, e ovviamente anche pesante e soffocante. In quel momento non mi sentivo più presa per mano dal signor D. ma sentivo la sua catena stretta intorno al collo! Questo perché a 15 anni, oltre al signor D., è arrivato qualcun altro a disturbarmi: l'adolescenza! L'adolescenza è quella voce interiore che arriva nella vita di ogni bambino e gli dice: da questo momento devi essere stronzo. E quel bambino, che fino ad un minuto prima era un angelo sceso dal cielo, diventa un essere odioso e insopportabile! Probabilmente anche io in quel periodo sono stata davvero insopportabile, perché credetemi, non era facile mettere d'accordo me, il Signor D. e l'adolescenza. Cominciavamo ad essere decisamente in troppi! Ma, fortunatamente, l'adolescenza è comunque una fase e, come succede a tutti, ne sono uscita illesa. Io crescevo e cresceva in me una diversa consapevolezza. Ormai la catena al collo non c'era più, e il Signor D. era tornato a prendermi per mano! Avevo poco più di vent'anni e la mia vita aveva preso una piega abbastanza tranquilla, era un momento molto sereno perché, nonostante il Signor D. mi camminasse sempre accanto, non potevo certo lamentarmi della mia vita. Frequentavo l'università, avevo anche trovato un lavoro come babysitter; insomma, apparentemente era tutto normale. Se non fosse che il Signor D. comunque c'era. Io avevo 26 anni, quindi quasi 15 anni di diabete, un diabete difficilissimo da tenere a bada, un continuo sali e scendi. Tra tutte le mie consapevolezze c'è sempre stata anche quella di sapere bene quali fossero le complicanze del diabete, ed è per questo che quel giorno ho capito subito che qualcosa non andava! Era Gennaio 2004, ero a casa a studiare per un esame, quando mi sono resa conto che mentre leggevo, vedevo sul libro dei piccoli cerchi, all'interno dei quali l'immagine tremava, come quando guardi il fuoco! Avevo già avuto nei giorni precedenti episodi simili, ma erano durati pochi secondi, mi ero recata più volte dalla mia oculista, lamentando questo disturbo. Lei mi controllava il fondo dell'occhio dicendomi che era tutto a posto e diceva di vedere soltanto il cristallino un po' opacizzato, ma che non era nulla di grave. Quando le domandai se non fosse il caso di fare qualche esame più specifico, essendo diabetica, lei mi rispose che conoscendomi da più di vent'anni, si sarebbe resa conto subito se ci fosse stato qualcosa che non andava, e siccome insistevo, mi disse che l'unica cosa che potevo fare era un campo visivo, dal quale non risultò assolutamente nulla. Ma quella mattina il disturbo non andava via, quei cerchi che vedevo erano sempre di più, e sempre più fastidiosi, e ho iniziato a preoccuparmi davvero. Quel giorno la mia oculista era irreperibile, ma riuscii a trovare un altro oculista. Chiamai subito, spiegando la situazione, e mi fu detto di recarmi lì il pomeriggio stesso! L'urgenza di quell'appuntamento mi convinse che c'era davvero qualcosa che non andava. Il pomeriggio il professore che mi visitò fu molto accurato e metodico, mi disse che il giorno dopo avrei dovuto fare una fluorangiografia, anche se lui era già molto sicuro di quello che aveva visto. Secondo lui si trattava di retinopatia, presente già ad entrambi gli occhi, anche nell'occhio in cui non avevo ancora disturbi, ma dalla gravità della situazione era convinto che il problema fosse presente da più di un anno, e che nessuno se ne fosse mai accorto. La risposta della fluorangiografia fu molto peggiore di quello che mi aspettavo: retinopatia diabetica proliferante ad entrambi gli occhi. Nell'occhio destro le emorragie erano state così copiose che il sangue si era cristallizzato, aveva attirato a sé la retina e l'aveva strappata! Infatti, all'occhio destro avevo già perso 6 decimi. Non fu difficile capire che quello che mi stava succedendo era molto grave, lo capii soprattutto dal tono triste e paterno del professore che mi spiegò tutta la situazione, senza mai smettere di accarezzarmi la testa! Ecco questo è il regalo che mi ha fatto il signor D., una grave malattia che col tempo mi ha portato via completamente la vista, la retinopatia diabetica proliferante. Insomma, il diabete è un inquilino scomodo, chiassoso e rumoroso, e con continui sbalzi di umore, E la convivenza non è affatto semplice. Ci sono giorni in cui vorresti chiuderlo fuori e non farlo più entrare, o magari scappare tu lontano da lui, ma il contratto con lui è senza scadenza, e quindi che fare? Niente, conviverci, imparare a conoscerlo, e saperlo accettare per quello che è.


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Smart working: facciamo un po’ di ordine

di Mario Lorenzini

Durante il periodo di lock-down molti hanno continuato, alcuni parzialmente, a lavorare in tecnologia remota. La dicitura esatta della traduzione in lavoro agile si può spesso associare a home working, ossia lavorare a casa. Per molti ciò ha rappresentato un’opportunità per proseguire la propria attività. Per altri, una novità, non sempre ben accolta. Poca dimestichezza coi mezzi informatici, approccio mentale assente. Esempio: Amministrazione comunale; preparazione di un documento che richiede l’approvazione del segretario generale. Finché si stava in ufficio, fisicamente, l’impiegato o lo staff addetto alla stesura delle varie parti del documento redigeva il tutto stampandolo di tanto in tanto, alzandosi dalla postazione, con il supporto cartaceo in mano e lo sottoponeva agli altri collaboratori. In ultima analisi il visto del segretario comunale, già da tempo apposto con firma digitale. Ecco, in casi come questi, il lavoro al di fuori della sede non risente di particolari impedimenti. Il testo scritto può essere tranquillamente inviato agli altri componenti lo staff e al segretario, via mail o condivisione cloud. Non c’è bisogno di sprecare carta o andare di persona di fronte ad un altro impiegato. La resa finale è identica. Il contatto sociale è tutto ciò che manca: aggiungere dell’ironia o altro di personale, una battuta piacevolmente scambiata tra colleghi che, pare, aiuti così a migliorare la qualità del lavoro e del risultato finale. Noi usiamo le macchine ma non lo siamo. Se volessimo poi un surrogato del dialogo verbale e visivo, il buon vecchio skype può servire, anche se ci sono altre soluzioni. Ma teniamo ben presente quanto ho detto sopra: in concreto, non c’è necessità alcuna di andare da una stanza all’altra, da un superiore con le pagine stampate, in qualche caso ben racchiuse in una cartellina, in molti altri raffazzonate o mancanti. Tutto può svolgersi allo stesso modo stando a casa o in altro luogo che non sia la sede dellasocietà. Ci sono aziende che, da anni, lavorano in questo modo. Pochi strumenti, dall’ingombro ridotto, come notebook e tablet, pen drive o altre memorie di massa. Sono ormai apparecchiature sufficientemente potenti e leggere, facili da usare, anche se non siamo seduti nella stanza a noi riservata in ufficio. In caso di organizzazioni con molti dipenddenti in smart working, non possono esserci altro che vantaggi: massima flessibilità personalizzata per il lavoratore, ad esempio, con indubbio rendimento maggiorato: la persona è libera di pianificare il proprio orario, con spostamenti e obiettivi; anche nell’eventualità di presentazione di nuovi prodotti, anziché mettere su una riunione in una sala per più papabili clienti, sarà l’incaricato aziendale a recarsi da ogni singolo cliente, mettendolo così a proprio agio nella scelta dei giorni liberi disponibili per l’incontro. Spesso infatti non si riesce a conciliare un certo numero di partecipanti ad un evento. E se l’organizzatore andasse di persona da ognuno di loro? Ovviamente ipotesi realizzabile se il numero dei contatti non è elevato. Ddimostra la disponibilità dell’azienda ad andare incontro alle esigenze altrui. Il discorso vale, più che altro, per settori di vendita con rappresentanti, cosa già esistente. Pensiamo però a casi di impiegati pubblici e privati. C’è stata un po’ di reticenza e lentezza nell’applicazione del lavoro “furbo”. Spesso accompagnata anche da negazione immotivata da parte di dirigenti, saldamente ancorati a filosofie lavorative del passato, forse giuste in certi casi ma che, proprio in occasione del corona virus, avrebbero dovuto evidenziare potenzialità e adattamento. Qualcuno ha tirato fuori la balla dei dipendenti che, standosene tra le mura domestiche, non lavorano. La mentalità è quella del controllore che deve vigilare sui propri dipendenti essendo loro vicino, insomma, con il fiato sul collo; Questa arretratezza psicologica è avallata da un principio gerarchico oppressivo, spesso non tradotto in un rapporto lavorativo leale e rispettoso. Il padrone che tiene sotto il piede il garzone.. Con la scusante di questa metafora sono stati insultati onesti lavoratori che hanno svolto diligentemente la loro attività pur restandosene lontani dalla sede abituale. Qualcuno, verso la seconda fase di uscita dal lock down ha pronunciato questa frase infelice: Ora che la situazione è migliorata, finalmente le persone possono tornare a lavorare». Come se smart working fosse sinonimo di bighellone. E poi ha aggiunto: «I nostri ristoratori che nella pausa pranzo avevano dipendenti a mangiare non fatturano più» . Non ricordo le esatte parole ma il senso è che una persona dovrebbe andare al lavoro, per poi, nello stacco lavorativo, consumare nei locali vicino l’azienda. Francamente è un ragionamento deludente. Non posso portarmi un panino da casa? Perché mi piace di più, per risparmiare, o solo perché mi va così. No, devo essere obbligato a mangiare in un locale per… sostenerlo. Ecco perché lo smart working non va bene. Che pensieri distorti . è comprensibile la catena lavoratore azienda e locale ristorante, le persone hanno sicuramente necessità, oltre che piacere, di alimentarsi. Che però si prenda lo smart working a nemico dei somministratori di vivanbe beh, non è tanto l’eccessivo, quanto il ridicolo. Diciamo che la fonte di guadagno per queste attività dovrebbe essere convogliata, se non del tutto almeno in parte, verso altri bacini. A cena nei ristoranti ci si può andare al di fuori dell’orario lavorativo, forse più spesso e spendendo di più, se l’avventore è un lavoratore in smart working, contento e rilassato che, a fine giornata, decide,magari con la moglie e tutto il resto della famiglia, di regalarsi una cenetta in pizzeria. Mentre invece, chi è costretto a spostarsi da casa per lavorare, con relativo disagio,occupa un posto in quel fast food, però… dopo il turno di lavoro è talmente stressato che non penserà minimamente alla possibilità di uscire di nuovo per andarsene in un localino carino. Chissà, forse questo e il vero ruolo di certi ristoranti. Ma passiamo oltre. Il lavoro agile non è soltanto estensione delle possbilità lavorative fuori uffficio. È importante strumento di ausilio per consentire la prosecuzione lavorativa ai disabili. Nelle settimane e mesi trascorsi, molti centralinisti non vedenti hanno sperimentato favorevolmente l’adozione di questa soluzione. Le comunicazioni dirette all’azienda, in questo caso, sono dirottate verso un telefono cellularesempre a portata di mano dell’operatore. Egli può rispondere e dare informazioni, né più né meno di come farebbe standosene seduto davanti alla sua abituale consolle. Pare che l’unica pecca sia ancora l’impossibilità di trasferire le chiamate entranti ai derivati; ma è questione di poco. Per quale motivo un non vedente non dovrebbe lavorare nei periodi di corona virus? La domanda corretta è come può recarsi al lavoro e, anche lì, mantenere il distanziamento sociale richiesto, se non può vedere? Accorgersi delle persone che si avvicinano o non avvicinarsi lui stesso troppo agli altri? Per questa ragione, tramite uno degli innumerevoli dpcm, i minorati visivi hanno goduto dell’esenzione lavorativa per il lasso di tempo ritenuto a maggior rischio di infezione. Ma alcuni si sono sentiti inutili e lo sono stati realmente, per la loro amministrazione. Ed è accaduto perché non è stato concesso loro lo smart working. Queste decisioni sono da imputare a due motivazioni: ottusità mentale dei dirigenti che, non di rado, frenano innovazioni tecnologiche ormai attuabili perché non sono in grado di gestirle; similmente, si rallentano le immissioni tecnologiche perché porterebbero a una diminuzione del lavoro di supervisione dei dirigenti e questo, ovviamente, non è gradito. Molto spesso infatti, chi si trova ai vertici di comando, benché in possesso di una o più lauree, fonda la sua formazione su passaggi burocratici obsoleti, inutilmente applicati se non al fine di provare la profonda conoscenza di tecnicismi legali e amministrativi che ormai hanno fatto il loro tempo. Il mondo è cambiato negli ultimi decenni ma i funzionari pare non se ne vogliano rendere conto. Girando e rigirando tra regolamenti e leggi applicate a vario titolo, impediscono l’entrata in gioco di apparecchiature che,non solo favorirebbero l’inclusione sociale, ma aumenterebbero la produttività. I lavoratori si sentirebbero più invogliati e positivamente centivati verso l’azienda. Come mai ci si ostina a mettere i bastoni tra le ruote quando, dietro l’angolo, c’è la possibilità di migliorarsi, a tutto vantaggio dell’amministrazione; E senza costi aggiuntivi o comunque trascurabili. Nel caso specifico dei centralinisti non vedenti, l’unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, ancor prima del corona virus, attenta alle novità informatiche, consigliava l’adozione dello smart working per tutti quegli operatori in difficoltà di spostamento; Ora più che mai lo raccomanda ad alta voce. Ma solo in pochi hanno ascoltato e recepito il messaggio. Sono quelle persone, capi di società o enti pubblici, che hanno valorizzato intelligentemente i loro dipendenti, rendendoli ancor più partecipi della loro organizzazione. A loro un plauso e un augurio di prosecuzione in tale direzione. Nota negativa invece è riservata a tutti gli altri dirigenti che, in mancanza di una sensata indicazione, hanno vietato ai loro centralinisti di poter dare il loro contributo anche lavorando da casa. Invito anch’io, caldamente, questi soggetti a riflettere sul grave errore di valutazione che hanno commesso. Il lavoro, nel prossimo futuro, indipendentemente da un fattore pandemico, potrebbe essere il risultato di un mix di presenza in azienda e mobilità remota. Per cui, è bene spingere sull’introduzione di tecnologia per il lavoro agile, purché vada di pari passo con le approvazioni deliberate dai dirigenti verso i loro dipendenti.


