Giovani del 2000

Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio

ANNO XXIV numero III (86) settembre 2022

Direttore
Alessandra Delle Fave
Vice Direttore
Maurizio Martini
Capo Redattore
Mario Lorenzini
Redattori
Massimiliano Matteoni
Luigi Palmieri
Giuseppe Lurgio
Stefano Pellicanò
Sito web
Mario Lorenzini
sede
via Leonardo Fibonacci 5, 50131
Firenze (FI)
Telefono e fax 055 580523
E-Mail redazione@gio2000.it
Sito internet www.gio2000.it
Tipologia: periodico trimestrale
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.

Rubriche


In questo numero:

Editoriale
New entry di Mario Lorenzini
Cucina
Cucina e dintorni. Le noci di Giuseppe Lurgio
Cultura
II guerra mondiale: la storia al «servizio dei vincitori», bugie e genocidi dei vinti di Stefano Pellicanò
Le antiche unità di misura italiche in epoca pre-1860 di Stefano Pellicanò
Ipotesi motivate sui veri motivi dell'entrata prematura dell'Italia nella II Guerra Mondiale (10 giugno 1940) di Stefano Pellicanò
Via le macchie dalle mani, una nuova tecnica di Medicina Estetica di Anadela Serra Visconti
Esposizione Universale di Roma (E-42 o E.U.R.- 1942): «Olimpiade della Civiltà» di Stefano Pellicanò
Le ruote che danzano di Angela Trevisan
Filosofia
Biografia breve di un occultista occidentale di Aòessio Begliomini
L'ultima metamorfosi PIRANDELLIANA (destino di un'opera aperta) di Alessio Begliomini
MAITRE PHILIPPE de LYON di Franco Giovi
I colori influenzano il riposo di Lista Mente gruppo Sublimen
Tecniche di rilassamento per alleviare lo stress di Lista Mente gruppo Sublimen
Informatica
Fibra FTTH raffazzonata di Mario Lorenzini
Medicina
Novità in Farmacopea: XXV parte\ di Stefano Pellicanò
Novità in Sanità Pubblica: XVI parte di Stefano Pellicanò
Novità in Medicina: XXV parte di Stefano Pellicanò
Racconti e poesia
Loro sono il titolo, loro sono la poesia di Antonella Iacoponi
L'agghiacciante destino del povero Cippi Cippi di Annnalisa Conte
Ancora su POS inaccessibili di Mario Lorenzini
Tempo libero
Paola, musica e non solo di Giuseppe Lurgio
Per sorridere un po di Giuseppe Lurgio
Libri
SEO work book, Search Engine Optimization succes in seven steps di Mario Lorenzini
I nostri amici
Storia di Billy, cane veramente fedele di Renata Calzone
Sophie, un pezzo (troppo importante) della nostra vita di Mario Lorenzini e Patrizia Carlotti

Editoriale

New entry

di Mario Lorenzini

Da questo numero la redazione si pregia di un altro nome, che poi non è altro che uno deii nostri più assidui collaboratori. Il dr. Stefano Pellicanò, che ad ogni uscita del giornale ci mette al corrente di realtà poco conosciute della nostra storia, in termini relativamente recenti (ma che qualcuno vorrebbe finissero nell'oblio). Il nostro caro amico medico, specialista in malattie infettive, del fegato e del ricambio, ci aggiorna anche sulla situazione sanitaria, informandoci sugli studi in corso relativamente a nuovi farmaci o comunque terapie per malattie non ancora, o non perfettamente, curabili. Il bagaglio culturale, la sua esperienza, spaziano dal lavoro come docente a vari corsi, a medico ospedaliero. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e ha presenziato come relatore a vari congressi nazionali e internazionali (v. sezione collaboratori sul nostro sito). Ed è proprio dal versante medico che vorrei prendere spunto per dire due parole. La situazione del nostro paese, similmente ad altri negli ultimi due anni, è stata interessata pressoché unicamente dalla pandemia. Dubbi sulla gestione di questa cosiddetta emergenza sono più che leciti, alla luce del confronto con altre nazioni europee ma anche oltreoceano. In molti casi abbiamo conseguito risultati peggiori rispetto a chi aveva adottato un atteggiamento più soft. è stato fatto tutto il possibile nel migliore dei modi? O sono stati commessi errori? Solo il tempo ci darà il responso. Il fatto oggettivo è che, pur trattandosi di un problema sanitario, sono state prese decisioni a livello politico, senza ascoltare la vera scienza, con i devastanti risultati di aver ottenuto una disgregazione sociale tra la gente, un sempre maggiore isolamento tra le persone. Diversi studi già in atto da mesi riportano i danni, sia fisici che psichici, derivanti dal delirio che ha pervaso i nostri governanti con un'estremizzazione della compressione delle libertà individuali: lockdown, coprifuoco, dispositivi di protezione come mascherine, obblighi vaccinali, ecc. Tutto avrebbe dovuto concorrere alla salvaguardia della persona. Ma i dati dicono altro. Depressione, suicidi, apatia, problemi circolatori, a carico dell'apparato muscolo-scheletrico; sono solo una minima parte degli effetti di una organizzazione oppressiva e terroristica, dal punto di vista sanitario. Naturalmente tutto ciò senza entrare nel campo del famigerato complottismo. La nostra «speranza» (sì, scritto minuscolo) è che ci sia un netto taglio che detti discontinuità con quanto messo in evidenza sinora. E siccome siamo in campagna elettorale in vista del prossimo 25 settembre, la domanda, come diceva Lubrano, sorge spontanea: riusciremo a cambiare qualcosa? Oppure, come dicono altri, il sistema è inattaccabile o riesce a ripristinarsi a proprio vantaggio (infischiandosene delle necessità degli elettori)? Abbiamo assistito a dissertazioni legislative assurde, anche a livello costituzionale; tanto è stato messo in discussione, persino a tale livello, con l'apparente unico scopo di ipnotizzare la popolazione in merito Alla condivisione e peggio, accettazione, di scelte discutibili, talvolta vistosamente contrastanti con dogmi della medicina e capisaldi giurisprudenziali. Siamo stati per lungo tempo in balia di dissennati che hanno rovinato l'economia e minato la salute pubblica. Ma mi auguro che il processo si possa invertire e che i partiti, o alcuni di essi, si coalizzino per il bene comune del singolo cittadino. Buona lettura.


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Cucina

Cucina e dintorni. Le noci

di Giuseppe Lurgio

L'argomento «noce» è talmente vasto che potremmo riempire interamente questo periodico! Infatti, il termine noce e riferito come accennerò di seguito, sia a vari tipi di frutto che di legno. In cucina è utilizzato in maniera molto ampia per indicare vari tipi di frutti, di semi o parti di essi. Ogni grosso seme oleoso, che abbia un guscio e venga usato per l'alimentazione (crudo, cotto, tostato, macinato, pressato per estrarne l'olio), assume volgarmente la qualifica di noce. Molti di questi vengono indicati anche come frutta secca. Alcuni esempi di frutti e semi che sono considerati noci nella tradizione culinaria (o farmaceutica), ma non lo sono dal punto di vista della definizione botanica includono: • Noce comune: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Juglans regia). • Noce pecan: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Carya illinoensis). • Noce del Brasile: è un seme contenuto in una capsula (prodotta da Bertholletia excelsa). • Noce di cocco: è una drupa fibrosa (prodotta da Cocos nucifera e altre specie di palme • Noce di areca o Noce di ara o Noce di betel: è una drupa (prodotta da Areca catechu) • Noce moscata: è un seme contenuto in una drupa (prodotta da Myristica fragrans). • Noce di cola: è un seme (prodotto da alberi del genere Cola). • Noce macadamia o Noce del Queensland: è un seme (prodotto dalla Macadamia integrifolia). • Noce d'acagiù o anacardio: è un seme (prodotto da Anacardium occidentale). • Noce vomica: è una bacca (prodotta da Strychnos nux-vomica). • Nocciola cilena: è un seme usato in modo simile alla noce macadamia (prodotto da Gevuina avellana). Noi quindi ci occuperemo solo del noce comune (Juglans regia). Prima di proporvi un piccolo e semplice ricettario a base di noci, scopriamo alcune curiosità e caratteristiche di questa meravigliosa pianta. Reperti archeologici indicano che i frutti del noce venivano utilizzati come alimento già 9000 anni fa. Le prime testimonianze scritte risalgono a Plinio il Vecchio e Columella. Il noce è un albero vigoroso e caratterizzato da un tronco solido, alto, dritto e con un portamento maestoso e presenta radici robuste inizialmente fittonanti e a maturità espanse e molto superficiali. Può raggiungere i 30 metri di altezza ed è molto longevo diventando plurisecolare. Il frutto è una drupa, composta dall'esocarpo (mallo) carnoso, fibroso, annerisce a maturità e libera l'endocarpo legnoso, cioè il seme, la noce vera e propria, costituita da due valve che racchiudono il gheriglio con elevato contenuto in lipidi. La fioritura avviene ad aprile e la maturazione si ha a settembre-ottobre. Le due specie di noce da frutto più comuni sono la Juglans regia e la Juglans nigra. La prima ha origini persiane, mentre la seconda proviene dal Nord America. Numerose varietà di noce sono state commercializzate, quasi tutte ibridi della Juglans regia. Altre specie includono la J. californica (variante californiana della J. nigra), la J. cinerea e la J. major (diffusa principalmente in Arizona). Le nazioni che vantano una buona presenza di Juglans regia in coltura sono la Francia, la Grecia, la Bulgaria, la Serbia e la Romania. In Italia è coltivato soprattutto in Campania, che produce oltre l'80% della produzione nazionale di frutto. Esistono in tutta Italia impianti specializzati da frutto e da legno, specialmente nella pianura padana e in centro Italia. In Campania è molto utilizzata in impianti misti con noccioli e in agrumeti. Il noce non è coltivato solo per i suoi frutti ma anche per il suo legno che è molto pregiato. Il legno di noce è piuttosto duro, piacevolmente venato e dal colore caratteristico ed è commercialmente noto in Italia come Noce nazionale. è un legno di qualità per la falegnameria e l'ebanisteria. In questo caso si utilizza essenzialmente la Juglans regia, ma anche la Juglans nigra (noce nero americano), ma specie ibride di juglans-nigra con legno più chiaro vengono parimenti utilizzate per intarsi impiallacciatura e quindi per costruire mobili di una certa importanza. Dalla parte carnosa della buccia, il mallo, si estrae un succo che macchia e che viene utilizzato in tintoria. Le tinture al mallo di noce hanno delle sfumature fulve e brune, molto solide, si applicano con il pennello su legno bianco e secco per dargli una parvenza di noce. La tintura si prepara con il mallo ben maturo, che si stacca facilmente dalla buccia, e che viene posto in un recipiente coperto di acqua, ove si conserva anche più di un anno, emanando tuttavia un forte odore. L'impiego avviene utilizzando il mallo così conservato in acqua, facendolo bollire in acqua per due ore in rapporto di 150-200 grammi di mallo per litro di acqua e lasciandolo poi raffreddare, riponendolo infine in bottiglie, pronto per l'uso. Ma vorrei anche ricordarvi che i noci hanno sempre goduto di particolari attribuzioni: dall'aspetto ambivalente, sia diurno che notturno, erano considerati portatori di un potere curativo, che poteva tuttavia diventare nocivo se non trattato adeguatamente. Ai suoi frutti erano attribuite qualità arcane, capaci di ridestare impulsi sessuali, per il loro guscio affine alle gonadi maschili e, d'altra parte, la loro forma interna ricorda quella del cervello umano, e dunque usati, secondo la dottrina delle «segnature», per guarire i mali di testa. Ancora oggi, ad esempio, il noce è uno dei fiori di Bach, denominato walnut. Intorno alle piante di noce sono nate anche storie di streghe e riti pagani, specie a Benevento, ma poi esteso anche in altre terre. Il noce di Benevento era un antico e frondoso albero di noce consacrato al dio germanico Odino, intorno al quale si riuniva una comunità di Longobardi stanziati nei pressi di Benevento a partire dal VI secolo, nei territori originariamente abitati dai Sanniti. La celebrazione di riti pagani e religiosi, che prevedevano si appendesse al noce una pelle di capro, ha dato vita a varie leggende che si sono perpetuate nei secoli, riguardante cerimonie e rituali magici officiati da streghe. I beneventani cristiani avrebbero collegato questi riti esagitati alle già esistenti credenze riguardanti le streghe: le donne e i guerrieri erano ai loro occhi le lamie, il caprone l'incarnazione del diavolo, le urla riti orgiastici. Un sacerdote di nome Barbato accusò esplicitamente i dominatori longobardi di idolatria. Secondo la leggenda, nel 663 il duca Romualdo, essendo Benevento assediata dalle truppe dell'imperatore bizantino Costante II, promise a Barbato di rinunciare al paganesimo se la città - e il ducato - fossero stati risparmiati. Costante si ritirò (secondo la leggenda, per grazia divina) e Romualdo fece Barbato vescovo di Benevento. Barbato stesso abbatté l'albero sacro e ne strappò le radici, facendo costruire nel posto una chiesa, chiamata Santa Maria in Voto. Nei secoli successivi la leggenda delle streghe riprese corpo. A partire dal 1273 tornarono a circolare testimonianze di riunioni stregonesche a Benevento. In base alle dichiarazioni di tale Matteuccia da Todi, processata per stregoneria nel 1428, esse si svolgevano sotto un albero di noce, e si credette che fosse l'albero che doveva essere stato abbattuto da San Barbato, forse risorto per opera del demonio. La leggenda vuole che le streghe, indistinguibili dalle altre donne di giorno, di notte si ungessero le ascelle (o il petto) con un unguento e spiccassero il volo pronunciando una frase magica che recita questo testo: «Unguento unguento, portami al noce di Benevento sopra l'acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo.» Esse viaggiavano a cavallo di una scopa di saggina o, secondo altre versioni, in groppa ad un "castrato negro" voltandogli le spalle. Contemporaneamente le streghe diventavano incorporee, spiriti simili al vento: infatti le notti preferite per il volo erano quelle di tempesta. Bene, lasciamo ora il mondo fantastico delle streghe e occupiamoci delle proprietà curative e medicamentose del noce. Prima di proseguire un'avvertenza. Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico. Alcuni studi epidemiologici hanno rivelato che le persone che consumano noci abitualmente corrono meno rischi di subire cardiopatie coronariche. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che il consumo di vari tipi di semi, quali ad esempio le mandorle e le noci comuni, può diminuire le concentrazioni del colesterolo LDL. L'alto contenuto di arginina stimola la produzione di ossido nitrico che è indispensabile all'elasticità dei vasi sanguigni. Oltre ai benefici cardiaci, le noci generalmente hanno un bassissimo indice glicemico. Conseguentemente, i dietologi si raccomandano affinché le noci siano incluse nelle diete prescritte ai pazienti con deficienze di insulina. Inoltre, sono ricche di sali minerali e di vitamine B. Le noci sono anche ricche di Omega-3, calcio, magnesio, acido folico e antiossidanti prevengono l'artrite e rendono la pelle più bella. Le caratteristiche nutrizionali le rendono adatte anche ad un consumo controllato durante il periodo della gravidanza. In passato, il noce è stato molto utilizzato nel trattamento degli eczemi cronici, dell'artrite urica. Attualmente, le sue foglie, assunte per via orale (infuso, decotto, tisana), sono ancora ritenute utili nelle malattie del ricambio, quali diabete, gotta, e obesità; la pianta favorisce la diuresi, stimola la funzione epatica ed è utile nelle affezioni reumatiche e nel rachitismo. Per uso esterno è utilizzato contro le infiammazioni delle vie genitali femminili; gli impacchi del decotto delle foglie sono efficaci contro la congiuntivite, le dermatosi. L'olio di mallo di noce esercita una funzione protettiva contro i raggi solari, grazie alla presenza dello juglone. Ricordiamoci anche che le noci come tanti altri alimenti in alcuni soggetti potrebbero provocare gravi allergie. Per le persone allergiche ingerire o entrare in contatto anche con piccole quantità di prodotto (soprattutto se presente in preparazioni industriali non dichiarate) può causare fatali shock anafilattici. Ed ora possiamo passare alla parte «culinaria»! Come sempre, includo qui di seguito qualche ricettina di facile esecuzione e di sicuro effetto. 1) Bruschetta con salsa di noci Ingredienti per 4 persone. 4 fette di pane raffermo possibilmente casareccio tostato leggermente da un lato Gherigli di 30 noci Un rametto di prezzemolo 4 cucchiai di olio di oliva sale pepe Preparazione Pestate molto finemente in un mortaio i gherigli con il prezzemolo, e unite l'olio di oliva, una presa di sale e una di pepe: me scolate finché non otterrete un composto omogeneo. Spalmate il composto sulle fette di pane. Servite dopo circa dieci minuti. (Se non avete un mortaio potete usare anche un piccolo frullatore elettrico avendo cura di non far riscaldare il composto.) 2) Asparagi con salsa di noci Ingredienti per quattro persone: Un chilogrammo di asparagi un avocado 10 gherigli di noci prezzemolo il succo di mezzo limone mezzo bicchiere di panna da cucina mezzo bicchiere di olio di oliva pepe in grani sale Preparazione Pulite con cura gli asparagi, lavateli e fateli cuocere per circa venti minuti in acqua bollente e salata quanto basta. Scolateli bene ed asciugateli. Togliete la polpa dall'avocado e frullatela, a bassa velocità, assieme alle noci ed alla panna. Unite poi, a filo, l'olio, qualche pizzico di sale ed una generosa macinata di pepe, il succo del limone e poco prezzemolo tritato. Amalgamate con cura il tutto. Servite infine gli asparagi, con a parte la salsa preparata. 3) Carote all'orientale Ingredienti per quattro persone: 600 grammi di carote tenere un vasetto di yogurt mezzo limone due cucchiai di uvetta sultanina 20 gherigli di noce olio extravergine di oliva sale e pepe Preparazione Raschiate e lavate accuratamente le carote, poi grattugiatele finemente con l'apposito attrezzo. Disponetele in una insalatiera ed aggiungetevi i gherigli sminuzzati piuttosto finemente e l'uvetta, fatta precedentemente rinvenire in una ciotola con acqua tiepida. Condite con una presa di sale, una generosa macinata di pepe e mescolate bene. In una terrina, mescolate lo yogurt con il succo di limone e due cucchiai di olio. Sbattete bene la salsa e versatela sull'insalata. Mescolate delicatamente e lasciate riposare per almeno dieci minuti prima di portare in tavola. Rimescolate ancora al momento di servire. 4) Cipolle ripiene alle Noci Ingredienti per quattro persone: 4 cipolle possibilmente della stessa grossezza; 1 uovo; 50 gr. di gherigli di noci pestati 50 gr. di burro prezzemolo tritato un po' di pane grattugiato una tazzina di besciamella sale e pepe Preparazione Scottate per dieci minuti circa le cipolle in acqua bollente, quindi scolatele. Scavatele al centro e lasciate solo uno strato di quattro o cinque giri. Tritate finemente la polpa estratta e versatela in una terrina. Aggiungetevi il pane grattugiato, l'uovo, i gherigli di noce pestati, il burro fuso e il prezzemolo tritato. Aggiustate di sale, aromatizzate con una macinata di pepe ed amalgamate con cura gli ingredienti. Se questo miscuglio risultasse troppo asciutto, diluite con un po' di latte e mescolate nuovamente. Con questo impasto, riempite le cipolle e richiudetele con una fettina di cipolla o con un dischetto di pane. Disponete le cipolle in una pirofila da forno e coprite con la besciamella. Passate quindi il recipiente in forno, già preriscaldato a temperatura media e fate cuocere per circa mezz'ora. 5) Fettine di tacchino alle noci Ingredienti per quattro persone: 8 fettine di fesa di tacchino 15 noci mezzo bicchiere di panna da cucina 50 gr. di burro due cucchiaiate di farina bianca un tuorlo d'uovo 4 foglie di salvia tritate insieme a mezzo spicchio di aglio due cucchiai di parmigiano grattugiato sale e pepe Preparazione Sgusciate le noci, tuffatele per qualche istante nell'acqua bollente, poi privatele della pellicola che le riveste e tritatele grossolanamente. Battete le fettine di tacchino con il batticarne inumidito, quindi infarinatele leggermente. Ponete sul fuoco un tegame con il burro, fatelo scaldare, adagiatevi dentro le fettine di carne infarinate e lasciatele dorare da ambo i lati. Versate in una tazza il trito di noci e, sempre mescolando, unitevi il tuorlo d'uovo, il parmigiano grattugiato, il trito di salvia e aglio, e lavorate il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo e versatelo nel tegame con la carne. Lasciate insaporire, poi condite con una presa di sale, irrorate con la panna e quando quest'ultima sarà quasi evaporata, cospargete la preparazione con un pizzico di pepe macinato al momento e mescolate con cura. Disponete le fettine di tacchino su di un piatto da portata preriscaldato, versatevi sopra il sughetto di cottura e servite. 6) Polpette alle noci Ingredienti per 4 persone: 4 patate medie 25 gherigli di noci 2 uova burro, pangrattato olio, parmigiano, sale e pepe Preparazione Fate lessare le patate, per circa 45 minuti; sbucciatele ancora calde e schiacciatele, facendone ricadere il composto in una terrina. Unitevi un uovo intero, una noce di burro fuso e, amalgamate bene il tutto. Tritate finemente i gherigli ed aggiungeteli al composto di patate: salate, pepate e lavorate con cura, rimescolando bene il tutto. Con l'impasto così ottenuto, formate delle polpettine, passatele nell'uovo sbattuto e poi, nel pangrattato. In una padella con l'olio fumante, fatevi friggere le polpette: scolatele dall'unto eccessivo e servitele ben calde. 7) Risotto con mele e noci Ingredienti per 4 persone 350 grammi di riso 100 grammi di formaggio tipo fontina 80 grammi di gherigli di noci 2 mele 2 scalogni 3 cucchiai di burro mezzo bicchiere di vino bianco un dado vegetale 2 rametti di prezzemolo sale pepe Preparazione portare a bollore in una pentola un litro d'acqua e sciogliervi il dado. Togliere la crosta al formaggio e tagliarlo a dadini. Tritare finemente le noci. Sciacquare, strizzare e tritare il prezzemolo e, a parte, gli scalogni. Lavare, sbucciare e tagliare a tocchetti le mele. In una casseruola insaporire il burro con gli scalogni, tostarvi il riso per 3 minuti. Bagnare con il vino e lasciar evaporare per 2 minuti. Coprire con una parte del brodo e cuocere per 5 minuti. Unire le mele e proseguire la cottura per altri 8 minuti circa, aggiungendo altro brodo quando il risotto si è asciugato. Versare le noci e il formaggio. Spegnere il fuoco, amalgamare, coprire e lasciar riposare il risotto per 3 minuti. Completare con il prezzemolo tritato, mescolare e servire subito. 8) Spaghetti alle noci Ingredienti: grammi 500 di spaghetti integrali 50 gherigli di noce tre spicchi di aglio Un bel ciuffetto di prezzemolo olio e sale Preparazione Passate al frullatore i gherigli delle noci, l'aglio, il prezzemolo e il sale, aggiungendo l'olio a filo per avere un impasto denso e omogeneo. Fate riposare, mentre cuocete in abbondante acqua salata gli spaghetti. Unite qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta alla salsina di noci fino a renderla fluida. Versate il condimento sugli spaghetti e serviteli subito ben caldi. 9) Tagliatelle funghi e noci Ingredienti per quattro persone: grammi 400 di tagliatelle fresche all'uovo mezza cipolla 30 gherigli di noce una confezione di funghi surgelati grammi 150 di panna da cucina burro mezzo cucchiaio di prezzemolo tritato sale e pepe Preparazione In un tegame con 40 grammi di burro, fatevi soffriggere la cipolla tritata; appena questa prende colore, unitevi i funghi e mescolate, lasciando insaporire. Aggiungetevi quindi il prezzemolo, aggiustate di sale e aromatizzate con una macinata di pepe. Mescolate e fate cuocere, a fiamma piuttosto dolce, per una ventina di minuti. Tritate i gherigli di noce ed aggiungeteli ai funghi. Infine, incorporatevi la panna e, dopo avere ben mescolato, spegnete la fiamma. Nel frattempo, in una pentola con abbondante acqua in ebollizione e salata quanto basta, avrete fatto lessare le tagliatelle: scolatele, conditele con la salsa in precedenza preparata, date una buona mescolata e servite. 10) Vermicelli gustosi pomodori e noci Ingredienti per 4 persone 500 gr. di vermicelli 500 gr. di pomodori pelati 4 cucchiai di olio d'oliva qualche foglia di basilico 30 noci 5 cucchiai di formaggio grana grattugiato sale e pepe Preparazione Mentre si aspetta che l'acqua per la pasta vada in ebollizione, si può preparare il sugo. In un tegame, rovesciatevi i pomodori tagliati a pezzetti; aggiungetevi l'olio, il sale, il pepe, le foglie di basilico ben lavate, e, infine, i gherigli sminuzzati delle noci. (I gherigli non devono essere troppo grossolani ma nemmeno troppo macinati finemente.) Fate cuocere il tutto, a fiamma moderata, per 20 minuti circa, mescolando ogni tanto. Quando gli spaghetti saranno pronti, conditeli con il sugo preparato e con il grana, mescolando con cura. Se preferite il sugo, un po' più piccante, potete aggiungere, nel tegame di cottura, un peperoncino rosso, e, gli spaghetti, si possono condire con formaggio pecorino, anzichè con il grana. 11) Zucchine noci e prezzemolo Ingredienti per quattro persone: 500 gr. di zucchine 50 gr. di burro 30 gherigli di noce un mazzetto di prezzemolo sale e pepe Preparazione Lavate le zucchine. Tagliatele a rondelle sottili. In una padella fate fondere il burro e rosolatevi le zucchine per cinque minuti a fuoco medio, scuotendo regolarmente la padella, fino a quando le zucchine sono tenere. Tritate molto finemente il prezzemolo e i gherigli di noce magari aiutandovi con un mixer avendo cura di non far troppo riscaldare gli alimenti. Spolverate le zucchine con i gherigli e con il prezzemolo, salate, pepate e mescolate delicatamente. Servitele calde. 12) Baccalà alle noci Ingredienti per quattro persone: 700 gr. di baccalà, già tenuto a bagno quanto basta 25 noci un bicchiere di olio prezzemolo Preparazione In una pentola con acqua a bollore, fate lessare il baccalà: sgocciolatelo bene ed adagiatelo su di un piatto da portata. Preparate la salsa: lavate ed asciugate con cura il prezzemolo e sgusciate le noci. Mettete nel frullatore i gherigli di noce, il prezzemolo e l'olio e frullate bene il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo. Versate sul pesce la salsa così ottenuta e servite. 13) Dolce Slavo d'uova e noci Ingredienti per per 6-8 persone: 8 uova 200 grammi di zucchero 200 grammi di burro 100 grammi di gherigli di noci 200 grammi di farina 1 limone cannella e vanillina in polvere Preparazione In una ciotola lavorate a crema il burro con lo zucchero. Ottenuto un composto omogeneo, incorporatevi, uno alla volta, i tuorli. Rimestate dolcemente fino a quando avrete ottenuta una crema fluida; quindi mescolate al preparato i gherigli tritati e la farina. Battete a neve gli albumi e a-malgamateli al precedente preparato. Rimestatelo fino a quando sarà ben omogeneo; quindi, versatelo dentro uno stampo, imburrato e cosparso di farina. Mettete il tutto in forno preriscaldato a 160° e lasciatelo cuocere per circa 45 minuti. Spolverizzare con cannella e zucchero vanigliato e servire. 14) Torta di miele e noci Ingredienti: 500 gr. di pasta frolla pronta 350 gr. di miele di acacia 300 gr. di gherigli di noce un bicchierino di rum. Preparazione Accendete il forno a 180 gradi prima di procedere alla lavorazione della torta. Con tre quarti della pasta foderate una teglia bassa da 24 centimetri di diametro rivestita con carta da forno. Portate ad ebollizione in un pentolino un po' d'acqua e gettatevi per pochi istanti i gherigli. Scolateli, asciugateli e pelateli tritandoli, quindi mescolateli con 250 grammi di miele e il rum. Versate il composto sulla pasta. Con il resto della pasta fate un disco che appoggerete sulle noci. Chiudete bene la pasta ai bordi. Infornate per 45 minuti. Potete guarnire la torta con miele, cioccolato fuso o potete accompagnare le fette, ancora calde, con gelato di crema. 15) Liquore di noci. Nocino Ogni anno, il 24 giugno (cioè nel giorno di San Giovanni Battista), procurati 39 (non 38 e non 40) delle noci acerbe che quella mattina stessa saranno state abbacchiate. Tagliale tutte (con il loro mallo) in quattro pezzi; versale in un capace bottiglione; aggiungi due chili di alcol da liquori; dieci chiodi di garofano; un pezzo di corteccia di cannella e la buccia di mezzo limone. Tappa ben bene il bottiglione; infila al collo un pezzo di carta con su scritto tre agosto; tienilo ogni giorno esposto al sole, ritiralo ogni sera in casa; e scuotilo ben bene ogni mattina ed ogni sera. Il tre di agosto (cioè dopo quaranta giorni da che noci e droghe saranno in infusione) fa bollire un chilogrammo di zucchero con grammi 800 di acqua e lascia poi raffreddare lo sciroppo. Cola in una bacinella e per garza l'infuso; unisci lo sciroppo; mescola; distribuisci il liquore in tre bottiglie; tappale; inceralaccale; incollavi sopra etichette con scritto Nocino; allineale sul ripiano della tua dispensa riservato ai liquori. E se avrà seguito il mio consiglio, per due - tre anni avrai sempre in casa il più corroborante, digestivo e stomachico dei liquori casalinghi.


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Cultura

II guerra mondiale: la storia al «servizio dei vincitori», bugie e genocidi dei vinti

di Stefano Pellicanò

«Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» [fanno il deserto, lo chiamano pace] scrisse Publio Gaio Cornelio Tacito (55 ca. - 117/120 .ca.) nell'Agricola. Abbiamo spesso scritto che in tutte le epoche la Storia la scrivono i vincitori, i «buoni a prescindere» salvo poi magari a distanza di secoli avere la prova dei loro crimini e misfatti. Come esempio citiamo la conquista del Regno delle Due Sicilie (1860), lo Stato italico più ricco e evoluto di cui la «storia dei vincitori» ci tramanda la drammatica condizione post-Annessione, spacciandola come responsabilità dell'amministrazione precedente, con silenzio sul numero di morti e di atrocità dei «liberatori» spesso misconosciute e silenzio tombale sui circa 25.000.000 emigrati, vero genocidio del popolo meridionale, di cui non c'è alcuna ricorrenza annuale [S. Pellicanò, «Genocidio. La conquista del Regno delle Due Sicilie: la grande mistificazione, il dolore della memoria, il ricordo dopo l'oblio (Dossier per il Tribunale Internazionale dell'Aja)», 2012, ISBN: 978-88-97215-11-0]. Scrisse Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910): «La Storia non deve dire niente di falso e non deve tacere niente di vero. Essa è scritta con l'inchiostro dei vincitori; ai vinti tocca la fatica di leggerla sui libri e combatterla con la Memoria». D'altronde è notorio che ogni volta che è scoppiata una guerra «la prima vittima è stata sempre la verità, in quanto le bugie sono necessarie per demonizzare il nemico ma poi, quando la guerra è finita, le bugie dei vincitori diventano verità mentre le realtà dei vinti sopravvivono in silenzio». Si dice anche che la Storia, maestra di vita, talvolta si ripete, come quanto sta accadendo, sembra un incubo, nel 2022 in Ucraina con in atto già 5.000 civili morti (fonte O.N.U., 12 luglio 2022), 1000 bambini, che trova, come documenteremo, criminali maestri nell'ex-URSS. Ricordiamo che le Convenzioni internazionali vietano attacchi ai civili e la Russia è membro permanente dell'ONU con diritto di veto. Fa riflettere sentire l'anziana ucraina che dice in televisione che «i tedeschi non hanno mai fatto quello che stanno facendo adesso i russi», assuefatti come siamo alla concezione manichea che quelli sono stati sempre e comunque «i cattivi». Basti ricordare che in Francia le donne dopo l'occupazione tedesca (1940) rimasero sorprese dalla correttezza dei soldati della Wehrmacht chiamati prima «barbari d'Occidente» mentre a es. in Calabria ci sono stati casi di soldati tedeschi che promisero, mantenendo la promessa, che a fine guerra sarebbe tornati per sposare donne del luogo che poi si trasferirono felicemente in Germania. Passando alla II guerra mondiale non è stata certo la «guerra nobile e cavalleresca dei buoni vincitori» contro quella «crudele dei vinti cattivi» che ci è stata inculcata in quanto non esistono «guerre pulite e guerre sporche», infatti tra il 1939 e il 1945 tutti i contendenti si sono macchiati di crimini, molti dei quali sono pagati a Norimberga ma su quelli dei buoni vincitori è sceso il silenzio, l'«assoluzione preventiva a prescindere» e l'auto-amnistia. Ricordiamo che nel 1951-1952, un'indagine del Congresso statunitense concluse che a Katyn (vv. § Ab) i polacchi erano stati uccisi dai sovietici ma siccome l'URSS era tra i Paesi vincitori, aveva beneficiato dell'amnistia concessa (quando e da chi?) alle potenze vincitrici del conflitto [S. Fontana, Le grandi menzogne della storia contemporanea, Edizioni Ares, 2009]. Della triade dei cinici vincitori, ribadiamo i «buoni a prescindere», anticipiamo che il premier inglese sir Winston Leonard Spencer Churchill (1874-1965) dopo aver spinto Mussolini a entrare in guerra (vv. articolo su questo stesso numero) in pratica pianificò il suo omicidio; il Presidemte americano Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) fece attaccare gli USA dal Giappone per motivi interni e diede l'assenso al criminale (inutile dal punto di vista militare, come vedremo), uso delle bombe atomiche, infine di Iosif Vissarionovič DžugaÅ¡vili Stalin (1878-1953) ricordiamo soltanto le terribili «purghe» degli anni trenta che videro la condanna a morte o a lunghi anni di carcere di quasi 35.000 ufficiali su 144.000 [AA.VV. Stalinist terror - New Perspective, cap. 9 di R. R. Reese The Red Army and the Great Purge] con 786.098 condanne a morte politiche tra il 1930 e il 1953, forse sottostimate [N. Werth, Nemici del popolo. Il Mulino: 157], con 98 su 139 membri e supplenti del Comitato centrale del partito, eletti al XVII Congresso del 1934, arrestati e fucilati nei due anni successivi. Dei 1.966 delegati con diritto di voto o di consulenza 1.108, quindi più della maggioranza, furono arrestati per delitti controrivoluzionari [Rapporto Krusciov; R. Conquest, Il Grande Terrore, BUR: 59]. A un certo punto alle incertezze occidentali Stalin preferì la «concretezza tedesca» (patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939) o perché poteva momentaneamente assicurarsi la pace e prepararsi alla «grande guerra patriottica» [A. L. Strong, L'era di Stalin, La città del sole. ISBN 88-87826-26-9; L. Martens, Stalin, un altro punto di vista, Zambon, 2004, ISBN 88-87826-28-5; K. Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon, 2009, ISBN 978-88-87826-43-2] o per far uscire l'URSS dall'isolamento internazionale di almeno un biennio, reso palese dalla Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938 a cui non era stata invitata o forse Stalin era in attesa degli eventi, pronto a schierarsi dalla parte del vincitore appena si fosse palesato. Le stime delle persone uccise sotto Stalin vanno dai 3 ai 60 milioni [Twentieth Century Atlas – Death Tolls, su users.erols.com; A. Solzhenitsyn, The Gulag Archipelago 1918–1956, 1973–1976, ISBN 0-8133-3289-3]. La documentazione ufficiale considera 799.455 esecuzioni tra il 1921 e il 1953 [S. Milne: The battle for history. The Guardian, 12 September 2002], circa 1,7 milioni di morti nei gulag e di 390.000 nei lavori forzati, con un totale di circa 2,9 milioni di vittime ufficialmente registrate in queste categorie [S. G. Wheatcroft, Victims of Stalinism and the Soviet Secret Police: The Comparability and Reliability of the Archival Data. Not the Last Word, in Europe-Asia Studies, vol. 51, n° 2, 1999: 315-345], mancano dati completi per le vittime conseguenti alle deportazioni etniche o all'emigrazione dei tedeschi alla fine del II conflitto mondiale. Il tasso di mortalità dei 600.000 deportati dal Caucaso tra il 1943 e il 1944 era del 25% [E. D. Weitz, A century of genocide: utopias of race and nation, Princeton University Press, 2003: 82, ISBN 0-691-00913-9; N. Werth, A state against its people: violence, repression and terror in the Soviet Union in S. Courtois, M. Kramer, The Black Book of Communism: Crimes, Terror, Repression, Harvard University Press, 1999: 33–268, ISBN 0-674-07608-7], comunque le statistiche ufficiali sulla mortalità nei gulag escludono i morti subito dopo il loro rilascio in diretta conseguenza del duro trattamento subito, tuttavia alcuni storici ritengono le cifre registrate dalle autorità sovietiche inaffidabili e incomplete [Soviet Studies, su sovietinfo.tripod.com]. Gli storici dopo la dissoluzione dell'URSS hanno stimato circa 4-10 milioni di vittime, senza contare coloro che non sono sopravvissuti alle carestie, quindi morti per fame [J. A. Getty; G. T. Rittersporn, V. N. Zemskov, Victims of the Soviet Penal System in the Pre-war Years, in American Historical Review, vol. 98, n° 4, 1993: 1017-49; S. Wheatcroft, The Scale and Nature of German and Soviet Repression and Mass Killings, 1930–45 in Europe-Asia Studies, vol. 48, n° 8, 1996: 1319-53; S. Wheatcroft, More light on the scale of repression and excess mortality in the Soviet Union in the 1930s, in Soviet Studies, vol. 42, n°2, 1990: 355-367]. Sono state proposte le seguenti stime: esecuzioni: 1,5 milioni; gulag: 5 milioni; deportazioni: 1,7 milioni su 7,5 milioni di deportati; prigionieri di guerra e civili tedeschi: 1 milione; per un totale di circa 9 milioni di vittime conseguenti alla repressione [V. Erlikman Poteri narodonaseleniia v XX veke: spravochnik, Moscow 2004, Russkaia panorama, 2004, ISBN 5-93165-107-1] o oltre 20 milioni [J. Brent, Inside the Stalin Archives, 2008]. Il 5 marzo 1940 Stalin e altri alti funzionari sovietici, tra cui Lavrentij Pavlovič Berija (1899-1953), firmarono l'ordine di esecuzione di 25.700 cittadini polacchi, di cui 14.700 prigionieri di guerra («massacro di Katyn», § Ab) [G. Sanford, Katyn and the Soviet massacre of 1940: truth, justice and memory, Routledge, 2005: 20-4, ISBN 0-415-33873-5; Stalin's Killing Field, su cia.gov] mentre lo stesso Stalin disse a un generale polacco che avevano «perso le tracce degli ufficiali in Manciuria» [Biuletyn «Kombatant» nr specjalny (148) czerwiec 2003, su udskior.gov.pl; Svyatek; Romuald Катынский лес", Военно-исторический журнал, n°9,1991, ISSN 0042-9058]. Purtroppo per lui alcuni ferrovieri polacchi trovarono la fossa comune dopo l'invasione nazista del 1941 [B. Polak Zbrodnia katynska, in Biuletyn Institute of National Remembrance, 2005: 4-21]. Dopo anni di spudorate menzogne i sovietici ammisero le loro responsabilità nel 1990 [Chronology 1990; The Soviet Union and Eastern Europe, Foreign Affairs, 1990: 212]. Churchill, Roosevelt e Stalin, indubbiamente un trio di benefattori dell'umanità, possa Dio perdonarli! Passando ai «cattivi della storia» ricordiamo che Mussolini (1883-1945) voleva essere processato da un tribunale internazionale, convinto dell'assoluzione con le prove documentali contenute nelle borse che aveva al momento della cattura e comunque sia di Benito Mussolini che di Adolf Hitler (1889-1945) la storia «scritta dai vincitori» fa ricordare solo le cose negative e ha fatto dimenticare cosa fecero di buono per le loro Nazioni, quest'ultimo, tra l'altro, l'eliminazione della disoccupazione tedesca in pochi mesi, la nascita della Volkswagen (vettura del popolo) per dare una autovettura ai lavoratori tedeschi, le leggi a favore degli animali. Ricordiamo, qualche anno fa, un programma su Hitler sulla comunista RAITRE propagandata nei giorni precedenti con «da non fare vedere ai bambini perché potrebbero cambiare opinione su Hitler» (sic!) e che a detta degli storici coevi quando Napoleone morì «tutti i francesi lo maledissero perché ogni famiglia aveva avuto almeno un morto per le sue guerre». Anche in quel caso ci furono i campi di concentramento, tra l'altro in Vandea, con il I genocidio della storia moderna dimenticato con un numero di morti stimato in 117.257 [R. Secher, Il genocidio vandeano, Effedieffe Edizioni], 120.000 [L. M. Prudhomme, «Histoire générale et impartiale des erreurs, des fautes et des crimes commis pendant la Révolution Franà§aise», tomo I, II e III], 170.000 [J. Hussenet, «Détruisez la Vendée!» Regards croisés sur les victimes et destructions de la guerre de Vendée, La Roche-sur-Yon, Centre vendéen de recherches historiques: 640], 200.000-250.000 [J.C. Martin, La Vendée et la France, à‰ditions du Seuil], 380.000 [A. Bru, «Histoire de la guerre à travers l'armement», cap. VII, note 572, Internet Archive], 600.000 [C. Desprez, «Lazare Hoche d'après sa correspondance et ses notes», cap. VIII: 260]. A proposito altro genocidio dimenticato quello dei lager piemontesi, dopo l'annessione del Sud, il più famigerato Fenestrelle [S. Pellicanò,»Genocidio…,op. cit., 152-156; S. Pellicanò,»Edelweiss: lettere dal campo di concentramento di Fenestrelle (Ritorno a Ciriè)» 978-88-97215-12-7]. Sull'Olocausto ebraico, indubbiamente da condannare ma da verificare storicamente le cifre, la Germania aveva ideato il Piano Madagascar [Christopher R. Browning, The Origins of the Final Solution, 2004] approvato da Hitler nel 1938 [I. Kershaw, Hitler: 1936-1945: Nemesis. New York: Norton, 2000: 320-322]. Nel maggio 1940 Heinrich Luitpold Himmler (1900-1945) dichiarò: « Spero che la questione degli ebrei venga completamente annullata tramite una loro migrazione in Africa o in qualche altra colonia ». Il Piano prevedeva di trasferirli in quell'isola inglese a fondare un loro Stato ma i buoni inglesi fecero sapere che avrebbero bombardato le navi. Ebbene a fine guerra i buoni della storia fondarono lo stato di Israele provocando la nascita del conflitto ebreo-palestinese al 2022 ancora irrisolto. Quando gli Alleati furono avvertiti dell'esistenza dei campi di concentramento e invitati a bombardare le linee ferroviarie per bloccare l'arrivo dei prigionieri nei campi risposero che «le loro priorità erano altre»; quando gli americani arrivarono nei campi si disinteressarono dei prigionieri ma si precipitarono a impossessarsi degli studi dei «criminali medici nazisti» e andarono alla ricerca degli scienziati tedeschi. Quando il barone SS Wernher Magnus Maximilian von Braun (1912-1977) si consegnò gli americani gli ricrearono una verginità politica e lo misero a capo del loro programma spaziale per arrivare sulla Luna. Il criminale bombardamento di Dresda (13-15/2/1945, § Ag) fu la prima occasione in cui l'opinione pubblica alleata ebbe fondatissimi motivi per dubitare della linea etica, politica e militare dei propri leader, chiamandolo «olocausto di bombe» e sostenendo che dimostrava l'equivalenza morale degli Alleati e dell'Asse [NPD-Abgeordneter: «Bomben holocaust von Dresden», Stern, 21 gennaio 2005]. Questo articolo, nella sua modestia e incompletezza, vuole alzare il sipario, squarciando il muro di silenzio paragonabile all'omertà, su alcuni crimini dei vincitori ritenendo, anche alla luce delle nefandezze succedutesi da allora e in corso, che le vittime innocenti abbiano il diritto alla nostra postuma pietà. Il criminale protocollo dei piloti anglo-americani I piloti alleati avevano 20-25 anni, una loro caratteristica fu di considerarsi «veri e propri carnefici, cinici esecutori di ordini superiori e spesso vittime del Bomber Command». Chi si rifiutava di partecipare a oltre 30 missioni veniva etichettato come mancante di tempra morale [J. Keller, Comma 22, Bompiani, 1980]. Molti furono obbligati a compiere 60 missioni, il tasso di mortalità raggiunse l'11%, le probabilità di sopravvivere a 30 missioni erano poche. Al ritorno dalle missioni gli ordini prescrivevano «free-shoot» (caccia libera), cioè di attaccare qualsiasi cosa in movimento; quindi, killer in divisa di piloti alleati assassinavano consapevolmente civili indifesi. D'altronde con le «Rhubarb Operation» ricevettero ordini di effettuare attacchi terroristici contro popolazioni civili inermi, obiettivi occasionali, non programmati [Air Historical Branch Archives]. A) Il silenzio della «storia dei vincitori» sulle bugie e sull'olocausto della Germania Dalla storia dei vincitori non si sa nulla dell'olocausto tedesco patito dalla popolazione dell'Est, l'esodo e la morte di milioni di persone trucidate, cacciati dalle loro terre dall'arrivo dei sovietici «liberatori» scatenati in una spirale di violenza. Rientra in una grande «rimozione» della storia contemporanea a cui vanno associati quanto accaduto in Giappone e gli eccidi in Italia dopo il 25 aprile 1945. a) La colossale montatura del bombardamento di Guernica (26 aprile 1937) Autorevoli testimonianze, tra cui il Times e l'agenzia francese Havas hanno affermato che nella cittadina spagnola non c'erano crateri di bombe e le facciate delle case superstiti non presentavano segni di schegge. Le case erano distrutte ma le vie erano intatte come se le bombe, nel «bombardamento a tappeto» avessero schivato l'asfalto mentre i giardini e i fiori, non interessati allo spostamento d'aria, erano rimasti intatti. In realtà Guernica sarebbe stata bruciata dai suoi difensori, i « rossi repubblicani »; i piloti tedeschi dichiararono che in quei giorni non poterono effettuare voli di ricognizione per i fumi degli incendi. Secondo questa sconvolgente ma documentata e credibile ricostruzione si trattò di una operazione di mistificazione per distrarre l'opinione pubblica internazionale dall'imminente disfatta repubblicana di Bilbao e attivare un'ondata universale di indignazione antifascista orchestrata (agenzia Havas) dal tedesco Wilheim Muenzenberg «Willi» principale agente del Comintern o III Internazionale Comunista [L'Olocausto ebraico veniva dalla Siberia e Guernica sarebbe un falso storico, su questo stesso numero]. b) Le bugie, fino al 1989, dei sovietici sul massacro della foresta di Katyn (3 aprile-19 maggio 1940) Il massacro di Katyn fu l'esecuzione sommaria di circa 22.000 tra ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali polacchi (la cosiddetta Intelligencija) da parte del Commissariato del popolo per gli affari interni (Narà³dnyj komissarià¡t vnàºtrennich del, NKVD), vicino al villaggio di Gnà«zdovo, a circa 20 km a ovest di Smolensk su ordine documentato di Iosif Stalin. Molti polacchi, soldati, ufficiali e civili, erano stati fatti prigionieri dopo la spartizione della Polonia tra tedeschi e sovietici nel settembre 1939, 8.000 dei circa 15.000 prigionieri di guerra erano ufficiali. Il massacro rispondeva alla «logica di indebolimento» della vinta Polonia in quanto poiché ogni laureato diveniva ufficiale della riserva, col massacro si volle eliminare una parte cospicua della sua classe dirigente, cosìil 5 marzo 1940 alcuni membri del politburo dei Soviet (Stalin, Molotov, VoroÅ¡ilov, Mikojan, Berija, il capo della polizia segreta) firmarono l'ordine d'esecuzione degli attivisti « nazionalisti e controrivoluzionari » detenuti nei campi e nelle prigioni di Ucraina e Bielorussia (fig.). Dal 3 aprile al 19 maggio 1940 circa 22.000 prigionieri di guerra furono assassinati [M. Kużniar-Plota, Decision to commence investigation into Katyn Massacre, su ipn.gov.pl, Departmental Commission for the Prosecution of Crimes against the Polish Nation, 30 novembre 2004; B. Kosmala: Katyn in: Wolfgang Benz, Hermann Graml, Hermann Weiss: Enzyklopà¤die des Nationalsozialismus. Klett-Cotta, Stuttgart 1998: 542, ISBN 3-608-91805-1] con pistole Walther PPK, mentre l'utilizzo di armi e munizioni tedesche sarebbe servito per incolpare i tedeschi. I prigionieri di Kozel'sk furono eliminati nella foresta di Katyn', quelli provenienti da Starobel'sk furono uccisi nella prigione dell'NKVD di Char'kov e i loro resti sepolti nei pressi di Pjatichatki; gli ufficiali di polizia di Ostashkov furono uccisi nella prigione dell'NKVD di Kalinin (Tver') e sepolti a Mednoe. D. S. Tokarev, ex capo del consiglio del distretto dell'NKVD di Kalinin riferì che le uccisioni iniziavano la sera e finivano all'alba, il secondo trasporto non superava le 250 persone, i successivi comprendevano 50-250 persone, gli ultimi due tra 25-33 persone [G. Sanford, Katyn e l'eccidio sovietico del 1940, Torino, UTET Libreria, 2007, ISBN 978-88-02-07709-3]. Si verificavano i dati anagrafici del condannato, che poi era ammanettato e portato in una cella isolata, dove veniva ucciso con un colpo alla nuca mascherato azionando macchine rumorose, il cadavere era quindi trasferito all'aperto passando da una porta posteriore e poi caricato su uno dei sei camion predisposti, si passava quindi alla vittima seguente. La procedura fu ripetuta ogni notte, tranne quella della festa dell'1° maggio [AA. VV., Zbrodnia katyńska w świetle dokumentà³w, Gryf, 1962: 16, 30, 257], nei pressi di Smolensk, invece, i prigionieri erano portati direttamente alle fosse con le mani legate dietro la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Poco dopo l'invasione tedesca dell'URSS del giugno 1941, i gen. polacchi Władysław Anders e Sikorski iniziarono a organizzare un Corpo d'Armata polacco in territorio sovietico e chiesero a Stalin informazioni sugli ufficiali polacchi, che credevano internati, che rispose che potevano essere fuggiti in Manciuria. Invece nell'aprile 1943, la Wehrmacht, su indicazione di alcuni abitanti del luogo, scoprì fosse comuni di oltre 4.000 ufficiali polacchi. La scoperta fu annunciata il 13 aprile 1943 da Radio Berlino « è stata trovata una grande fossa, lunga 28 metri e ampia 16, riempita con dodici strati di circa 3.000 ufficiali polacchi [M. Balfour, Propaganda in War 1939–1945: Organisation, Policies and Publics in Britain and Germany, Routledge & Kegan Paul, 1979: 332-3, ISBN 978-0-7100-0193-1] che indossavano l'uniforme militare completa, molti avevano le mani legate, tutti avevano ferite sulla parte posteriore del collo, causate da colpi di pistola. L'identificazione dei corpi non comporterà grandi difficoltà, grazie alle proprietà mummificanti del terreno e al fatto che i bolscevichi hanno lasciato sulle vittime i documenti di identità. Tra gli uccisi c'è il gen. Smorawinski, di Lublino ». In seguito alla richiesta alla Croce Rossa Internazionale di investigare, inviata dal gen. Władysław Sikorski, il 26 aprile 1943 Radio Mosca annunciò la decisione di rompere le relazioni diplomatiche col governo polacco in esilio a Londra [Daily Express, n°13.387 del 27 aprile 1943] accusandolo di collaborare con la Germania nazista e avviando una campagna per far riconoscere dagli Alleati il governo collaborazionista, da loro organizzato, in contrapposizione a quello dei cosiddetti « Polacchi di Londra », guidato da Wanda Wasilewska. Su iniziativa tedesca si costituì, a fine aprile 1943, una commissione internazionale sotto il patrocinio della Croce Rossa Internazionale, formata da dodici esperti di altrettanti Paesi, tutti cattedratici universitari, guidata dallo svizzero Naville e della quale faceva parte anche l'italiano Vincenzo Mario Palmieri, ordinario di Medicina legale e delle assicurazioni all'Università di Napoli. Il verdetto unanime, basato sull'esame dei cadaveri e dei fori d'entrata e uscita delle pallottole, dell'abbigliamento invernale, dei documenti trovati loro indosso, tutti attestanti l'inizio del 1940, periodo in cui l'area era sotto i sovietici, della dendrocronologia degli alberi della foresta circostante, rivelanti un'età non superiore ai tre anni, ma non inferiore ai due (quindi non compatibile con la data rivendicata poi dai Sovietici della tarda estate 1941), attribuì il massacro all'Armata Rossa. I sovietici non accettarono tale verdetto, che ritennero «influenzato dalla propaganda nazista». Alcuni membri della Commissione furono uccisi, altri intimiditi e costretti a ritirare le loro perizie, il prof. Palmieri, dal 1943 al 1948 fu fatto segno di una campagna denigratoria insistente, condotta da Mario Alicata e Eugenio Reale, dirigenti napoletani del PCI, che lo additarono come collaborazionista fascista, del quale chiesero l'epurazione e fu ingiuriato in classe dagli studenti [V. Zaslavsky, Pulizia di classe. Il massacro di Katyn, 2006, ISBN 88-15-11008-9]. I proiettili tedeschi nei corpi dei polacchi o erano stati venduti ai sovietici ai tempi dell'intesa nazi-sovietica o erano stati i sovietici a gettarle lì. Per gli Alleati il massacro e la crisi polacco-sovietica conseguente iniziavano a minacciare l'alleanza strategica con l'URSS; Churchill e Roosevelt erano sempre più divisi tra i loro impegni verso l'alleato polacco, la ferma posizione di Sikorski e le domande, spesso rasentanti il ricatto politico di Stalin. Ivan Maiskij, ambasciatore sovietico a Londra, disse a Churchill che il destino della Polonia era segnato dall'essere «una nazione di 20 milioni di persone confinante con una di 200 milioni». Churchill ammise il 15 aprile, al gen. Sikorski: « Ahimé, le rivelazioni tedesche sono probabilmente vere. I bolscevichi possono essere molto crudeli » [E. Raczynski, In Allied London: The Wartime Diaries of the Polish Ambassador, 1962: 141] ma l'improvvisa «provvidenziale» scomparsa del generale evitò la minaccia di una spaccatura tra gli Alleati e Churchill, il 24 aprile, rassicurò i russi: « Dobbiamo sicuramente opporci vigorosamente a qualsiasi investigazione da parte della Croce Rossa Internazionale o di qualsiasi altro organo in qualsiasi territorio durante l'occupazione tedesca che sarebbero una frode e le loro conclusioni ottenute per mezzo del terrorismo » [S. Crawford, The Eastern Front Day by Day, 1941–45: A Photographic Chronology, Potomac Books, 2006: 20, ISBN 978-1-59797-010-5]. Nel gennaio 1944, avendo riconquistato la zona di Katyń, i sovietici istituirono una compiacente Commissione d'inchiesta che concluse che « le uccisioni erano state eseguite dagli occupanti tedeschi ». Nel 1944 Roosevelt incaricò il cap. George Earle, di investigare che concluse che l'URSS era colpevole, Roosevelt, dicendosi convinto della responsabilità nazista, ordinò la soppressione del rapporto Earle e quando il capitano richiese formalmente il permesso di pubblicare le sue scoperte, il presidente lo vietò per iscritto allontanandolo nelle Samoa Americane. In seguito, i tedeschi furono accusati ingiustamente durante il processo di Norimberga [Sitting at Nuremberg, Germany 14th February to 26th February, 1946, su nizkor.org; U. Lebel, Politics of Memory: The Israeli Underground's Struggle for Inclusion in the National Pantheon and Military Commemoration, Routledge, 2013: 15, ISBN 978-04-15-41239-1]. Dal 28 dicembre 1945 al 4 gennaio 1946, sette militari della Wehrmacht furono processati da un tribunale militare sovietico a Leningrado. Uno di loro,000 Arno Dà¼re, «confessò» di aver preso parte alla sepoltura (non dell'esecuzione) da 15.000 a 20.000 prigionieri di guerra polacchi a Katyn' per questo gli fu risparmiata l'esecuzione e gli furono comminati 15 anni di lavori forzati. La sua confessione era piena di assurdità e quindi non fu usato come testimone dell'accusa sovietica a Norimberga. In seguito ritrattò la sua confessione, sostenendo di essere stato costretto a confessare dai sovietici per non essere ucciso [I. S. Yazhborovskaja, A. Yu. Yablokov, V. S. Parsadanova, Катынский синдром в советско-польских и российско-польских отношениях (The Katyn Syndrome in Soviet–Polish and Russian–Polish Relations), Moscow, ROSSPEN, 2001: 336-7, ISBN 978-5-8243-0197-7]. Nel 1946, Roman Rudenko, pubblico ministero capo sovietico al processo di Norimberga, dichiarò che: « Uno dei più importanti atti criminali, del quale i principali criminali di guerra sono responsabili, erano le esecuzioni di massa di prigionieri di guerra polacchi uccisi nella foresta di Katyń, nei pressi di Smolensk, da parte degli invasori tedeschi » ma, pur potendo disporre di «testimoni oculari», tutti adeguatamente preparati dall'NKVD, fece cadere la questione dopo che USA e Regno Unito si rifiutarono di appoggiarlo e gli avvocati tedeschi misero in piedi un'ottima difesa. Ribadiamo che nel 1951-1952, un'indagine del Congresso statunitense concluse che i polacchi erano stati uccisi dai sovietici ma, siccome l'URSS era tra i Paesi vincitori della guerra, aveva beneficiato dell'amnistia [S. Fontana, Le grandi menzogne della storia contemporanea, Edizioni Ares, 2009], quale e da chi emessa? Durante gli anni della guerra fredda, le autorità comuniste polacche occultarono la questione in accordo con la propaganda sovietica, censurando deliberatamente qualsiasi fonte che potesse fare qualche luce sul crimine sovietico. Per coprire il massacro il Cremlino enfatizzò il massacro di Chatyn, una località bielorussa 60 km a nord di Minsk, dove nel 1943 venne compiuta una strage di militari russi ovviamente attribuita ai nazisti. Per decenni le autorità, le scolaresche, gli stranieri in visita furono lì condotti per apprendere tutti i particolari della barbarie germanica, fino a quando nel 1993 il grande scrittore bielorusso Vasil BykaÅ­ denunciò pubblicamente alla radio che il massacro di Chatyn veniva strumentalizzato, tanto più che con ogni probabilità la strage fu compiuta dagli ucraini. La verità fu nota dopo la caduta del comunismo nel 1989. Nell'ottobre 1990 Michail Gorbačà«v porse le scuse ufficiali alla Polonia, confermando che l'NKVD aveva giustiziato i prigionieri e rendendo nota l'esistenza di altri due luoghi di sepoltura a Mednoe e Pjatichatki e sostenne che i documenti cruciali, tra cui l'ordine di fucilare 25.000 polacchi senza capo di imputazione, erano introvabili. Nel 1992 (presidenza Eltsin) alcuni funzionari russi rilasciarono documenti top secret del « Plico sigillato n° 1 » con informazioni sull'esecuzione di 21.857 polacchi. Nel settembre 2004, funzionari russi annunciarono la volontà di trasferire tutte le informazioni sul massacro alle autorità polacche ma 116 dei 183 volumi di documenti furono coperti da segreto. Il 22 marzo 2005 la Polonia richiese che sugli archivi russi venisse tolto il segreto, di qualificare come genocidio il massacro di Katyń e di riconoscerne i danni agli eredi delle vittime; i tribunali russi respinsero la richiesta. Nel 2010 il governo russo accolse parzialmente la richiesta polacca, mettendo online i documenti già noti, dal 28 aprile, sul sito web dell'Archivio di Stato russo, sono disponibili i dossier sull'eccidio, il governopromise a Varsavia di fornire documenti non ancora trasmessi. Il responsabile dell'Archivio di Stato russo, Andreij Artizov, commentò la pubblicazione del dossier dicendo che: « Ora nessuno potrà dubitare che la colpa fu dei sovietici » e che « anche noi non abbiamo fatto solo del bene » [A. Zafesova, «Medvedev: svelerò i segreti di Katyń», Pubblica online i documenti e promette a Varsavia l'intero dossier. Il polacco Tusk: «Aspettiamo i fatti», in La Stampa, 29 aprile 2010: 11]. Quando nel 1990 l'URSS ammise la responsabilità del massacro, il disegnatore Giorgio Forattini dedicò all'evento una vignetta, raffigurante Stalin inginocchiato e sottomesso mentre, con una bacinella d'acqua, lava i piedi ad un Hitler compiaciuto, con sotto l'ironica didascalia Katyn. c) Il criminale bombardamento di Amburgo (Operazione Gomorrah, 26 luglio-3 agosto 1943) Il primo giorno piovvero su Amburgo 1.383 tonnellate di bombe convenzionali e 1.018 tonnellate di bombe incendiarie, che distrussero numerosi quartieri e il porto e privarono i cittadini di acqua, gas e elettricità con 1.500 morti civili. Dopo altri bombardamenti il 28 luglio si verificò il Feuersturm (tempesta di fuoco) eseguito da 787 bombardieri inglesi assistiti da 25 Pathfinder, cominciò alle 00:55 e in circa tre quarti d'ora 1.129 tonnellate di bombe convenzionali e 1.265 tonnellate di bombe incendiarie caddero concentrate sui quartieri di Rothenburgsort, Hammerbrook, Borgfelde e Hamm-Sud, i più fittamente costruiti e popolati. Gli equipaggi inglesi a 5.000 mt di quota constatarono che i vortici d'aria che salivano dal basso scossero i loro aerei. La notevole concentrazione delle esplosioni e degli incendi in un'area relativamente ristretta, la totale assenza di vento e la bassissima percentuale di umidità (30% ca.) originò un vento infuocato che imperversò alla velocità media di 250 km/h che carbonizzò all'istante chi si trovava all'aperto (nell'epicentro della tempesta di fuoco si registrarono quasi 1.000 °C). Chi rimase nei rifugi antiaerei morì a causa delle esalazioni di monossido di carbonio mentre altri, rimasti intaccati dal fosforo delle bombe incendiarie, presero letteralmente fuoco e cercarono scampo nell'Alster, ma non appena riemergevano la sostanza chimica tornava a bruciare determinando la morte per annegamento o per combustione. Amburgo perse circa 40.000 abitanti, a molti non fu possibile dare un nome e in alcuni rifugi furono trovati solamente strati di cenere. Il Feuersturm bruciò 22 km² di costruzioni, in totale vennero demoliti 2.509 ettari di superfici edificate, pari al 73,97% con minimo 42.600 morti, 37.000 feriti e 2.000 dispersi con perdite infrastrutturali di 5.300 tra fabbriche e magazzini, 3 raffinerie, 45 edifici di pubblica utilità, 8 cantieri navali, 12 ponti e 175.570 tonnellate di naviglio [G. Bonacina, Comando Bombardieri - Operazione Europa, Milano, Longanesi & C., 1975: 215-222]. Il terzo bombardamento si verificò dalle 00:45 al' 01:28 del 30 luglio 1943 a opera di 697 bombardieri inglesi. I Pathfinder, notati i vasti roghi che ancora ardevano sulla città, evitarono di segnalare quelle zone, preferendo illuminarne i paraggi, sicché la forza principale scaricò 1.100 tonnellate di bombe convenzionali e 1.240 tonnellate di incendiarie che devastarono le abitazioni dei finora intatti quartieri di Harvestchude, Eppendorf, Rotherbaum, St. Georg, Uhlenhorst, Winterhude, Barmbek e il porto. Il cattivo tempo rovinò i piani del Bomber Command, che impostò la quarta e ultima incursione per le prime ore del 3 agosto 1943 infatti solo 393 su 740 bombardieri decollati dall'Inghilterra, raggiunsero Amburgo. La visibilità era così bassa che le 633 tonnellate di bombe esplosive e 717 tonnellate di bombe incendiarie toccarono terra solo in minima parte dentro i confini della città. Tralasciando le azioni di disturbo dei Mosquito e le due incursioni statunitensi, l'operazione Gomorrah scaricò 8.485 tonnellate di bombe, su 3.095 velivoli 89 vennero abbattuti d) Le atrocità dei liberatori sovietici Tutto cominciò il 3 luglio 1944 quando le armate sovietiche entrarono nel territorio del III Reich. La Pravda incitava all'uccisione senza pietà «perché i tedeschi non erano esseri umani, non dovevano commuoversi ma soltanto uccidere. Le donne tedesche malediranno l'ora in cui partorirono i loro feroci figli». Da ciò scaturì una realtà sanguinosa con incendi, torture, violenze sessuali, saccheggi ecc., i soldati erano autorizzati a spedire a casa ogni mese 8 kg di merce rubata alle famiglie tedesche. La gente cercava di salvarsi abbandonando tutto, a piedi, nel gelido inverno, intasando le strade, perdendo nel buio della notte e nelle paludi i figli, i vecchi, i malati. I rari treni venivano presi d'assalto ma venivano sistematicamente bloccati dai sovietici e le mitragliatrici aprivano il fuoco e nei vagoni si accumulavano i cadaveri a cui venivano strappati gli anelli e gli orologi. I bambini assistevano inorriditi alle stragi, qualcuno piangeva, qualcuno urlava ai genitori di ucciderli. In questo scenario apocalittico n'anziana polacca ammazzava i neonati tedeschi portatele dai russi colpendoli violentemente alla testa con una pietra dopo averli baciati dicendo « poveri angioletti ». Per mesi dopo il 1944 nella Germania orientale fu morte e distruzione, le case bruciate, i campi devastati, i negozi saccheggiati, il bestiame ucciso, gli ospedali trasformati in caserme. A Elburg vi furono 2.400 massacrati, a Memel 30.000. e) L'efferata strage di Nemmersdorf (21 ottobre 1944) All'alba del 20 ottobre 1944 la 25ª Brigata della Guardia corazzata sovietica dell'11ª Armata, i liberatori dal nazionalsocialismo arrivarono alle porte di Nemmersdorf, villaggio della Prussia orientale, oggi Majakovskoe, nell'enclave russa di Kaliningrad (Oblast' di