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La manipolazione mediatica di Sylvain Timsit

Tratto da Lista Mente gruppo Sublimen

Avete mai sentito parlare di manipolazione mediatica? Grazie agli studi di Sylvain Timsit, possiamo parlare di 10 strategie di persuasione dei mass media. Storicamente, i media hanno dimostrato di poter influenzare e modificare l'opinione pubblica. Grazie a essi, i movimenti sociali sono stati creati o distrutti, le crisi finanziarie sono state nascoste e/o sono state stimolate correnti ideologiche. A partire da ciò, sono emersi diversi studi e teorie, come le strategie di manipolazione mediatica descritte da Sylvain Timsit. Il concetto di manipolazione mediatica è stato generalmente attribuito a Noam Chomsky, seppur erroneamente. L'intenzione dell'autore francese, vero padre di questa definizione, era evidenziare gli strumenti psicosociali che consentono di distogliere l'attenzione pubblica dai fatti veramente importanti. In questo modo, i veri problemi sofferti dalla popolazione vengono ridimensionati attraverso la manipolazione mediatica; ciò favorisce lo sviluppo di una società più sottomessa e meno critica. La manipolazione mediatica secondo Sylvain Timsit 1. La strategia della distrazione La prima strategia di manipolazione mediatica di Sylvain Timsit è la distrazione, poiché è l'elemento primordiale del controllo sulla società. Consiste nel distogliere l'attenzione del pubblico da questioni importanti. Attraverso il dilagare di continue distrazioni e informazioni su questioni banali, il pubblico non sarà interessato alle questioni essenziali della politica, della cultura, dell'economia o dei problemi sociali. Si tratta di mantenere l'attenzione lontano dai veri quesiti della vita, spostandola verso problematiche minori, non fondamentali. Lo scopo è mantenere il pubblico impegnato con banalità, senza lasciargli tempo o spazio per pensare. 2. Creare problemi e offrire soluzioni per ottenere la manipolazione mediatica Questa strategia di manipolazione mediatica consiste nel creare un problema per causare una reazione nel pubblico che finirà per chiedere e accettare volentieri la soluzione che chi è al comando voleva adottare sin da subito. Per esempio, creare una crisi economica in modo che la gente accetti come "male necessario" una riduzione degli stipendi e dei diritti dei lavoratori, nonché dei servizi pubblici. Un altro esempio è fornire dati falsi sulla violenza urbana (rapine, stupri, omicidi), in modo che il popola finisca per esigere e accettare (nuovamente) politiche repressive più dure e una progressiva limitazione delle proprie libertà. 3. La strategia della gradualità Si tratta di favorire l'accettazione di una misura esagerata o ingiusta, applicandola gradualmente, poco per volta, anche per anni. È così che negli Anni '80 e '90 sono state imposte condizioni socioeconomiche radicalmente nuove, come il neoliberismo. Il popolo ha infine accettato le dannose privatizzazioni e la crescente precarietà. 4. La strategia della differenza Un altro modo per indurre ad accettare una decisione impopolare consiste nel presentarla come "dolorosa, ma necessaria", ottenendo l'accettazione pubblica con la promessa di applicarla in futuro. È più facile accettare un sacrificio futuro che uno immediato, perché lo sforzo non deve essere fatto subito. Questo spinge ad abituarsi all'idea del cambiamento e accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento. 5. Parlare da una posizione intellettuale superiore La maggior parte della pubblicità rivolta al grande pubblico fa uso di un linguaggio un po' infantile in quanto ad argomenti, personaggi e intonazioni, come se lo spettatore non fosse maturo o non fosse in grado di capire certe idee. Quando si vorrà ingannare il pubblico, basterà adottare una posizione intellettuale superiore, ovvero usare termini e forme complicate a cui la gente non è più abituata. 6. Appello all'aspetto emotivo piuttosto che alla riflessione Risvegliare il lato più emotivo delle persone è una tecnica classica per bloccare l'analisi razionale di una situazione, così come il pensiero critico. D'altra parte, l'uso di un registro emotivo fa appello al comportamento istintivo, basato soprattutto su desideri o paure. 7. Mantenere il pubblico nell'ignoranza Un'altra strategia di manipolazione mediatica proposta da Sylvain Timsit è rendere il pubblico incapace di capire le tecnologie e i metodi usati per controllarlo. Questo vale per i tagli all'istruzione, degli insegnanti, delle borse di studio, dei master più costosi, precludere posizioni, ruoli e carriere alla maggioranza della popolazione. 8. Manipolazione mediatica: abituare il pubblico alla mediocrità La manipolazione mediatica promuove la convinzione che essere volgari, ignoranti, non studiare e non sapere troppo è socialmente apprezzabile e alla moda, come si può osservare dall'infimo valore informativo della stragrande maggioranza dei programmi televisivi. 9. Rafforzare il senso di auto-colpevolezza Convincere l'individuo che è l'unico responsabile dei suoi fallimenti, causati soprattutto dalla sua scarsa intelligenza, dalle sue mediocri capacità o dai pochi sforzi fatti. Invece di ribellarsi al sistema, la persona si biasima e si sottovaluta in partenza. 10. Manipolazione mediatica: conoscere gli individui meglio di loro stessi L'ultima strategia di manipolazione mediatica studiata da Sylvain Timsit si basa sullo sviluppo di un sistema che consente di sapere tutto sulle persone, grazie a scienze quali la biologia, le neuroscienze o la psicologia. Ciò consente un controllo quasi totale sulle masse. Conoscere queste strategie non impedirà ai potenti di usarle a proprio favore. Tuttavia, permetterà a tutti noi (in quanto individui all'interno di un gruppo molto ampio: la società) di decidere come agire dinanzi a questa manipolazione mediatica e fino a che punto lasciar penetrare questo controllo nelle nostre vite.


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Personaggi politici: come erano, come dovrebbero essere oggi

di Mario Lorenzini

Ho tratto l’ispirazione per questo articolo pensando alla risposta ad un post del nostro Direttore, Maurizio Martini. L’idea dell’uomo politico, figura statuaria di decenni orsono, in contrapposizione con le nuove figure che utilizzano modi e mezzi comunicativi prima inesistenti, vedi i social network. Caro Maurizio, condivisibile l'idea del politico che, oggi, non dimostra più la preparazione di un tempo. Questo però è vero solo in parte. La realtà è che la forma e la sostanza sono due cose differenti. Un tempo l'impegno dei politici era profuso in comizi dove paroloni, legati alla burocrazia, al gergo della politica e compagnia cantante,riportavano l’impressione di una perfetta preparazione nella materia, conoscenza profonda dei problemi e di come risolverli. Il tutto fortemente avvalorato dalla presenza scenica che questi soggetti avevano sul palco. E quanto di storia, educazione civica e legislazione era adoperato su quei palchi, nelle interviste giornalistiche. Bene la preparazione culturale però, tutto quel dialogare, si traduceva in una grossa nuvola di fumo; nebbia che offuscava ritardi di lavori, intrallazzi sporchi, ripulendo la faccia degli esponenti. Ma poi? Quanti di loro facevano concretamente quello che argomentavano, in pratica? Qualcosa si faceva, il benessere era maggiore di oggi e, allora, le magagne di cui il popolo discuteva, erano poche e di scarsa entità. Attualmente, i problemi sul territorio sono notevolmente aumentati e cambiati. Non c’era la fibra ottica 40 o più anni fa, al tempo appunto, di Berlinguer. Se mettiamo in conto che oggi l’attenzione alle infrastrutture dovrebbe essere assai diversa. Ci sono più opere di cui tener di conto, come autostrade, ponti, gallerie, reti dati e alta velocità, solo per dirne alcune. Ma anche edilizia scolastica e degli edifici pubblici, ecc. Ciò si traduce in un diverso rapporto tra il dire e il fare. Non si può, non si deve, perdere tempo con frasi dal significato criptato o astruse, anche se di politichese classico stiamo parlando. La gente ha bisogno di due cose: capire quello che gli esponenti della politica dicono, e vedere realizzate le loro promesse in tempi ragionevoli, che non possono essere quelli di mezzo secolo fa. Perché le cose da fare sono di più di una volta, perché la tecnologia dovrebbe assisterci in questo compito. Quindi non lasciamo il freno tirato dalla burocrazia e da lunghi discorsi che, dopo l’ovazione, dovrebbero essere messi in atto il prima possibile. Invece accade che molte persone si lascino ammaliare dal parlar forbito dei palchi della politica. Se poi, col tempo, poco o nulla si materializza, alcuni si dimenticano, ricordandosi che però quel politico… «ma come parlava bene…» Ma che ce ne facciamo oggi? Delle chiacchere intendo. Forse è vero che il modo di parlare è divenuto più spicciolo, troppo semplice per raffigurare la preparazione di chi ci governa. Ma teniamo sempre a mente che la comprensibilità deve essere per tutti. Quindi, dico io, il politico non deve essere di élite, ma rivolgersi al più vasto pubblico possibile. A votare ci andiamo tutti, non solo filosofi acculturati plurilaureati. Inoltre, questo modo, diciamo pure a volte sempliciotto, di disquisire, è associato a una maggiore efficienza della macchina stato, vale a dire operatività vera e propria, dai comuni alle provincie, regioni e così via, ben venga un politichese un po’ più scarno, libero dai termini obsoleti e ricercati che sì, a volte fanno piacere, ma spesso sono utilizzati a mo’ di perifrasi per tirare in lungo e non far comprendere chi ascolta; e, conseguentemente, trovare le scuse agli obiettivi non portati a termine. Oggi vige, o perlomeno dovrebbe, il dinamismo, che porta a risultati migliori in temi più brevi. Ma attenzione: l’efficienza di cui parlo non è frutto di inclinazioni verso settori tecnologici che tanto contraddistinguono il mondo attuale. Piuttosto direi consapevolezza e presa di coscienza del fatto che, la politica, non è costituita da personaggi intoccabili che svolgono i loro interessi personali e di partito, sperperando risorse a fronte di una facciata antiquata. I palchi della politica devono presentare programmi chiari e attuarli nei tempi e nei modi rispettosi della vita delle persone che servono, del popolo. È proprio quest’ultimo, con l’innalzamento del livello di istruzione, che recepisce con pimaggior chiarezza le problematiche affrontate dalle istituzioni. Le distanze culturali e di recepimento delle informazioni, tra la gente comune e le personalità politiche di vario grado, si è accorciato. Ecco perché siamo tutti meno passivi; e ci rendiamo conto quanto di vero o falso ci viene propinato. Comprendiamo, meglio di una volta, i ragionamenti e i temi esposti dai nostri governanti. Ed esigiamo risposte. In tempi più brevi, senza sperperi di denaro pubblico. Nel rispetto delle normative e degli adempimenti attuativi. I panorami del passato, con opere incompiute, lavori appaltati a chicchessia con giri di soldi sporchi e costi che lievitano in corso di esecuzione, sono destinati a scomparire. E con essi la corruzione che veniva scoperta in fasi successive del mandato politico. Oggi si risponde al popolo in modo totalmente diverso. I tempi non sono biblici come una volta, non possono essere accettati. Ma non è solo per la presenza dei dispositivi informatici, bensì per un pubblico attento conoscitore dei fatti della politica. Quindi, ciò che manca è l’adeguamento, mentale e reale, dei nostri consiglieri, parlamentari, ecc. I modi arretrati di anni fa, le lentezze, le farraginosità, non saranno più tollerabili. I nuovi politici saranno persone preparate, ma dinamiche. Così da mettersi al passo con i loro sostenitori, dialogando con loro a stretto contatto.