Kaliningrad), dove l'unica strada era intasata da profughi tedeschi che fuggivano verso ovest carichi di bagagli e disfatti dalle lunghe marce. I carri sovietici non si fermarono deliberatamente e piombarono su quella massa inerme di vecchi, donne, bambini e uomini indifesi e la schiacciarono. Procedettero sulla strada portandosi appesi ai cingoli insanguinati brandelli di carne, lembi di vesti e membra umane. Quando i carri armati passarono lasciarono sul terreno cadaveri mutilati e cavalli sventrati, le urla dei pochi superstiti si mescolavano ai lamenti dei morenti, poi i carri armati si fermarono di colpo aprirono il fuoco eliminando ogni residua traccia di vita. I soldati saltarono a terra e saccheggiarono per poche ore le case del villaggio. Quando qualche abitante potè ritornare vide quattro donne nude inchiodate alle rastrelliere dei carretti, altre crocifisse alle porte delle case, altre impiccate alle travi dei soffitti. Tutte erano state seviziate e violentate e i loro bambini erano stati massacrati coi calci dei mitra. Le stime variano tra 64 e 71 vittime (di cui almeno 23 a Nemmersdorf e almeno 38 nei villaggi vicini). I sovietici nel tentativo d'impossessarsi dei ponti sul fiume Angerapp, si trovarono a affrontare la durissima resistenza dell'esercito tedesco. Sotto una pioggia di bombe, verso le 07.00, alcuni soldati sovietici si rifugiarono in un bunker dove trovarono alcuni civili tedeschi (14 uomini e donne in totale) che, non comprendendo il russo, non sfollarono il bunker, vennero trucidati, solo Gerda Meczulat, sopravvisse [Nemmersdorf Massacre, World War II Database]. Nel frattempo, nei dintorni infuriava la battaglia ma i sovietici furono ricacciati dopo aver perso almeno 200 uomini. L'occupazione di Nemmersdorf durò un paio d'ore. Qualche giorno dopo il Và¶lkischer Beobachter (Osservatore Popolare), il giornale del Partito Nazionalsocialista riportò in prima pagina le notizie del massacro e il cinegiornale (Wochenschau), citando un membro della Volkssturm (milizia popolare), affermò che anche una cinquantina di prigionieri di guerra francesi e belgi erano stati trucidati mentre i sovietici negarono tutto, cianciando impunemente cinicamente di « propaganda nazista ». Questi resoconti provocarono un ingrossamento delle file della Volkssturm ma indussero molti civili a ritirarsi verso occidente, rendendo ulteriormente confusa e caotica la difesa di quei territori [B. Fisch, Nemmersdorf Oktober 1944. Was in OstpreuàŸen tatsà¤chlich geschah. Berlin, 1997, ISBN 3-932180-26-7: 192]. Per molti tedeschi, Nemmersdorf è un simbolo dei crimini di guerra dell'Armata Rossa. Per Joachim Reisch, infame scrittore URSS-simpatozzante, invece, tutti i crimini attribuiti ai russi sarebbero stati attuati da soldati tedeschi in divisa sovietica, tesi coincidente con quella ufficiale dell'odierno stato russo [T. Hinz, Kein Erinnerungsort nirgendsm 2004]. Marion Grà¤fin Dà¶nhoff, coeditrice del settimane Die Zeit scrisse invece nel 1962: « In quegli anni si era così abituati che tutto quello che veniva pubblicato o riportato ufficialmente fossero bugie che da principio pensai che le fotografie di Nemmersdorf fossero un falso ma più tardi venne fuori che non era così ». f) Le violenze a Budapest (29 ottobre 1944 - 13 febbraio 1945) Durante e dopo l'occupazione di Budapest 50.000 donne furono stuprate [M. James, Remembering Rape: Divided Social Memory and the Red Army in Hungary 1944–1945, Past & Present, n° 188, August 2005: 133; N. Naimark, The Russians in Germany: A History of the Soviet Zone of Occupation, 1945-1949. Cambridge: Belknap, 1995: 70-1, ISBN 0-674-78405-7]. g) La criminale distruzione di Dresda (13 -15 febbraio 1945) Casualmente il giorno prima del bombardamento la propaganda tedesca aveva iniziato a denunciare l'inglese Arthur Harris sostenitore del « bombardamento terroristico ». Il 13 febbraio oltre 800 aerei inglesi scaricarono circa 1.500 tonnellate di bombe esplosive e 1.200 di bombe incendiarie. Il giorno dopo i B-17 americani in quattro raid sganciarono altre 1.250 tonnellate di bombe [Analisi storica del bombardamento di Dresda, 14-15 febbraio Archiviato il 17 agosto 2010 in Internet Archive. Preparato dalla USAF Historical Division Research Studies Institute Air University, I. Sezione Introduction]. Il mattino del 15 febbraio 200 bombardieri statunitensi, con un bombardamento a tappeto, distrussero gran parte del centro storico, causando in pratica soltanto e deliberatamente strage di civili, a solo scopo terroristico, non era infatti una città con obiettivi militari ma straboccante di civili in fuga oltre a 26.620 prigionieri di guerra. Il bombardamento notturno della RAF creò una « tempesta di fuoco » [G. Bonacina, Comando bombardieri, operazione Europa, Bompiani, Milano, 1975], con temperature che raggiunsero i 1500 °C [W. Bà¼scher, Deutschland, eine Reise, Berlino, Rowohlt, 2005: 339, ISBN 978-3-499-33257-9]. Lo spostamento di aria calda verso l'alto e il conseguente movimento di aria fredda a livello del suolo, crearono un fortissimo vento che spingeva le persone dentro le fiamme, fenomeno già osservato in altri bombardamenti (es. quello a Amburgo del 1943), sebbene la distruzione di Amburgo, al contrario di quella di Dresda, non sia patrimonio della memoria collettiva le conseguenze furono simili e anzi a Amburgo ci furono più vittime che a Dresda [Ruth Easingwood, La fine del mondo civile: reazioni ai bombardamenti sulla Germania (1945-1949), Milano: Franco Angeli, Memoria e ricerca : rivista di storia contemporanea, n°39, 1, 2012: 180]. Col passare delle ore, il vento caldo sempre più forte e l'altissima temperatura non permisero più alcuno spostamento: l'aria calda degli incendi dei vecchi quartieri attirava aria fredda dalla periferia, provocando una potentissima corrente d'aria che a tre ore dal bombardamento si trasformò in un ciclone che spingeva le persone dentro le fiamme. L'equipaggio di un bombardiere statunitense, tornato nelle ore successive, vide arrivare a 8.000 metri di quota travi di legno e ogni tipo di materiale, sollevato da una forte corrente ascensionale. Tra il 13 e 14 febbraio 1945 furono sganciate 650.000 bombe incendiarie e 1.5000 dirompenti provocando un'ecatombe paragonabile a Hiroshima e Nagasaki. Ricordiamo che Tokyo subì il numero più elevato di vittime in una sola incursione, forse il doppio rispetto a Dresda. Il criminale impunito sir Arthur Harris, comandante in capo del Bomber Command (l'unità della RAF addetta alle operazioni di bombardamento) dal 22 febbraio 1942, che comandò l'azione, si dichiarò soddisfatto della sua riuscita come pure il criminale cap. di corvetta russo Alecksandr Marinesko per aver silurato due piroscafi tedeschi nel Baltico mentre tentavano di portare in salvo i profughi in Danimarca. Alcuni leader tedeschi, in particolare Robert Ley (1890-1945), capo del DAF (Deutsche Arbeitsfront, Fronte tedesco del lavoro) e Joseph Goebbels, sostennero che il bombardamento fu un'azione criminale cercando di usarla per abbandonare la Convenzione di Ginevra sul Fronte Occidentale. La propaganda tedesca fece circolare nei paesi neutrali fotografie di edifici distrutti, persone massacrate e bambini ustionati. Il 16 febbraio Goebbels fece circolare un comunicato stampa, in cui si osservava che Dresda non aveva industrie belliche e era un luogo di cultura e strutture ospedaliere, il 25 febbraio fu emesso un nuovo documento con fotografie di bambini bruciati e una stima di 250.000 morti. Il bombardamento di Dresda divenne per l'opinione pubblica un forte motivo di dubbio circa la presunta « superiorità morale alleata ». Anche Churchill che aveva sostenuto con decisione l'attacco e ne era parzialmente responsabile tentò di distanziarsene [Churchill and the Bombing of Dresden Archiviato l'11 gennaio 2006 in Internet Archive], Howard Cowan, corrispondente di guerra dell'Associated Press, scrisse che: « gli alleati avevano fatto ricorso al bombardamento terroristico ». Addirittura il criminale Arthur Harris, scrisse: « Senza dubbio nel passato i nostri attacchi alle città tedesche erano giustificati. Ma farlo è sempre stato ripugnante, e ora che i tedeschi sono battuti, possiamo astenercene » [G. Bonacina, Comando Bombardieri - Operazione Europa, Milano, Longanesi & C., 1975: 97]. L'esperto di storia militare e cap. inglese sir Basil Liddell Hart osservò che a partire da fine gennaio 1945 le forze aeree angloamericane avessero operato il « deliberato ripristino della politica di «terrorismo aereo» soprattutto per compiacere i russi [...] , finalità che passò così al secondo posto nella scala delle priorità, dopo gli obiettivi petroliferi ma prima delle comunicazioni » [B. L. Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, 1966, ISBN 978-88-04-42151-1]. Lo storico Frederick Taylor scrisse: «Era una città meravigliosa, simbolo dell'umanesimo barocco e di tutto ciò che c'era di più bello in Germania. La tragedia fu un perfetto esempio degli orrori del modo di concepire la guerra nel XX secolo». Anche il Nobel per la Letteratura Gà¼nter Grass e Simon Jenkins (past-direttore di The Times) hanno esposto la convinzione che il bombardamento vada considerato un crimine di guerra. h) I crimini sovietici a Poznań (23 febbraio 1945) Poznań (Posen per i tedeschi), una città sul fiume Warta, nella parte occidentale della Polonia, si arrese il 23 febbraio 1945. I soldati tedeschi prigionieri vennero radunati con spinte e calci e derubati degli orologi, degli stivali, dei maglioni e dei pantaloni, se in buono stato. Il giorno dopo scalzi e seminudi, sotto temperature polari, vennero costretti a sfilare tra due ali di polacchi che li colpivano con bastoni e con pietre. Al quarto giorno partirono per la prigionia, dal cui conto complessivo di 8 milioni, l'85% non fece più ritorno. i) I crimini sovietici a Danzica (27 marzo 1945) Danzica fu occupata il 27 marzo 1945 e messa a ferro e fuoco. Le donne, comprese le anziane, vennero stuprate; una fu violentata da trenta soldati di seguito. l) I crimini sovietici dopo la battaglia - Berlino (16 aprile-2 maggio 1945) L'Armata Rossa, in netta superiorità numerica e di mezzi terrestri e aerei, prima travolse, nonostante l'accanita resistenza, il fronte sul fiume Oder, quindi, accerchiò e attaccò la capitale del Terzo Reich, difesa strenuamente da reparti raccogliticci della Wehrmacht, delle Waffen-SS (comprese unità di volontari stranieri), della Hitlerjugend e del Volkssturm con pesanti perdite di uomini e mezzi a entrambe le parti. Berlino si arrese il 2 maggio 1945, il Terzo Reich ufficialmente l'8 maggio. La battaglia di Berlino venne combattuta in una vasta area urbanizzata abitata ancora da quasi tre milioni di civili che vissero le ultime settimane della guerra in una situazione terribile; la maggior parte di loro, soprattutto donne e vecchi, rimase in cantine, rifugi sotterranei o gallerie della metropolitana, senza acqua e luce e con gravi difficoltà di approvvigionamento. Oltre ai pericoli dei combattimenti in superficie con armi pesanti, i civili si trovarono esposti alle violenze e alle D'altra parte nei Paesi dell'Asse, come la Germania, la Romania e l'Ungheria, gli ufficiali dell'Armata Rossa generalmente considerarono le città, i villaggi e le fattorie da brutalità delle truppe sovietiche [C. Bellamy, Guerra assoluta, Torino, Einaudi, 2010: 756, ISBN 978-88-06-19560-1]. I sovietici già nell'inverno 1945 si erano abbandonati a violenze e devastazioni appena arrivati sul suolo tedesco sollecitati inoltre dalla propaganda a dimostrarsi spietati, comportandosi sanguinosamente [R. Overy, Russia in guerra, Milano, il Saggiatore, 2000, ISBN 88-428-0890-3: 266-70]. I civili berlinesi erano informati delle atrocità sovietiche e temevano una ripetizione in massa delle violenze nella capitale, correvano voci lugubri e molti progettavano di suicidarsi. L'arrivo a Berlino della seconda ondata di truppe e delle unità di retroguardia scatenarono per alcuni giorni un violento saccheggio; con innumerevoli violenze e stupri [E. Kuby, I Russi a Berlino. La fine del Terzo Reich, Torino, Einaudi, 1966: 200-93, 301-3]. Le atrocità subite dai civili tedeschi a Berlino e in particolare le violenze subite dalle donne e dalle ragazze sono state generalmente minimizzate o del tutto trascurate negli autori sovietici e russi. Dopo la caduta di Berlino le truppe sovietiche violentarono fino a due milioni di donne secondo alcune fonti [N. Naimark, The Russians in Germany: A History of the Soviet Zone of Occupation, 1945–1949. Cambridge: Belknap, 1995: 70-1, ISBN 0-674-78405-7], molte delle quali morirono o si suicidarono in seguito a queste violenze. saccheggiare [A. Beevor, Berlin: The Downfall 1945, Penguin Books, 2002, ISBN 0-670-88695-5; Report of the Swiss legation in Budapest of 1945, su historicaltextarchive.com; H. Knabe, Tag der Befreiung? Das Kriegsende in Ostdeutschland (A day of liberation? The end of war in Eastern Germany), Propylà¤en, 2005, ISBN 3-549-07245-7]. Nel dopoguerra nella zona di occupazione sovietica i sovietici realizzarono dieci «campi speciali» subordinati ai gulag [The Soviet special camp N°7/N° 1 1945–1950], ex stalag, prigioni o campi di concentramento nazisti, come Sachsenhausen (campo speciale n°7) e Buchenwald (campo speciale n° 2) [Ex-Death Camp Tells Story Of Nazi and Soviet Horrors The New York Times, 17 December 2001] dove secondo le stime del governo tedesco « 65.000 persone sono morte o mentre venivano trasferite in essi » [G. F. Mass Graves at an Ex-Soviet Camp The New York Times, 24 September 1992]. Secondo dati recenti dei circa quattro milioni di prigionieri di guerra sovietici, tra cui tedeschi, giapponesi, ungheresi, rumeni ecc., 580.000 non fecero mai ritorno a casa e presumibilmente furono vittime della malnutrizione o della vita nei gulag [R. Overy, The Dictators Hitler's Weltkriege, Ullstein., 2000: 246 ISBN 3-549-07121-3]. Da notare che sul territorio corrispondente alla zona di occupazione della Germania assegnata all'URSS alla fine della II guerra mondiale fu creata, dal 1949 al 1990, la Repubblica Democratica Tedesca (RDT, DDR) o Germania Est o Germania Orientale, uno stato socialista fedelissimo all'URSS. B)Il silenzio della « storia dei vincitori » sulle bugie e sull'olocausto del Giappone a) Le bugie su Pearl Harbour (7 dicembre 1941) L'attacco di Pearl Harbor (operazione Z o Hawaii o AI) venne condotto contro la flotta e le installazioni militari statunitensi, sull'isola di Oahu (arcipelago delle Hawaii). La storia dei vincitori tramanda che la dichiarazione di guerra giapponese fu formalizzata a attacco iniziato, strano visto la loro forte tradizione di orgoglio e onore militare misto a fanatismo e l'attacco provocò l'ingresso degli USA nella II guerra mondiale. Subito dopo l'attacco in USA sorsero polemiche e dubbi sulle sue responsabilità politico-militari con ben otto commissioni d'inchiesta. Una corrente di pensiero accusò soprattutto il 32º presidente, dal 1933, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) di aver favorito l'attacco che in pratica risolveva i suoi problemi interni e rendeva inevitabile l'entrata in guerra. Nel 2000, il fotografo Robert Stinnett, ha riproposto la teoria della cospirazione di Roosevelt e coll. che avrebbe provocato l'attacco giapponese e sarebbero state impedite esercitazioni che avrebbero fatto scoprire la flotta giapponese in arrivo che in realtà non avrebbe mantenuto il silenzio radio e, anzi, i suoi messaggi sarebbero stati intercettati e decifrati dai servizi statunitensi. Sembra che i giapponesi trasmisero la dichiarazione di guerra regolarmente ma l'addetto alla ricezione nell'isola, nonostante il periodo di crisi, si era allontanato dalla postazione per andare in gita visto il giorno festivo. b) Il criminale sgancio delle bomba atomica Little Boy su Hiroshima (6 agosto 1945) e, tre giorni dopo, Fat Man su Nagasaki I bombardamenti e altri attacchi ai civili, sono violazioni delle Convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907 (art. 25 « è vietato attaccare o bombardare, con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o edifizi che non siano difesi » [International Law on the Bombing of Civilians, su dannen.com], ratificate dagli USA nel 1902 e nel 1908. Ma i buoni della storia decisero che « la via migliore era colpire all'improvviso una grande città » [fonte: G. Alperovitz, Un asso nella manica. La diplomazia atomica americana: Potsdam e Hiroshima, Torino, Einaudi, 1965: 117], precisando un obiettivo militare circondato «da case di lavoratori» [fonte: G. Valdevit, La guerra nucleare. Da Hiroshima alla difesa antimissile, collana Testimonianze fra cronaca e storia, Milano, Mursia, 2010, ISBN 9788842544036: 31-32]. Nei giorni precedenti molti scienziati (incluso il fisico nucleare Edward Teller) sostennero che il potere distruttivo della bomba poteva essere dimostrato senza fare vittime, sganciando la bomba in una zona disabitata, soluzione non accettata perché avrebbe comportato il consumo di una bomba, costosa e con tempi lunghi di costruzione. Resoconti storici che indicano che le bombe vennero usate di proposito su obiettivi civili, ha fatto sì che alcuni commentatori osservassero che l'evento fu un atto di terrorismo di Stato, altri hanno sostenuto che i giapponesi erano già sostanzialmente sconfitti e quindi l'uso delle bombe non era necessario, come il gen. Dwight David Ike Eisenhower (1890-1969) nel luglio 1945 «sentii che c'erano diverse ragioni cogenti per mettere in discussione la saggezza di un tale atto, fui conscio di un sentimento di depressione e così gli espressi i miei tristi dubbi, sulla base della mia convinzione che il Giappone era già sconfitto e perché pensavo che il nostro Paese dovesse evitare di sconvolgere l'opinione pubblica mondiale con l'uso di un'arma il cui impiego non era più obbligatorio come misura per salvare vite americane». Ritennero pubblicamente che non ci fosse giustificazione militare per i bombardamenti nucleari anche il gen. Douglas MacArthur (1880-1964), l'ufficiale più alto in grado nel Pacifico, l'amm. di flotta William Leahy William Daniel Leahy (1875-1959), capo di Stato maggiore del presidente, il gen. Carl Spaatz Carl Andrew Spaatz, (1891-1974), comandante delle forze aeree strategiche statunitensi nel Pacifico, il brigadiere gen. Carter Clarke, ufficiale dei servizi segreti militari; l'amm. Ernest King Ernest Joseph King (1878-1956), capo delle operazioni navali statunitensi e l'amm. di flotta Chester Nimitz Chester William Nimitz (1885-1966), comandante in capo della flotta del Pacifico. Altri asseriscono che il Giappone aveva cercato di arrendersi per almeno due mesi, ma gli USA rifiutarono insistendo su una resa incondizionata, comunque si sarebbe dovuto aspettare un breve periodo per valutare gli effetti dell'entrata in guerra dell'URSS. Alcuni storici giapponesi hanno affermato che la ragione principale della capitolazione del 15 agosto 1945 non furono i bombardamenti atomici ma le rapide e devastanti vittorie sovietiche sul continente nella settimana seguente la dichiarazione di guerra. Diverse organizzazioni hanno criticato i bombardamenti su basi morali, a es. il rapporto Guerra atomica e fede cristiana (1946) del Concilio Nazionale delle Chiese recita: «In quanto cristiani americani, siamo profondamente pentiti per l'irresponsabile uso della bomba atomica. Qualunque sia il giudizio che si può avere della guerra in principio, i bombardamenti a sorpresa di Hiroshima e Nagasaki sono moralmente indifendibili». Anche la scelta di utilizzare bersagli civili anziché militari è stata spesso criticata. Da una parte i militari statunitensi erano ansiosi di utilizzare le bombe atomiche sulle città per poter verificare le potenzialità di un ordigno nucleare, dall'altra gli USA stavano portando avanti una politica di massicci attacchi incendiari su obiettivi civili in Giappone dove il 20% degli esplosivi aveva lo scopo di spezzare le strutture di legno degli edifici mentre il restante 80%, composto da piccole bombe incendiarie, dava fuoco alle città. Il numero delle vittime dirette e indirette è stimato in 150.000 - 220.000 quasi esclusivamente civili [fonte: R. B. Frank, Downfall: The End of the Imperial Japanese Empire, Random House, New York, 1999, ISBN 0-14-100146-1]. Leà³ Szilà¡rd (1898-1964) con un ruolo importante nel Progetto Manhattan, sostenne: « Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, lo avremmo definito un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati ». L' « eroico » bombardamento americano in Italia venne appoggiato dall'Unità, organo del Partito Comunista Italiano che il 10 agosto 1945 pubblicò l'articolo Al servizio della civiltà: «Le notizie che l'Aviazione statunitense ha usato la bomba atomica sono state accolte in certi ambienti con senso di panico e con parole di riprovazione. Questo ci sembra uno strano complesso psicologico, una formale obbedienza a un astratto umanitarismo». C) Il silenzio della « storia dei vincitori » sulle bugie e sull'olocausto del Regno d'Italia Anche il Regno d'Italia vide pesantemente bombardati i maggiori centri industriali e portuali di tutta la penisola con enormi devastazioni e perdite umane anche tra i civili. a) Le bugie sulla strage di Mileto (VV, 16 luglio 1943) Poco prima di mezzogiorno soprattutto contadini in cerca di salvezza vennero colpiti dalle bombe e dai mitragliatori di alcuni aerei militari: 17 donne, 7 anziani, 14 bambini/ragazzi e un aviere sconosciuto. Caterina Artusa si sacrificò per fare da scudo al figlio Pasquale (a. 8), il quale riportò l'amputazione del braccio destro. La sig.ra Cichello rimase ferita e rischiò di perdere l'uso degli arti. La strage venne attribuita a aerei tedeschi, alleati del Regno d'Italia, ospitati nell'aeroporto di Vibo Valentia, che proprio dalla mattinata era inutilizzabile dopo lo sganciamento di 2.760 bombe da 20 libbre (9 Kg), da oltre 3.000 metri. con 100 soldati italiani e tedeschi morti. A Mileto non c'era nessun obiettivo sensibile, d'altronde i tedeschi si erano già ritirati dalla zona e ricordiamo che quando si vola radenti si è in grado di distinguere l'obiettivo e eventuali persone. Le responsabilità della strage ricadono invece su tre aerei della squadriglia 37 del 14th Fighter Group (caccia P-38 Lightning) dell'Air Force USA, guidato dal Lt. col. Troy Keith che sventagliarono proiettili da 7,7 mm con le loro mitragliatrici doppie sui civili. Al rientro dalla «eroica» McCord non fece cenno, nel rapporto sulla missione, della strage compiuta, evidentemente la strage di 39 civili era solo un « piccolo dettaglio » di quella intensa giornata cui 207 aerei avevano sganciato 60 tonnellate di bombe mentre altri 30 bombardamenti furono effettuati con 652 aerei in Sicilia e Calabria, con obiettivi multipli. Terminata la guerra per quella strage non venne mai aperta un'inchiesta per fare luce su quanto accaduto. Dal 16 luglio 1988 nella piazza antistante la chiesa di San Michele, dalla lapide con l'elenco delle vittime innocenti scompare il riferimento all'orrenda «strage nazista» con un asettico «39 martiri che furono stroncati dal bombardamento aereo», senza specificare che è stata effettuata dai nostri « liberatori » [La strage di Mileto (VV) del 16 luglio 1943, Giovani del 2000, anno XXIII, n° 4 (83) dicembre 2021: 23-26]. b) Il criminale prematuro annuncio dell'armistizio corto di Cassibile (SI, 3 settembre 1943) Con esso il Regno d'Italia firmò la resa incondizionata agli Alleati. Rimase segreto nel rispetto di una clausola che prevedeva che entrasse in vigore dal momento del suo annuncio pubblico ma, come vedremo, l'annuncio prematuro provocò il criminale dramma italiano con la consegna del Regno alla Germania. Il gen. Giuseppe Castellano chiese garanzie agli Alleati sulla reazione tedesca alla notizia della firma dell'armistizio e, in particolare, uno sbarco a nord di Roma e l'azione di una divisione di paracadutisti precedente l'annuncio ricevendo in risposta che sarebbero stati contemporanei all'armistizio, firmato alle 17:30, e venne bloccata in extremis dal gen. Eisenhower la partenza di cinquecento aerei per bombardare Roma. Il gen. di brigata Maxwell D. Taylor e il col. William T. Gardiner, giunsero in segreto a Roma per verificare la capacità di supporto italiano per i paracadutisti americani pertanto la sera del 7 settembre incontrarono il gen. Giacomo Carboni, responsabile delle forze a difesa di Roma che manifestò l'impossibilità di appoggiare i paracadutisti americani e la necessità di rinviare l'annuncio dell'armistizio, esigenza confermata dallo stesso Badoglio ma inaspettatamente il gen. Eisenhower fece annullare l'azione dei paracadutisti e rese pubblico l'armistizio da Radio Algeri, in lingua inglese, alle 17:30 (18:30 per l'Italia) [1943: Italy's surrender announced, su news.bbc.co.uk], alle 19:42 il proclama Badoglio (precedentemente registrato) venne trasmesso dai microfoni dell'EIAR che interruppero le trasmissioni. L'annuncio prematuro colse del tutto impreparate e lasciò quasi prive di direttive, senza ordini nè piani, le forze armate italiane impegnate in compiti di occupazione all'estero e quelle nel territorio metropolitano. Il mattino successivo, di fronte alle notizie di un'avanzata di truppe tedesche verso Roma, il re e i collaboratori fuggirono a Brindisi. Vergognosamente noto è l'episodio dell'imbarco nel porto di Ortona: poiché non c'era posto per tutto il seguito, alti ufficiali, colti dal panico, vestirono abiti borghesi e, abbandonando bagagli e uniformi per terra nel porto, si diedero alla macchia [testimonianza diretta, su reumberto.it]. Così, mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate [E. Aga-Rossi, Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze. Bologna, Il Mulino, 2003; S. Bertoldi, Apocalisse italiana. Otto settembre 1943. Fine di una nazione. Milano, Rizzoli, 1998; P. Tompkins, Italy betrayed, Simon & Schuster, New York, 1966], la Wehrmacht e le SS presenti nella penisola fecero scattare l'Operazione Achse (predisposta dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici fino a Roma, sbaragliando quasi ovunque l'esercito italiano: la maggior parte delle truppe venne mandata nei campi di internamento in Germania mentre il resto allo sbando tentava di rientrare al proprio domicilio o per motivi ideologici o per opportunità si diede alla macchia andando a costituire i primi nuclei della resistenza. Le navi della Regia Marina perse a causa dell'armistizio, per autoaffondamento o per cattura da parte dei tedeschi fu di 294.363 tonnellate per 392 unità già operative e di 505.343 tonnellate per 591 unità se si aggiungono le unità in costruzione (il 70% del dislocamento di tutte le navi della Regia Marina all'inizio della guerra, nettamente superiore al dislocamento del naviglio perso nei precedenti 39 mesi di guerra (334.757 tonnellate) [E. Bagnasco, In guerra sul mare, parte 4, in Storia Militare Dossier n° 4, ottobre 2012: 391]. c) La criminale distruzione dell'abbazia di Montecassino (15 febbraio 1944) Cassino, ai piedi della collina rispetto all'Abbazia, fu pesantemente bombardata e completamente distrutta nel marzo del 1944, uccidendo migliaia di civili e costringendo molti altri a fuggire a Montecassino che, per le forze alleate, si trovava in una posizione strategica per arrivare a Roma. Alcune comunicazioni ufficiali (incluse alcune dell' abate Diamare) asserivano che fosse soltanto un rifugio per italiani e monaci mentre l'intelligence alleata riteneva che fosse una postazione di avvistamento e di artiglieria delle truppe tedesche pertanto l'abbazia venne bombardata con l'uccisione di centinaia di civili. A quel punto le forze tedesche utilizzarono le rovine come protezione, per cercare di impedire agli alleati la risalita verso Roma fino al 18 maggio. d) ) La strage del treno nella galleria Delle Alpi a Balvano (3 marzo 1944) Dopo l'8 settembre 1943 le ferrovie al Sud erano amministrate dalle forze alleate con manodopera italiana. Dopo il ritiro tedesco, le ferrovie meridionali smisero di usare carbone tedesco, proveniente dalla regione della Ruhr, considerato unanimamente di ottima qualità e dovettero servirsi di quello imposto dal Comando Militare Alleato, che giungeva a Salerno dalla ex-Jugoslavia di Tito, di scarsissima qualità, contenente molto zolfo e ceneri che forniva meno potenza. Il 2 marzo 1944, un treno merci speciale di quarantasette carri con peso 520 tonnellate partì da Napoli verso Potenza e a Salerno vennero attaccate due locomotive con postazioni di guida ai lati opposti e collocate in doppia trazione, anche se di norma, una doveva essere in testa e l'altra in coda, per evitare l'accumulo di gas velenosi all'interno delle gallerie. Sebbene fosse un treno merci, vi salirono oltre 600 passeggeri, ancora a Battipaglia vennero aggiunti altri vagoni merci che portarono la lunghezza complessiva a oltre 400 mt per un peso probabilmente superiore ai limiti. Il treno arrivò dopo mezzanotte alla stazione di Balvano, compresa tra due gallerie, lasciando all'interno di una di esse quasi metà del convoglio per quasi un'ora pertanto i passeggeri iniziarono a intossicarsi già prima dell'arrivo nella galleria Delle Armi, luogo del disastro, nota per la scarsa ventilazione, dove le locomotive cominciarono a slittare e il treno perse velocità fino a rimanere bloccato fermandosi a ottocento mt dall'ingresso, con fuori i soli due ultimi vagoni. I due macchinisti agirono uno spingendo in avanti e il secondo per cercare di retrocedere, il treno iniziò quindi a slittare sui binari umidi e si mosse avanti e indietro per alcuni minuti quando il frenatore del carro di coda, rimasto fuori dalla galleria, quando vide che il treno stava retrocedendo, come da regolamento, lo arrestò inchiodandolo al suo tragico destino all'interno della galleria. Gli sforzi delle locomotive per riprendere la marcia svilupparono grandi quantità di monossido di carbonio e acido carbonico, facendo presto perdere i sensi a personale di macchina e, in poco tempo, anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stavano dormendo, venne asfissiata dai gas tossici. Macchinisti e fuochisti furono probabilmente i primi a morire asfissiati, tranne uno, che si salvò perché svenne e cadde giù dalla cabina finendo sopra un rigagnolo d'acqua. I soccorsi, giunti verso le 7:00, trovarono centinaia di cadaveri che giacevano ovunque, a bordo e ai lati del treno, dall'imbocco della galleria fino a circa mezzo chilometro più in fondo, i loro corpi vennero disposti in fila lungo i marciapiedi per alcuni giorni quando arrivarono dei camion americani dove i cadaveri vennero caricati, il prete ebbe il tempo solo per una benedizione. Gli inglesi volessero bruciarli ma un cittadino offrì un appezzamento di terra confinante con cimitero per la sepoltura in quattro fosse comune, senza funerale tanti morti non vennero mai identificati. Nel verbale del Consiglio dei ministri del governo Badoglio del 9 marzo 1944 si legge «Il Ministro delle Comunicazioni riferisce sul sinistro ferroviario […] da attribuirsi alla pessima qualità di carbone fornito dagli Alleati. I morti sono 517 […]». Nel verbale risalta un dato contrastante (501 morti) con quanto riferito dal Ministro delle Comunicazioni nella stessa seduta (517 morti) inoltre la lunghezza della « galleria delle Armi » è indicata di 1692,22 mt mentre nel cartello al suo ingresso è di 1968,78 mt. All'epoca il Governo italiano era fortemente controllato dalle forze alleate, le quali tentarono di nascondere l'immane tragedia rendendo inaccessibili gli atti ufficiali e facendo sparire documenti. Alla Commissione d'indagine il magg. Wilson riferì: «All'indomani della tragedia il carbone venne sostituito con un tipo gallese, di migliore qualità e resa che produce minori esalazioni rispetto ai diversi altri tipi di carbone precedentemente utilizzati», ammissione di responsabilità degli Alleati. Un tentativo dell'allora sindaco di Balvano per accertarne le responsabilità fu prontamente distolto dalle autorità alleate. Le commissioni d'inchiesta, forse per paura di reazioni da parte degli Alleati, non andarono fino in fondo. Indubbiamente le responsabilità morali vanno ascritte ai nostri « liberatori »: erano loro che regolavano i trasporti, organizzavano gli itinerari, fornivano il carbone. Il « Times », nel 1951, confermò che « il Governo alleato si sforzò di occultare l'incidente per evitare l'effetto deprimente sul morale degli italiani » ma, con ogni probabilità, si volevano coprire le vere responsabilità e cercare di mantenere la fiducia da parte degli italiani nei confronti degli anglo-americani [La strage ferroviaria del 3 marzo 1944: la censura, il dolore della memoria e il ricordo dopo l'oblio, Giovani2000, anno XXIII n° 3 (82) settembre 2021: 29-36]. e) L'eccidio di Malga Bala (25 marzo 1944) Il 23 marzo 1944 un drappello di dodici Carabinieri che presidiava la centrale idroelettrica di Bretto (Friuli Venezia Giulia) furono catturati da partigiani titini e costretti a raggiungere a tappe forzate Malga Bala, la sera del 24 marzo venne loro somministrato minestrone a cui erano stati aggiunti soda caustica e sale nero e il mattino seguente vennero seviziati fino alla morte. I loro cadaveri vennero rinvenuti casualmente da una pattuglia di militari tedeschi. Il 27 marzo 2009 il presidente della Repubblica G. Napolitano ha conferito ai dodici militari la medaglia d'oro al merito civile [L'eccidio di Malga Bala (25 marzo 1944), Giovani del 2000, anno XXIII, n° 4 (83) dicembre 2021: 14-15]. f) Il dramma delle foibe (1945) Negli inghiottitoi carsici, chiamati «foibe» in Venezia Giulia, furono gettati i corpi delle vittime o le stesse ancora in vita. Sono stati eccidi ai danni di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia misconosciute fino a qualche anno fa [G. Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-04-48978-2: 4] avvenuti durante e subito dopo la II guerra mondiale da parte dei partigiani jugoslavi e dell'Odeljenje za ZaÅ¡titu Naroda o OZNA (Dipartimento per la Protezione del Popolo dei servizi segreti militari jugoslavi). Le vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e in Dalmazia sono state 3.000-5.000 (comprese le salme recuperate e quelle stimate, nonché i morti nei campi di concentramento jugoslavi) [R. Pupo e R. Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003: 29-30, ISBN 88-424-9015-6; R. Pupo, Foibe, su treccani.it.] fino a 11.000 [G. Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002, ISBN 978-88-425-2999-6] conteggiando anche i caduti italiani nella lotta antipartigiana. Al massacro delle foibe seguì l'esodo di 250.000-350.000 giuliani, quarnerini e dalmati italiani tra il 1945 e il 1956 «per l'impossibilità di mantenere la loro identità nazionale» [Relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena su isgrec.it].


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Le antiche unità di misura italiche in epoca pre-1860

di Stefano Pellicanò

Secondo gli antichi agrimensori la misura era «la dimensione di tutte le cose» mentre per quelli odierni va intesa «il valore di una grandezza mediante il suo confronto con un'altra della stessa specie assunta come unità di misura». Le antiche unità di misura italiane furono locali che pur avendo spesso nomi simili, ebbero origini e valori molto diversi tra loro. A es. prima del 1860 la libbra cagliaritana valeva più della torinese che a sua volta valeva più della milanese. In Italia, dopo la caduta dell'Impero Romano, continuarono a rimanere in uso le sue unità di misura, talvolta affiancate da unità locali, come il versus in Campania. Fin dall'epoca comunale le diverse realtà locali ne realizzarono proprie; nel corso dei secoli le mutazioni di confini portarono a riunire sotto la stessa amministrazione unità di misura eterogenee con ovvie problematiche per commerci, dazi e tassazioni. In Sicilia fondamentale è l'uniformazione in epoca normanna-aragonese quando si assiste a una prima standardizzazione con la canna composta da 8 palmi con valore 2,109360 mt. Nel 1809 Ferdinando II di Borbone (1810-1859) estese nel Regno di Napoli il sistema di misurazione per le lunghezze siciliano: la base dell'intero sistema, il palmo, era la settemilionesima parte di un minuto primo del grado medio del meridiano terrestre cioè la settemilionesima parte del miglio geografico d'Italia pari a 0,26455026455, sostituendo il vecchio palmo napoletano pari a 0,2633333670 mt. del 1480. Da notare, per le unità di misura del tempo, che l'Anno siciliano era compreso tra il 1º settembre al 31 agosto dell'anno successivo (Filippo IV di Spagna, 1650) con indizione ciclo di 15 anni; il giorno l'arco delle 24Ê° compreso tra le 6:00 e le 18:00; la notte l'arco delle 24Ê° compreso tra le 18:00 e le 6:00 del giorno seguente. Anche tra le varie provincie del Regno delle Due Sicilie c'erano diverse unità di misura. Dopo l'annessione del 1860 si pensò a unificare tutte le unità di misura della Penisola nel francese sistema metrico decimale ma, poiché non mancarono le difficoltà per analfabeti e diffidenti, vennero affissi bandi di raffronto tra vecchie e nuove unità di misura nei mercati e nelle pubbliche piazze, come la targa ancora presente a Prizzi, (PA, fig. 2), comunque per un certo periodo le vecchie misure continuarono a sopravvivere. Antiche unità di misura per i terreni A es. c'erano: la salma, la superficie ritenuta congrua alla semina di frumento col tumulo, suo sottoomultiplo; la bisaccia e, tra i pesi, l'oncia e il rotolo, pari rispettivamente a 70 e 793 gr. Antiche unità di misura per i liquidi La salma valeva anche per i liquidi. Per il vino corrispondeva a otto barili, con il multiplo di botte, superiore a 11 ettolitri e i sottomultipli quartara e quartaccio mentre per l'olio si usava il cantaro (circa 79 kg) e il cafiso, un suo decimo. Sottomultipli della salma erano il garozzo e il mondello, pari rispettivamente a 1,1 e 4,3 lt. Antiche unità di misura per le lunghezze Erano la canna, il palmo, l'oncia, il miglio rispettivamente di 2,6 mt., 25,75 cm., 2,15 cm. 1.483,20 mt.=720 canne. Alcune particolarità in Calabria Inferiore e Sicilia In molti paesi della Calabria Inferiore e della Sicilia il sistema presentava notevoli oscillazioni col sistema ufficiale. A es. per le quantità secche si usava il quartino (6,69 cl.), il quarto (4 quartini), il garonzo (4 quarti), il mondello (4 garonzi = 4 kg), il tumulo (4 mondelli), la bisaccia (4 tumoli) e la salma (4 bisacce, 250 kg.). Per i liquidi si usavano il bicchiere o qurtino (21,50 cl.), la caraffa (2 bicchieri), il quartuccio (2 caraffe), la lancedda (9 quartucci = 7,74 lt.), la quartara (11,200 lt. di mosto o 10 lt. di vino), il barile (due quartare), la salma (90 lt. di mosto o 80 lt. di vino), la botte (4 salme di vino), il cafiso (12 lt. di olio o 11,100 kg di olio) e il mezzo cafiso (6 lt. d'olio o 5,55 kg di olio). Per l'acqua si utilizzavano la palma (250 lt.') e la zappa (512 quartare = 1.600 quartucci = 3.200 caraffe = 6.400 bicchieri = 12.800 gotti = 687,72 lt. L'introduzione del sistema metrico decimale Nel corso del XIX sec. le unità di misura locali vennero progressivamente sostituite dal sistema metrico decimale ma ancora oggi è possibile constatare valutazioni secondo le antiche consuetudini, specie tra la popolazione più anziana. Dal 31 dicembre 2009, comunque, l'utilizzo delle misure non comprese nel sistema internazionale è stato vietato.


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Ipotesi motivate sui veri motivi dell'entrata prematura dell'Italia nella II Guerra Mondiale (10 giugno 1940)

di Stefano Pellicanò

è incontestabile che la vera Storia non viene sempre scritta dai contemporanei perchè influenzati dallo spirito del tempo ma dai posteri, anche a distanza di secoli. Come esempi citiamo Giuda Iscariota (?-26-36), Nerone (37-68); Lucrezia Borgia (1480-1519), la conquista del Regno delle Due Sicilie (1860); l'assassinio di John Kennedy (1963), ecc. Ogni volta che è scoppiata una guerra «la prima vittima è sempre stata la verità, in quanto le bugie sono necessarie per demonizzare il nemico ma poi, quando la guerra è finita, le bugie dei vincitori sono diventate delle «verità» mentre quelle dei vinti sono sopravvissute sottotraccia». Questa prospettiva è arrivata alle estreme conseguenze con il trattamento riservato al Giappone sconfitto (1945), costretto a lungo a rimuovere la propria storia dai testi scolastici. Compito degli Storici non di parte deve essere quello di sottoporre la Storia a revisione perché la storiografia è una sua costante riscrittura alla luce di nuovi documenti. Nello scontro tra teorie consolidate e revisioniste le ipotesi storiografiche possono venire ulteriormente consolidate o chiarite o modificate e se le ipotesi revisioniste vengono accettate si dice che si e verificata una traslazione del paradigma. Il contesto storico Lo scenario nello scacchiere europeo nella seconda metà degli anni Trenta era inquieto e mutevole, con rapporti altalenanti tra le grandi potenze, in cui tutte le alleanze erano ancora possibili. Lo Stato Maggiore francese, fin dal 1931, aveva disposto dei piani per l'invasione dell'Italia, aggiornandoli nel 1935, 1937 e nel 1938 ma il generale Alphonse Georges (1875-1951) fece notare che «nessuna azione sarebbe stata possibile contro l'Italia se, sulla Francia, fosse pesata una minaccia tedesca». Dopo la Conferenza di pace di Monaco (29-30 settembre 1938), sponsorizzata da Mussolini, la Francia si era riavvicinata all'Italia pertanto, a posteriori, il patto Mussolini – Hitler, che Mussolini voleva chiamare Patto di sangue poi modificato in Patto d'acciaio (Stahlpaky) e firmato il 22 maggio 1939, fu il risultato di un atteggiamento miope verso l'Italia da parte di Francia e Regno Unito in quanto, secondo Galeazzo Ciano (1903-1944), Mussolini accettò la proposta tedesca a causa della comprovata alleanza militare tra Francia e Regno Unito, dell'orientamento ostile del governo francese nei confronti dell'Italia e dell'atteggiamento ambiguo degli USA pronti, come avvenne, a rifornire di armamenti Londra e Parigi. Gli sforzi sostenuti per la guerra d'Etiopia (1935-36) e per il supporto alla guerra civile spagnola (1936-39) avevano comportato spese eccezionali per il Regno d'Italia, pertanto la scarsa preparazione dell'esercito e la lentezza del riarmo, spinsero Mussolini a dire a Hitler e al Gran consiglio del fascismo (4 febbraio 1939), che non si poteva partecipare a un nuovo conflitto prima del 1943. Il 25 agosto 1939 Hitler chiese a Mussolini di quali mezzi e materie prime avesse bisogno che, nella speranza che il Paese fosse esonerato dalla partecipazione alla guerra, rispose con una lunghissima lista appositamente abnorme e impossibile da soddisfare, di quasi diciassette milioni di tonnellate di rifornimenti. Il Fà¼hrer, nonostante il sospetto dell'inganno, rispose che poteva inviare una piccola parte del materiale. I giovani francesi e tedeschi già dall'800 crescevano con l'odio verso chi era «dalla parte opposta del Reno», con l'aspirazione alla «rivincita» e la lotta continua per il possesso di Alsazia e Lorena, ricche di carbone. Il trattato di pace di Versailles (28 giugno 1919) oggi riconosciuto iniquo per la Germania con la conseguente crisi economica (per 1 kg di pane ci volevano milioni di marchi) e l'effimera Repubblica di Weimer (denominazione non ufficiale del Reich tedesco tra il novembre 1918 e il 1933) in pratica consegnarono la Germania al nazionalsocialismo di A. Hitler con libere elezioni che mantenne le promesse elettorali di eliminare la disoccupazione in pochi mesi, varò un vasto programma di autostrade, fondò la Volkswagen (vettura del popolo, 1937) affinchè tutti i lavoratori tedeschi avessero un'autovettura oltre a varare innovative leggi a tutela degli animali. La Francia, vincitrice nella I guerra mondiale, aveva l'esercito più numeroso al mondo, il numero maggiore di carri armati, si era protetta con la poderosa linea Maginot (1928-1940), un complesso integrato di fortificazioni, opere militari, ostacoli anticarro, postazioni di mitragliatrici, sistemi di inondazione difensivi a protezione dei confini col Belgio, Lussemburgo, Germania, Svizzera e Italia (quest'ultima Linea Maginot alpina). Era ritenuta invalicabile anche se qualche voce critica francese osservò che « sarebbe stato meglio investire quei soldi in unità mobili invece di schiaffare tutto quel denaro sottoterra ». In realtà la tattica di impiego dei mezzi corazzati risaliva alla I guerra mondiale, cioè la fanteria camminava dietro i carri armati mentre la Germania dell'ex caporale Hitler aveva elaborato la micidiale tattica Blitzkrieg (guerra lampo), basata sulla combinazione di meccanizzazione, potere aereo e telecomunicazioni, con manovre rapide e travolgenti per sfondare le linee nemiche per poi procedere all'accerchiamento e alla distruzione delle unità isolate. In pratica quando Germania e URSS si divisero la Polonia (fig.1), in base al « Protocollo segreto » collegato al trattato di non aggressione (23 agosto 1939) fra il Reich e l'URSS (patto Molotov - Ribbentrop) la Francia e l'Inghilterra dichiararono guerra alla Germania, non all'URSS, pur non avendo alcuna alleanza con la Polonia. Dopo un periodo che va dalla fine della campagna di Polonia, 6 ottobre 1939, all'avvio delle operazioni in Francia (maggio 1940) si ebbe il periodo della « guerra strana, stramba o guerra farsa », un periodo di stasi nelle operazioni militari quindi la Germania attaccò la Francia e inaspettatamente, in un mese, arrivò a Parigi. La linea Maginot fu aggirata al nord, nella foresta delle Ardenne considerata dai vertici militari francesi insuperabile (fig.3). Facciamo un passo indietro: in politica estera Mussolini rivendicava dalla Francia la Tunisia, Nizza la Savoia, la Corsica, Gibuti e Suez. L'Italia, in pratica a guerra franco-tedesca quasi conclusa, dichiarò all'improvviso guerra alla Francia pur sapendo che avrebbe avuto difficoltà perché sulle Alpi ben fortificata. Si parlò di «cinico di fronte alla storia che voleva dei morti per sedersi al tavolo della pace» e di «pugnalata alla schiena a una nazione già sconfitta». La Storia ci tramanda che Mussolini al tavolo della pace non chiese nulla alla Francia sconfitta e le «pretese» di Hitler sembrarono tutto sommato moderate, addirittura il territorio francese non venne tutto occupato ma venne creato l'Etat Francais con capitale Vichy e con a capo il mar. Henri-Philippe-Omer Pétain (1856-1951), eroe della I guerra mondiale molto amato dai francesi, uno stato satellite della Germania ma con una certa autonomia. Secondo alcuni storici [A. Fabre-Luce, La verità sul Generale De Gaulle e difesa del Maresciallo Pétain, Collana Serie Polemica n° 4, Roma, Editori Riuniti, 1947; Jean-Raymond Tournoux, Pétain et De Gaulle: un demi-siècle d'histoire non officielle, Paris, Plon, 1964] quando la guerra prese quella piega inaspettata, tra Petain e il col. (gen. dal 25 maggio 1940) Charles De Gaulle (1890-1970), ci fu il patto segreto che Petain sarebbe rimasto in Francia, pur sapendo che sarebbe stato tacciato di collaborazionismo mentre De Gaulle in Inghilterra a creare un corpo della Francia Libera attivo anche nelle colonie e poi il Comitato francese di Liberazione nazionale: a fine conflitto soltanto uno dei due sarebbe stato dalla parte dei vincitori ma in ogni caso avrebbe vinto la Francia. Nel Mein Kampf (La mia battaglia, 1925) Adolf Hitler espose il suo pensiero politico e delineò il programma del Partito nazionalsocialista scrivendo chiaramente che i popoli inglese e tedesco erano «cugini» e che la Germania avrebbe cercato il suo spazio vitale in Oriente. Non intendeva attaccare l'Occidente in quanto baluardo contro l'URSS se le cose non sarebbero andate nel verso desiderato. Quando la Francia venne travolta dall'attacco tedesco il corpo di spedizione britannico superstite (oltre 400.000 soldati) venne in gran parte evacuato rocambolescamente via mare attraverso il porto di Dunkerque, perdendo tutto l'equipaggiamento e i materiali, in condizione disperate (battaglia di Dunkerque, 26 maggio - 4 giugno 1940) in quanto la Luwtfaffe aveva il dominio dell'aria e non si potevano inviare navi per imbarcarlo. «Inaspettatamente» Hitler fermò i carri armati fuori dal porto pur sapendo che le bombe d'aereo sulla sabbia venivano attutite mentre i pescherecci giunti per trarre in salvo i soldati inglesi poterono operare. Si parlò di miracolo ma forse Hitler non voleva umiliare gli inglesi, «popolo fratello d'origine» e arrivare effettivamente alla pace. A riprova il suo braccio destro Rudolf Walter Richard Hess (1894-1987) il 10 maggio 1941 decollò da Augusta a bordo di un Messerschmitt Bf 110 modificato e raggiunse il castello del duca di Hamilton (un fautore del dialogo con il Terzo Reich) nel Lanarkshire. Qui si paracadutò e venne internato. Propose un piano di pace basato sulla spartizione del potere a livello mondiale ma le proposte di Hitler (il viaggio avvenne su sua ispirazione o ordine?) sarebbero state giudicate inaccettabili o l'interlocutore inaffidabile (dopo la conferenza di Monaco). Hitler, parlando alla radio lo definì «pazzo», come Hess gli aveva chiesto, in caso di fallimento della missione, nella sua ultima lettera. Venne quindi la battaglia d'Inghilterra, gli inglesi si predisposero all'imminente invasione tedesca (Unternehmen Seelà¶we, Operazione Leone Marino, fig.5) con piani accurati in quanto teoricamente la guerra era ormai persa ma a un certo punto Hitler sospese l'invasione La cattura di Benito Mussolini Contatti segreti tra Mussolini e emissari inglesi erano avvenuti a Porto Ceresio (VA), presso il confine svizzero, il 21 settembre 1944 e il 21 gennaio 1945 [P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Tropea, Milano, 2001: 317; L. Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci? , Ares, 2002: 84] inoltre da conversazioni intercettate dai servizi segreti tedeschi a Salò, si evincono possibili accordi segreti e uno scambio di lettere tra Mussolini e Churchill [R. Lazzero, Il sacco d'Italia. razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, Milano, 1994; L. Garibaldi, op. cit.: 68]. Verso le ore 16 del 27 aprile 1945, durante l'ispezione di una colonna tedesca a Dongo, effettuato dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi, Mussolini fu riconosciuto, arrestato e preso in consegna da Urbano Lazzaro « Bill » che lo accompagnò nella sede comunale, ove gli fu sequestrata una borsa pena di documenti, secondo le testimonianze di partigiani, funzionari, ecc. che hanno dichiarato di averle ispezionate in quei giorni [A. Zanella, L'ora di Dongo, Rusconi, Milano, 1993: 159] a quattro scomparti che conteneva quattro cartelle, trecentocinquanta documenti riservatissimi contenente, tra l'altro, parte della sua corrispondenza con Churchill [P. Tompkins, op. cit.: 352; L. Garibaldi, op. cit.: 89] 1.700.00 £ in assegni e 160 sterline d'oro [A. Zanella, op. cit.: 159]. Precisamente le borse erano quattro: una, di colore giallo-marrone, che il Macigno teneva personalmente e custodiva una selezione altamente rappresentativa dei dossier esteri; una seconda, di colore nero, affidata al suo aiutante di campo, col. Vito Casalinuovo, al momento dell'arresto, erano marcate: «Mussolini. Segreto» e pesavano rispettivamente 4,8 e 5,4 kg. [P. Tompkins, op. cit.: 353] mentre altre due borse colme di documenti erano trasportate da Marcello Petacci, fratello di Claretta, anch'esse intercettate dai partigiani di cui non si è saputo più nulla e da donna Rachele Guidi Musolini, su cui torneremo. Il pomeriggio del 27 aprile 1945, poco dopo il suo arresto a Dongo, a «Bill» che accennava a sbirciare dentro la borsa piena di documenti Mussolini disse con tono grave: «Guarda che questi documenti sono molto importanti per il futuro dell'Italia». Poiché sperava in un processo internazionale, e gli USA concordavano, quei documenti avrebbero costituito la sua autodifesa di fronte alla Storia. Essi in prima battuta interessarono i partigiani di orientamento moderato al contrario dell'oro di Dongo, che interessò subito i partigiani comunisti. Il mistero dell'oro di Dongo Questo tesoro, dedotta qualche ruberia, fu in parte inventariato dai membri della 52ª brigata Garibaldi, in particolare dal «cap. Luigi Canali Neri» e dalla sua fidanzata Giuseppina Tuissi « Gianna » che insistettero affinché i beni fossero consegnati alle autorità della Liberazione. Altri compagni, invece, premevano affinché tutto finisse al partito. Sta di fatto che il tesoro sparì, assieme al resto che i partigiani avevano recuperato dalle acque del lago, dove i tedeschi l'avevano gettato. E sparirono anche «Bill», assassinato quasi subito e « Gianna », che incautamente ne aveva iniziato la ricerca, poi furono uccisi altri testimoni. Tutti gli indizi portavano ai membri del PCI di Como, che si erano impadroniti del bottino e si erano disfatti dei cadaveri. Così nel 1947 la Giustizia militare aprì un'inchiesta, con le prime incriminazioni, gli imputati erano diventati, quasi tutti, esponenti di spicco del PCI. A un certo punto il processo fu interrotto, e sarebbe dovuto ricominciare da zero poi intervennero amnistia e prescrizione. Alcuni imputati ritornarono trionfanti in Parlamento, altri restarono prudentemente all'estero, oltre cortina. Negli anni successivi molti superstiti ammisero che il tesoro era finito in gran parte nelle casse del PCI. Massimo Caprara, allora segretario di Togliatti, specificò che aveva finanziato, tra l'altro, l'acquisto della sede di via delle Botteghe Oscure, circostanza sempre negata dal PCI. Il memoriale, quasi del tutto inedito, del partigiano-pescatore Aldo Castelli, « Pinun » (1915-1985) Il testo dattiloscritto di 20 pagine venne redatto, a breve distanza dagli eventi e nelle disponibilità dell'avv. fiorentino Bruno Piero Puccioni, agente di vari servizi segreti, il regista del tentativo, poi fallito, di consegnare Mussolini vivo agli americani. Sul memoriale a lungo è stata posta una specie di segreto di Stato, per la natura ultrasensibile dei materiali e a tutela degli obblighi internazionali dell'Italia nei confronti di USA e Gran Bretagna. Questo memoriale è l'unica fonte scritta da un partigiano protagonista dei fatti di Dongo a ammettere l'esistenza, dell'epistolario Churchill-Mussolini: verso sera «Bill» consegnò al vicecommissario Tunesi una borsa di pelle, dicendogli «fatti uccidere ma non lasciarti portar via questa borsa, qui dentro vi sono documenti da cui dipende l'avvenire d'Italia», demmo un'occhiata a detti documenti di sfuggita e notammo diversi fascicoli dove vi era scritto «corrispondenza Churchill-Mussolini, Mussolini-Principe di Piemonte e i comportamenti sessuali di quest'ultimo, sull'intervento nella guerra civile spagnola documenti sull'ingresso dell'Italia nel II conflitto mondiale e processo di Verona». Dunque, anche «Pinun» vide che, tra i fascicoli, c'era anche il carteggio tra i due statisti, la cui esistenza è oggetto di un tenace negazionismo. Quel che Castelli omise di raccontare, nel suo dattiloscritto, lo svelò invece decenni più tardi, metà degli anni Settanta, allo storico fiorentino Alberto Maria Fortuna, collaboratore di Puccioni, che raccolse sue dichiarazioni registrate su bobina. «Pinun», ferito, il pomeriggio del 27 aprile 1945, poté entrare nella stanza in cui c'era Mussolini che, spinto dalla curiosità, gli domandò come mai fosse «conciato in quel modo» [si era procurato una ferita in un incidente d'auto]; Castelli aggiunge che, quando nella sala entrò Alessandro Pavolini (segretario del Partito fascista repubblicano), che in uno scontro a fuoco con i partigiani avvenuto poco prima, aveva rimediato una bruciante ferita al petto con i pallini di un fucile da caccia e si lamentava per il dolore. Mussolini, infastidito, a un certo punto sbottò: «Ma smettila! Guarda questo partigiano, è ferito più gravemente di te e non si lamenta!». Poco dopo entrò un partigiano in preda a escandescenze «come un dannato picchiò un pugno sul tavolo dov'era seduto Mussolini e gli disse: Ti ricordi al tal punto, in Grecia, quando tu passasti in rivista il mio reggimento?». Avuto risposta affermativa continuò: « Sono quel fante che è uscito dalle file e ti ha fatto vedere che eravamo senza scarpe e i pantaloni rotti e per questo ho preso 15 giorni di rigore e non ho potuto andare in licenza mentre il mio comandante veniva promosso ». Mussolini, replicò: «Io non sapevo niente di quello che facevano i miei ufficiali, però sono convinto che, mentre i soldati facevano il loro dovere, gli ufficiali mi tradivano». Altre rivelazioni sulla documentazione scomparsa di Mussolini Il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle « Pedro » riferì dell'esistenza del carteggio Mussolini-Hitler e dossier sulle trattative per il passaggio di poteri dalla RSI al Partito Socialista Italiano (all'epoca chiamato PSIUP). Altri hanno citato la presenza di documenti riguardanti Pietro Nenni (1891-1980), sulla situazione di Trieste, sull'eventuale passaggio del governo della RSI in Svizzera e sulle attività partigiane nelle varie zone. Quasi tutti questi fascicoli vennero fatti sparire. Di enorme interesse il memoriale di Angelo Zanessi, alias capitano Zehnder o Ennio Belli o W. Z., agente segreto americano in divisa germanica che a Como, alle prime ore del 26 aprile, riuscì a impadronirsi del contenuto della borsa affidata a Claretta Petacci: lettere di Churchill e una relazione di Chamberlain. Sul contenuto della borsa giallo-marrone riferisce che raccoglieva un piccolo, ultra-selezionato archivio sugli affari internazionali, nel quale spiccavano, tra gli altri: lettere di Churchill e di Chamberlain; il dossier Savoia, comprendente lettere di Vittorio Emanuele III e una del principe Umberto, di poco anteriore al 10 giugno 1940, nella quale chiedeva « l'onore di aprire le ostilità sul fronte occidentale prima che la travolgente avanzata in Francia divenga una vittoria prettamente tedesca »; due missive dell'ex re Boris di Bulgaria (1894-1843); la corrispondenza con Hitler; dossier sui «traditori», sul «caso Wilhelm Franz Canaris (1887-1945)» [ammiraglio capo dell'Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, dal 1935 al 1944, che partecipò al fallito Attentato a Hitler del 20 luglio 1944 («Operazione Valchiria»)] e sulla vicenda dei diari di Ciano. Di straordinaria rilevanza, i materiali concernenti le responsabilità nello scoppio della II guerra mondiale, con le prove degli sforzi condotti fino all'ultimo da Mussolini per evitare lo scatenamento del conflitto. La borsa descritta da Zanessi è la stessa di cui parlano le fonti partigiane, buona parte del suo contenuto venne trafugato dagli alleati lasciando agli italiani pochi fascicoli. Quella stessa sera le borse furono poste in due sacchi di tela e depositate presso la filiale della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde di Domaso da «Bill», accompagnato dal collaboratore e interprete svizzero Alois Hofman e dal partigiano Stefano Tunesi [A. Zanella, op. cit., 378]. Successivamente i due sacchi furono affidati al parroco di Gera Lario, che li nascose nella cripta della chiesa, infine pervennero al comando del CVL di Como [P. Tompkins, op. cit.: 353] privi del fascicolo relativo al principe Umberto, che «Pedro» aveva restituito all'interessato. Il 4 maggio 1945 tutto il materiale, a cui erano stati uniti altri documenti di Mussolini provenienti dalla terza borsa sequestrata a Marcello Petacci, fratello di Claretta, che seguiva il convoglio con la propria vettura, furono esaminati, tra l'altro, dal segretario della Federazione comunista locale, Dante Gorreri e dal nuovo prefetto di Como, Virginio Bertinelli [P. Tompkins, op. cit.: 354]. Il carteggio comprendeva 62 lettere, 31 di Churchill e 31 di Mussolini [P. Tompkins, op. cit.: 356-7]. Dopo fu commissionata la fotoriproduzione di tutti i documenti alla Fototecnica Ballarate di Como; l'originale rimase al Gorreri, una copia fu consegnata a Bertinelli e una fu riposta nella cassaforte della federazione comunista [P. Tompkins, op. cit.: 354] La seconda borsa, di colore nero pervenuta al comando del CLN di Como, fu recuperata dagli Alleati dopo la cessione dei dossier OVRA [polizia segreta dal 1927 al 1943 e nella Repubblica Sociale Italiana dal 1943 al 1945] e del fascicolo Nenni che gli 007 americani trovarono a Villa Mantero di Como dove aveva soggiornato donna Rachele Guidi Mussolini (1890-1979). Zanessi, infine, rivela che, tra gli agenti che collaborarono con gli Alleati per il recupero della documentazione di Mussolini, c'erano il cap. Luigi Canali «cap. Neri» e la sua compagna-staffetta Giuseppina Tuissi «Gianna» comunisti entrati in conflitto con il loro partito. Un'interessante clausola dell'armistizio di Malta (29 settembre 1943) Col diffondersi della notizia dell'arresto di Mussolini giunsero al comando del CLNAI, dal quartiere generale alleato di Siena, parecchi telegrammi con la richiesta di affidamento del prigioniero al controllo degli Alleati: « Al Comando generale and CLNAI - stop - fateci sapere esatta situazione Mussolini - stop - invieremo aereo per rilevarlo - stop - Quartier generale alleato » [...] e ancora: « Per CLNAI - stop - Comando alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini dico Mussolini - stop se est stato catturato si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna al Comando alleato - stop […] ». L'ufficio operativo al quartier generale delle forze alleate, aveva inviato istruzioni alle 25 squadre dell'OSS (Office of strategic services) già pronte all'azione nei boschi e nelle montagne: « […] è desiderio degli Alleati catturare vivo Mussolini. Notificare a questo Q. G. se è stato catturato e tenerlo sotto protezione fino all'arrivo delle truppe alleate » [G. F. Vené, La condanna di Mussolini, Fratelli Fabbri, Milano, 1973; L. Garibaldi, La pista inglese: Chi uccise Mussolini e la Petacci?, 2018], infatti la clausola n° 29 dell'armistizio siglato a Malta, da Eisenhower e da Badoglio, prevedeva espressamente che: « Benito Mussolini e i suoi seguaci, i cui nomi si trovino sugli elenchi che verranno comunicati dalle Nazioni Unite e che ora o in avvenire si trovino in territorio controllato dal Comando militare alleato o dal Governo italiano, saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite » [R. Roggero, Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia, 2006] ma appena a conoscenza dell'arresto, il Comitato insurrezionale di Milano (Pertini, Valiani, Sereni e Longo), il 27 decise di inviare una missione a Como onde procedere all'esecuzione di Mussolini [Intervista a Sandro Pertini su Youtube] incaricando W. Audisio, « col. Valerio » e Aldo Lampredi « Guido », uomo di fiducia di Luigi Longo, (1900-1980). con commissario politico Michele Moretti «Pietro Gatti». Una decina di Jeep agli ordini del gen. Bolty intanto perlustravano la zona per farsi consegnare Mussolini [V. Roncacci, La calma apparente del lago. Como e il Comasco tra guerra e guerra civile 1940-1945, Varese, Macchione, 2003: 394]. Il gen. Raffaele Cadorna, per evitare che Mussolini cadesse nelle mani degli Alleati [P. Milza, Mussolini, La biblioteca di Repubblica, 1999: 131] rilasciò il salvacondotto necessario [P. Tompkins, op. cit.: 328] anzi Audisio fu munito di un secondo lasciapassare in lingua inglese, firmato dall'agente dell'O.S.S. americano Emilio Daddario [G. Cavalleri, F. Giannantoni e M. J. Cerighino, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-46), Garzanti, Milano, 2009: 69]. Intanto alle 3 del mattino successivo, la radio partigiana trasmise agli alleati un fonogramma di depistaggio, nel quale si asseriva l'impossibilità della consegna di Mussolini, in quanto già processato dal Tribunale popolare e fucilato «nello stesso luogo ove precedentemente fucilati da nazifascisti quindici patrioti» [G. Cavalleri, F. Giannantoni e M. J. Cerighino, op. cit.: 51]. L'assassinio di Benito Mussolini La sua uccisione avvenne il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra (CO). Della sua morte esistono numerose versioni dove le versioni fornite dai tre esecutori (versione storica ufficiale) concordano sostanzialmente sulla dinamica mentre divergono sugli atteggiamenti e parole pronunciate [V. Roncacci, op. cit.: 104]. L'ultima descrizione, postuma, di Audisio [W. Audisio, In nome del popolo italiano, Teti Stampa, Milano, 1975] è sostanzialmente confermata dal memoriale di Aldo Lampredi, pubblicato su l'Unità nel 1996 (https://anpi.it/media/uploads/patria/2008/4/20-24_Relazione_Lampredi.pdf): Audisio disse a Claretta, che si aggrappava all'amante: « […] Togliti di lì se non vuoi morire anche tu ». Tento di procedere nell'esecuzione ma il suo mitra si inceppò; Lampredi estrasse la pistola ma anche da questa il colpo non partì, chiamò allora Moretti che portò il suo mitra al « col. Valerio » che scaricò una raffica mortale di cinque colpi poi gli venne inferto un colpo di grazia al cuore con la pistola [W. Settimelli, Mussolini in fuga verso la Spagna del camerata Franco, in Patria Indipendente, 26 settembre 2010; G. Cavalleri, F. Giannantoni, M. J. Cerighino, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-46), Garzanti, Milano, 2009:157]. L'edizione nazionale del 1º maggio del quotidiano Unità, organo del PCI, riportò un'intervista a un anonimo partigiano che sostenne che sparò cinque colpi da una distanza di 3 passi; solo nel marzo 1947 diede notizia del coinvolgimento di Audisio, ora deputato del partito. Audisio sostenne che le decisioni prese nel primo pomeriggio del 28 aprile a Dongo, equivalessero a una sentenza di un organismo regolarmente costituito ai sensi dell'art. 15 del documento del CLNAI sulla costituzione dei tribunali di guerra [W. Audisio, op. cit.: 371] ma in realtà nell'occasione mancavano un magistrato e un commissario di guerra [P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Milano, Rusconi, 2021: 165] comunque la decisione doveva essere subordinata a una sentenza dei tribunali di guerra [G. F. Venè, op. cit.]. La responsabilità dell'esecuzione fu poi rivendicata dallo stesso CLNAI (Comunicato 29 aprile 1945). Alcuni autori [F. Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1971; U. Lazzaro, Dongo: la fine di Mussolini, Mondadori, Milano, 1952] hanno identificato il « col. Valerio » con Luigi Longo « Gallo », comandante generale delle Brigate Garibaldi e futuro segretario nazionale del PCI, ipotesi possibile soltanto anticipando la fucilazione alla tarda mattinata del 28 aprile e considerandone una seconda nel pomeriggio. Al momento dell'esecuzione la pistola Beretta mod. 1934, calibro 9 mm era di Aldo Lampredi [G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Milano, Mondadori, 1995: 334-5] mentre W. Audisio imbracciava un mitra Thompson [P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, op. cit: 154]. Secondo la ricostruzione di « Bill » (1993), il « col. Valerio » era Luigi Longo, non W. Audisio [V. Roncacci, op. cit.: 384] e Togliatti confidò che l'esecutore era stato Lampredi [M. Caprara, Quando le botteghe erano oscure. 1944-1969. Uomini e storie del comunismo italiano, Il saggiatore, Milano, 1997: 71] come confermato da Celeste Negarville, all'epoca direttore de l'Unità « per proteggere il funzionario kominternista Lampredi dalla gente e salvarlo da un'auto-esaltazione ». Alla scomparsa successiva all'arresto di Mussolini dei documenti segreti si ricollega Bruno Giovanni Lonati che avrebbe utilizzato un mitra Sten, il 28 aprile 1945, poco dopo le 11, a Bonzanigo di Mezzegra, diretto dall'agente inglese «John» per impedire la diffusione del carteggio, recuperandolo e sopprimendo anche Claretta Petacci, perché a conoscenza [L. Garibaldi, op. cit.: 67] dei contatti tra i due statisti [B. G. Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Mursia, Milano, 1994]. Il carteggio Churchill-Mussolini non poté essere recuperato e « John » fotografò i cadaveri. Luigi Longo sarebbe giunto subito dopo la duplice uccisione, avrebbe architettato una «finta fucilazione», la versione dell'uccisione «per errore» della Petacci e legò al segreto per cinquant'anni i presenti [P. Tompkins, op. cit.: 340-1]. Nel 1982, Lonati si recò dal console inglese a Milano, il quale gli avrebbe mostrato le foto scattate da « John » e avrebbe approvato il testo di una dichiarazione [P. Milza, op. cit.: 91] da spedire a Lonati allo scadere dei cinquant'anni, a conferma della sua versione [L. Garibaldi, op. cit.: 110], versione questa accreditata anche dallo scrittore e ex agente segreto statunitense Peter Tompkins [P. Tompkins, op. cit.] e dallo storico L. Garibaldi [op. cit.: 67]. L'orario antimeridiano dell'uccisione, secondo la versione Lonati, è coerente con la circostanza autoptica, che lo stomaco di Mussolini fosse privo di resti di cibo [Verbale della necroscopia n. 7241 dell'Obitorio comunale di Milano del 30 aprile 1945]. Il carteggio Churchill-Mussolini in mani inglesi Nell'immediato dopoguerra, Churchill e i suoi servizi segreti cercarono di recuperare le copie del carteggio [P. Tompkins, op. cit.: 351], in effetti il 2 settembre 1945, a nemmeno quattro mesi dalla conclusione della guerra in Europa, dopo aver perso le elezioni e non più premier, Churchill si recò sul lago di Como, per una breve vacanza, con pennelli, colori e tavolozza per effettuare dei «dipinti del paesaggio», notoriamente è risaputo che non aveva mai dipinto, col falso nome di col. Waltham [P. Tompkins, op. cit.: 356-7] nella Villa Apraxin di Moltrasio dove si era installata una sezione del controspionaggio britannico (Field Security Service). Si recò nella sede del comando della 52ª Brigata Garibaldi e poi incontrò il direttore della filiale CARIPLO di Domaso, che per alcune ore aveva custodito le borse contenenti il carteggio, infine, fece contattare Dante Gorreri, segretario della Federazione comunista di Como, dal cap. Malcolm Smith, dei servizi segreti inglesi, che il 15 settembre 1945, nella trattoria « La pergola » di Como, ricevette gli originali delle 62 lettere del carteggio Churchill-Mussolini, in cambio di 2.500.000 £ in contanti [P. Tompkins, op. cit.: 356-7] mentre le copie del carteggio in possesso del prefetto Bertinelli le aveva recuperate il precedente 22 maggio [P. Tompkins, op. cit.: 354]. La copia del carteggio riposta nella cassaforte della federazione comunista fu trafugata nel 1946 da Luigi Carissimi Priori, ex capo dell'ufficio politico della questura di Como che dichiarò di aver preso sommariamente visione del carteggio di 62 lettere, prima di consegnarlo al premier Alcide De Gasperi, resistendo a un'offerta di 100.000 sterline di alcuni agenti segreti inglesi [R. Festorazzi, Churchill-Mussolini, le carte segrete. La straordinaria vicenda dell'uomo che ha salvato l'epistolario più scottante del ventesimo secolo, Datanews, Milano, 1998], che era antecedente all'ingresso in guerra dell'Italia (giugno 1940) e trattava delle offerte fatte da Churchill per il mantenimento della non belligeranza: Tunisia, Dalmazia, Nizzardo, e la conferma di tutte le colonie in contestazione (Etiopia, Dodecaneso) [L. Garibaldi, op. cit.: 74-7]. De Gasperi avrebbe trasferito il carteggio in una cassetta di sicurezza in Svizzera che alla scadenza del contratto sarà riversato nell'Archivio storico confederale [P. Tompkins, op. cit.: 356-7; M. Viganò, Un'analisi accurata della presunta fuga in Svizzera, in Nuova Storia Contemporanea, n° 3, 2001]. In contrasto Pietro Carradori, ex-autista del duce, ha testimoniato che almeno due contatti segreti tra Mussolini e emissari britannici erano avvenuti a Porto Ceresio (VA), presso il confine svizzero, il 21 settembre 1944 e il 21 gennaio 1945 [P. Tompkins, op. cit.: 317; L. Garibaldi, op. cit.: 84]. Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1945 Rachele Guidi Mussolini, alloggiata nella Villa Mantero di Como, fece seppellire nel giardino la borsa consegnatale dal marito con una riproduzione di documenti [P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano, 2009: 169]; alcuni giorni dopo i partigiani la disseppellirono e la riposero nella cassaforte della caserma dei Vigili del Fuoco di Como. All'indomani della liberazione, l'gente britannico Malcolm Smith aveva requisito la Villa Apraxin di Moltrasio (dove alloggerà Churchill), il cui proprietario Guido Donegani, incarcerato per i suoi rapporti con Mussolini, si impegnò a fargli recuperare la borsa in cambio della sua scarcerazione il 31 agosto 1945 [P. Tompkins, op. cit.: 356-7]. Una borsa contenente copia dell'epistolario e del fascicolo sulla vita sessuale del principe Umberto, fu rinvenuta dall'agente segreto italiano Aristide Tabasso nel marzo del 1946 che ne fece un'ulteriore copia per il Counter Intelligence Corps, col quale collaborava e consegnò la copia originale al luogotenente del Regno, da cui fu nominato Commendatore della Corona d'Italia [P. Tompkins, op. cit.: 364-5; Corriere della Sera del 28 gennaio 1996]. Comunque intercettazioni dei servizi segreti tedeschi a Salò confermano contatti segreti tra i due premier anche dopo l'entrata in guerra dell'Italia [Luciano Garibaldi, op. cit.: 68]. Il destino del maresciallo Petain e di R. Hess A fine guerra Petain si costituì alla frontiera svizzera, a Vallorbe e il 26 fu consegnato alle autorità francesi, venne processato per «tradimento e collaborazionismo» sotto certi aspetti con vistose lacune della Giustizia [R. Aron, Processo e morte di Pétain, Storia illustrata n° 125 Anno 1968: 80]. Durante il processo sostenne di essersi «sacrificato per la Francia in quanto altrimenti l'intero territorio francese sarebbe finito nelle mani dei tedeschi, con conseguenze ancor peggiori per i cittadini» [R. Aron, op. cit.: 81]. Venne condannato a morte ma, contrariamente al suo Primo ministro Pierre Jean Marie Laval (1883-1945) subito fucilato, la pena fu commutata nel carcere a vita da De Gaulle, ufficialmente «in considerazione dell'età e perché pluridecorato al valor militare nella I guerra mondiale». L'8 giugno 1951, il presidente Auriol, informato che Pétain aveva poco da vivere, commutò la prigionia in ricovero in ospedale ma era troppo grave per essere trasferito in ospedale a Parigi ricevendo, in punto di morte, il rifiuto alla sepoltura presso l'ossario di Verdun. La famiglia di R. Hess sostenne che fosse stato assassinato dal Secret Intelligence Service per impedire che potesse rivelare verità scomode sulle condotte di guerra inglesi. Il suo avvocato Alfred Seidl sostenne che fosse troppo vecchio e fragile per aver eseguito da solo tale azione [Roy Conyers Nesbit e Georges van Acker, The Flight of Rudolf Hess: Myths and Reality, History Press, 2011]. La nostra motivata ipotesi sull'entrata prematura in guerra del Regno d'Italia Churchill stimava moltissimo Mussolini, Regno Unito, ormai pronto a subire l'invasione, Churchill potrebbe a sua volta aver «implorato» l'amico Benito a entrare in guerra per lo stesso motivo [A. Petacco, Dear Benito, caro Winston. Verità e misteri del carteggio Churchill-Mussolini, Milano, Mondadori, 1985]. Ribadiamo che il premier esaltato più volte in articoli giornalistici come «l'uomo della provvidenza dell'Italia» salvo poi definirlo (a scopo propagandistico?) «lo sciacallo scondizolante ai piedi di Hitler». Mussolini voleva essere processato da un tribunale internazionale, trovando d'accordo gli USA, ma non gli inglesi, che probabilmente furono, per i motivi sudescritti, i veri mandanti del suo assassinio. Riponeva molta fiducia in una sua assoluzione da un tribunale internazionale nei documenti che portava con sé e da cui non si separava mai. è assurdo ipotizzare che la Francia, inaspettatamente vicina alla sconfitta, fece pervenire a Mussolini «pressanti inviti» a entrare in guerra per, al tavolo della pace, mitigare le pretese di Hitler che all'epoca era ancora suo discepolo, cosa che avvenne? Ciò concorderebbe con quanto descritto. Per quanto riguarda il Regno Unito, ormai pronto a subire l'invasione, Churchill potrebbe a sua volta aver «implorato» l'amico Benito a entrare in guerra per lo stesso motivo [A. Petacco, Dear Benito, caro Winston. Verità e misteri del carteggio Churchill-Mussolini, Milano, Mondadori, 1985]. Ribadiamo che il premier italiano conosceva bene «l'impossibilità di entrare in guerra prima del 1943». è evidente, visto il successivo evolversi della guerra, che se dai documenti di Mussolini venisse evidenziato quanto ipotizziamo, in un processo internazionale, il giudizio del mondo sui «protagonisti che all'epoca era ancora suo discepolo, cosa che avvenne? Ciò concorderebbe con quanto già descritto e, con molta umiltà, la riteniamo un'ipotesi plausibile.