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Tempo libero

Il fenomeno delle youngtimer: AUTO DA COLLEZIONE O SEMPLICE NOSTALGIA?

di Fabrizio Ferrante

Ultimamente è facile imbattersi in annunci di Fiat Uno Turbo, R5 GT Turbo o Golf GTI in vendita a oltre 10 mila euro. Le chiamano youngtimer ora. Perché esse stanno suscitando un tale interesse e perché il loro valore sta aumentando? Le youngtimer comprendono in maniera generica (dall'utilitaria alla supercar) automobili con 20-30 anni di vita, un qualcosa che sta in mezzo tra le auto d'epoca "canoniche" e le auto moderne. Vorrei soffermarmi però su quelle che si vedono maggiormente negli annunci: le "piccole sportiveggianti", quindi utilitarie/compatte (semplicemente hatchback per gli inglesi) con una discreta cavalleria. Erano auto molto diffuse ai loro tempi e fino agli inizi degli anni 2000, dopodiché furono considerate solamente "macchine vecchie" e vendute a prezzi irrisori o spesso rottamate. Molte in realtà sono state anche distrutte in incidenti, in un'epoca dove i ragazzi subivano ancora il fascino della velocità e dei motori. Per due decenni ('80 e '90) le varie Case Automobilistiche si sono rincorse, sfornando modelli sempre più performanti, così come accadeva nelle moto per il segmento delle 125. Se negli anni Ottanta prevaleva la soluzione turbo, negli anni Novanta si fecero largo le "aspirate" (vedi le francesi). Dal nuovo millennio le cose però sono cambiate e le "piccole cattive" sono sparite, o comunque hanno perso i loro connotati. In realtà piano piano sono scomparse pure le sportive vere, spider e coupé, e si è fatta spazio un'altra tipologia di veicolo, il Suv, che ironicamente nonostante abbia all'interno del suo nome l'aggettivo sportivo, di sportivo non ha proprio nulla. Ecco dunque una prima risposta: l'evoluzione del mercato automobilistico. Le vecchie hatchback sportive stanno diventando sempre più richieste per il semplice fatto che nel listino delle auto nuove, non ci sono più. E' praticamente impossibile comprare oggigiorno un prodotto nuovo simile o che possa offrire sensazioni simili. Le auto moderne in generale risultano troppo "filtrate" e ovattate, troppo pesanti, con cerchi inutilmente grandi, marmitte finte, ecc ecc. E' evidente che qualcosa nello sviluppo automobilistico sia andato nella direzione sbagliata. L'altro fattore molto importante da tenere in considerazione è l'acquirente medio di una piccola youngtimer. Quasi sempre si tratta di un quarantenne che ai tempi ne aveva posseduta una. Con tale modello ricorda la sua giovinezza e tanti episodi e riacquistandola di nuovo vorrebbe in qualche modo riviverli. La macchina quindi ha un vero e proprio valore affettivo. E' proprio questo unito a una ridotta cultura automobilistica (egli conosce solo questa tipologia di auto) a fargli considerare le utilitarie sportiveggianti come un qualcosa di unico e a far lievitare le loro quotazioni. Come ultima motivazione c'è quella più semplice, ma forse meno influente, la riduzione di bollo e assicurazione. Essendo vetture ultra-ventennali o spesso ultra-trentennali godono di alcune agevolazioni. Ecco perché si vedono in giro 127 o cose simili, paradossalmente considerate auto d'epoca. Sono quindi da considerare le hatchback youngtimer auto da collezione? No, esse vanno valutate per quelle che erano, auto prodotte quasi sempre in grandi numeri e con l'intento di far divertire un pubblico giovane, e come tali vanno considerate. I prezzi sono evidentemente frutto di una bolla. Con quelle cifre si possono comprare vetture molto più interessanti, dal punto di vista storico, tecnico o di sensazioni di guida. Le utilitarie saranno sempre utilitarie... Esse però sono una buona alternativa, per un uso quotidiano, alle ormai banali auto moderne.


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Una breve vacanza a Creta, tra mare, storia e mitologia