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Via le macchie dalle mani, una nuova tecnica di Medicina Estetica

di Anadela Serra Visconti

Le chiamiamo normalmente macchie di vecchiaia, anche se con questa c'entrano solo in parte. Di fatto, con l'età, la melanina si dispone in modo irregolare sotto la pelle, ma quello che evidenzia le macchie sono le ripetute esposizioni al sole. Sole per anni, anche quello di cui non ci accorgiamo. E non solo al mare: anche con le mani al volante in macchina su cui batte il sole, facendo giardinaggio o semplicemente camminando per strada. Le creme schiarenti possono schiarire le macchie leggermente, ma non cancellarle. Per toglierle completamente oggi possiamo trattarle con un nuovo peeling medico "one touch" che con un unico tocco di cotton fioc (imbevuto della soluzione peeling) elimina la macchia. Dopo una preparazione delle mani di 7 giorni con una crema specifica, il medico farà un unico tocco con il cotton fioc imbevuto su ogni macchia. In ciascuno di questi punti si formerà una crosticina che dura per 7/9 giorni. Con la caduta spontanea della crosticina, si avrà la scomparsa della macchia. Il numero di sedute varia a seconda della quantità di macchie da togliere: da un'unica seduta a 3/4 sedute, una ogni 15 giorni. Dopo ogni trattamento, é sempre necessaria una crema protettiva solare 50 e massima attenzione al sole, magari anche con l'aiuto di guanti morbidi in cotone o in pelle, per strada o alla guida. Se poi vogliamo completare il ringiovanimento delle mani, si possono fare infiltrazioni di acido ialuronico sotto il derma: distendono la pelle, la rendono più elastica e danno alle mani un aspetto più pieno e giovanile. In breve: Novità: una penna elettronica che cancella le rughe Paura delle punturine? Acido jaluronico, vitamine e sostanze biostimolanti oggi possono venir iniettate con una nuova tecnologia che le rende indolori. Progettata in svizzera, questa leggera «penna elettronica» (funziona a batteria) Inserendovi dentro una siringa eroga il materiale in modo soffice ed indolore. Dà un'ottima precisione e controllo del materiale iniettato dal medico ed il paziente non sente quasi nulla del trattamento. La penna si può usare per infiltrazioni di filler, per la biostimolazione con vitamine e per fare il cosiddetto " filler nascosto" . Quest'ultima è una mia particolare tecnica ad «effetto lifting» che agisce sul perimetro del viso, rialzando i contorni e ringiovanendo tutto il volto in modo naturale.


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Esposizione Universale di Roma (E-42 o E.U.R.- 1942): «Olimpiade della Civiltà»

di Stefano Pellicanò

L'E.U.R. Esposizione Universale Roma (E-1942) è un complesso urbanistico-architettonico progettato negli anni trenta come sede dell'Esposizione Universale di Roma che non ebbe luogo a causa dell'inizio della II guerra mondiale. Il toponimo è utilizzato anche per indicare il XXXII quartiere di Roma e la zona urbanistica 12A, oggi è anche denominato «quartiere Europa». Nel 1935 il governatore di Roma (1935-1936), Giuseppe Bottai (1895-1959, fig.3), propose a Mussolini di candidare Roma alla esposizione universale del 1942, che «avrebbe permesso di celebrare i vent'anni della marcia su Roma, celebrare le imprese coloniali e proporre il fascismo al pubblico internazionale, quindi la presentazione ufficiale e definitiva del corporativismo fascista». L'E-42 doveva essere il disegno complessivo del sistema fascista in tutti i campi, per affermarne la validità e proporlo come modello di «Ordine Nuovo» all'esterno, l'»Olimpiade della cultura» doveva essere una sottolineatura del ruolo centrale dell'Italia nella storia, un atto di fede, si scriveva allora, «nella missione dell'Urbe, centro della Romanità e testimonianza della potenza costruttiva dell'Italia proletaria e fascista» pertanto doveva mostrare «la più completa documentazione delle molteplici attività del popolo italiano nel corso della Storia». L'importanza della scienza veniva enfatizzata per affermare primati italiani col ricorso a Leonardo da Vinci (1452-1519) e a Galileo Galilei (1564-1642) con lo sguardo alle grandi Esposizioni precedenti di Parigi (1889, con la contestatissima torre Eiffel che si prevedeva di demolire a fine Esposizione), Chicago (1893), Bruxelles (1897) con l'ambizione della partecipazione di tutte le nazioni del mondo, tranne la Francia, decisa al boicottaggio. Doveva essere la più vasta per superficie, ben 400 ettari e basata sull'ideologia del «duraturo» con architetture destinate a segnare un'epoca, in contrasto con le consuete effimere mostre precedenti, quindi non costruzioni temporanee ma destinate a durare per «l'eternità» con edifici permanenti, infrastrutture urbane, servizi pubblici e aree verdi, quest'ultime grande carenza di Roma, sarebbero state la caratteristica, la specialità dell'EUR. In conclusione l'idea era di realizzare una nuova Roma, degna capitale del Regno d'Italia e del suo glorioso passato, lontana dall'aspetto pittoresco del centro storico, che potesse rivaleggiare con le maggiori capitali europee. Nel giugno 1936, arrivata l'approvazione del Bureau International des Expositions, il governo sostenne l'iniziativa creando l'Ente Autonomo Esposizione Universale di Roma, presieduto dal sen. Vittorio Cini, conte di Monselice (1885-1977), esistente ancora oggi (EUR S.p.a.). Fu prescelta la zona delle Tre Fontane, per collegare idealmente la Roma imperiale, rappresentata dalle Terme di Caracalla, con il mar Tirreno lungo la via Imperiale (oggi via Cristoforo Colombo) e il nuovo quartiere fu progettato per essere il terzo polo di espansione a sud-ovest della città, area che era estranea al Piano Regolatore del 1931, pertanto un'apposita commissione approvò sue modifiche e il governatorato ebbe ingenti risorse finanziarie per espropriare circa 400 ettari. I lavori iniziarono il 26 aprile 1937, quando Mussolini piantò un pino romano sul luogo dove sarebbe nato il nuovo quartiere, il progetto principale fu completato nel 1938. L'Ente ottenne la collaborazione delle migliori menti d'Italia, tra cui Guglielmo Marconi (1874-1937), soltanto lo storico dell'arte e accademico d'Italia Roberto Longhi (1890-1970) e l'arch. Giuseppe Terragli (1904-1943), quest'ultimo dopo un ripensamento, rifiutarono di collaborare. Bottai fece credere che l'E-42 fosse una specie di visione profetica di Mussolini quando andava maturando l'impresa etiopica (3 ottobre 1935-5 maggio 1936), l'apice del consenso al fascismo, impresa appoggiata anche dagli antifascisti. In realtà nel 1934 esisteva già un plastico dello studio BBPR ma Bottai elaborò un suo progetto che presentò al premier nel giugno 1935. Doveva essere il premio per molti studenti del Regio Ginnasio salire sul treno speciale organizzato per visitare la Mostra E-42. « Se avessimo intenzione di accendere la miccia e covassimo reconditi disegni aggressivi non ci accingeremmo a un'opera di così vasta mole », disse Mussolini in Campidoglio il 20 aprile 1939. L'ingresso prematuro dell'Italia in guerra (10 maggio 1940) bloccò l'intero progetto (articolo Ipotesi motivata sui motivi dell'anticipata entrata in guerra dell'Italia). Il primo progetto generale (1937) Affidato a Giuseppe (Pogatschnig) Pagano (1896-1945), Marcello Piacentini (1881-1960), Luigi Piccinato (1899-1983), Ettore Rossi (1894-1968), Luigi Vietti (1903-1998) era all'insegna della purezza razionalista. Mancavano fasci littori, aquile, statue o scritte del Duce ma erano previsti solo arte e palazzi moderni senza grattacieli alla Erich Mendelsohn (1887-1953), strade degne di Charles-à‰douard Jeanneret-Gris Le Corbusier (1887-1965), reminiscenze futuriste e cubiste. Il secondo progetto generale All'epoca Francia e Regno Unito possedevano immensi imperi coloniali di cui sfruttavano l'economia lasciando le popolazioni locali nell'arretratezza. Churchill stimava moltissimo Mussolini scrivendo sui giornali inglesi che « era l'uomo mandato dalla Provvidenza » e era « un grande statista » mentre Mussolini era il maestro e Hitler il discepolo. Come conseguenza delle sanzioni economiche o assedio societario o economico, deliberate dalla Società delle Nazioni in risposta all'attacco italiano contro l'Etiopia (3 ottobre 1935-5 maggio 1936) e in vigore dal 18 novembre 1935 al 14 luglio 1936, si ebbe un riavvicinamento tra l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista che culminò nella firma del Patto d'acciaio (Stahlpakt, 22 maggio 1939, fig. 4). Così per i rapporti sempre più stretti con la Germania nazionalsocialista e quindi l'influenza di A. Hitler (fig. 6, 7), le manovre di G. Bottai, il «tradimento» dell'arch. Marcello Piacentini verso l'avanguardia che divenne regista e ispiratore di un nuovo progetto, con stipendio di 30.000 £/anno, in cui si puntava a esaltare l'autarchia, la romanità e la razza. Così, a es., il progetto razionalista iniziale del Palazzo delle Poste venne modificato da Piacentini (1938), molto più accademico. In pratica tutto il progetto iniziale venne cambiato, anche il laghetto artificiale che, inizialmente, doveva seguire l'andamento del terreno, con anse e promontori, il punto più scenografico e fondale prospettico della via Imperiale. Raffaele de Vico, consulente già dal 1939 per le aree verdi, quando riprenderanno i lavori riuscì a riprogettarlo con lo stesso spirito (fig. 13). In origine il parco doveva essere coronato dal simbolo dell'E-42, un arco trionfale in duralluminio Avional (mt. 330 di luce, fig. 1, 5) progettato da Adalberto Libera (1903-1963) mai realizzato mentre Francesco Messina (1900-1995) preparò una quadriga per la facciata del Palazzo dei Congressi (fig. 8). Quando i primi monumenti emersero dal terreno spianato si levò la voce critica di Giuseppe Pagano che definì Piacentini (sulla rivista Annabella, subito sequestrata) « artificiale Vitruvio […], enfatica aberrazione monumentale […] due miliardi e mezzo di lire spese per monumentalizzare il vuoto ». In giro tra passato e presente Il nucleo centrale dell'Esposizione era Piazza Imperiale (oggi Guglielmo Marconi, fig. 9) di Fariello, Muratori, Quaroni, Moretti (1939), con la stele ricoperta di marmo di Carrara di Dazzi (1937-59) dedicata all'inventore della radio. è una piazza dei musei, oggi inquadrata dal Museo Nazionale Preistorico Etnografico « Luigi Pigorini », dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Castellazzi, Morresi, Vitellozzi (1938) raccordati da una quinta architettonica a colonne; dal Museo Nazionale dell'Alto Medioevo mentre un' area era destinata al Teatro Imperiale di Moretti [oggi il Grattacielo Italia di Mattioni (1959-1960)]. Oltre al cinema-teatro, il progetto prevedeva i musei dedicati all‘arte antica, moderna e della scienza (attuale Museo Nazionale Preistorico Etnografico). Percorrendo verso nord via Imperiale (oggi Cristoforo Colombo), nata per collegare il centro storico di Roma al mare si raggiunge uno dei tre assi principali, il viale della Civiltà e del Lavoro, che presenta agli estremi il Palazzo omonimo, l'icona dell'EUR e il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi (fig.10,11), il tempio dell'architettura monumentale fascista. La strada delimita Piazza delle Esedre (oggi Nazioni Unite), dove sarebbero stati accolti i visitatori, caratterizzata dai Palazzi dell'INA e dell'INPS di Muzio, Paniconi, Pediconi (1938-52), in cemento armato e rivestiti di marmo delle Alpi Apuane, con i loro emicicli come quinte architettoniche per la Porta Imperiale mai realizzata. La facciata dei due edifici si sviluppa su tre livelli, al pianterreno sono presenti pilastri in due ordini e il suo impianto ricorda quello dei Mercati Traianei. In piazzale VI (oggi piazza Kennedy) ci sono il Palazzo dei Congressi di Libera (1937-1954), in cemento armato rivestito interamente in travertino per ospitare i congressi e i ricevimenti ufficiali durante l'Esposizione con due ingressi distinti e opposti, il lato sulla piazza è rappresentativo, con un nartece [vestibolo] di 14 colonne monolitiche e consentiva l'accesso alla Sala dei Ricevimenti, quello su Viale delle Pittura invece alla Sala dei Congressi. L'edificio è caratterizzato da un corpo centrale cubico alto circa 40 mt. sormontato da una volta a crociera, con lunette vetrate, che potrebbe «contenere il Pantheon». Sulla terrazza è presente un teatro all'aperto che guarda i Castelli Romani. Proseguendo in via della Lettura, svoltando su via dell'Arte che a sinistra si apre su piazza G. Agnelli col complesso commissionato dalla FIAT a Aschieri, Bernardini, Pascoletti, Peressutti (1939-1952), con due corpi speculari rivestiti in peperino e collegati da un portico di colonne in travertino rialzate su una gradinata che, in un eccesso di monumentalità, ospitano il Museo della Civiltà Romana, che contiene la serie completa dei calchi della Colonna Traiana e il grande plastico di Roma imperiale, dell'Astronomia e il Planetario. Più a sud troviamo l'Archivio Centrale dello Stato di De Renzi, Pollini, Figini (1938-1942) destinato a ospitare la mostra prima delle Forze armate poi dell'Autarchia, Corporativismo e Previdenza Sociale, costituito da tre corpi di fabbrica disposti attorno a un piazzale rettangolare, che rimanda a una agorà greca. L'edificio centrale è preceduto da una gradinata monumentale e circondato da un porticato a pilastri al piano terra e da un loggiato a colonne su due piani. Costituisce l'estremo di un altro asse importante, il Viale 3a e 3b (oggi viale Europa), divisi dall'ex-via Imperiale, dove nel fondale prospettico alberato si eleva la Basilica dei SS Pietro e Paolo (fig. 13), la più grande dopo S. Pietro di Foschini, Vetriano, Energici (1938-1955), sita nel punto più alto del quartiere, con un impianto a croce greca, cupola in cemento armato rivestita di ardesia che poggia su un tamburo con aperture circolari, nel suo apparato decorativo racconta la storia dei due apostoli, percorrerla è quasi uno distacco terreno. Risalendo sul Viale II (attuale viale Beethoven), sullo sfondo si staglia il porticato del Palazzo per gli Uffici di Minnucci (1937-39), sede dell'Ente Autonomo, che in origine ospitava anche l'Ufficio Tecnico, costituito da due corpi di fabbrica perpendicolari, uno quadrato a corte, sede del commissariato, l‘altro a doppia altezza per il pubblico, è stato il primo edificio completamente realizzato e attivo prima della guerra. La parte che si affaccia su una fontana e che doveva accogliere la biglietteria dell'Esposizione, presenta in alto la scritta «profetica»: « La terza Roma si dilaterà sopra agli altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno », a ricordare gli obiettivi di Mussolini e del regime. A livello del secondo piano interrato c'è un rifugio antiaereo. Accanto c'è il Ristorante Ufficiale dell'Ente di Ettore Rossi (1939-42), destinato ai visitatori e al personale dell'Ente, attualmente sede di uffici del PRG. Al termine svetta imponente su due scalee contrapposte il Palazzo della Civiltà e del Lavoro o Palazzo della Civiltà Italiana o Colosseo quadrato per il susseguirsi interminabile di archi che rievocano il Colosseo, di Guerrini, La Padula, Romano (1938-43), un blocco di 2.000 metri³, in cemento armato rivestito di travertino, alto 68 mt., forato da 216 archi decorativi come le lastre marmoree sulle quattro facce su cui scorre la frase di Mussolini: « Un popolo di poeti, artisti, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori » che celebra le arti e i mestieri del popolo italiano attraverso 28 sculture collocate nella prima fila di archi (fig. 12, 15, 16). Nel 1944 l'EUR fu occupato dalle forze armate tedesche che dal mare avanzavano verso Roma e usato come luogo di accantonamento delle truppe; il Palazzo della Civiltà Italiana fu trasformato in officina di riparazione mentre il villaggio operaio fu trasformato in caserma. Quando i tedeschi abbandonarono Roma (2 giugno 1944), furono sostituiti dagli Alleati. L'eredità e attualità del progetto Se il fascismo ha lasciato segni forti all'interno del centro storico romano, alterando e annullando alcuni tessuti della città che sono entrati a far parte di Roma «sparita», per contro all'EUR ha originato un quartiere con una sua forza e identità che ancora oggi può essere considerato unico a Roma, con la sua più alta concentrazione museale, il sistema di parchi e giardini e gli edifici a bassa densità residenziale. Intorno al suo perimetro, fin dalla caduta del regime, iniziò una rapida espansione del territorio circostante con nuovi quartieri a alta densità abitativa e l'area, inizialmente isolata da Roma, si salderà progressivamente alla città secondo quelle previsioni che volevano uno sviluppo urbano verso il mare.


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Le ruote che danzano

di Angela Trevisan

Si danza, certo, ma come? In carrozzina naturalmente! Si sente spesso dire che danzare è una passione, che occorre avere talento e che non tutti possono farlo. Molte persone, soprattutto anziane, sostengono di non riuscire più a ballare a causa dei loro problemi fisici, in particolare alle gambe, affermando che senza di queste è impossibile danzare. Per svolgere tale attività, occorre crederci, avere passione ed essere armati di tanta buona volontà e voglia di divertirsi. Con questi ingredienti si troverà la giusta modalità. Nell'associazione Volare Alto, realtà di volontariato che si occupa di disabili, è nato il gruppo delle "Ruote Danzanti", la cui finalità è di far ballare con le carrozzine. La presidente, fin da bambina, sognava di ballare nonostante la sedia a rotelle, perciò, con entusiasmo, ne parlò con due amiche volontarie. Grazie a loro, anche questo suo sogno è diventato realtà! Non solo per lei, ma per tutti i ragazzi dell'Associazione che desiderano svolgere questa attività. Per riuscire al meglio in questo intento, hanno frequentato un corso di danza in carrozzina, al fine di imparare i vari movimenti, le differenti modalità per danzare. Le insegnanti Annamaria D'auria ed Elena Bergagna, in poco tempo hanno creato delle bellissime coreografie sulle più svariate musiche: dalla tarantella al Waka- Waka, per non parlare del Tango e il Country! Per ballare serve il prezioso aiuto di numerosi volontari, con i quali sono nati bellissimi rapporti di amicizia. Grazie al loro contributo, si eseguono al meglio le coreografie e i partecipanti riescono a muoversi allegramente a suon di musica. Spesso ci si aiuta anche con un telo alzato verso l'alto, con un movimento coordinato chiamato "onde del cielo", oppure con sonagli o con tamburi per la tarantella! Tra i "danzatori con le ruote" e i volontari si crea, in pochissimo tempo, una totale empatia. Ci si capisce al volo e si ha una completa intesa e fiducia. Nel ballo le differenze tra braccia, gambe o ruote vengono annullate: si diventa un corpo unico e le une diventano il prolungamento delle altre. Il volontario più pazzerello, quello che fà più spettacolo, fà fare delle piroette e delle capriole con la carrozzina, veramente incredibili. Se non fosse per la fiducia "cieca" che viene riposta in lui, sarebbe difficile lasciarsi trasportare, incuranti del "pericolo". Per chi ha una disabilità visiva oltre che motoria, l'effetto diventa amplificato! Sembra di essere in un mondo irreale, in un sogno nel quale si vola. Probabilmente, il fatto di non vedere rende più incosciente chi partecipa, non facendo comprendere i rischi che si potrebbero correre e divertendosi veramente tanto. Le Ruote Danzanti non vedono l'ora di ritrovarsi, ogni fine settimana, per le prove e trascorrere di nuovo del tempo in allegria. Anche i volontari si divertono e c'è una perfetta sintonia con i genitori e le maestre. Tutti felicissimi di fare un'attività insieme. Numerosi amici di questo gruppo, non possono comunicare con le parole, ma, grazie alle loro risate e sorrisi, la gioia traspare da tutti i pori, pertanto, anche in questo caso le differenze si annullano. Ballare, è una perfetta forma di integrazione. Con la danza in carrozzina si ha l'opportunità di divertirsi e di regalare anche momenti di svago ad altre persone. Ormai il gruppo è diventato famoso! Si esibisce durante le feste patronali in Canavese, ad esempio a Nole, Cirié, Caselle o Balangero. Si cerca sempre di coinvolgere le persone presenti e di ballare tutti insieme. Regalando al pubblico tante emozioni, suscitando spesso lacrime di commozione. Le Ruote Danzanti vanno anche a ballare in alcune case di cura, ed è per loro un vero piacere donare un sorriso agli anziani, che spesso vivono il dramma della solitudine. Lo spettacolo fà sì che loro trascorrano qualche ora spensierata danzando, facendo il trenino con le carrozzine. Il gruppo ha partecipato anche ad un provino, a Milano, per la trasmissione televisiva: Italia's got Talent. L'emozione di trovarsi davanti a una giuria è stata grande, certamente la porteranno sempre nel cuore, anche se purtroppo non sono stati scelti. Durante l'estate del 2013, la "danza in carrozzina" è stata portata anche a Rimini. è stato veramente bello trascorrere tre giorni tutti insieme, e non verrà mai dimenticata l'accoglienza che ricevuta in terra romagnola. Veramente ospitali. Ballare così lontano, con un pubblico assolutamente sconosciuto, ma molto partecipe, è stato per tutti un immenso piacere e ha regalato una gioia indicibile. In questi mesi di chiusura per il Covid, il gruppo non ha, comunque, rinunciato ad allenarsi. Semplicemente lo ha fatto on line. Per fortuna, in queste ultime settimane le Ruote Danzanti hanno ripreso ad incontrarsi in presenza. Ballare tutti insieme, scambiandosi sorrisi, gioie ed emozioni, sta assumendo un fascino particolare. Tutto ha un sapore nuovo, magico. Viva la danza in carrozzina!


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Filosofia

Biografia breve di un occultista occidentale

di Alessio Begliomini

«Nella ricerca del divino le anime non sono salvate in massa» (Paul Brunton) Prologo di Alessio Begliomini Sappiamo così poco di ciò che accade. Discepolo tra i più cari al Maitre Philippe de Lyon, Paul Sédir attingeva alle fonti stesse, sovrasensibili, della scienza e alimentò, con frutti di propria ascèsi, un Cenacolo. Le nostre scelte sviluppano i frutti migliori nel laborioso riserbo della fedeltà, per ciò che, qual genuino valore, la storia scritta che va per la maggiore, ordinaria corrente che non può sottrarsi al contagio di facili ma volgari passioni, dimentica di appurare sino in fondo. Sappiamo che alla madre di Philippe fu dato annunzio della straordinaria missione terrena che attendeva suo figlio, dal Curato d'Ars (Jean-Marie Baptiste Vianney). Pittrice di valore, di Massimo Scaligero discepola, Marina Sagramora così oggi ricorda: "Massimo Scaligero venerava la figura di Maitre Philippe e conservava sul suo comodino il libro di Alfred Hael, che gli era stato regalato in francese, dato che allora non era ancora stato tradotto. Lo apriva di frequente leggendo anche una sola frase, che gli dava la giusta intonazione della giornata. Diceva che chi segue una disciplina interiore -anche la più sana e in linea con i nuovi tempi, come l'antroposofia di Rudolf Steiner-, può rischiare di intellettualizzare la conoscenza a scapito di quella del cuore. L'insegnamento evangelico di Maitre Philippe restituisce la giusta armonia fra il pensare e il sentire". Mirabile testimonianza di comunione spirituale. Maitre Philippe de Lyon è il luminoso viatore cristico; a lui fedeli, preparatori d'avvenire sì Marc Haven; Alfred Haehl; e Paul Sédir, la cui memoria or si precisa alla nostra attenzione. Accogliamo di Franco Giovi questo spirituale ritratto, a Paul Sédir, con simpatia e fiducia, con amore. (Alessio Begliomini). Franco Giovi Si sa che i termini occulto e occultismo vengono accompagnati, negli ultimi due secoli, da pensieri e sentimenti diversi e persino contrapposti. Attraggono l'anima di alcuni e disgustano il sentimento di molti. Siccome ognuno fonda il suo giudizio sulla verità personale, anche da un ipotetico osservatorio privilegiato si giungerebbe alla conclusione che tutti -intendo i favorevoli e i contrari- portano nell'anima elementi che giustificano contemporaneamente ogni possibile atteggiamento. Finché si generalizza astrattamente rimaniamo in una zona dove regna il più assoluto relativismo. Non credo possibile trovare una soluzione certa e obbiettiva nemmeno con un la pretesa ricerca storica o con analisi biografiche. Esse, nel migliore dei casi, offrono un buon esercizio di attenzione e raziocinio per coloro che compiono tali studi, i quali però lasciano intatto il problema della validità o dell'assurdità espresse dall'apparente fantasmagoria e stravaganza inscindibile, per i molti, ai contenuti del tema. Credo che in realtà soltanto sperimentatori di alto livello possano dire qualcosa di sensato, su tale tema, che valga in generale; e gli altri, perciò quasi tutti, dovrebbero zittirsi, essendo la sostanza del loro pensiero del tutto identica a gli intellettualismi di cui il mondo è inutilmente strapieno, e che sono sempre di origine materialistica, in quanto mere astrazioni del percepire sensibile. E l'oscurità infittisce allorquando si dirige lo sguardo su specifiche individualità. Vi siete mai accorti che di esse non trapela mai l'essenziale e che anzi non scoprite nulla della loro anima e del suo più intimo percorso? Moglie, figli, amici ed eventuali biografi possono raccontarvi di avvenimenti, gesta, parole dette: ciò per noi può essere soddisfacente o almeno interessante ma si tratta di superfici, di descrizioni del percepibile. In parole povere se l'occulto corrisponde a varj stati (e luoghi) dell'Essere chiamati Sovrasensibili ossia ben distinti dalla sfera in cui la coscienza umana ordinaria è dèsta, allora la vera essenziale vicenda dell'occultista è pur essa occulta, cioè celata alla visione sensibile e alla coscienza che su essa poggia: «Potrai vivere in intima amicizia con un Iniziato ma rimarrai separato dal suo vero essere finché tu stesso non sia Iniziato. Potrai godere pienamente del cuore e dell'affetto di un iniziato ma egli ti affiderà il suo segreto solo quando sarai maturo per accoglierlo». Se v'è chiaro quello che cerco di dirvi, capirete anche che il titolo di questa nota è intrinsecamente sbagliato; ciò non ostante sono convinto che prendere in qualche modo contatto, familiarità con le tracce lasciate dagli indagatori dei mondi invisibili, possa comunque avere non poca importanza per l'anima nostra. Se per un istante si è capaci di abbandonare il mondo della materia, la connessione è chiarissima, purché al primo pensiero (o immagine) segua il secondo, il terzo ecc., in totale spregiudicatezza e in una fluente continuità, come dotata di moto proprio. Yvon Le Loup nasce a Dinan (Bretagna) il 2 gennaio del 1871; ma ancora bambino, la sua famiglia si trasferisce a Parigi. Di costituzione fragile, la sua alimentazione è povera, soffre di tubercolosi latente (morbo di Pott), incorre in una brutta frattura a una gamba; il ragazzo passa più tempo a letto che a giocare, la sua vita scolastica scorre tra edifici cattolici; si diploma nel 1883, poi nel 1888 ottiene il baccalaureato di insegnamento secondario speciale. Una brutta frattura gli costa una seconda frattura, alla gamba offesa, che gli procura una rigidità e una tumefazione cronica e lo costringe a lunghi periodi di immobilità. Solo, senza amici, la sua anima si abitua alla solitudine e alla lettura della Patristica. Coltiva con amore il disegno. Nel 1892 vince un concorso per impiegato alla Banca di Francia, e per i vent'anni successivi presterà servizio presso il Deposito Titoli. Per due anni circa studia senza guide l'esoterismo con i pochi testi che racimola, ma con energia, intelligenza e profondo spirito d'osservazione. Poi decide di collegarsi a coloro che rappresentano a Parigi quelle correnti di pensiero a cui si era avvicinato in solitudine. Alla fine del 1889 Yvon Le Loup si presenta alla Libreria chamuel, centro d'attività di Papus (Gerardo Encausse). Eccolo: un giovanotto dall'aspetto grossolano e persino sinistro che dice di essere venuto «a fare l'occultismo». L'assistente non riesce a trattenere il riso, ma appare Papus che guarda Yvon, poi risponde: "Bene, ragazzo. Venite da me domattina". Il giorno dopo Papus esprime al neofita la richiesta di riordinare la biblioteca che sta formando. Inizia così l'apprendistato del giovane bretone. A questo momento, Papus, leonino e vulcanico (di sei anni e mezzo maggiore di Yvon), ha già pubblicato il Trattato Elementare di Scienze Occulte, prepara gli Estratti di sintesi filosofica e ha fondato la rivista L'Initiation, poi a breve fonderà Le Voile d'Isis; fonda alcune associazioni di occultisti sotto il nome di Gruppi indipendenti di studi ermetici. Possedendo un senso critico ben sviluppato, una prodigiosa memoria e un'insaziabile fame di conoscenza, il Nostro trova una vasta quantità di opere, per lo più di filosofia, esoterismo, simbolismo e aggiunge a tutto questo una cultura generale piuttosto vasta. Nello scrivere impara uno stile pieno di dignità ed elevazione, immergendosi nell'opera letteraria di Villiers de L'Isle-Adam, Barbey, Flaubert, Balzac. Yvon non vive di soli libri, fa la conoscenza di Peladan, dalla ricciuta e lunghissima barba, in stile assiro-babilonese, scrittore e pubblicista tanto originale quanto superficiale. Però conosce anche il nobile Stanislao de Guaita, occultista generoso geniale e maledetto. Guaita possiede una vastissima biblioteca e a casa sua, in Avenue Trudaine, si riunisce l'élite degli studiosi francesi delle Alte Scienze. Dopo la giornata passata in banca, Yvon veglia moltissime notti, nella lettura e nella meditazione. Nell'ottobre del 1890, ancora con il suo nome, esce su L'Initiation il suo primo articolo, intitolato Esperienze d'occultismo pratico, sulla stessa rivista, un anno dopo, appare il suo nuovo nome, che porterà per tutta la vita: Paul Sédir, ispirato da Le Crocodile di Louis Claude de Saint Martin; Sédir è anagramma di désir (desiderio), Saint Martin chiama «Uomini di Desiderio» coloro che aspirano all'assoluto, al Divino oltre l'esistenza quotidiana. Questo è il tempo in cui Papus introduce Sédir entro le più alte cerchie dell'epoca e in cui questi stringe legami con Paul Adam, Barlet, Vittorio-Emilio Michelet; forse con Verlaine. Sédir diviene membro dell'Ordine Kabbalistico della Rosa-Croce e del Supremo Consiglio dell'Ordine Martinista. Tramite Barlet, diventa affiliato alla Hermetic Brotherhood of Luxor. Nella temporanea rinascenza del neo-gnosticismo, viene consacrato, da Giulio Doinel, come Tau Paul: vescovo di Concorezzo; subito dopo, Marc Haven lo fa entrare nella F.T.L., una organizzazione di tipo rosacruciano. Con René Philipon, rinnova la massoneria di Mizraim e diviene membro della Società Alchemica di Francia di Jollivet-Castelot. A Sédir interessa la forza magica, per la quale è dotato: Chamuel racconta che «una domenica mattina andammo a fare una passeggiata a piedi nella valle di Chevreuse. Però il cielo si oscurò, grossi nuvoloni si ammassarono. Sédir mi propose l'esperienza di mutare il tempo con la magia, di scacciare quasi in un attimo le nuvole. Dopo esattamente cinque minuti di silenziosa concentrazione, mi disse di guardare nuovamente il cielo. In effetti sopra le nostre teste il cielo era ridiventato di un azzurro incantevole». Una volta, in Vandea, Sédir, con un minimo gesto della mano trasformò il furibondo abbaiare di un cane in sordi e spaventati gemiti. Paul studia i suoni occulti, sperimentandoli nelle diverse tradizioni e nella Luce Astrale. In Les Incantatios, racconta di due sperienze curiose e ripetute più volte: tende sotto il rubinetto di una fontana pubblica una corda d'acciaio, la fa vibrare di una nota particolare e il getto d'acqua si ferma (non cessa: si ferma!). Poi, davanti ad una lampada accesa, pronuncia determinati suoni con energia, allora la fiamma esce dal vetro e attraversa in vari modi lo spazio, secondo ordini precisi; poi svanisce producendo una sorta di forte fischio. Al n.4 di Rue Savoie allestisce un laboratorio magico e getta le basi per la Grande Opera: non realizza l'oro ma riesce a preparare la «polvere di proiezione» e un potente elisir. La sua vita esoterico-culturale non ha soste. Traduce e pubblica per la prima volta in francese opere di Jakob Boehme, Johan Georg Gichtel e William Law; introduce nuove edizioni di Saint Matin, Fabre d'Olivet, Salzmann; insomma, come disse Theophile Briant, Sédir «fu per le scienze occulte ciò che Mallarmé è stato per la poesia». Ma poi avviene l'Incontro, e un cambiamento che sorprende amici e contemporanei: come se tutto il sapere e la potenza magica si trasformassero in una cosa totalmente diversa. Scrive: «Ho chiarito nella prefazione della prima edizione dell'Enfance du Christ che le idee esposte non sono mie. Colui che me le ha donate mi perdonerà, spero, se ne ho involontariamente deformato la sua luce; gli errori ed omissioni mi appartengono...A lui sia reso tutto il bene che il suo insegnamento mi ha dato e che potrà ancora produrre, malgrado il maldestro interprete. IO rinnovo questa dichiarazione con tutte le forze di cui sono capace; ma, come la volta precedente, non indicherò espressamente Colui al quale devo tutto. Si è potuto credere, e dire, che il mio silenzio è stata una odiosa ingratitudine; sono felice di tale rimprovero. Continuerò a tacere, per preservare un grande nome da possibili conseguenze, per evitare all'opera del mio Maestro una pubblicità prematura, ed infine, per non renderlo responsabile dei miei errori». Le esperienze di Sédir col suo Maestro non appartengono più alla magia ma ad una Autorità diversa. Riportiamo alcuni esempi. Due amici di Paul si lanciano in veemente discussione su un oggetto filosofico e non riescono ad accordarsi, ognuno è partigiano del proprio punto di vista. Uno dei due propone di andare da Sédir, che indicherà certamente quale sia l'idea più giusta. Ciò detto, ciò fatto. Ed eccoli, a notte inoltrata, davanti al loro amico, attento e indulgente, a riprendere i loro opposti argomenti. Sédir, sorridente, ascolta, china la testa, tirando grandi sbuffi di pipa. Non approva né disapprova: resta in silenzio. Dopo poco gli amici sono come incantati. Tutte le difficoltà di incomprensione reciproca svaniscono; ora sono pienamente d'accordo. La soluzione al problema appare come illuminata dalla semplicità e dal buon senso; solo più tardi si accorgono che Sédir non aveva pronunciato una sillaba! Un giorno, in strada, Sédir incontra un uomo che gli dice: «Voi non mi conoscete, ma io vi conosco». e racconta di non possedere quaranta franchi per non venir sfrattato dal suo alloggio con la moglie e i figli. Sédir prende dalla tasca un pezzo di carta sui cui scrive: «Mia cara Alice, vedi di dare quaranta franchi al portatore di questa nota». Ed avrebbe potuto precisare che quaranta franchi era tutto ciò che aveva in casa. Non fu Sédir a far conoscere questo aneddoto; sua moglie Alice lo raccontò a qualche amico, aggiungendo: «mio marito comprese che fu Iddio a mandarci quell'uomo, perché egli non chiese i trentacinque o cinquanta ma i quaranta che possedevamo». Quando parlava, Sédir usava prudenza e basso profilo; in genere iniziava sempre con un: «C'è chi dice che...». Un giorno, senza transizioni, questa formula scompare, e con calma autorità risponde: «Questa cosa è così e succede in tal maniera». Abbandona tutti i suoi (altisonanti) titoli; dismette i "tesori di saggezza" e rigetta tutte le iniziazioni e le logosofie; si separa da tanti compagni di strada, per consacrarsi unicamente al Vangelo. Nasce un Sédir semplice e profondo, dopo un «avvenimento solenne e decisivo» che gli permette di toccare con mano il nulla di scienze e società secrete, e che lo pone per sempre sulla strada indicata dai Vangeli. Ha una sola dottrina, l'amore per il prossimo, che dona le chiavi del mondo. Un solo scopo: cercare il regno d'Iddio, sapendo che tutto il resto gli verrà dato in sovrappiù. Anni dopo, Alfred Haehl, amico carissimo di Sédir, parla apertamente dello «Sconosciuto» nominato da Sédir nell'opera Alcuni Amici D'Iddio -si tratta di Nizier Anthelme Philippe: conosciuto come Maitre Philippe. Sédir ha dunque il privilegio d'incontrare il suo ideale non nell'astratto mondo del sapere ma in una persona, con tutta quella realtà misteriosa e augusta che una persona vivente porta con sé d'insondabile profondità, di luminosa dolcezza, d'invincibile certezza. Una domenica del giugno 1897, condotto da Papus, Sédir incontra per la prima volta Colui che nel suo romanzo Initiation chiamerà con il nome di Andréas e che Papus aveva soprannominato, in un articolo dedicato al grande Maestro spirituale, «Il Padre dei Poveri». Il primo incontro è assai breve, ma poi gli incontri si moltiplicano, a Parigi, a Lione e nella casa di Arbresle con i più fedeli discepoli: Jéan Chapas, Marc Haven, Alfred Haehl ecc. Nel maggio del 1905, Paul Sédir passa ancora due giorni, insieme alla moglie, presso il Maestro -Alice esprime codesto desiderio, ormai vinta da una malattia incurabile. Il Maestro scompare dal piano fisico nello stesso anno, regalando ancora ai coniugi Le Loup quattro anni di vita insieme: Alice, alla quale i medici pronosticavano pochi mesi di vita, muore nel 1909. Le opere mistiche di Sédir appaiono tra il 1907 e il 1911: Conferenze sul Vangelo; Breviario Mistico; nel 1915: L'Attuale Guerra dal Punto di Vista Mistico; a guerra terminata: Il Martirio della Polonia. In quest'epoca scrive L'Initiation che è, per così dire, il gioiello della corona. Sédir racconta in forma romanzesca l'incontro con lo «Sconosciuto» e precisa che non v'è dettaglio del racconto che non sia vero ed esatto: "...Mentre m'attardavo a esaminare… apparve un uomo nel vano della porta, vestito con un maglione senza maniche, da fabbro. La carnagione, la grossezza del torace e delle braccia indicavano muscoli ben sviluppati e uno straordinario vigore, come presso i Tartari. Tuttavia, il suo volto era quello di un onesto francese, un po' rude, come di un vecchio soldato. Solo più tardi ho potuto leggervi, allo stesso tempo, bontà, finezza e intelligenza e molte altre cose...Voi non mi conoscete -dissi- «Lo credete?» -rispose con un sorriso- eppoi aggiunse: «Il daino chiama la tigre», citando un proverbio di Lao. «Ma allora chi siete voi? Dove avete appreso tutto quello che si vede che sapete? Voi avete vissuto nei luoghi d'Oriente, per conoscere tanti piccoli particolari!» -"In effetti ho viaggiato anche da quelle parti; ho riportato soprattutto dei ricordi, anche degli errori e delle verità. Così, ad esempio, il segno che vedo nel palmo della vostra mano destra, tra gli indovini cinesi significa che voi operate nelle scienze occulte, non senza successo. Ma un altro segno mi indica che voi possedete oltre la maggior parte dei ricercatori, un raro vantaggio" «Che é?» «Se ve lo dicessi, lo perdereste -rispose con gravità-; voi avete cercato molto; ma ricordatevi che la vera luce viene solo da Iddio». La morte della moglie accelera il nuovo orientamento di Sédir verso l'apostolato. Lascia la Banca di Francia: gli amici premono affinché fondi un movimento. Ma Paul non è un costruttore, non organizza. Gli domandano conferenze e lui le fa, gli viene chiesto di pubblicare e lui pubblica, infine gli viene richiesto di raggruppare i volonterosi che si raccolgono intorno a lui e lui li raggruppa: seguendo le circostanze che sono gli strumenti del Signore. Si prende cura degli «Amici Spirituali» con illimitata pazienza, sostiene, infiamma, consola; incurante di sé. Hanno scritto i suoi fedeli discepoli: «Per anni egli ha preso su di sé i nostri fardelli, il peso delle nostre preoccupazioni e anche delle nostre infedeltà, discepolo di Colui che venne non per essere servito ma per servire e donare la Sua vita». Termina una delle sue ultime lettere con queste parole: «Non pensate che al Cristo, non parlate che del Cristo, non lavorate che per il Cristo. Servite i poveri e gli ammalati. Tutto il resto è solo curiosità». Simili parole sono, in un certo senso, le ultime raccomandazioni di chi dal momento dell'incontro con Maitre Philippe e sino alla fine della sua vita è stato testimone del Cristo. Afferma una signora dell'alta società protestante: «Quando Sédir parla del Cristo, Egli è là, presente». Ecco il segreto del suo apostolato: porta amici e ascoltatori in presenza del Cristo. «Rasserenatevi, aprite porte finestre; accogliete con dolcezza tutti gli esseri e tutte le cose. Amatevi gli uni con gli altri. Ciò non significa imporsi un mutualismo più o meno dissimulato. Sia una festa l'incontro con chiunque; siate un Sole gli uni per gli altri. Non siate ricchi di denaro: siate fastosi nel cuore...Come Marta, accudite ai doveri quotidiani, sovente assai pesanti in una esistenza ricca come in una vita modesta. Come Maria, voi brucerete dall'interno, raggiando fiamme invisibili e tenendo celate le vostre preghiere, le sofferenze e le grazie ricevute». Il tre febbraio 1926, dopo giorni di grandi sofferenze, gli occhi aperti sull'amata icona del Signore, Paul Sédir muore. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Saint-Vincent (presso Rue Girardon) vicino alla tomba di Alice Le Loup. Da allora ad oggi non è mai cessato un discreto e silenzioso pellegrinaggio alla sua tomba. Alcuni hanno testimoniato, lungo gli anni passati, di guarigioni improvvise e di preghiere esaudite.


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L'ultima metamorfosi PIRANDELLIANA (destino di un'opera aperta)

di Alessio Begliomini

Nell'autunno del 1936 Luigi Pirandello, già a un punto di svolta dell'arte teatrale sua con I Giganti della Montagna, Mito teatrale e sociale ovvero allegoria, mirabile e incompiuta, accettava l'intrigante proposta di Pierre Chenal -per metter d'accordo un cast importante e internazionale d'acchito in rivolta contro la direzione cinematografica di questi, che non riusciva più a portarla avanti-, di riscrivere i dialoghi e orientare in scena i primattori, sia la giovane Isa Miranda -la più delusa, dal piccolo e fin troppo celebre, allora, cineasta d'oltralpe-, sia Pierre Blanchar, per Il fu Mattia Pascal, undici anni dopo la fortunata versione muta con Mosiukin. Rispetto al romanzo, la storia filmata da Chenal, produzione franco-italiana in due versioni (migliore la francese, mai vista nelle sale d'Italia), la resa della cui fotografia invero quasi mai si dimostra consona al prestigio di consensi di cui ha goduto da subito quest'opera narrativa maestra, significativamente si presenta con un finale diverso: rielaborazione integrale, così, del volto stesso del protagonista eponimo in luce di nuovo estethos pirandelliano che dischiude ora speranza, oltre la croce notoria di mondane traversie che separano ormai il perplesso e itinerante Mattia da relazioni ed obblighi contessuti al suo pur recente passato domestico. Il film or dà più spazio al personaggio di Adriana/Luisa, il cui destino, proprio all'Anima Dell'Amore, sarà quello di solvere le attese di Mattia da logoro legame con persone di un ambiente familiare non più in grado di comprenderlo; indi condurlo, sulle ali dell'idillio, verso ignoto avvenire condiviso. Peregrina entelechìa del più elaborato messaggio pirandelliano, quest'opera ci risulta, nella versione in italiano, non ancora virata al restauro -che avvenga al meglio, lo si conviene. Il film, uscito nelle sale del Regno ai primi del '37, poche settimane appresso la scomparsa di Pirandello, venne preso di mira da un settore della critica fascista che, stimando la tecnica di ripresa, soprattutto il tono delle interpretazioni, quali anomale e innaturali, già insinuava eccessi di formalismo. In riscatto della misura di gusto pirandelliana -la quale ridié sprone e per il futuro suo artistico alle generose doti d'interprete della Miranda, già in empasse per via di suoi tre film , venuti dopo il trionfo alla Mostra di Venezia del '35 con lei di Passaporto Rosso, con regie di mediocrissimo valore-, lo sguardo di Umberto Barbaro s'inoltrava, invece, con proprietà d'autorevole richiamo, per tutti, a "un'opera degnissima, ché il Fu Mattia Pascal resta un film pieno di sapore, di nobiltà e di intelligenza" (cfr. la rivista "Bianco e Nero" del 28 febbraio 1937).


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MAITRE PHILIPPE de LYON

di Franco Giovi

La foto di Maitre Philippe è una scusa. Con essa cerco di dire qualcosa ai colti e agli incliti. Ormai, da qualche generazione,1molti si accostano alla sapienza attraverso gli scritti di personalità notevoli come Génon ed Evola. Ed è un bene: costoro si ergono a fronte del banale spiritualismo contemporaneo. Essi tracciano un solco netto, rigoroso tra l'eterna sapienza (Tradizione perenne) e le mucillaggini viscide che fingono una nobiltà spirituale non posseduta. Credo però che l'assunzione dei temi offerti dai menzionati sia del tutto insufficiente per i pochi che vorrebbero compiere passi veri nella realtà dello spirito. Essa appaga tantissimo l'intelletto che è importante quando non travalica la propria funzione. Quando eccede? Proprio nel momento del lavoro interiore. Da Patanjali a Madame Blavatskij il messaggio continuo è di dominare e sconfiggere la mente (oggi diremmo la psiche). E, in effetti, nella più modesta concentrazione o meditazione non c'è scelta: o viene superato il rutilante mondo dei nostri pensieri personali o il tentativo nasce morto. Chiedo ancora (con una punta di malizia): come mai Guénon, Evola e qualche altro mai si confrontano con Maitre Philippe, con Ramana, con Aurobindo? Che in fin dei conti erano persino loro contemporanei...Perché in Francia calibri del tipo di Sédir, Marc Haven, ecc. si avvicinarono concretamente a Maitre Philippe mentre il loro sodale Guénon rimase ben lontano? Forse René non voleva allontanarsi dal suo «puro intelletto». Evola, invece, nel panorama contemporaneo, permette qualche connessione ad Aleister Crowley...ma con (olimpico?) distacco per lui sembrano non esistere le immense personalità che ho citato. Sembra che i più alti operatori del suo secolo neppure esistano. Facile sparare poi sulla Croce Rossa, vero? A mio modesto avviso, tra gli esegeti della Tradizione e gli Operatori operanti c'è un bel po' di spazio qualitativo che divide gli uni dagli altri. Ci sono gli imbalsamatori e i viaggiatori: due professioni diverse. La prima è molto stimata.