di Gianfranco Pepe

La leggenda del Minotauro, una delle più conosciute della vastissima mitologia greca, indissolubilmente legata all’isola di Creta e al suo mitico re Minosse, racconta che Minosse, re di Creta, pregò Poseidone di inviargli un toro, come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli mandò un bellissimo e possente toro bianco di un valore inestimabile. Vista la bellezza dell'animale, però, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Nonostante quello fosse un animale e lei una donna, ella desiderava ardentemente accoppiarsi con esso e voleva a tutti i costi soddisfare il proprio desiderio carnale. Vi riuscì nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo. Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce appunto, il prefisso "minos" (che presso i cretesi significava re) con il suffisso "taurus" (che significa toro). Il Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale. Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel Labirinto di Cnosso costruito da Dedalo. La città di Atene, sottomessa allora a Creta, doveva inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Allora Tèseo, eroe figlio del re ateniese Egeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, si innamorò di lui. All'entrata del labirinto Arianna diede a Tèseo il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo di filo rosso, realizzato da Dèdalo, che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato. Quando Teseo giunse dinanzi al minotauro, attese che si addormentasse e poi lo pugnalò. Le cose decise all'ultimo momento spesso sono le più riuscite, e questa breve vacanza nella parte occidentale dell’isola di Creta in compagnia delle nostre amiche Amelia e Annarita è sicuramente da annoverare tra queste. All’alba di un brumoso mattino di fine maggio di qualche anno fa, decolliamo dalla Malpensa alla volta della più grande tra le isole greche e, dopo 2 ore e trenta di tranquillissimo volo, una stupenda giornata asciutta e soleggiata ci accoglie nella capitale Eraklion. Tutto è velocissimo e l’affabile ragazzo della compagnia di autonoleggio ci informa che è disponibile un’auto di categoria superiore a quella prenotata, Una circostanza fortunata che non sarà l'unica! Così, dopo pochi minuti, siamo già a bordo di una comodissima Skoda Octavia e puntiamo subito al vicino museo archeologico, dove, tornando indietro di parecchi millenni, ci immergiamo nella stupefacente cultura dell’antica civiltà minoica, restando incantati dall'abbondanza e dalla straordinaria bellezza dei reperti esposti. Magnifiche teste di toro dalle corna d’oro, squisite statuette come quella della dea dei serpenti, una delle tante raffigurazione della dea madre protettrice della fecondità e della maternità, splendidi vasi finemente cesellati e grandi porzioni di preziosi affreschi, ci appaiono di un incredibile raffinatezza per un’era così antica. La civiltà cretese o Minoica si è sviluppata a partire dal 2800 sino al 1100 avanti Cristo e, grazie alla protezione naturale del mare, nell'isola di Creta fiorì una civiltà superiore sotto molti punti di vista rispetto a quelle contemporanee dell'epoca. La grande isola, la quinta del Mar Mediterraneo in ordine di grandezza, sorge in posizione centrale a poca distanza dalle coste della Grecia, dell’Egitto, dell’Asia Minore, della Fenicia e della Palestina. Godendo di una posizione privilegiata per i traffici marittimi del Mediterraneo orientale, a lungo le navi minoiche solcarono quasi incontrastate i mari del mondo antico. Il dominio economico derivante da questi scambi commerciali consentì così al popolo cretese di controllare l'intero Mar Egeo e di sviluppare un arricchimento artistico e culturale di straordinario valore. Dopo un gelato e una fresca spremuta d'arancia, decidiamo di visitare anche il vicino sito archeologico di Knosso, dove abbiamo l'ottima idea di servirci di una guida, una signora che parla molto bene italiano e che in un'ora ci fa fare una interessantissima visita di questo importante sito dell’antica era minoica. Le città dell’epoca non erano circondate da mura, perché i Cretesi non temevano di essere attaccati da popoli nemici, ma erano caratterizzate da grandi palazzi che racchiudevano al loro interno il fulcro della vita cittadina. Ogni città aveva un re che chiamavano “Minos”, ed è per questo che l’antica civiltà cretese è detta anche civiltà minoica. Gli antichi palazzi cretesi potevano avere anche centinaia di stanze, erano alti anche molti piani e possono senza dubbio essere definiti come palazzi-città. Infatti al loro interno, oltre agli appartamenti del Minos e della sua corte, la sala del trono e le stanze dove si svolgevano i riti religiosi per le divinità, vi trovavano anche posto le botteghe degli artigiani, i magazzini per conservare i prodotti dei campi e le merci ricavate dai commerci con altri popoli e gli archivi con le tavolette d’argilla per tenere la contabilità delle merci stesse. Il palazzo comprendeva anche una grande piazza circondata da gradinate, da cui gli spettatori assistevano alle cerimonie religiose. Nel corso della visita restiamo davvero stupefatti di quanto questo antico popolo fosse evoluto, anche per quanto riguardava l’architettura…oltre agli scarichi fognari, s'erano inventati pure l'aria condizionata! Anche se non fa eccessivamente caldo, il sole picchia e la fame ci conduce nella piccola locanda del sito dove, in un'atmosfera fresca e rilassata, gustiamo le prime melanzane di una lunga serie e il primo yogurt greco. Ripreso il nostro macchinone, in un'ora e dieci di comoda superstrada percorriamo gli 80 chilometri in direzione ovest che ci separano dalla città di Rethymno, adagiata sulla costa settentrionale al cospetto del Mar Egeo, dove si trova il nostro confortevolissimo hotel. Anche in questo caso siamo fortunati e ci vengono assegnate 2 grandi camere di categoria superiore a quanto previsto, all'ultimo piano e con una bella vista sul mare. Nonostante l’origine bresciana, le due sorelline da me rinominate come “sirene padane”, vengono inesorabilmente attratte dalle gelide acque dell'Egeo, mentre io e Frediana per ora ci limitiamo ad una passeggiata sulla battigia della lunghissima spiaggia. Un caloroso calispèra (buonasera in lingua greca) ci accoglie nel ristorante all'aperto dove ci rendiamo subito conto dell'ottima qualità del cibo. La temperatura è gradevolissima, le verdure, il riso col pesce e le alìci ripiene sono squisite e, nonostante sia stata una giornata di viaggio, possiamo proprio definirla una magnifica giornata. Il nuovo giorno comincia com’era finito il precedente, gustando un’abbondante colazione nel patio esterno dove i calimèra (buongiorno) del personale si sprecano. Alle 9,30 si parte per la nostra prima escursione, le spiagge meridionali ad est della località di Plakias. Dobbiamo però fare sempre i conti con la scarsissima e a volte fuorviante segnaletica cretese e, solo dopo diverse incertezze, puntiamo il muso della nostra Octavia finalmente verso sud. Il paesaggio è stupendo, con la vista tra gli olivi su di un mare cristallino, un infinito tappeto di oleandri rosa e di ginestre gialle. Facciamo la prima tappa a Selìa, un paesino alla confluenza di 2 gole chiamate le gallerie del vento, e ci chiediamo come si possa vivere in un luogo del genere dove un vento impetuoso non ti dà pace in nessuna stagione dell’anno! Da qui si scorge già dall'alto la costa sul Mar Libico dalla quale ci separano soltanto pochi chilometri. La prima sosta balneare è nella magnifica spiaggia di Damnoni, che incastona un mare dalle incredibili sfumature di colore che attira irresistibilmente le due sirene e il sottoscritto. Il bagno è veramente ma veramente bello e l'acqua è veramente ma veramente ghiacciata e gli eroi che vi si immergono sono davvero pochi.......anzi diciamo pure che siamo gli unici! Io e Frediana ci spingiamo poi a piedi sul promontorio dove si trovano altre deliziose calette, mentre le sorelline si spaparacchiano su lettini offerti gratuitamente vista la bassa stagione. Motivo per cominciare ad apprezzare la sorridente gentilezza e la genuina ospitalità della gente locale. Ripreso il mezzo proseguiamo verso est e ci fermiamo a visitare lo storico monastero ortodosso di Moni Preveli, uno dei più venerati monasteri dell’isola, in una idilliaca posizione panoramica a picco sul mare. Il luogo è estremamente affascinante ed emana un’intensa spiritualità, ed abbiamo anche la fortuna di incontrare un energico pope che parla italiano e che ci illustra l'iconografia della chiesa, e ci istruisce sulle sostanziali differenze tra le nostre religioni, cercando di convincerci che abbiamo preso la via sbagliata…cosa sicuramente vera quanto meno per ciò che riguarda le strade dell'isola! Raggiungiamo poi la vicina Limni Preveli, un belvedere che si affaccia sull’omonima bellissima spiaggia, una mezzaluna di sabbia bagnata da un mare turchese e limpidissimo. Per raggiungerla però bisogna scendere per 400 scomodi gradini e le sorelline si arrendono. Loro raggiungeranno la spiaggia con la macchina su di una lunga quanto molto impervia strada sterrata, mentre noi proseguiamo a piedi sperando di rincontrarci. Alla fine della scalinata arriviamo al mare e ci inoltriamo nella lussureggiante gola delle palme, un ambiente naturale di una bellezza assai particolare, caratterizzata da un fitto palmeto percorso da un limpido ruscello che sfocia scenograficamente sulla spiaggia. Guadato il ruscello bagnandoci i calzoni fino al ginocchio, superiamo poi un promontorio che separa le 2 spiagge e ritroviamo le nostre amiche che, guarda un po’ stanno facendo un bel bagnetto. Ripercorsa a ritroso la lunga strada bianca e attraversando con l’auto un’altra stretta gola dai suggestivi paesaggi, torniamo poi velocemente verso la nostra accogliente dimora. Una nuotata al tramonto è imperdibile e la cena è piacevole e gustosa quanto quella di ieri. Nonostante l’intensa giornata, dopo il luculliano pasto ci trasferiamo nel centro di Rethymno per fare una passeggiata sul lungomare. La cittadina è carina e vivace e ci perdiamo tra le sue vie, salendo fino alla fortezza e curiosando tra i tanti negozietti di artigianato locale. Le animate locande che si susseguono una dietro l’altra e i profumini che riempiono l’aria stuzzicano i nostri desideri e confidiamo di tornare qui al più presto per un pranzetto a base di pesce. L’atmosfera del primo mattino è dolcissima e la spiaggia deserta attira come una calamita le spumeggianti sorelline, che non rinunciano ad un brivido mattutino nelle limpide acque cretesi. Questo fa dilatare un po’ i tempi del nostro programma ma alle 10 siamo comunque pronti a salpare. La meta è la storica città di Chania, che fu la capitale dell’isola sino al 1971, situata ad una settantina di chilometri verso ovest. Lungo la superstrada si susseguono ai nostri sguardi i soliti bei panorami, con continui scorci sul mare e sulle distese fiorite. Giunti a destinazione cominciamo la visita di questa vivace cittadina dalle origini veneziane. A Creta si sono susseguite nel tempo numerosissime dominazioni, ognuna delle quali ha lasciato le sue testimonianze. Dai greci ai romani, dai bizantini ai mussulmani andalusi, dai turchi ai veneziani, la sua storia è costellata di continue conquiste, assedi, razzie sopraffazioni, con conseguenti inevitabili sofferenze e privazioni per le popolazioni locali. La dominazione veneziana sull’isola durò per 4 secoli, a fasi alterne dal 1200 alla fine del 1600 e lasciò una solida impronta che caratterizza ancor oggi il profilo delle principali città, in particolare per quanto riguarda i loro baluardi difensivi. Camminiamo lungo il grande porto, il più bello dell’intera Creta, con suggestive vedute sul vecchio centro tra moltissimi turisti nonostante la bassa stagione. Passiamo dalla Moschea dei Giannizzeri, dalla originale chiesa di Agios Nikolaos ornata sia da un campanile che da un minareto, dagli eleganti palazzi veneziani e turchi e bighelloniamo tra le viuzze piene di negozi. Ripresa l’auto torniamo di poco verso est per entrare nella penisola di Acrotiri e ci spingiamo verso il centro della penisola dove si trovano alcuni monasteri, ma dove visitiamo solo il principale, quello di Agias Triadas, un gioiello in pietra rosa nascosto nel cuore di un oliveto. Un vestibolo sormontato da uno snello campanile precede il vasto cortile interno, in cui troneggia un'elegante chiesa dalla facciata adorna di tre cupole orientaleggianti e anche qui ritroviamo una tranquilla atmosfera carica di fascino e di suggestione. Proseguiamo poi verso le spiagge ad ovest della penisola e ci fermiamo in quella di Stavros, dove fu girato il film Zorba il greco. La profonda baia è sovrastata da un’alta roccia che rende il luogo particolarmente pittoresco e, anche se sferzati da un vento gagliardo, non rinunciamo neppure questa volta ad immergerci nelle sue acque cristalline. Frediana invece ci controlla dalla riva e passeggia avanti e indietro nell’acqua bassa, sperando che le gelide onde rassodino, scolpiscano e persino allunghino le sue gambette! Il ritorno a casa, con la luce del tramonto alle nostre spalle che accende di luce rosata i nitidi panorami che ci circondano, è particolarmente dolce e apprezzabile. Apprezzabilissimi sono anche i piatti di stasera, riso ai frutti di mare, pesce alla griglia, patate arrosto, uno squisito sformato di spinaci e una pizza che a Bolzano ce la sogniamo. Gnam gnam, glù glù, slurp slurp! Solita fantastica giornata, solito rigenerante bagno mattutino e solita abbondante colazione. Oggi puntiamo invece verso est e finalmente abbiamo imparato come e dove entrare nella superstrada! La nostra meta è il monastero Moni Arcadiu, sicuramente il più famoso e caratteristico dell’isola, che sorge in una panoramica posizione accanto ad una profonda forra. La facciata della chiesa, particolarmente decorata, con la sua caratteristica torre campanaria rappresenta l’elemento di spicco di questo monastero di origini veneziane, ma questo è oggi anche un simbolo nazionale della lotta d’indipendenza. Infatti, qui nel 1866 si rifugiarono molti cretesi, per la maggior parte donne e bambini, che, presi d’assedio dai turchi, fecero esplodere la polveriera uccidendo sia loro stessi che i conquistatori. Il luogo, unendo la spiritualità ad una storia così bellicosa, è molto interessante e merita una lunga sosta per assaporare con calma la sua particolare atmosfera. Torniamo poi verso le spiagge del sud non ancora visitate, come quelle di Agios Pablos e Trio Petra. La strada che percorriamo e che attraversa l’interno dell’isola è però lunga e a volte assai tortuosa; si susseguono bei paesaggi agresti e caratteristici villaggi rurali, ma seguire la rotta non è così semplice. Amelia ci fa da navigatrice ma, nonostante la cartina, non sempre sceglie la strada giusta! Piuttosto stanchi dal lungo percorso, verso l’ora di pranzo scendiamo ripidamente nella bella spiaggia di San Paolo affacciata sul Mar Libico. Le irresistibili trasparenze cromatiche dell’acqua, il sole caldo e la totale assenza di vento, ci regalano un bagno particolarmente lungo e godereccio nonostante le insidiose correnti di acqua gelida. Ci arrampichiamo poi sul promontorio tra belle rocce colorate e da quassù gettiamo lo sguardo sulla frastagliata costa verso la località di Trio Petra, che però oggi non raggiungeremo per superati limiti di tempo e di stanchezza. Stasera il whysketto col quale brindiamo alle belle ore trascorse insieme va giù che è una meraviglia! Il tempo stamattina sembra meno bello, ma in realtà tra poco il sole avrà il sopravvento e ci verrà regalata una nuova giornata spettacolare. Oggi non maciniamo troppi chilometri, solo una trentina che ci separano dal lago Kournas. Il piccolo specchio d’acqua dolce è incastonato in un ambiente molto carino, molto verde e molto fiorito. Pensiamo che la cosa migliore da fare sia noleggiare un pedalò, affidando la conduzione al sottoscritto e alla sua indomita consorte. Arrivati però verso il centro del lago, si alza improvvisamente un fortissimo vento che stronca il tettuccio e il suo sostegno, rischiando di farci naufragare in un bicchier d’acqua! La nostra avventura dura solo mezz’ora e con le pive nel sacco riconsegniamo l’ammaccato pedalò e ci consoliamo con un bagno lacustre meno ghiacciato del solito. Lasciamo il Kournas Lake e ritorniamo a Rethymno per una visita diurna della città, nonché per un gustoso pranzetto in riva al mare. Ripercorriamo con la luce del sole le strade del centro ed entriamo a visitare la fortezza veneziana che, perfettamente conservata, domina dall’alto di un promontorio l’antico porto. Fa caldo ma un piacevole venticello addolcisce l’atmosfera; il luogo è molto ben tenuto e da quassù possiamo godere di una bella vista sulla città vecchia, prima di riscendere nel pittoresco connubio di calli e portali di impronta veneziana e di moschee e minareti di epoca ottomana. Tra le tante locande allineate sul lungomare ne scegliamo una dipinta di bianco e di azzurro di nome Knossos gestita da una coppia di pittoreschi quanto cortesissimi greci. L’attesa è un po’ lunga ma la parentesi mangereccia è piacevolissima e il pesce è davvero buono. Tornati sulla nostra spiaggia veniamo accolti dalla rilassante atmosfera del tardo pomeriggio e possiamo così goderci la magia dell’ultimo tramonto della nostra breve quanto bellissima vacanza. Ormai preparatissimi sulla viabilità locale e facendoci anche aiutare dal mitico filo di Arianna, senza intoppi raggiungiamo l'aeroporto e riconsegniamo la macchina. E' un'altra splendida giornata di sole che ci illumina e ci dà l'arrivederci mentre il nostro aerbus della Easy Jet decolla lasciando il suolo cretese. Ci riproponiamo di tornare quaggiù quanto prima per scoprire l’altra parte dell’isola, un luogo così denso di bellezza, di fascino, di cultura e di storia da non poterti certamente lasciare deluso… Calimèra, calispèra e alla prossima!


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Ancora Marco Farina!

di Giuseppe Lurgio

Chi legge da tempo e assiduamente il nostro periodico si ricorderà sicuramente dello scrittore Marco Farina. Proprio nel numero 73 del nostro periodico, Marco ci presentò il suo ultimo lavoro letterario dal titolo "Il sole splende per tutti " che tra l'altro e stato un successo. Marco, in quella occasione, ci anticipò in anteprima che stava lavorando a un nuovo libro dal titolo "Ricominciare" e ci promise che ci avrebbe informato appena avrebbe terminato di scriverlo. Ecco che ha mantenuto la promessa e ora e qui a parlarci del suo nuovo libro! Giuseppe Lurgio: Marco. è un vero piacere ritrovarti su queste pagine,ma prima di concentrarci sul tuo nuovo libro ci faresti una brevissima panoramica di tè? Lo facciamo naturalmente per chi non ricorda e per i nuovi lettori che ti leggono per la prima volta. Marco Farina.: Ciao Pino, è un vero piacere ritrovarsi e per questo motivo ringrazio e saluto te e tutta la redazione di Giovani del 2000. Come hai opportunamente ricordato sono un autore di testi di narrativa e saggistica, molto appassionato di psicologia, filosofia e sociologia, insomma uno studioso appassionato di scienze umane e sociali. Ho 40 anni, una moglie e 2 figli e son laureato in scienze della comunicazione presso il dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Ateneo universitario di Sassari. Son autore di Superare gli Ostacoli una breve autobiografia edita da Il Rovescio editore e di Il Sole Splende per Tutti di Europa edizioni. Dal 2003 collaboro a vario titolo con la sede provinciale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e son stato ospite presso varie emittenti radiofoniche e televisive grazie alle quali son riuscito a divulgare i miei pensieri. G.L.: Ricominciare. è un proseguo di Il sole splende per tutti o non c'è nessun collegamento con il tuo precedente libro? M.F.: Ricominciare è un saggio di Scienze Umane e Sociali, non direttamente collegato ai miei libri precedenti ma naturalmente inconsciamente da essi influenzato. In un'epoca che vive in un eterno presente volatile e sfuggente, io pur non essendo un nostalgico, mi rifaccio spesso ai grandi del passato e ascolto le opinioni di tutti da 0 a 100 anni, poiché tutti abbiamo qualcosa da insegnare e da imparare. G.L.: Ora permettimi una domanda un pò provocatoria forse dovuta alla tua convinzione che traspare leggendo il libro.Ricominciare è una soluzione o un tentativo per riuscire nell'impresa di rimettersi in gioco? M.F.: Ricominciare è una proposta di soluzioni e trae spunto dai miei interessi sulle tematiche psicologiche, sociologiche, filosofiche e antropologiche che vuole dare coraggio a chi crede che non sia possibile ripartire, a chi in particolare è vittima di un blocco emotivo, i cui effetti influenzano e condizionano l'agire umano. G.L.: Marco, il tuo libro "RICOMINCIARE"secondo te chi dovrebbe assolutamente comprarlo e leggerlo e di conseguenza trarne dei benefici? M.F.: Secondo me il libro non è rivolto ad una platea particolare, poiché scorre fluido ed è semplice da comprendere. Se proprio dovessi pensare a qualcuno in particolare ti direi a tutti coloro che hanno avuto un trauma o una delusione, ma forse questo, almeno una volta, è capitato a tutti. G.L.: Si potrebbe ricominciare da varie sconfitte se vogliamo chiamarle così. Ricominciare dopo una storia d'amore finita male. ricominciare dopo che si e perso un lavoro, ricominciare dopo che si e subito un lutto,o ricominciare dopo un qualsiasi evento negativo. Ebbene ti chiedo, c'è una soluzione diversa per ognuna di queste ipotesi o ne basta una per tutto? M.F.: La domanda è interessante e ti ringrazio per avermela posta. Ricominciare dopo una storia d'amore ad esempio presuppone che si sia stati innamorati ma che non si riesca ad uscire da un circolo vizioso, meglio noto come dipendenza affettiva che ci tiene legati e ci intrappola in un passato piacevole e che però ogni volta che viene ricordato provoca un piacevole malessere, una sensazione particolare che ci blocca emotivamente rendendo ogni nuova storia imparagonabile con la precedente e quindi inutile. Ricominciare dopo aver perso il lavoro invece fa scattare meccanismi differenti e in particolare la paura di aver fallito, di aver gettato alle ortiche anni di vita per poi non avere nulla tra le mani. Ne consegue una difficoltà esistenziale e un disagio sociale che spingono la persona in oggetto a chiudersi in sé stessa nella cosìddetta Comfort zone o se preferite zona di comfort. Per quanto riguarda il lutto le dinamiche sono ancora differenti perché riguardano sfere private, differenti per ognuno di noi poiché legate a fede, fiducia e fidatezza, concetti che spiego esaustivamente nel testo ma che in generale riguardano le relazioni sociali di ogni singolo individuo. G.L.: Ho dato una veloce lettura ai titoli dei capitoli e alcuni mi hanno proprio incuriosito, ora senza naturalmente rivelare i contenuti del libro stesso per ovvie ragioni potresti almeno fare alcune considerazioni sui suddetti titoli, partendo proprio ad esempio dal primo, "Progresso significa smarrimento?" M.F.: Grazie per la domanda che mi dà la possibilità di fare un salto al 2007 anno della mia tesi dal titolo I Processi Mediali e la loro Accessibilità che in sostanza parla della sostenibilità dei mezzi di comunicazione e tecnologici rapportandoli con un indice di conoscenza che è diverso per ognuno di noi e basato su principi logico-matematici. G.L.: Proseguo con il capitolo quarto che riporta. "Le tre fasi : accettazione ricostruzione ripresa" M.F.: Nel 4° capitolo Accettazione, Ricostruzione e Ripresa mi rifaccio alle fasi analizzate in un libro scritto da un docente di Pedagogia Speciale dal titolo Perdersi e Ritrovarsi, poiché nella vita accadono episodi che, se accettati ci permettono di ricostruire, di iniziare una vita nuova, di Ricominciare insomma G.L: Bene. ora vorrei che tu commentassi questo altro titolo che un po mi sconcerta forse perchè non ho afferrato il suo significato. Capitolo settimo, "La dispersione religiosa", è pro o contro la religione? M.F.: Ti ringrazio per la domanda che mi dà l'opportunità di spiegare il mio punto di vista sulla religione. Premettendo che son assolutamente favorevole alle dottrine religiose, ci tengo a precisare che il mio modo di credere è un po' originale. Sono una persona che si fa molte domande, un ricercatore della verità. Ho letto diversi libri sulle religioni ed in particolare quelli dello studioso rumeno del XX secolo, Mircea Eliade. Penso che anche nell'ambito religioso si possa perdere la via maestra e talvolta la fede perché nella vita quotidiana, influenzata dai bombardamenti mediatici, accadono fatti talvolta sconcertanti che possono indurre le persone ad abbandonare il proprio credo per cambiare religione e in alcuni casi diventare atei o agnostici. Anche in questo caso, la psicologia torna utile perché aiuta a comprendere se stessi e analizzare il proprio percorso in modo tale da capire i motivi che inducono allo smarrimento. G.L.: Capitolo sei, "Blocco emotivo e istruzione". Mi piacerebbe che tu possa semplificarmi il più possibile questo termine così tutti potremmo capire se ce lo abbiamo oppure no questo blocco! M.F.: Il concetto di blocco per quanto riguarda l'istruzione non è insito nell'essere umano e non è uguale per tutti. Ci son persone con storie di vita e familiari che hanno cinque lauree ed altre che nella stessa condizione sociale si bloccano perché la loro esperienza scolastica, il rapporto con gli insegnanti e la loro volontà non sono stati ideali. Ogni persona ha un suo perché. G.L.: Ok. mi sembra di averti stressato abbastanza con le mie domande.ma per finire traduci i titoli dei capitoli tredicesimo e quattordicesimo! "Homo nostra Eva, tra superficialità e edonismo e L'homo videns". M.F.: Ma figurati sei stato gentilissimo e son state domande interessanti. Per quanto riguarda il capitolo 13 con Homo nostra Eva, tra superficialità e Edonismo intendo dire che l'uomo non sempre riesce a cogliere il senso delle cose per due motivi sostanziali ovvero la pigrizia di approfondire e l'eccessiva concentrazione su di sé, che nel suo rispecchiarsi tenta di vedere in sé ciò che non c'è perché appartiene ad altri, al mondo dell'ignoto, del non ancora conosciuto. G.L.: Siamo in chiusura caro Marco! Ora ti lascio qui sotto un tuo spazio dove metterai un tuo commento e naturalmente tutti i contatti e le modalità di acquisto del tuo libro RICOMINCIARE. Spero ci sia una versione accessibile per noi non vedenti. M.F.: Certamente caro. Attualmente il libro esiste in 3 versioni: standard cartacea, e-book e e-pub compatibile con tutti i sistemi operativi e qui di seguito riporterò i link segnalando inoltre che nella quarta è possibile ascoltare una versione audio dell'anteprima curata dalla nota scrittrice Barbara Alberti, curatrice della prefazione per la Collana Nuove Voci del Gruppo Albatros Il Filo. é possibile acquistare la versione eBook dell'Opera nei formati ePub (per iPad, Kobo, ecc.) e Mobypocket (per Kindle) tramite: Mondadori Store, La Feltrinelli, Libreria Rizzoli, Apple iBook Store, Amazon Kindle Store e ulteriori 200 store online. G.L.: Marco. ti ringrazio anche a nome della redazione per averci dato l'opportunità di presentare il tuo nuovo lavoro ai nostri attenti lettori e lettrici. Ti ringrazio per la tua simpatia e spero, come fu per "Il sole splende per tutti”, che questa chiacchierata tra amici porti fortuna a te e al libro! M.F.:Ti ringrazio per avermi offerto questa opportunità e saluto tutta la redazione e i lettori con l'auspicio che il libro possa riscontrare un buon interesse e ti comunico inoltre che ho quasi terminato un nuovo libro che avrà verosimilmente il titolo di Pandemicus- Gli effetti sociali dei media, dunque a presto e buona lettura e lavoro e ricordate di leggere postare e recensire Ricominciare https://www.gruppoalbatros.com/prodotti/ricominciare-marco-farina/#:~:text=Il%20primo%20merito%20di%20questo,olistiche%20e%20traumi%20della%20vita. Ricominciare versione E-book https://www.mondadoristore.it/Ricominciare-Marco-Farina/eai978883062325/ Ricominciare versione E-pub https://it.scribd.com/book/469221662/Ricominciare Profilo Facebook Personale https://www.facebook.com/marco.farina.5623?ref=bookmarks Pagina Facebook https://www.facebook.com/MFARINA79/?modal=admin_todo_tour Canale YouTube https://www.youtube.com/channel/UCxtMvSyjYxU3dlvE3cGZjdg