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I colori influenzano il riposo

di Lista Mente gruppo Sublimen

In che modo i colori influenzano il riposo? Quali lo favoriscono e quali lo ostacolano? In questo articolo parleremo dell'influenza dei diversi sul sonno. Il buon riposo è una delle sfide più complesse del mondo moderno. Il sovraccarico di stimoli e il ritmo di vita frenetico impediscono a un numero crescente di persone di dormire bene. Tra i diversi fattori che entrano in gioco, oggi parleremo del modo in cui i colori influenzano il riposo. Sappiamo da anni che i colori hanno un effetto diretto sulle emozioni, sull'attivazione nervosa e persino sulle decisioni. Il sonno e il riposo non sono da meno: è risaputo che i colori di una stanza, soprattutto delle pareti, influiscono sul riposo. Vi piacerebbe sapere quali sono i colori più adatti per dormire sonni tranquilli? Se state pensando di ridipingere casa, non perdete gli utili consigli che presentiamo in questo articolo. In che modo i colori influenzano il riposo e la sua qualità? I toni leggermente saturi possono facilitare il riposo. Di tutti i fattori da controllare per garantire un sonno di qualità, i colori delle pareti possono sembrare i più irrilevanti. Tuttavia, tenete presente che anche il tempo che trascorriamo in una stanza dipende dal colore. Quando è ora di andare a letto il nostro stato d'animo sarà influenzato dai colori intorno a noi. Ciò significa che i colori che osserviamo, consciamente o inconsciamente, prima di andare a dormire, avranno un effetto su di noi. Alcuni trasmettono calma e altri eccitazione, quindi conviene prendersi qualche minuto per creare l'ambiente ideale. Ne parliamo in dettaglio. Temperatura di colore e qualità del sonno La temperatura di colore è rilevante in termini di riposo, è quanto sostiene uno studio. I volontari sono stati sottoposti a una luce fioca con diverse sfumature. Le persone che dormivano sotto un riflettore colorato ad alta temperatura (come il rosso) hanno visto le loro ore di sonno ridotte nella fase più profonda, NREM. D'altra parte, anche il colore delle pareti è un fattore da tenere in considerazione a questo proposito. Un altro studio ha raccolto dati da parte di diversi soggetti che hanno dormito in una stanza con pareti rosse o blu. Le stanze rosse hanno avuto effetti peggiori sul sonno, poiché questo colore aumenta l'eccitabilità e rende difficile addormentarsi. I colori influenzano il sonno: quali sono i migliori Se state pensando di ridipingere la camera da letto, conviene conoscere le opzioni migliori per favorire un riposo ristoratore. Si tratta dei seguenti: Il blu è il colore più appropriato: è il colore del mare e del cielo, che trasmette pace, riparo e immensità. Il giallo favorisce il riposo, ma in tonalità chiare: pur appartenendo ai colori caldi, il giallo crea un senso di equilibrio, armonia e gioia. Certo, purché si utilizzino tonalità chiare e leggermente sature, come le tonalità pastello. Il verde è un altro colore ideale per dormire bene: direttamente correlato alla freschezza e alla natura, ha un effetto rilassante. Anche in questo caso, si consigliano tonalità chiare. Bianco per tutto: oltre a essere un colore neutro, favorisce la concentrazione e si abbina facilmente. è associato alla pace, alla pulizia e alla serenità. è necessario precisare che è consigliabile utilizzare tonalità leggermente sature. In caso contrario, qualsiasi colore può produrre un effetto eccitante che rende difficile dormire. Colori che ostacolano il sonno. Alcuni colori ostacolo il corretto riposo poiché alterano l'umore. Ecco gli esempi più comuni: Viola: essendo un colore che stimola la mente e la creatività, produce un'attivazione cognitiva incompatibile con la tranquillità necessaria per addormentarsi. Marrone: nonostante sia un colore direttamente associato alla natura e alla terra, quando utilizzato in una stanza crea una sensazione di monotonia e irrequietezza. Inoltre, è difficile da abbinare. Grigio scuro: è solitamente associato all'asfalto, alla pioggia o al cemento. Questo colore produce una sensazione di solitudine e tristezza che non è affatto compatibile con un buon riposo. Rosso: è un colore aggressivo e appariscente, difficile da evitare a livello visivo. Stimola la mente e spinge all'azione, per questo interferisce con un buon riposo se è il colore che si osserva nel periodo prima di andare a dormire. Non solo i colori influenzano il riposo. Per avere un buon riposo è importante anche una buona igiene del sonno. Il colore delle pareti della stanza e gli elementi che la compongono sono variabili di cui tenere conto, ma non le uniche. Dormire bene (dormire poco) richiede altre condizioni, come la quantità di luce che entra nella stanza, il consumo di sostanze quali la caffeina o regolare attività fisica. Se avete difficoltà a ottenere un riposo continuo e rivitalizzante, potrebbe essere necessario consultare un medico per uno studio del sonno. Ricordate che molti aspetti della salute sono legati al sonno, dunque non esitate a prendervene cura il più possibile.


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Tecniche di rilassamento per alleviare lo stress

di Lista Mente gruppoSublimen.

Abbiamo a disposizione diverse tecniche di rilassamento per alleviare lo stress. La più semplice ed efficace è la respirazione profonda, tuttavia è sempre opportuno dedicarsi anche ad altre discipline. Per molti rilassarsi è sinonimo di sedersi davanti alla televisione senza fare nulla dopo una giornata estenuante. Questa strategia può aiutarci un giorno, forse due. Le vere tecniche di rilassamento per alleviare lo stress vanno oltre un divano e la serie preferita. Fare i conti con certi livelli di stress è necessario per stimolare la creatività, favorire l'apprendimento e per la stessa sopravvivenza. Lo stress diventa pericoloso quando sfugge al nostro controllo e sconvolge il sano stato di equilibrio di cui il sistema nervoso ha bisogno. Purtroppo, questa condizione psicologica è diventata una caratteristica sempre più comune della vita contemporanea. Quando il suddetto stato sbilancia e altera il nostro equilibrio mentale e fisiologico, le tecniche di rilassamento per alleviare lo stress possono essere di grande aiuto. Lo studio condotto dall'Università Nazionale di Atene ci mostra che strategie come il rilassamento muscolare progressivo, il training autogeno o le tecniche di rilascio emotivo fanno parte di questo approccio altamente efficace che tutti dovremmo provare. La maggior parte degli esperti consiglia di praticare tecniche di rilassamento per alleviare lo stress per almeno 10-20 minuti Le migliori tecniche di rilassamento per alleviare lo stress Non esiste una particolare tecnica di rilassamento che vada bene per tutti. Bisogna considerare le esigenze specifiche di ciascuno, così come preferenze, condizioni fisiche e come si reagisce allo stress. Respirazione profonda e meditazione La respirazione profonda è una delle tecniche di rilassamento per alleviare lo stress più semplici, ma più efficaci. è facile da imparare, può essere eseguita quasi ovunque e rappresenta una rapida soluzione per tenere sotto controllo i livelli di stress. Può anche essere unita ad altre fonti di relax, come l'aromaterapia e la musica. Uno studio condotto presso l'Università di Pechino rivela che questa strategia abbassa i livelli di cortisolo e favorisce il rilassamento. Basta prendere un respiro profondo dall'addome e far entrare quanta più aria possibile. La respirazione profonda consente di inspirare più ossigeno, il che si traduce in meno tensione. Ricordate: Sedetevi comodamente con la schiena dritta e appoggiate una mano sul petto e l'altra sullo stomaco. Inspirate attraverso il naso e sentite la mano sullo stomaco sollevarsi. La mano che è sul petto dovrebbe muoversi molto poco. Quindi espirate lentamente attraverso la bocca, spingendo l'aria fuori il più possibile mentre contraete i muscoli addominali. La mano sullo stomaco dovrebbe muoversi mentre espirate, ma l'altra dovrebbe muoversi molto poco. Continuate a inspirare attraverso il naso ed espirare attraverso la bocca. Se vi risulta difficile da seduti, provate a sdraiarvi sul pavimento. Appoggiate un piccolo libro sullo stomaco e provate a respirare in modo che il libro si alzi mentre inspirate e si abbassi mentre espirate. Rilassamento muscolare progressivo Il rilassamento muscolare progressivo prevede due fasi di tensione e rilassamento sistematici di diversi gruppi muscolari. Con la pratica regolare, questa tecnica offre un'intima familiarità con le sensazioni di tensione e rilassamento nelle diverse parti del corpo. Aiuta a rilevare e contrastare i primi sintomi di tensione muscolare che accompagna lo stress. Così come il corpo si rilassa, anche la mente fa lo stesso. La respirazione profonda può essere unita al rilassamento muscolare progressivo per un ulteriore sollievo dallo stress. In caso di problemi muscolari bisognerà consultare il medico prima di eseguire questa tecnica di rilassamento. Il rilassamento muscolare progressivo prevede diversi percorsi. La maggior parte delle persone inizia dai piedi e sale fino al viso. è importante indossare abiti comodi e togliere le scarpe per ottenere un completo relax. Iniziate respirando lentamente e profondamente per rilasciare quanta più tensione possibile e concentrarvi. Quando siete proti, pensate a un piede per sentirlo completamente. Contraete i muscoli del piede fino a dieci, quindi rilassateli. Concentratevi sulla sensazione, sul piede dopo la contrazione prolungata. Rimanete concentrati mentre respirate lentamente e profondamente per alcuni secondi. Quando siete pronti, fate lo stesso con l'altro piede, salendo fino a raggiungere il viso. Scansione del corpo La scansione del corpo è simile al rilassamento muscolare progressivo, ma sulle sensazioni avvertite in ogni parte del corpo. è una delle tecniche di rilassamento per alleviare lo stress molto popolare oggi. Tecniche di rilassamento per alleviare lo stress: mindfulness o piena consapevolezza La piena consapevolezza è la capacità di essere consapevoli e attenti alle sensazioni del corpo e a quello che ci circonda. Ideale per mantenere la calma e concentrarsi sul momento presente, riportare il sistema nervoso in uno stato di equilibrio. Può essere applicata ad attività come camminare, fare sport o mangiare, sebbene in genere venga applicata alla meditazione. Per rendere la piena consapevolezza una tecnica di rilassamento per alleviare lo stress, bisogna considerare alcuni punti chiave: scegliere un luogo tranquillo e appartato in cui rilassarsi senza distrazioni o interruzioni. Adottare una posizione comoda, ma non sdraiati. Scegliere un punto focale. Questo punto può essere interno - una sensazione o una scena immaginaria - oppure esterno - una parola o frase significativa che si ripete durante la seduta. Occhi aperti o chiusi. Potete anche scegliere di fissare lo sguardo su un oggetto per migliorare la concentrazione. Adottare un approccio attento e non critico. Non preoccupatevi se state eseguendo bene la tecnica. Se i pensieri intralciano la sessione di rilassamento, conviene riportare l'attenzione sul tuo punto focale. Visualizzazione La visualizzazione è una variante della meditazione tradizionale che richiede non solo il senso della vista, ma anche il senso del gusto, del tatto, dell'olfatto e dell'udito. Quando viene utilizzata come tecnica di rilassamento, la visualizzazione consiste nell'immaginare uno scenario in cui ci si sente in pace e liberi di rilasciare la tensione e l'ansia. Per praticare la visualizzazione, trovate un luogo tranquillo. I principianti a volte si addormentano durante una meditazione di visualizzazione; quindi se non l'avete mai fatto prima, conviene iniziare da seduti. Chiudete gli occhi e lasciate andare le preoccupazioni. La musica calma si rivela di grande aiuto in questi casi. Immaginate di trovarvi in un luogo rilassante, dovete vederlo, annusarlo, ascoltarlo, toccarlo. La visualizzazione funziona meglio se vengono inclusi quanti più dettagli sensoriali possibili, utilizzando almeno tre sensi. Scegliete immagini che vi interessano, indipendentemente dal fatto che siano più o meno attraenti per gli altri. Lasciate che si muovano e sentite tutto ciò che hanno da offrire: odori, sensazioni, suoni, ecc. Godetevi la sensazione di profondo rilassamento e lasciatevi avvolgere mentre esplorate lentamente i vostri luoghi rilassanti. Quando vi sentite pronti, aprite delicatamente gli occhi e tornate lentamente al presente. Yoga e Tai Chi come tecniche di rilassamento per alleviare lo stress Lo yoga combina posizioni specifiche con la respirazione profonda. Oltre a ridurre l'ansia e lo stress, migliora la flessibilità, la forza, l'equilibrio e la resistenza. Eseguito regolarmente, può rafforzare la risposta allo stress nella vita quotidiana. Per evitare infortuni, iniziate frequentando lezioni di gruppo o con un insegnante privato. D'altro canto, il Tai-chi consiste in una serie di movimenti che scorrono lentamente, ciascuno al proprio ritmo. Questi movimenti accentuano la concentrazione, il rilassamento e la circolazione consapevole dell'energia vitale in tutto il corpo. Sebbene derivi dalle arti marziali, oggi il Tai-chi viene sfruttato principalmente come tecnica per calmare la mente, condizionare il corpo e ridurre lo stress. Favorisce la concentrazione sul respiro e il momento presente. Il Tai Chi è un'opzione sicura e a basso impatto per persone di tutte le età e forma fisica, compresi gli anziani e chi ha subito un infortunio. Conclusioni Non esitate a includere alcune di queste tecniche di rilassamento nella vostra routine quotidiana. Scegliete quella più adatta alle vostre esigenze e siate costanti. I cambiamenti arriveranno.


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Informatica

Fibra FTTH raffazzonata

di Mario Lorenzini

Dalla fibra FTTC a quella FTTH ci sono dei vantaggi reali? Il gioco vale veramente la candela? Per la mia esperienza personale, a parte la effettiva maggior velocità, sollevo delle perplessità. Parliamo quindi, per l'appunto, di velocità: si decantano vertici fino a 1Gb/s. La mia situazione precedente si basava su un tetto massimo di circa 170Mb/s. Sto parlando di numeri in download. Posso dire di aver poco più che triplicato il dato, in quanto lo speed test mi mostra una soglia di sopportazione della banda di 495Mb/s, circa la metà di quanto promesso. Buono invece il balzo per l'upload, passato dai circa 20Mb/s agli oltre 300, ben 15 volte di più (ottimo per caricare video). Tutto questo ha ovviamente un prezzo. Non sto dicendo che Fastweb mi abbia fatto pagare per il passaggio al livello superiore, tutt'altro, la transizione è avvenuta, come a detta della società, gratuitamente (vedi il mio articolo in Riflessioni e critiche). La mia critica sta principalmente nell'impianto che trasporta il segnale fino a casa e poi lo rende disponibile per tutti i dispositivi nell'ambiente. Il sottile cavetto che trasporta il segnale luminoso è delicato e non può subire curvature eccessive; ecco perché i tecnici hanno deciso di passare sopra la cornice della porta invece di addentrarsi nel corrugato già presente nel circuito elettrico di casa. Poi il cavo entra in un piccolo dispositivo detto ONT (Optical Network Terminal) che, a sua volta, se ne esce con un collegamento ethernet che va a finire nel modem. Tenendo conto del fatto che anche l'ONT va alimentato, ci si ritrova con due cavi in più (ethernet e piccolo alimentatore) e un altro oggetto (l'ONT in questione) a complicare la gestione della nostra cavetteria domestica. Non sarebbe opportuno rimpiazzare il modem con un un altro che offra, oltre alla funzione di router con wi-fi e porte ethernet, la circuiteria necessaria a fungere da ONT interno? Credo di conoscere già la risposta. Il piccolo dispositivo aggiuntivo è marcato Open Fiber, i tecnici si occupano di far dialogare l'infrastruttura esterna con i vari tipi di modem, tutti che dispongono di porta dati sulla quale collegare l'ultimo passaggio dell'ONT. In più, gli utenti sono liberi di disporre di un modem di loro scelta, che magari hanno anche acquistato. Di solito non è così perché ogni gestore offre in comodato d'uso o con un piccolo canone, il proprio modem configurato proprio per la gestione del flusso. Es. TIM o Fastweb hanno un modem diverso, adatto al tipo di configurazione di quel gestore. Quindi, anche se possibile, sono poche le persone, anche esperte, che comprano un modem e poi lo configurano al meglio della compatibilità con i servizi offerti dal gestore. Diciamo che è tempo perso, si fa prima a installare il modem proposto dal gestore. Però c'è anche una seconda realtà, che denota come lavorano certe aziende, non voglio puntare il dito solo su quelle italiane. I gestori dei servizi di fonia e dati non dialogano più di tanto con chi stende la rete fibra. Allora è molto più comodo, per tutti e due, trovare un punto di incontro, come un dispositivo che si connette al modem portando un segnale fibra interpretabile. Conseguenze di questa scelta sono una perdita di una porta ethernet (poco male) sul modem (usata in ingresso dall'ONT) e l'aggiunta di un altro «oggettino» esterno e relativi fili. Penso che il tutto sia imputabile alla fretta di voler fornire la fibra FTTH a un vasto bacino di utenza nel più breve tempo possibile; gli aggiustamenti, in termini velocistici o di dispositivi, saranno eseguiti dopo. Certo, l'ideale sarebbe che, una volta fissato l'appuntamento, solo un tecnico venisse a casa, non iniziando a ciacciare qua e là in tutta la casa, ma fornisse consigli all'utente per agevolare l'intervento vero e proprio, facendosi uno schema su come arrivare alla borchia desiderata dal cliente e non dal tecnico perché lui, così all'improvviso, giustamente, non può fare di più. Personalmente, credo che per un intervento così pianificato, sarei disposto a pagare una cifra modica. Non mi meraviglio invece che i gestori consentano il passaggio alla FTTC gratuitamente perché, essendo pignoli, le cose sono fatte a metà, non di certo ottimizzate a dovere. Probabilmente, in un lasso di tempo relativamente breve, gli accordi tra gestori e Open Fiber potrebbero consentire la sostituzione dei modem/router e degli ONT con un unico blocco in grado di elargire tutte le funzioni di questi due dispositivi. Ma… le sorprese non finiscono qui. La bolletta successiva mi giunge con un aumento di 5€. Leggo il dettaglio e vedo che il canone cosiddetto «ultrafibra», fino ad allora gratuito, mi veniva addebitato. Dopo un attimo di incertezza, mi metto alla ricerca su internet. In vari blog molti si lamentano del balzello, di quei pochi euro che sapevo di non dover pagare. E i messaggi degli utenti indicano questa via. Qualcuno si è rivolto alle associazioni dei consumatori, altri direttamente al gestore. Così ho fatto io. Ho chiamato il servizio clienti, chiedendo la motivazione di tale sovrapprezzo, visto che mi avevano detto che il passaggio alla nuova tecnologia sarebbe stato totalmente gratuito. Sento l'operatore del servizio commerciale un po' imbarazzato. Mi viene risposto che, effettivamente, c'era stato un errore e che mi avrebbero stornato quel costo aggiuntivo alla successiva bolletta emessa. Sto scrivendo proprio pochi giorni dopo la ricezione di tale bolletta. Il canone aggiuntivo, erroneamente addebitato, è stato prontamente rimosso. Viva l'efficienza! Ma se non lo avessi segnalato? Se ne sarebbero accorti da soli? Oppure avrei continuato a pagare un importo maggiorato per sempre?


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Medicina

Novità in Farmacopea: XXV parte

di Stefano Pellicanò

A) EPATOLOGIA a) Colangiocarcinoma intraepatico (ICCA): Crenigacestat, nuovo farmaco biologico L'unica possibilità farmacologica oggi è rappresentata dalla chirurgia limitata alla precocità della diagnosi ma con una efficacia insoddisfacente per le possibili recidive. Studiosi dell'Istituto Nazionale di Gastroenterologia Saverio de Bellis di Castellana Grotte (Bari) basandosi sulla medicina di precisione hanno proposto l'impiego di nuovi farmaci biologici diretti contro specifici bersagli (mutazione dei geni IDH1 e FGFR2) utilizzabili nei pazienti con appropriate caratteristiche molecolari. Secondo i ricercatori la via del segnale NOTCH stimola le cellule del CCA a esprimere sulla loro superficie il recettore CD90 inoltre i pazienti con CCA intraepatico che esprime CD90 hanno una prognosi peggiore. Tuttavia sono proprio questi i tumori che traggono maggiormente beneficio dalla terapia con Crenigacestat che agisce bloccando la via del segnale NOTCH (fonte: Journal Experimental Clinical Cancer Research, 2022). Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) di Crawle, hanno identificato un predittore genomico di fine-vita basato sulla densità dei dinucleotidi CpG, che rappresentano il target dei processi di metilazione del DNA (isole CpG). Il processo base è la modificazione covalente della citosina in 5-metil-citosina, processo che regola l'espressione dei geni della longevità senza alterare la sequenza del DNA. La concentrazione di isole CpG fa da argine alla metilazione Con l'aumentare dell'età la metilazione del DNA può aumentare o ridursi a prescindere dai fenomeni epigenetici confermando che una maggior concentrazione di isole CpG può offrire una maggior aspettativa di vita opponendosi alla disregolazione provocata dall'accumulo di metilazioni che si verificano nella vita usando solo 42 specifici geni promotori (fonte: Scientific Reports, 2022). B) NEUROLOGIA a) Dolore neuropatico: gli attuali approcci terapeutici Le attuali evidenze scientifiche supportano l'uso di gabapentin, pregabalin, inibitori della captazione di noradrenalina e serotonina, antidepressivi triciclici; cerotti cutanei che rilasciano lidocaina o capsaicina e l'iniezione sottocutanea di tossina botulinica, oppioidi riservati ai pazienti cnon responder. Analgesici come i FANS non hanno dimostrato efficacia contro il dolore neuropatico (fonte: Scholz J. et al., The IASP classification of chronic pain for ICD-11: chronic neuropathic pain. Pain. 2019 Jan;160,1: 53-59). à‰ stata valutata l'efficacia dei derivati della Cannabis sativa, una pianta complessa che contiene circa 100 cannabinoidi. Le nuove tecniche di stimolazione cerebrale transcranica non invasive sono utili nel dolore neuropatico refrattario e includono la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) e la tDCS o stimolazione transcranica a corrente continua (fonte: Cavalli E. et al., The neuropathic pain: An overview of the current treatment and future therapeutic approaches. Int J Immunopathol Pharmacol. 2019;33: 1-10). Anche la stimolazione della colonna dorsale (SCS) costituisce una terapia alternativa per i pazienti non responder, si tratta di una tecnica invasiva che prevede la stimolazione delle colonne dorsali del midollo spinale mediante la somministrazione di impulsi elettrici a frequenze di circa 50 Hz in grado di sopprimere l'ipereccitabilità neuronale centrale (fonte: Cavalli E. et al., op. cit.). In ogni caso i farmaci di prima linea forniscono un sollievo meno che soddisfacente in molti pazienti (fonte: Scholz J. et al., op. cit.). C) ONCOLOGIA a) Tumore gastrico: chemioterapia orale a base di trifluridina/tipiracil Il carcinoma gastrico è il quinto tumore più comune al mondo ed è la terza causa di morte. à‰ una neoplasia con una limitata sopravvivenza, in Italia intorno al 32% per tutti gli stadi.Nel 2019 si sono registrate in Italia oltre 13.000 nuove diagnosi e circa 10.000 decessi. La sua sopravvivenza è tra le peggiori di tutti i tumori solidi con una percentuale di pazienti vivi a 5 anni dalla diagnosi del 5,2%. Finora per il suo trattamento i pazienti con carcinoma gastrico metastatico venivano sottoposti a regimi di chemioterapia off-label che non solo non offrono alcun significativo beneficio clinico ma possono potenzialmente peggiorare la qualità di vita del paziente a causa degli effetti collaterali. AIFA ha concesso, con Determina n°112/2022, l'ammissione alla rimborsabilità per trifluridina/tipiracil per il trattamento in monoterapia di adulti affetti da carcinoma metastatico gastrico, già trattati o non candidabili per il trattamento con altre terapie disponibili. Già approvata per il trattamento del tumore del colon-retto metastatico, ha ottenuto la rimborsabilità per la nuova indicazione in base ai risultati dello studio clinico di Fase 3 TAGS. Questa terapia somministrata per via orale e quindi assunta a domicilio, ha prodotto un miglioramento della sopravvivenza mediana che raggiungeva nello studio i 5,3 mesi con una riduzione del rischio di morte del 30%, garantendo insieme il mantenimento della qualità di vita dei pazienti. b) Abemaciclib per i meningiomi cerebrali I meningiomi sono i tumori primari (non metastatici) più comuni nel sistema nervoso centrale, con circa 31.000 diagnosi/anno negli USA. I sintomi includono cefalea, convulsioni o deficit neurologici (astenia, visione doppia o cecità). Finora quandosi ripresenta dopo un intervento chirurgico e un trattamento con radiazioni, non c'erano farmaci per questi tumori aggressivi, 20% dei casi e possono portare alla disabilità o all'exitus. Studiosi della Northwestern Medicine, dell'Università della California, San Francisco e di Hong Kong, hanno condotto uno studio, eseguendo la profilazione della metilazione del DNA e il sequenziamento dell'RNA su 565 meningiomi, identificando Abemaciclib, un inibitore del ciclo cellulare, che blocca il ciclo di divisione cellulare e inibisce la crescita dei meningiomi più aggressivi e come identificare con maggiore precisione quali risponderanno. Esso è stato testato in modelli murini, un tumore cerebrale di tessuto vivente 3-D (organoidi) e colture cellulari. Gli studiosi hanno scoperto che possono essere suddivisi in sottogruppi molecolari con diversi esiti clinici e tassi di recidiva. Attualmente, dopo l'intervento chirurgico, i medici esaminano un campione di tumore al microscopio e lo classificano 1, 2 o 3 in base alla sua aggressività ma con un grado di accuratezza del 70% circa. I topi trattati sono vissuti più a lungo e ila crescita tumorale non è stata rapida e i sintomi sono migliorati (fonte: World Pharma News, 2022).


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Novità in Sanità Pubblica: XVI parte

di Stefano Pelliccanò

A) I farmaci si potranno somministrare anche in gel ? Studiosi del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e del Brigham and Women's Hospital Pillole hanno sperimentato che, negli animali, i principi attivi dei medicinali possono essere veicolati in modo alternativo mediante un gel a base di oli vegetali (come olio di sesamo, semi di cotone o lino), gradevole al gusto, poco costoso, stabile anche fuori dal frigorifero e non richiede acqua per la somministrazione. Il prodotto, simile a frullati o a yogurt e budini, potrebbe rappresentare una svolta sia per i bambini che per adulti e anziani con problemi neurologici che faticano a ingoiare le pillole, a es. dopo un ictus. I ricercatori hanno veicolato tre farmaci che l'O.M.S. considera essenziali per i bambini: praziquantel, contro le infezioni parassitari; lumefantrina, contro la malaria e azitromicina contro le infezioni batteriche. Anche un farmaco idrosolubile (l'antibiotico moxifloxacina cloridrato) può essere somministrato con il gel. Per la sua conservazione e somministrazione, infine, è stato progettato un dispenser simile a una confezione di yogurt comprimibile, provvisto di scomparti per separare le dosi. Il gel, infine, sarà a breve sperimentato anche sull'uomo (fonte: Science Advances, 2022). B) Agenzia italiana del farmaco (AIFA): aggiornamento delle Note 13 e 100, includendo nuovi farmaci per la rimborsabilità S.S.N. (Determina 10 maggio 2022) La Nota 13 era stata istituita a aprile 2020 e riguarda la prescrizione a carico SSN dei farmaci ipolipemizzanti per il trattamento dell'ipercolesterolemia. Oltre a: atorvastatina, perindopril e amlodipina; rosuvastatina e amlopdipina ora è stata inclusa: rosuvastatina e acido acetilsalicilico. La Nota 100, che riguarda i farmaci utilizzati nella terapia del diabete mellito tipo 2, è stata istituita il 21 gennaio 2022, per consentire ai medici di medicina generale e agli specialisti, la prescrizione ottimale degli inibitori del SGLT2, degli agonisti recettoriali del GLP1, degli inibitori del DPP4 e loro associazioni, limitatamente alle confezioni per il trattamento del diabete mellito tipo 2 riportate in allegato alla Nota. L'aggiornamento del 29 maggio 2022 ha reso rimborsabile una nuova specialità medicinale a base di ertugliflozin/sitagliptin; inoltre sono state aggiornate le schede tecniche di alcuni farmaci in relazione al grado di compromissione della funzionalità renale e sono stati introdotti alcuni chiarimenti in merito al target di emoglobina glicata e alla possibile sostituzione tra farmaci antidiabetici. La prescrizione dei farmaci inseriti in Nota 100 prevede la compilazione di una scheda di valutazione e prescrizione (scheda di Iª iscrizione e di rinnovo) da parte dello specialista che da parte del Medico di Medicina Generale. Resta invariato il regime di fornitura, ai fini della rimborsabilità a carico del S.S.N., dei farmaci nelle altre indicazioni terapeutiche non oggetto della Nota. C) Sistema tessera sanitaria: precisazioni dell'Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n°22 del 23/05/2022 sulla sanzione di 100 € ai sanitari che non inviano i dati I soggetti tenuti all'obbligo di inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni sanitarie erogate nei confronti delle persone fisiche, ai fini della loro messa a disposizione dell'Agenzia delle Entrate per l'elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, sono: gli iscritti all'Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, le A.S.L, le A.O., gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), i Policlinici universitari; le farmacie, pubbliche e private; i presidi di specialistica ambulatoriale, le strutture per l'erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditate per l'erogazione dei servizi sanitari. La risoluzione chiarisce se la sanzione di 100 € vada applicata per ogni singola comunicazione omessa o solo una volta per aver violato l'obbligo anche relativamente a più di una comunicazione precisando che si applica per ogni singolo documento di spesa, senza possibilità di applicare il cumulo giuridico. Comunque se la comunicazione sia correttamente trasmessa entro 60 giorni dalla scadenza prevista, la sanzione ordinaria ridotta è a un terzo con un massimo di 20.000 €. Le prossime scadenze per gli obblighi di comunicazione: entro il 30 settembre 2022, per le spese sostenute nel primo semestre dell'anno; entro il 31 gennaio 2023, per le spese sostenute nel secondo semestre dell'anno 2022; entro la fine del mese successivo alla data del documento fiscale, per le spese sostenute dall' 1 gennaio 2023. D) Rinvoq (upadacitinib 15mg) ottiene la rimborsabilità da AIFA per la terapia dell'Artrite Psoriasica Attiva (APA) L'APA è una malattia infiammatoria sistemica eterogenea, con manifestazioni in più sedi. Un'alterazione della risposta immunitaria provoca uno stato infiammatorio cronico con conseguente dolore, affaticamento, rigidità delle articolazioni e lesioni psoriasiche. Colpisce fino a 50 milioni di persone nel mondo di età media di esordio 30-50 anni. RINVOQ il primo inibitore orale selettivo e reversibile delle Janus chinasi (JAK) che può essere assunto una volta/die con e senza metotrexato.