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Per sorridere un po

di Giuseppe Lurgio

*) Ieri ero per strada, stavo per attraversare a un semaforo quando sento una voce: "Attento, non muovere un passo". Mi guardo intorno e... nessuno, ma chi ha parlato? Sento un gran botto, mi giro e vedo che un camion ha attraversato col rosso a velocità folle e si è schiantato contro un'auto rovesciandosi in mezzo all'incrocio. Mi rendo conto che senza l'avviso di quella voce ora sarei sicuramente morto. "Va bene", urlo sconvolto, "chi ha parlato?" e una voce risponde: "Io". Ancora non capisco chi parli: "Dove sei, non ti vedo, chi mi ha salvato la vita?". "Sono il tuo angelo custode!" la voce risponde.. "Da sempre sono accanto a te e ti proteggo dai pericoli". "Ah è così", rispondo io meravigliato e pure intimorito e naturalmente emozionato, "ti ringrazio per vegliare su di me, ehm, ma dimmi, quando mi sono sposato avevi la giornata libera?" *) Due carabinieri percorrono in auto di primo mattino la piazza del paese quando a un tratto vedono degli asini volare intorno al campanile. Presi dal panico distruggono la macchina contro un muro. Tornati in caserma il maresciallo ascolta il racconto e poi, scettico, e perplesso va a riferire al colonnello sperando che almeno lui possa dare una risposta certa all'accaduto." Il colonnello dopo pochi istanti di riflessione ribatte: "Ebbene, che c'è di strano? Ci sarà un nido! all'interno del campanile e gli asini portano il cibo ai piccolini!". *) Una sera una coppia che da molti anni è sposata decide di confessare le loro scappatelle. "Cara io ti ho tradito. Ti ricordi quando abitavamo vicino a Maria?". "Sì". "Bene, quel corpo è stato mio!". "E ti ricordi quando abitavamo vicino a Susi?". "Sì". "Bene, quel corpo è stato mio!". "E ti ricordi quando abitavamo vicino a Carla?". "Sì". "Bene, quel corpo è stato mio". "Questo è tutto cara e tu quando mi hai tradito?". "Caro ti ricordi quando abitavamo vicino alla stazione dei pompieri?". "Sì". "Bene quel corpo è stato mio!". *) Il giovane medico si sistema nel suo nuovo studio e dice al portiere, Se arriva qualche paziente la prego di avvisarmi per citofono prima di farlo accomodare. - Certo dottore, come desidera. Il dottore entra nel suo nuovo studio, sistema le sue cose e si siede in attesa del suo primo cliente. Squilla il citofono ed il portiere lo avvisa che sta salendo un signore, allora il medico per darsi delle arie si attacca al telefono con aria professionale e comincia a parlare con un fantomatico paziente. Nel frattempo, entra il signore ed il medico lo fa accomodare mentre continua la telefonata: -... certo ingegnere, non si preoccupi, vedrà che quelle pillole sono miracolose... ho curato decine di pazienti... mi faccia sapere in qualunque momento... arrivederci! Riattacca il telefono e rivolto al signore: - Allora mi dica... in cosa posso esserle utile? Eh, niente... sono il tecnico della TIM e sono venuto ad attivarle la linea del telefono! *) Una famiglia inglese, in una gita di piacere, visitò una graziosa casetta di proprietà di un pastore protestante, la quale le sembrò particolarmente adatta per la vacanza della prossima stagione estiva. Tornati a casa, si ricordarono di non aver visto i servizi igienici e così indirizzarono al pastore la seguente lettera: - Egregio Signor Pastore, siamo la famiglia di alcuni giorni fa, che ha stipulato il contratto di affitto per la casetta di campagna. Non abbiamo visto però il W. C.. Voglia cortesemente illuminarci in proposito. Cordiali saluti. Ricevuta la lettera il Pastore equivocò sull'abbreviazione W.C., e credendo che si trattasse di una cappella anglicana chiamata Welles Changole, rispose così: - Gentile signore, ho molto apprezzato la sua richiesta ed ho il piacere di informarla che il luogo a cui si riferisce si trova a Km 12 dalla casetta, il che è molto scomodo, specie per chi è abituato ad andarci con frequenza. Chi è abituato a trattenersi molto per la funzione, è bene che si porti da mangiare, così può stare sul luogo tutta la giornata. Il luogo si può raggiungere a piedi, in bicicletta o in macchina. È preferibile andare per tempo, per non restare fuori e disturbare gli altri. Nel locale c'è posto per 30 persone sedute e 100 in piedi. I bambini siedono vicino agli adulti e tutti cantano in coro. All'arrivo verrà consegnato un foglio, e chi arriva in ritardo, può servirsi del foglio del vicino. I fogli devono essere riutilizzati anche per le volte successive, per almeno un mese. Vi sono amplificatori per i suoni affinché si possano sentire anche all'esterno. Tutto quanto si raccoglie viene dato ai poveri. Vi sono fotografi specializzati che prendono foto nelle posizioni più disparate, in modo che tutti possano vedere queste persone in atto tanto umano. Distinti saluti il moderatore! *) In un ascensore di un Grand Hotel di Roma entra una bella bionda vestita molto elegantemente. Insieme a lei entra una cameriera. La cameriera sente un profumo intenso nell'ascensore, e comincia ad annusare. Al che la bella bionda dice con voce calda e sensuale: "Acqua di vose del maestro Chapel. Compvato a Pavigi a Natale. 50 euvo al millilitvo. L'ascensore intanto sale. Si ferma al decimo piano ed entra una bellissima bruna anche lei tutta elegante e stratirata. Un altro intenso odore si diffonde nell'ascensore. La biondona e la cameriera annusano. La bruna: "Fiovi di Chantel Lugavz, compvato a New Yovk. 51 dollavi al millilitvo". L'ascensore sale. Arrivati al 15° piano si sente un enorme boato. Dopo un istante imbarazzante la cameriera sorridendo maliziosamente dice: "Broccoli, 50 centesimi ar ciuffo!". *) Due archeologi dilettanti scoprono in pieno deserto la punta di una strana roccia. Scavano e scoprono che si tratta della sommità di una piramide antichissima. Incerti sul da farsi, decidono di chiamare il gruppo archeologico americano... Sono professionisti e sicuramente scopriranno qualcosa. Arrivano gli americani con le loro jeep, caravan, elicotteri, strumenti scientifici. Dopo due anni di studi, se ne ripartono sconsolati. "Dopo lunghe analisi e verifiche abbiamo scoperto solo che questa piramide è stata costruita tra il 1500 e il 2500 AC". I due si consultano e decidono di chiamare una squadra tedesca che sicuramente è più metodica. Dopo altri due anni di studi arriva finalmente la loro risposta: "Abbiamo verificato che la piramide è stata sicuramente costruita intorno al 2000 AC. Non abbiamo potuto scoprire altro, i geroglifici sono molto complicati" I due si osservano sconsolati finché uno dice: "Non ci sono altri rimedi che chiamare i carabinieri italiani". Arriva una coppia di carabinieri, entra nella piramide e ne esce dopo circa due ore. "Però, che veloci! Avete scoperto qualcosa?" "Sì. La piramide fu costruita tra il 12 febbraio 1858 e il 22 luglio 1857 AC, agli ordini di tale faraone Ankhetop IV, l'architetto fu tale Tutmosis detto Il Giovane. Il giorno dell'inaugurazione era nuvoloso. I sacerdoti si opponevano a detto progetto a causa di una malefica eclisse parziale di luna in Sagittario... Parteciparono 2118 schiavi non classificati che tentarono una rivolta per le insane condizioni di lavoro, soffocata il 5 settembre dai soldati del faraone con il risultato di 42 morti. Il costo dell'opera fu di 48 libbre d'oro e 3 libbre di diamanti. La influenza nella lingua si comprova nell'accento delle terre alte che presentavano i nobili di... bla bla bla.... (e così via, per un'ora)". "Cavolo! Ma come avete fatto?". "Eh, ci è costato molto, è stato difficile, ma alla fine la mummia ha parlato". *) Un pappagallo sul trespolo è solito dire parolacce irripetibili. Il padrone esasperato gli urla: "Loreto... basta parolacce!". Ma il pappagallo insiste imprecando in maniera veramente indecente e non curandosi per nulla degli ordini del padrone. Allora in un attacco d'ira il padrone lo prende e lo sbatte nel frigorifero: "Così ti passano i bollenti spiriti!". Dopo due ore, passata la rabbia, lo riprende dal frigo e lo rimette sul trespolo. Il pappagallo si è convinto a parlare bene: "Basta, non dirò più parolacce! Sarò veramente a modo... Basta, lo giuro!". "Bene, ti è servita la lezione?". "Sì, sì, ma padrone,mi spiegate il pollo che cosa diavolo ha fatto?!?". Mio marito è una noia, da quando è in pensione esce di casa solo per portare fuori il cane. Gli ho chiesto: "Qualche sera potresti portare fuori anche me!". Lui mi ha guardato sbalordito: "Alla tua età vuoi metterti fuori a fare i tuoi bisogni vicino agli alberi?" *) Dopo tanti anni, passati rinchiuso al manicomio di Roma, un matto decide che è giunta l'ora di fuggire. Poiché di giorno è sempre controllato, decide di farlo di notte, passando per il tetto e da lì calandosi dalla grondaia. Infatti, giunta l'ora tarda della sera, mentre tutti dormono, si alza e va sulla scala che porta sul tetto, fatti pochi passi inciampa su una tegola che per l'urto cade al suolo, il rumore attira l'attenzione del guardiano notturno che fa: "Chi va là?". Il matto per non farsi scoprire risponde con un "miaoo, miaaaooo", il guardiano si rassicura, dopo un po' che il matto si è ripreso dallo spavento di essere stato scoperto, riprende a camminare, ma, ahimè dopo poco inciampa e fa cadere un'altra tegola, il guardiano prontamente urla: "Chi va là?". E il matto risponde: "Nun te preoccupà, so er gatto de prima!". *) Con l'aiuto di uno specialista e delle moderne tecnologie, una signora di 75 anni ha un figlio. Tutti i suoi parenti vanno a trovarla per vedere il nuovo arrivato in famiglia. Le chiedono di potere vedere il neonato e la signora risponde "Non ancora". Dopo un altro po' di tempo chiedono ancora di vedere il bambino e la madre risponde: "Non ancora". Al che replicano: "Quando potremo vedere il bebè?". "Quando piange" risponde la madre. "E perché dobbiamo aspettare che il bimbo pianga?". "Perchè non ricordo più dove l'ho messo...".


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La mia esperienza di non vedente in Giappone (seconda parte)

di Roberto Lachin

Salve a tutti! Volendo far conoscere a voi la realtà dei non vedenti in Giappone nel numero 76 di questo periodico ho incominciato a parlare della mia esperienza di non vedente acquisita in quelle lontane terre dove io spesso mi reco, principalmente per condizioni familiari, in quanto mia moglie e Giapponese. Nella prima parte vi ho parlato della mobilità in autonomia da soli e le particolarità per chi cammina col bastone bianco. Ora invece, vorrei parlarvi dei possessori di cani guida. Vi riporto qualche episodio e qualche mia considerazione. Mi è capitato di andare a visitare una scuola per cani guida nipponica a Tokyo e ho avuto la possibilità di parlarne con il direttore che mi ha spiegato, tra l'altro, che sono molto severi. Prima di consegnare un cane è necessario passare un mese intero dentro la loro struttura senza incontrare ne amici e nemmeno parenti stretti. Di fatto, il giorno prestabilito per iniziare il corso di affiatamento assieme al cane guida che verrà assegnato, il non vedente si deve recare in autonomia da solo e senza bastone fino al cancello della scuola. Qui verrà accompagnato in un appartamento dentro l'edificio della scuola in cui, in perfetta autonomia, dovrà cucinare, fare le pulizie e lavarsi i vestiti tutto da solo. Nei 30 giorni successivi gli istruttori faranno fare allenamenti assieme al proprio cane guida. In questo cammino istruttivo sono previste anche gite in più luoghi diversi per capire e cercare di modificare, se occorresse, il comportamento sia del cane che del suo padrone. Arrivati a sera. dopo cena, ci si ritrova con altri non vedenti in una sorta di salotto comune dove si parla e ci si confronta sulle proprie e altrui impressioni, scambiandosi consigli, raccontarsi insomma la giornata appena trascorsa. Alla fine di tutto, si crea un grandissimo affiatamento con il cane e credetemi, per quanto ho potuto io stesso verificare, sono veramente affidabili e ligi al dovere. Mi ha un po’ colpito il fatto che la scuola dia più attenzione a chi usa il cane guida rispetto al cane stesso, come se si stesse parlando di una macchina o di un robot invece che di un essere vivente. In pratica, secondo le loro tecniche addestrative, il cane guida non deve essere preso troppo in considerazione dandogli troppe coccole altrimenti lo si potrebbe far distrarre dal suo compito. I cani guida nipponici sono labrador più piccoli dei nostri e sono muniti di una pettorina simile alla nostra, non vi è riportata la croce rossa ma semplicemente un grande cerchio bianco e, in più, vi è attaccata una piastrina con la dicitura ben leggibile "cane guida". Essi rispondono ai comandi del non vedente in inglese e sono, bene o male, uguali ai comandi italiani con qualche piccolissima differenza. Ai cani inoltre, non viene insegnato a fare i propri bisogni sull'erba ma sul marciapiede o posti simili, proprio perché ci sono in Giappone poche zone verdi e quindi è meglio non sporcarle. Pensate che ho avuto qualche problema nel mio primo viaggio in Giappone con la mia Atena proprio per questo. Infatti, Atena è abituata a fare i propri bisogni sulle zone verdi, mentre nel condominio dove alloggiavo era severamente vietato sporcare e così dovevo risolvere diversamente. Non a caso la gente gira per le strade con dei sacchettini di nylon nello zaino o nella borsa per riporvi i rifiuti che produce. Essi poi vengono gettati al lavoro o nei bagni delle stazioni o addirittura portati a casa in quanto, lungo le strade o nelle piazze, non vi sono contenitori per la loro raccolta; evidentemente per evitare attentati terroristici. Per chiunque abbia un cane, non solo per non vedenti, si vendono dei kit comprendenti delle speciali borsette di silicone ultra-sigillanti che non fanno uscire il cattivo odore del sacchetto di nylon. Un'altra curiosità, ci sono delle apposite sarte che, dopo aver preso le misure al cane, confezionano un grazioso e comodo vestitino di materiale leggero ma resistente, che copre la maggior parte del cane senza tuttavia pregiudicarne i movimenti. Questo, naturalmente, non è solo un indumento che potrebbe sembrare frutto di stravaganze, o la continuazione di antiche usanze, ma serve soprattutto per evitare al minimo lo spargimento di peli. In Giappone infatti, vi è molto rispetto verso gli altri e, proprio per questo, si vuole evitare fenomeni allergenici dovuti proprio a perdita di peluria canina. Naturalmente non e sempre rose e fiori, anche in Giappone purtroppo, esistono casi in cui il cane guida e quindi di conseguenza il non vedente, vengono discriminati negando loro l'accesso in certi luoghi. Pur esistendo una legge sui cani guida simile alla nostra, quando capita di doversene avvalere non se ne occupa le forze dell'ordine ma l'ufficio di igiene, che non è veloce a esaminare i reclami, e possono passare anche molti giorni prima che vadano nel locale a verificare e gestire l'accaduto, ed eventualmente, multare i proprietari. A causa di queste lentezze burocratiche, spesso sono le stesse scuole di addestramento cani che organizzano proteste davanti ai locali che hanno creato un disagio al non vedente. In verità, anche a me e ad Atena ci è stato impedito di entrare un paio di volte. La prima volta ho fatto un viaggio da Tokyo a Nagasaki. Mentre giravo per musei e posti da visitare, ci siamo imbattuti in un mercato gastronomico con molti stand fissi. Con mia moglie ed Atena siamo entrati in uno che ci interessava ma i due commessi, seppur gentilmente, ci hanno mandato via nonostante abbiamo cercato in ogni modo di spiegare loro che il cane guida poteva entrare. Quando poi siamo ritornati a Tokyo, mia moglie ha scritto una mail di protesta al gestore dello stand senza avvertire l'ufficio igiene. In verità il gestore ha subito risposto alla nostra e-mail, scusandosi dell'accaduto e facendoci notare di aver severamente rimproverato i suoi dipendenti. Era pronto a prendere il primo aereo per venirci a chiedere scusa di persona. A noi italiani sembra un episodio inverosimile, ma vi assicuro che questo è un modo tipico del Giappone di chiedere scusa, a volte addirittura anche in ginocchio, per paura che la notizia si diffonda provocando cattiva pubblicità e, soprattutto, per mostrare rispetto a chi ha subito il torto. Dopo aver riflettuto e constatato che era in buona fede e che oltretutto, ci ha chiesto scusa, non sono andato oltre e le ho comunicato che non era necessario che venissero e che era bastato già il loro gesto. Loro forse, apprezzando la nostra reazione pacifica, ci hanno spedito una grande scatola di prodotti tipici della loro gastronomia e tutto si è risolto. Il fatto più grave è stato invece quando due cameriere di un ristorante dell'aeroporto internazionale di Tokyo Narita mi hanno mandato fuori dal locale. Noi dovevamo prendere l'aereo per tornare in Italia da lì a poco ma siamo andati comunque all'ufficio reclami. Lì si poteva fare reclamo con 2 moduli.: uno per richiedere le scuse o l'altro per richiedere una risoluzione in caso di grandi disguidi. Mia moglie ha preferito il secondo. Quando siamo arrivati in Italia con nostro grande stupore aprendo la posta elettronica abbiamo trovato la loro risposta. Ci aveva addirittura risposto il direttore dell'aeroporto! Egli si scusava molto per quanto ci era accaduto e ci comunicava che aveva organizzato un corso per tutti i suoi dipendenti per spiegare i diritti dei viaggiatori disabili e su come aiutarli. Non ci crederete, ma quando l'anno successivo siamo tornati nello stesso locale e abbiamo trovato le stesse cameriere, ci hanno accolto con grande cordialità e addirittura hanno offerto una bella ciotola di acqua al nostro cane Atena! Inoltre, predisposto dentro l'aeroporto un bagno per cani da accompagnamento. Una specie di stanza con docciatore e tanta carta e sacchetti per raccogliere il materiale organico. Bene. vi do appuntamento alla terza parte della mia esperienza di non vedente in Giappone!


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Comunicati

Il sogno di Vito

di Giuseppe Lurgio

Più volte su queste pagine si è parlato di Vito Coviello. uno scrittore Materano che ha scoperto di essere tale dopo che circa venti anni fa ha perso la vista. Potremmo quasi dire che a volte quando sembra tutto finito e si pensa oramai quasi a una vita vegetativa fatta di ricordi e di piccoli e inutili svaghi improvvisamente si apre un filone ricco di oro prezioso e che altro non è se non la capacità di fermare ricordi situazioni. avvenimenti schemi di vita oramai fuori moda come oggi alcuni direbbero, ma nello stesso tempo quasi macchine del tempo all'indietro capaci di ridestare ricordi assopiti. In venti anni di oscurità totale Vito ha scandagliato la sua mente palmo a palmo fino a raggiungere ripostigli dimenticati e ha tirato fuori tanto materiale da scrivere ben quindici libri. Da essi Vito non ha ricavato nemmeno un euro ma in compenso ha ottenuto tanta gratitudine e riconoscenza che non ha valore monetario. Infatti, Vito di Matera, come simpaticamente viene chiamato, non ha voluto nessun diritto di Copyright sui suoi libri ma ha preteso semplicemente che venissero usati per scopi benefici e, lui stesso, li ha regalati a scuole, asili, comunità, a tanti sindaci e persino al Papa e al capo dello stato. Tantissimi sono stati gli attestati di ringraziamento e cito solo per brevità e non per importanza una lettera del nostro capo dello Stato scritta di proprio pugno. Come dicevo all'inizio di questo scritto Vito Coviello avrebbe un grande desiderio che vorrebbe condividere con tutti noi. Vito vorrebbe che appena fosse possibile tenendo conto naturalmente di tutte le norme inerenti alla sicurezza. si potesse scegliere una città dove poter riunire tutti i sindaci, i ministri, scienziati, personale sanitario al completo e tutti coloro che hanno contribuito e stanno ancora e che ancora faranno ogni sforzo per sconfiggere il Corona virus e far sì che si torni al più presto non dico alla normalità ma a ritmi di vita più umani. In questo luogo Vito vorrebbe che Papa Francesco celebrasse una grande messa in suffragio delle migliaia di defunti e che sia anche una messa di ringraziamento per tutti i suddetti eroi. Perché tali sono.tutti coloro che hanno rischiato e rischiano ancora la vita per debellare questa piaga che così duramente ci ha colpiti nel corpo e nell'anima. Spero che qualcuno di voi legga questo appello e possa contribuire, come abbiamo fatto noi a diffonderlo e magari adoperarsi affinché il desiderio di VITO COVIELLO si avveri.


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Diventa socio! E mappe descritte

di Paolo Giacomoni

Cara amica e caro amico, come forse sai, dal 2013 La Girobussola si occupa di accessibilità culturale per persone con disabilità visiva. Noi del team di Girobussola abbiamo dato vita a un turismo senza barriere, fruibile anche senza l'uso della vista e basato sulla multiisensorialità dell'esperienza di viaggio. Ma non solo! Creiamo anche eventi di sensibilizzazione, formiamo operatori culturali e guide turistiche... e molto altro ancora (per saperne di più, consulta il nostro cv al link https://www.lagirobussola.com/CV). La nostra attività è motore di scambio e crescita per tutti, e il nostro credo è che una società più inclusiva ed egualitaria sia realizzabile. Soprattutto insieme. Per questo ci piacerebbe che entrassi a far parte del nostro gruppo tesserandoti: con la tua adesione, oltre a poter partecipare alle attività associative, sarai attore della nostra idea di accessibilità in un modo più concreto. Ma c'è altro: i buoni motivi per tesserarti non finiscono qui! 1.Novità! Siamo diventati un circolo Arci, quindi con la nostra tessera avrai accesso a tutti i circoli affiliati Arci del territorio nazionale e potrai usufruire delle numerose convenzioni per soci (leggile qui www.arci.it/convenzioni/ 2.Dato che la tessera dura da 30 settembre a 30 settembre, abbiamo deciso di regalarti una mappa tattile di Bologna, città sede e simbolo di Girobussola. La mappa ti verrà recapitata a casa con la tessera e avrà corredata una descrizione in braille o file testo in modo da permettere l'esplorazione guidata della città. .3. terzo, e più importante: sopratutto in questo momento di crisi, crediamo sia davvero importante unirci. Vorremmo quindi aumentare la partecipazione dei soci. Fateci sapere le vostre idee, proposte, desideri, in modo da rendere l'Associazione più attiva e partecipata. In conclusione, tesserarsi a distanza è facile: Basta 1) inviarci una mail con i tuoi dati (sono sufficienti nome cognome, data di nascita); compileremo per voi il modulo di iscrizione, 2) versare sul conto della Girobussola i 10 euro del costo della tessera. Qui di seguito i nostri recapiti Associazione ONLUS La Girobussola IBAN IT48 U088 8302 4070 3300 0332 042 Causale: tesseramento 2019-2020 nome e cognome. Riceverai a casa per posta: la tessera, copia del modulo di iscrizione e la emozionante mappa touch di Bologna con la relativa descrizione! ti accogliamo a braccia aperte!! E INOLTRE: Sono pronte le prime mappe con una descrizione che ne permetta l'esplorazione passo passo in autonomia: Berlino, bologna, Irlanda, Portogallo, Stoccolma, americhe... Qui il catalogo, https://lagirobussola.com/Mappe-tattiliNV ma se me lo chiedi, te lo mando via mail direttamente. Grazie per l'attenzione e buona vita! Paolo Giacomoni e il team di Girobussola 051 614 28 03 - 334 83 00 187 info@girobussola.org https://www.lagirobussola.com


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Come si salva il mondo? La sfida di Mosè Santamaria

di Martina Ortis

Salvare il pianeta: ultimamente questa frase compare quando si parla della giovane attivista Greta Tunberg e la sua attenzione particolare verso la salvaguardia dell’ecosistema terrestre dai cambiamenti climatici troppe volte causati dall’intervento dell’uomo. Il mondo si può salvare anche partendo da piccoli gesti quotidiani e vincendo la sfida del guardarsi dentro: questa è la filosofia che ha ispirato Mosè Santamaria, cantautore genovese trapiantato a Verona, nella creazione del suo ultimo album Salveremo questo mondo. Ogni traccia di questo disco racconta una particolare tematica per dare i giusti strumenti per affrontare la sfida di guardarsi dentro e affrontare i propri demoni: il rapporto con la propria madre, vivere una difficile relazione amorosa, la felicità di aver vissuto a pieno il sentimento dell’amore, la ribellione contro una società che ci vede come una parte di un circuito mirato solo al duro lavoro, la paura del futuro rappresentato come un luogo che non infonde sicurezza. Il disco non è presente nei negozi ma disponibile solo online per evitare di produrre altra plastica: questo è un ulteriore atto di speranza per salvare il mondo. È anche un gesto coraggioso, data la situazione di crisi del mercato discografico: le piattaforme streaming su internet sono la scelta più preferibile dai giovani per ascoltare musica. Questo album vuole essere un inno alla speranza di un domani migliore nonostante tutte le paure e le difficoltà che una persona puó trovare sul proprio cammino. Il mondo si può cambiare partendo anche dal vincere i nostri difetti.


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Guardando all'autunno/h4>

di Girobussola

Cari tutti, Ecco un po' di proposte tutte interessanti, che ci fanno ben sperare in un anno pieno di belle iniziative e la possibilità di poterle attuare. Come vedete la passione el’impegno per offrire sempre nuovi percorsi non manca. Notate il nuovo "genova per noi", per il quale abbiamo già qualche adesione. * dal 15 al 20 settembre - Viaggio in Val d’Orcia, nel cuore della Terra di Siena è sede di un paesaggio perfetto ed essenziale, composto da colline, calanchi, corsi sinuosi di fiumi, con cipressi che coronano le alture o che seguono, in ordinati filari, l’andamento delle strade. Questo territorio, abitato e celebrato fin da tempi lontani, porta le tracce di antichi popoli e rappresenta da sempre un esempio di perfetto connubio armonico tra natura e impronta dell’uomo; ricco di casali, piccoli borghi e pievi, con una economia ancora fortemente basata sull’agricoltura e su prodotti tipici. Questo itinerario vi permetterà di assaporare con ritmi lenti e rilassati questo suggestivo territorio, dormendo in agriturismi, entrando in contatto con la Storia e le storie, le tradizioni e sopratutto le persone che ancora oggi decidono di rinnovare questo patto con la natura. Visiteremo aziende agricole, impareremo a conoscere e degustare prodotti locali, musei sotterranei, antiche pievi romaniche e chiese tra cipressi, senza tralasciare località famose come Pienza, Bagno Vignoni e Monticchiello. Contributo: €1.330.00. Se vieni con tuo accompagnatore son 1.120€ ognuno. Inclusi pernottamenti, pulmino, ingressi, attività, tutor e prima cena. Iscrizioni fino al 30 agosto. * dal 25 al 30 settembre, Abruzzo: 6 giorni nell'aquilano, cuore verde dell'Appennino. L'Aquila, città che trova le sue origini nel Medioevo, è circondata da magnifici borghi in pietra incastonati nella natura ancora incontaminata del Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga e del Parco Naturale Regionale Sirente Velino. Le pietre, i portali, le mani e i fili di lana ci racconteranno la storia, la cultura, l'arte e le tradizioni delle persone che da secoli abitano questo territorio montano conservandone l'autenticità e tutelandone la biodiversità. Attraverso visite, laboratori, incontri scopriremo l’anima di questi luoghi sempre guidati da una archeologa locale. Iscrizioni fino al 7 settembre! * 1-4 ottobre: "Genova per noi" - Da secoli al crocevia di traffici, commerci e incontri, tanti sono i segreti custoditi dai vicoli di Genova e scompigliati dal vento! Co aggireremo tra palazzi fastosi che raccontano del suo ricco passato da Repubblica Marinara, ma ci confronteremo anche con la vivace e multiculturale città di oggi. Sfioreremo le tracce del mare, di paesi lontani e della natura che in questa popolosa città si intrecciano; per non parlare della Genova dei cantautori, della gastronomia e delle tante altre facce di una città che, nel rigenerarsi, protegge gelosamente la sua identità. Contributo: 695€ (ma se vieni con tuo accompagnatore sono 555 ognuno). Escluso solo il vitto dei viaggiatori. Compresi hotel, guide, accompagnamento, attività: due posti liberi! Emergenze permettendo, vi proporremo presto Palermo (23-27 settembre) e diverse passeggiate di un giorno a Bologna e dintorni. Bolognesi, segnatevi l'inizio di settembre il museo dei botroidi e il monte delle formiche! Presto nuovi dettagli! Ricordiamo infine che tutte le nostre proposte si rivolgono ai soci tesserati ARCI. È possibile tesserarsi presso la nostra Associazione per un costo aggiuntivo di 5,00€. Per info, curiosità e prenotazioni scrivete a info@girobussola.org oppure mandate un messaggio ai numeri 320 2519 115 (Marta), 331 9639 328 (Luigi) 333 7953 941 (Ilaria) o in voce allo 051 614 28 03 - 334 83 00 187 (Paolo). Comunque buona giornata e state al fresco! che non è come dire "state freschi!" Paolo e il team Girobussola


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Ci sono formiche a Palermo?

di Girobussola

Care amiche e cari amici, Beh, l’oggetto confonde più che spiegare! Va letto in due parti, che poi sono le novità di oggi: “ci sono formiche” riguarda l’8 settembre a Bologna, a Palermo ci si va invece il 30 ottobre. Poi riproponiamo la passeggiata al Navile (bologna) e il camminare nelle Marche. Leggete qui sotto e chiedete i programmi integrali! * 8 settembre: giornata al museo dei botroidi e al monte delle Formiche (Bologna): qui ogni anno in questo periodo, da millenni migrano a sciami, dal centro dell'Europa, i maschi delle formiche alate per il loro volo nuziale. Una volta accoppiatesi, le formiche vanno a morire a centinaia di migliaia nella zona del santuario. È uno spettacolo veramente unico e da brivido: arrivano nuvoloni neri di formiche dal cielo e poi muoiono tutte insieme. visitiamo anche il vicino museo dei botroidi, straordinari sassi con forme antropomorfe o di animali organizzato per visita tattile. Contributo 45€. Solo 15 se vieni con tuo accompagnatore provvisto di auto. Escluso spuntino di crescentine. * 19 settembre - passeggiata lungo il canale Navile, dalla stazione centrale di Bologna fino a Corticella, tra natura, storia e industria, con fermata al museo del patrimonio industriale con allestimento tattile e poi al Ponte della Bionda, coi racconti sulla bologna delle acque. Contributo: 45€ a persona. 15 ognuno se vieni con tuo accompagnatore. Inclusa visita al museo del patrimonio industriale, escluso pranzo al sacco. * dal 10 al 16 ottobre - Camminare nelle Marche. Un itinerario pensato per immergersi nella natura incontaminata delle Marche, con giorni di camminate tra la macchia mediterranea del Monte Conero e i Monti Sibillini. Ma non solo. Visiteremo i luoghi che furono cari a Leopardi, borghi, abbazie, laghetti balneabili, antichi sentieri di Carbonaie e prenderemo parte a laboratori e degustazioni di prodotti locali. L’itinerario è pensato per chi voglia godere di una vacanza più attiva nella natura. Saremo sempre accompagnati da una guida escursionistica locale. Il costo Contributo: 1150€. Ma se vieni con tuo accompagnatore sono 850, inclusi pernottamenti, ingressi, attività, referente locale, e alcuni pasti come da programma. Escluso il costo del pulmino, che verrà diviso tra i partecipanti, ma ha un costo stimato di 150 euro a persona. prenotazioni entro il 1° ottobre. * dal 30 ottobre al 3 novembre: Palermo, dove il cibo di strada non è moda ma è vita, dove Arabi e Normanni, Greci e Spagnoli hanno lasciato orme indelebili, dove Addio Pizzo, Libera, Falcone e Borsellino e mille altri hanno dato e chiedono ogni giorno coraggio e riscatto. Mangeremo per strada tra le voci e i suoni dei mercati di Ballarò e alla Vucciria, Saremo alla cappella Palatina e al palazzo dei normanni, tesoro straordinario dell’arte medievale, utilizzeremo gli allestimenti tattili disponibili, ascolteremo le storie e il coraggio dei responsabili di Addio Pizzo e forse avremo capito un po’ meglio una città cresciuta all’incrocio delle civiltà. Contributo: 790€ a persona, ma 615 ognuno se vieni con tuo accompagnatore. Inclusi hotel, attività, ingressi. Esclusi vitto e viaggio d’avvicinamento. Ricordate che tutte le nostre proposte si rivolgono ai soci tesserati ARCI. È possibile tesserarsi presso la nostra Associazione per un costo aggiuntivo di 5,00€ per tutto settembre. Data la situazione attuale, sono possibili variazioni a programmi e contributi. Per info, curiosità e prenotazioni scrivete a info@girobussola.org oppure mandate un messaggio ai numeri 320 2519 115 (Marta), 331 9639 328 (Luigi) 333 7953 941 (Ilaria) o in voce allo 051 614 28 03 - 334 83 00 187 (Paolo). Comunque, buona giornata


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Articolisti…cercasi


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