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Novità in Medicina: XXV parte

di Stefano Pelliccanò

A) DIABETOLOGIA a) Diabete: i due virus herpes HSV2 e CMV possono aumentarne il rischio nei soggetti infetti Si stima che il diabete di tipo 2 o insulino-resistente interessi il 9,3% della popolazione mondiale. Tra i suoi fattori di rischio ci sono obesità, sedentarietà e il fumo. Ma di recente si è ipotizzato che anche alcune infezioni possano incrementare il rischio di ammalarsi. Gli herpes sono tra i virus più diffusi nell'uomo, con otto tipi conosciuti: herpes simplex virus (HSV) 1 e 2, virus della varicella-zoster (VZV), virus di Epstein-Barr (EBV), Citomegalovirus (CMV) e herpesvirus umani (HHV) 6, 7 e 8. Tutti causano infezioni che restano latenti per tutta la vita dopo l'infezione primaria iniziale, normalmente lieve o asintomatica. Studiosi dell'Università Ludwig-Maximilians e Helmholtz di Monaco hanno esaminato 1.967 arruolati tra 2006-2008 e nuovamente tra 2013-2014, tra cui test per la presenza di herpesvirus, glicemia e misurazione dell'emoglobina glicata (controllo della glicemia a lungo termine, HbA1c). Il diabete era presente nell'8,5% dei partecipanti all'inizio dello studio e nel 14,6% al follow-up. Dei 1257 volontari con normale tolleranza al glucosio all'inizio, 364 hanno sviluppato il pre-diabete e 17 il diabete durante il periodo di monitoraggio di 6,5 anni. All'inizio dello studio hanno rilevato che il virus di Epstein-Barr (il virus della mononucleosi) era l'herpesvirus più diffuso (98% del campione positivo), seguito da HSV1 (88%), HHV7 (85%), VZV (79%), CMV (46%), HHV6 (39%) e HSV2 (11%). I partecipanti erano positivi a una media di 4,4 herpesvirus all'inizio e 4,7 al follow-up. è emerso che i soggetti affetti da HSV2 avevano il 59% di probabilità in più di sviluppare il pre-diabete rispetto ai sieronegativi mentre l'infezione da CMV era associata a un incremento del 33% dell'incidenza di pre-diabete. Lo studio ha mostrato che sia l'HSV2, sia il CMV hanno contribuito allo sviluppo del pre-diabete, anche dopo aver tenuto conto di tutti gli altri fattori di rischio noti per il diabete. L'HSV2 è risultato associato anche a livelli peggiori di emoglobina glicata. I meccanismi con cui questi virus potrebbero contribuire allo sviluppo del diabete restano da scoprire. Sia HSV2 che CMV causano infezioni croniche che potrebbero modulare il sistema immunitario stimolando o sopprimendo la sua attività, che a sua volta può influenzare la funzione del sistema endocrino (ormonale). L'infezione virale, probabilmente potenziando l'attivazione dei meccanismi dell'infiammazione, associata alla obesità e alla predisposizione al diabete, possa far emergere (slatentizzare) la malattia nei predisposti (fonte: Diabetologia, 2022). B) GASTROENTEROLOGIA a) Focus sulla Malattia da Reflusso Gastroesofageo (GERD) La malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) è una condizione che interessa il 20% della popolazione adulta nel mondo occidentale, in cui il contenuto acido prodotto dallo stomaco torna nell'esofago, causando sintomi fastidiosi e di lunga durata come sensazioni di bruciore dietro lo sterno (bruciore di stomaco) o sensazione di rigurgito del contenuto dello stomaco nella parte superiore della gola (rigurgito acido) o complicazioni specifiche, come l'infiammazione dell'esofago e/o cambiamenti strutturali che possono aumentare il rischio di sviluppare il cancro esofageo. La causa principale risiede nel meccanismo valvolare inefficace dello sfintere esofageo inferiore e la disfunzione si verifica più frequentemente se una parte dello stomaco viene spinta verso l'alto nella cavità toracica (ernia iatale). I suoi principali fattori di rischio sono l'obesità, il fumo e l'ereditarietà. Nell'ampio spettro dei fenotipi GERD, si possono tradizionalmente distinguere tre gruppi: pazienti affetti solo da sintomi esofagei e/o extra-esofagei; pazienti con esofagite erosiva e pazienti con ulteriori complicanze. Una sottocategoria di pazienti che mostra sintomi correlati al reflusso, in assenza di esofagite erosiva all'endoscopia, è considerata affetta da malattia da reflusso non erosiva (NERD). Studi fisiopatologici di monitoraggio del pH e, più recentemente, il monitoraggio del pH dell'impedenza (MII-pH), hanno dimostrato che esistono due tipi principali di pazienti con NERD: quelli con reflusso acido anomalo e quelli con tempo di esposizione all'acido fisiologico (AET). In quest'ultimo gruppo, i pazienti che mostrano una stretta relazione temporale tra sintomi ed episodi di reflusso acido o non acido sono stati definiti come aventi un «esofago ipersensibile» e dovrebbero essere considerati all'interno dello spettro di GERD. Il primo approccio terapeutico consiste nella modifica dello stile di vita quindi alimentazione corretta e astensione dal fumo. Se necessari i farmaci di prima linea sono gli inibitori della pompa protonica (PPI), come omeprazolo o esomeprazolo. In genere inizialmente i pazienti assumono un PPI ogni giorno per un paio di settimane e, se i sintomi si riducono in maniera significativa, ciò conferma la diagnosi. Gli PPI agiscono modificando efficacemente la composizione del reflusso e riducendo la componente acida, sebbene non possano fermare il reflusso del contenuto gastrico verso la gola; inoltre risultano inefficaci se l'acido non è il principale fattore scatenante dei sintomi. I sintomi tipici si ripresentano spesso entro 1 anno in oltre il 90% dei pazienti dopo la sospensione del PPI, in molti di essi entro pochi giorni.  In alcuni pazienti quindi, soprattutto soggetti giovani e sani, la  fundoplicatio laparoscopica può essere valutata per trattare la malattia: avvolgere la parte superiore dello stomaco attorno all'esofago inferiore, prevenendo così meccanicamente e fisiologicamente la GERD. Infine diversi studi hanno indicato un grado significativo di sovrapposizione tra la Sindrome dell'Intestino Irritabile (IBS) e la malattia da reflusso gastroesofageo.  C) NEUROLOGIA a) Dolore neuropatico: la nuova classificazione ICD-11 In una revisione sistematica sull'epidemiologia del dolore neuropatico cronico è stata riscontrata una prevalenza del 3% -17% con incidenza 3,9–42,0/100.000 persone/anno per la nevralgia post-erpetica; 12,6–28,9/100.000 persone/anno per nevralgia del trigemino; 15,3–72,3/100.000 persone/anno per PDN e 0,2–0,4/100.000 persone/anno per la nevralgia glossofaringea. Il dolore neuropatico è più diffuso tra le donne (60,5%), con un picco tra i 50 e i 64 anni più frequentemente tra i lavoratori manuali e in aree rurali (fonte: Cavalli E. et al., The neuropathic pain: An overview of the current treatment and future therapeutic approaches. Int J Immunopathol Pharmacol. 2019;33: 1-10). Per migliorare l'approccio diagnostico-terapeutico l'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha lavorato all'11ª revisione dell'ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie e dei Problemi di Salute Correlati) in collaborazione con l'OMS dedicata esclusivamente alle sindromi dolorose croniche, definite come dolore persistente o ricorrente di durata ≥ 3 mesi. La classificazione proposta differenzia il dolore neuropatico di origine centrale e periferico e comprende nove condizioni comuni associate a dolore persistente o ricorrente. Per il dolore neuropatico centrale cronico l'elenco comprende: dolore associato a lesione del midollo spinale, a danno cerebrale, post-ictus, dolore neuropatico centrale cronico associato a sclerosi multipla. Per quanto riguarda il dolore neuropatico periferico cronico le condizioni elencate sono: nevralgia del trigemino, dolore neuropatico cronico dopo lesione del nervo periferico, polineuropatia dolorosa, nevralgia posterpetica e radicolopatia dolorosa. Il documento fornisce inoltre criteri minimi di possibile dolore neuropatico e descrive le indagini che meglio supportano una diagnosi definitiva (fonte: Scholz J. et al., The IASP classification of chronic pain for ICD-11: chronic neuropathic pain. Pain. 2019 Jan;160,1: 53-59). b) Morbo di Alzheimer (A.D.): scoperto perché si altera la memoria La malattia di Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza senile in tutto il mondo. Colpisce circa il 5% degli over-60 e, in Italia, si stima che esistano circa 500mila ammalati. In atto, interessa oltre 35 milioni di persone convivono con essa, numero destinato a raddoppiare entro il 2030 e a triplicare entro il 2050. è caratterizzata da un rapido e progressivo declino cognitivo, accompagnato da caratteristiche patologiche come accumulo di placche di proteina β-amiloide e grovigli neurofibrillari di proteina tau-iperfosforilata lungo i vasi sanguigni cerebrali, aumento della densità e dell'attivazione delle cellule infiammatorie e, infine, la morte di neuroni e di altre cellule cerebrali. à‰â€¯stato dimostrato che la disfunzione vascolare (riduzione del flusso) è implicata fortemente nella sua patogenesi e che molti dei fattori di rischio primari associati alla compromissione della struttura e della funzione vascolare sono l'ipertensione, l'obesità, il diabete e l'aterosclerosi. Inoltre è stata osservata, allo stadio iniziale della malattia, una riduzione del 25% del flusso sanguigno cerebrale (CBF) sia in pazienti con A.D., sia nel modello murino che presenta la mutazione del gene codificante il precursore della proteina β-amiloide (APP). A tal proposito Hernandez e coll., attraverso la tecnica della microscopia a due fotoni di eccitazione (imaging 2PEF) hanno investigato, attraverso modelli murini di Alzheimer, i possibili meccanismi cellulari responsabili della riduzione del CBF e valutare l'impatto di questa riduzione sulla funzione cognitiva. L'imaging 2PEF del sistema vascolare corticale del topo ha rivelato un elevato numero di ostruzioni, che risultavano essere causate da uno stallo capillare e che la maggior parte degli stalli contenevano leucociti, soprattutto neutrofili. La scoperta casuale, ma molto significativa, è stata che somministrando ai topi alte dosi di α -Ly6G (4 mg/kg di peso animale, intraperitoneale), si riduceva il numero di stalli capillari e si verificava un aumento del flusso sanguigno nelle arteriole penetranti corticali, cosa che non succedeva con gli isotipi degli anticorpi di controllo (utilizzati per confermare che il legame dell'anticorpo primario è specifico e non è il risultato di altre interazioni proteiche). Successivamente sono stati eseguiti studi comportamentali per valutare alcune delle funzioni celebrali riscontrando miglioramenti sia nelle prestazioni della memoria spazio /temporale che in quelle relative alla memoria di lavoro. Non sono stati invece rilevati miglioramenti nella funzione sensoriale motoria, né in comportamenti ansiosi e simil-depressivi. Un possibile approccio terapeutico all'A.D. potrebbe essere il ripristino del corretto flusso sanguigno cerebrale attraverso la riduzione dell'adesione dei neutrofili (fonte: Nat Neurosci. 2019 Mar;22(3):413-420). D) OFTALMOLOGIA a) Cornea: iniezione di cellule alternativa al trapianto Ogni anno vengono eseguiti in Italia 5.000 trapianti di cornea. In quasi la metà dei casi, sarà possibile ricorrere alla nuova tecnica che consiste nell'estrarre le cellule endoteliali dalla cornea di un donatore, nel coltivarle in laboratorio per farle crescere e, infine, nell'iniettarle nel paziente, dopo aver «grattato» via le cellule malate, con un intervento che richiede una decina di minuti. b) Post-operatorio della cataratta: nuova terapia La cataratta è una patologia degenerativa del cristallino che, se non trattata adeguatamente, può portare da disturbi e difficoltà nella visione fino alla cecità, il cui limite di età si sta abbassando, trattabile unicamente chirurgicamente. In Italia vengono eseguiti circa 650.000 interventi/anno. Finora la terapia farmacologica nel post-operatorio, necessaria per evitare l'insorgenza di infezioni e garantire il controllo dell'infiammazione, si basava sull'utilizzo di colliri antibiotici e steroidi per almeno 14 giorni, con il rischio di indurre antibiotico-resistenza. Il nuovo trattamento, levofloxacina, un antibiotico fluorochinolonico particolarmente specifico per la chirurgia oculare, con il desametasone, cortisonico di riferimento in oftalmologia, è stato valutato con LEADER7, uno studio clinico internazionale di fase 3, multicentrico, randomizzato, in cieco, a gruppi paralleli, su 800 pazienti in oltre 50 Centri, di cui 43 Italiani. Lo studio ha dimostrato la non inferiorità del trattamento di una settimana con levofloxacina/desametasone seguito dalla somministrazione di desametasone da solo per ulteriori sette giorni, rispetto a tobramicina e desametasone per due settimane. L'85% dei pazienti dei trattati per una settimana non ha mostrato segni di infiammazione oculare, dimostrando che l'utilizzo dei corticosteroidi per sette giorni è sufficiente per il controllo dell'infiammazione nella stragrande maggioranza dei pazienti. Oltre ad essere un'importante innovazione scientifica, si tratta di un vantaggio per i pazienti, per lo più anziani e l'utilizzo per meno tempo, è importante per migliorare l'aderenza terapeutica e per la lotta all'antibiotico-esistenza, fenomeno sempre più diffuso e che, se non affrontato tempestivamente, può diventare la prima causa di morte nel 2050 (fonte: «Il coraggio di cambiare. La moderna gestione del paziente nel post-cataratta», Roma, 18 maggio 2022). E) PEDIATRIA a) Obesità: spesso i genitori non la riconoscono L'obesità rappresenta una sfida irrisolta di salute pubblica, è una malattia cronica che tende a recidivare e nel tempo può complicarsi con lo sviluppo di altre patologie ma se trattata seriamente si può curare. Lo studio internazionale ACTION TEENS, condotto in dieci Paesi di diversi continenti, Italia inclusa, ha coinvolto 13.000 bambini e adolescenti con obesità, caregiver e operatori sanitari concludendo che un adolescente su quattro non si rende conto di essere obeso e un genitore su tre non riconosce l'obesità del figlio. L'obesità pediatrica non va sottovalutata in quanto il rischio di morte prematura triplica nei bambini con obesità rispetto ai normopeso ma i genitori spesso sottovalutano la gravità della malattia, ritenendo che si risolverà con la crescita. L'Italia è tra i Paesi europei con i valori più elevati di sovrappeso e obesità in età scolare, con il 20,4% di bambini in sovrappeso, il 9,4% di bambini obesi, compresi i gravemente obesi che rappresentano il 2,4%. Nonostante gli adolescenti vogliano perdere peso, in un caso su tre non riescono a parlarne direttamente con i genitori e spesso ricorrono all'uso dei social. Dallo studio, infine, emerge la necessità di migliorare i percorsi di formazione di medici e operatori sanitari nella gestione e terapia dell'obesità come malattia cronica (fonte: Congresso Europeo sull'Obesità, ECO 2022, Maastricht, Olanda, 4 - 7 maggio 2022).


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Racconti e poesia

Loro sono il titolo, loro sono la poesia

di Antonella Iacoponi

31 marzo 2020

Portano nel buio un raggio di sole,
recano conforto ove la speranza veste in nero,
le loro mani sono bacchette che cercano di farsi magiche,
lo vorrebbero tanto con la scienza,
lo diventano sicuramente con l'amore,
quello inesauribile, incontenibile che hanno nel cuore,
la loro vera essenza,
una energia rinnovabile, pura, incontaminata.
Loro è la voce che attendono i pazienti,
già a casa, e poi in quei letti di ospedale,
in cui giacciono soli,
senza il conforto di un familiare, di un amico;
loro divengono i familiari, gli amici,
loro divengono tutto.
La loro voce sussurra, nelle molteplici lingue del mondo:
- Coraggio, sono qui per te! -,
è solo un bisbiglio, ma si rivela così potente!
è un messaggio che risuona come calda eco, nell'universo,
e che profuma di affetto, di dedizione, di cura verso gli altri;
il messaggio vola in alto,
su ali di sangue e fatica…
Dal cielo cade una lacrima.
Sopra le stelle si apre un sorriso.
Grazie a tutti i medici.


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L'agghiacciante destino del povero Cippi Cippi

di Annalisa Conte

Se nella vostra prossima vita vi succedesse di rinascere topi, vi supplico, non commettete mai l'errore di introdurvi abusivamente in casa nostra… è con il cuore colmo di tristezza che vi andrà³ a narrare la storia del povero, piccolo, innocente, ignaro, sfortunato, Cippi Cippi. Lui era un allegro topolino di campagna, che viveva Sereno e spensierato insieme a papà topo, mamma topo e ai suoi fratellini: Ciappi Ciappi, Ceppi Ceppi, Ciuppi Ciuppi, Cioppi Cioppi, e Franco, che papà e mamma topo decisero di chiamare così perché erano finite le vocali... Un brutto e nefasto giorno si abbatté un tremendo temporale sulla casa dei topini, veniva giù acqua che Dio la mandava, e per la famiglia dei topini non ci fu scampo, tutti morti, 'na strage, un maremoto sulla comunità topina. Solo uno fra tutti, lui, il coraggioso, temerario, impavido Cippi Cippi, si aggrappò alla vita con le unghie e con i denti... rintracciò un pezzetto di legno, che lo avrebbe potuto portare in salvo. Altri topini da lontano gli gridavano: «aiutooooo aiutooooo», ma lui andava avanti per la sua strada pensando: «ma quale aiuto? So topo mica scemo...!!!» E prendendo a colpi di coda tutti gli altri topini che tentavano di salire sulla sua zattera di fortuna, si metteva in salvo senza guardarsi indietro. Adesso, provate ad indovinare, con tanti luoghi a disposizione, dove ti sarebbe andato ad approdare il piccolo e meschino topo?... chiaramente nella nostra sala hobby!!! Cippi Cippi credeva di essersi messo al sicuro, ma non sapeva che proprio quello per lui sarebbe stato solo l'inizio della fine, e soprattutto non sapeva che avrebbe pagato a caro prezzo la sua scelta avventata. Proprio qualche giorno dopo, quando ormai il topino pensava di aver trovato finalmente la sua isola felice, il mio compagno, per motivi sconosciuti ai più, decise di scendere in sala hobby, per risalirne dopo qualche minuto con l'intenzione di mettermi a parte dell'infausta notizia: «è entrato un topo in sala hobby». Io reagii nel modo più consono, cioè seguendo letteralmente e maniacalmente, quello che prevede il protocollo quando a te donna, dicono che è entrato un topo in casa tua, e che il topo sia al piano di sotto, conta poco. Cominciai in ordine a... Punto primo...saltare da un mobile all'altro, senza mai toccare il pavimento: divano, sedia, tavolo, letto, lampadario ecc... Che neanche Cosimo, il protagonista del barone rampante di Italo Calvino, avrebbe saputo fare meglio. punto secondo... lanciare ragnatele dai polsi camminando lungo le pareti come spider-Man. Punto terzo... gridare con quanto fiato avevo in gola: «tagliatele la testa», come la regina di cuori di Alice nel paese delle meraviglie. E il quarto ed ultimo punto del protocollo prevede avvicinarsi al proprio compagno e dirgli candidamente: «lo voglio fuori di qui prima di subito.» ... E credo di essere stata molto convincente, perché a quel punto, come nel film Split avevo inglobato le personalità di cui sopra, e la mia voce risultò probabilmente in quattro toni... Dopo questa reazione più che appropriata, il mio compagno, decise liberamente e senza forzatura alcuna, di assecondarmi e di sbarazzarsi del topo, ma a quel punto inizià³ inesorabile il remake del film: Ti amerò fino ad ammazzarti!!! il mio compagno si procurà³ la colla e una noce, scese in sala hobby, posizionando colla e noce su un ritaglio di cartone, tornando poi di sopra, ad aspettare che l'infido topastro cadesse nella trappola. Dopo neanche 10 minuti il topolino si attaccà³... Il mio compagno scese in sala hobby a controllare, mentre io restavo in cima alle scale con la porta semi aperta: Lui: «si è attaccato, senti porello fa pure Cippi Cippi» Io: «Che schifo!!! e adesso? ...E comunque a casa mia i topi fanno squit squit» Lui: «adesso aspettiamo che muore» Io, che di fronte al fatto compiuto mi ero mossa a compassione: «ma che sei matto? Lo fai soffrire per tutto questo tempo? Ma non lo possiamo salvare?» Lui: «ma ormai no non possiamo salvarlo, poi mi hai rotto i coglioni perché avevi paura che venisse su, adesso lo vuoi salvare?» Io: «Sì, vabbè, ma che c'entra, mi fa schifo, mica volevo dargli una lenta agonia» Lui: «lo porto fuori e lo faccio mangiare da un gatto» Io: «No ti prego, ma che fine di merda: incollato e pure mangiato, ma ti supplico no...» Lui: «vabbè ho capito ci penso io» Ecco quando pronunciò quelle tre parole: «Ci penso io», compresi che sarebbe stata la fine... Cominciai a sentire dei colpi sordi... Io: «Ma che stai facendo?» Lui: «l'ho coperto e gli do dei colpi in testa così muore subito» Io: «Oh mio Dio noooooo» Ad un certo punto... silenzio!!! Io: «Ma che fa? è morto?» Lui: «Credo di sì...» Dopo un secondo il topo: «squiiiiiit». Mentre il povero topo chiedeva aiuto, Roberto tornò di sopra... «Senti, io non ho coraggio di ucciderlo!!! Fa ancora gni gni» Io: «Incollato, seviziato, tramortito, e neanche l'hai ucciso...E ripeto, i topi fanno squit squit!!! E adesso che facciamo?» Lui: «Adesso tu stai zitta, e preghi affinché Cippi Cippi smetta presto di soffrire...» Alle 16:30 di quel pomeriggio ne constatammo il decesso... Però, io mi domando: «Ma pure te Cippi Cippi… già nasci topo... Che diciamocelo non è proprio il massimo, ma proprio a casa nostra ti dovevi infilare???» Come tutte le favole anche questa dovrebbe avere una morale, ma purtroppo non ce l'ha… ho soltanto una considerazione da fare: ma voi capite che io sto con uno che a quarant'anni suonati, e soprattutto a fronte di siffatta tragedia, non ha ancora capito che cazzo di verso fanno i topi?


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Riflessioni e critiche

Ancora su POS inaccessibili

di Mario Lorenzini

Mi riallaccio al mio precedente articolo della scorsa uscita. Il responsabile primario di tale cambiamento involutivo discriminatorio (in fondo ci hanno abituato così negli ultimi due anni), pare sia la società NEXI. Probabilmente non è la sola. Ma voglio ribadire la storia perché non è cosa da poco, nella speranza che qualcuno magari connesso a tale società, possa leggere queste e le mie righe precedenti. Da anni ormai il touch ha sostituito gran parte delle interfacce tattili. Ma un conto è far tap su un'icona, un altro è simulare una tastiera. Perché quest'ultima, non ha una reale utilità ad essere rappresentata a schermo, se non quella di essere più «figa». Nonostante siano passati ormai oltre 30 anni dall'introduzione dai primi ausili informatici che hanno aperto la via della comunicazione telematica anche ai non vedenti, qualcuno sembra non «vedere» questa nota ovvietà. Ignoranza? Menefreghismo? Accordi economicamente vantaggiosi? Fatto sta che ci vendono un prodotto di nuova generazione, che perde parte delle peculiarità inclusive che abbiamo faticato a far digerire a molte aziende. Prima di tutto nel far comprendere loro che l'implementazione di certe tecnologie non comporta particolari costi aggiuntivi o difficoltà, solo l'attenzione per tutti. Ma mentre è più evidente togliere uno scalino e mettere una rampa per un disabile in carrozzina, i non vedenti sono spesso ignorati, anche involontariamente. I software, le interfacce web, ma anche se non soprattutto le app, sono sviluppate superficialmente con dei tool automatizzati ottimizzati per la veloce creazione della app, senza taggare, o comunque rendere intercettabile, alcuni elementi dell'interfaccia. E ogni volta, mi spiace dirlo, si deve ripartire da capo, ribadire alle aziende creatrici del software cose che dovrebbero già sapere, di cui tenere conto. Ci auguriamo tutti che, nonostante l'imperversare di pesanti interfacce grafiche, ci sia anche l'inclusione e la piena fruibilità anche da parte di chi ha problemi di vista o anziani.


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Tempo libero

Paola, musica e non solo

di Giuseppe Lurgio

Rieccoci ancora qui cari lettori e lettrici che seguite con curiosità e interesse le pagine di questa nostra «creatura» che oramai da anni cresce in numero di copie e in contenuti. Il merito non è tutto nostro, ma va anche a voi che ci leggete e a chi collabora con noi, regalandoci un po' del loro tempo come gli ospiti che ci onorano di sedere in questo salotto virtuale per parlarci un po' di loro. Oggi è la volta di Paola La Barile Giuseppe) Ciao Paola! Grazie innanzitutto per averci regalato un po' del tuo tempo accettando di fare quattro chiacchiere con noi in questo salottino un pò scarno nell'arredamento ma con una bellissima musica di sottofondo che compensa abbondantemente ciò che manca. Vivaldi, Puccini, Tchaikovsky e altri artisti del passato insomma fanno da colonna sonora! Dunque, carissima Paola prima di procedere con qualche domanda diciamo più «tecnica». vogliamo fare una breve presentazione ai nostri lettori? Insomma, ci parli sommariamente di te? Paola) Prima di rispondere alla tua domanda, vorrei ringraziare te e la redazione di Giovani del 2000 per avermi voluta come ospite. Sono laureata in lettere classiche presso l'Università degli Studi di Bari e lo scorso anno ho conseguito il titolo di laurea magistrale in musicologia presso l'Università degli Studi di Pavia con sede a Cremona. Entrambi i percorsi di studio rappresentano l'eterna dicotomia di passioni e interessi della mia vita: quello per il mondo classico e la Grecia e l'irrefrenabile amore per il melodramma italiano, per me linfa vitale, oasi in cui trovo rifugio e ultimo baluardo di valori totalizzanti in cui ho sempre creduto, quali l'amor patrio, l'amicizia, sacra e duratura e il grande amore romantico, sublimato dai nostri compositori. Dal settembre dello scorso anno sono entrata a far parte di Operalibera, una rivista digitale per cui, insieme ad un gruppo di colleghi, mi occupo di recensire spettacoli nei teatri lirici, nonché di realizzare interviste in video agli artisti. G.) Ahi ahi ahi! Sai che non mi era mai capitato di porre delle domande a una giornalista! Comunque, vorrei chiederti se la tua collaborazione con la rivista Operalibera è per te un punto di arrivo o magari il giornalismo non ti interessa più di tanto? P.) La mia collaborazione con Operalibera rappresenta senz'altro un punto di partenza, ma anche di arrivo, in quanto il giornalismo musicale m'interessa molto. Credo sia uno dei validi sbocchi professionali che un musicologo possa svolgere al meglio e al quale vorrei attribuire un ruolo importante, quale quello della divulgazione del patrimonio operistico. G.) Certo che sfogliando il tuo curriculum si fa prima a chiederti ciò che non hai fatto che quello che hai fatto, specie riguardo ai tuoi studi! Ce ne parli un po', spiegandoci anche il significato delle tue lauree? P.) Come accennavo nella prima risposta, i miei studi hanno avuto un importantissimo ruolo per me. Le mie non sono state scelte compiute sull'onda dell'entusiasmo, bensì sono state ponderate, rappresentando sfide con me stessa e le istituzioni. Dopo la laurea in lettere classiche ho scelto una seconda vita accademica iscrivendomi a musicologia. Avrei voluto veder crescere le mie competenze in campo musicale, imparare nuove cose e, soprattutto, desideravo un titolo che certificasse le mie competenze nel sapere operistico, per compiere un ulteriore passo: da appassionata di lirica a persona che potesse esprimersi con sempre maggior consapevolezza degli argomenti trattati. G.) Considerando che hai conseguito sempre il massimo dei voti e tenendo conto della tua disabilità visiva, posso immaginare quanto impegno e sacrificio ci sia dietro a tutto ciò. Ti va di parlarne? P.) Non posso affermare che la mia disabilità visiva non abbia assunto un ruolo importante nella mia formazione accademica e preparazione agli esami mentirei. Avrei voluto trasferirmi a Cremona ma, non facendo uso del bastone bianco, a fatica ho dovuto accettare di rimanere a Matera, mia città, inventando per me un modo congeniale di studiare, che oggi ahimè, si è largamente affermato tra i nostri studenti, vale a dire lo studio attraverso Skype. Con mie carissime amiche e colleghe che avevano già sostenuto gli esami, o che dovevano prepararli, ho affrontato lo studio online. I testi mi venivano letti, gli spartiti vocalizzati e, entrando nel dettaglio di uno degli esami più difficili, abbiamo affrontato lo studio dell'armonia musicale memorizzando e studiando i fenomeni armonici attraverso esercizi al pianoforte. Ogni lezione veniva da me registrata, per permettermi di ripetere. I docenti, cui va il mio più grande ringraziamento, hanno accettato la sfida di avere una studentessa non vedente che non conoscesse il braille, con esami scritti e orali. Come quello di armonia o analisi musicale, sono stati affrontati esclusivamente a voce. Non ho mai voluto optare per programmi differenziati, il professore di armonia musicale mi ha rigorosamente esaminata, chiedendomi di spiegare tutti i fenomeni armonici, non tralasciando alcun dettaglio del programma. Non mancavano i ricevimenti Skype con i docenti che la nostra università offre per gli studenti non frequentanti. Grazie al loro affetto e supporto, non ho mai avvertito la distanza geografica e, inoltre, mi venivano inviate le registrazioni delle lezioni. Permettimi a questo proposito di ringraziare il mio relatore di tesi, il prof. Fabrizio Della Seta, mia luce e guida nel mio percorso, il quale, in assenza del tutor universitario, si è personalmente occupato di registrarmi il suo corso di drammaturgia musicale tre, per poi mandarmi puntualmente ogni file. Credo che senza l'instancabile lavoro di sinergia tra tutti noi, il mio percorso sarebbe senz'altro stato più difficoltoso. G.) Una ragazza giovane e moderna, come mai si è appassionata così tanto alla musica classica che spesso, sbagliando sicuramente, è vista come musica antica e per persone avanti negli anni? P.) Di questo devo ringraziare il mio padrino, docente di lettere e persona di incommensurabile valore e spessore. A soli due anni e mezzo mi fece ascoltare il Quartetto del Rigoletto di Giuseppe Verdi, tratto dalle Parafrasi Verdiane per pianoforte del compositore ungherese Franz Liszt. Subito dopo mi spiegò cosa fosse un quartetto, un brano cantato da quattro voci che, nel caso di Rigoletto, sono soprano, tenore, mezzosoprano e baritono. Ero una bambina quando già frequentavo il teatro San Carlo di Napoli e affrontavo lo studio di ogni opera partendo dalla puntuale conoscenza del libretto, cui seguiva l'ascolto. La lirica è così divenuta parte di me, un irrinunciabile dono, con buona pace di chi potrebbe trovare strano tutto questo. Trovo molto positivo che una ragazza possa amare l'Opera e divulgarla, per provare a far appassionare tanti altri giovani che, non per colpa loro, non hanno mai avuto modo di apprezzarla. G.) Mi incuriosisce sapere se tu ascolti anche musica, per così dire, «moderna», e se hai un genere o un artista preferito. P.) Non ascolto musica moderna, se con questo termine si intende la musica commerciale, oggi trasmessa per radio o in TV. La mia adolescenza è stata tuttavia piacevolmente caratterizzata dai nostri immortali artisti, vessillo della canzone italiana nel mondo, quali Battisti o Mina. Ricordo con quanto piacere ascoltavo gli Articolo 31. Grazie a mio fratello ho inoltre imparato ad apprezzare Ligabue. Non posso infine dimenticare i miei tragitti in macchina verso la scuola con mia madre, ascoltando i mitici Beatles! Insomma, direi che ho sempre ascoltato buona musica, quando le canzoni veicolavano messaggi ben precisi attraverso il testo e indimenticabili melodie. G.) Da esperta musicale quale sei, mi piacerebbe un tuo parere sulla musica che oggi ci viene propinata dal web, dalla televisione e dai vari addetti ai lavori. A detta di molti, oggi la musica è passata in secondo piano privilegiando più l'aspetto commerciale che quello artistico. Non a caso su un luogo sacro della canzone italiana come il festival di San Remo assistiamo a esibizioni dove viene acclamato l'interprete perché magari ha adottato un look più trasgressivo rispetto a chi ha puntato sulla canzone. P.) Trovo assolutamente vero che la musica oggi sia al servizio di messaggi pubblicitari e, più in generale, commerciali. Moltissime canzoni sono in inglese e quelle poche che si sentono in italiano, proprio in occasione del festival di San Remo, sembrano spesso intellegibili. Mi è capitato infatti di incontrare difficoltà nel comprendere il senso logico di un testo di una canzone composta da un noto artista. La società ha bisogno di messaggi visivi, istantanei, rapidi, in grado di catturare l'attenzione del momento, ma le melodie destinate a rimanere impresse per lunghi anni nelle orecchie del pubblico odierno credo si contino sulle dita di una mano. Se nell'Ottocento i compositori svolgevano una funzione organica alla società, oggi la musica sembra essere stata depauperata del suo ruolo. Basta far caso a quanto si alzi il volume in TV o su YouTube in presenza di annunci di prodotti reclamizzati. Ogni estate ascoltiamo nuovi tormentoni, molti con melodie piacevoli e orecchiabili, in gran parte però destinati a tramontare. G.) Sempre leggendo il tuo curriculum, apprendo che sei stata speaker ospite e collaboratrice presso Motto Podcast, storie inclusive e cultura giapponese, a cura di Roberto Lachin, come esperta di teatro d'opera e melodramma (https://mottopodcast.org ). Ti andrebbe di parlarcene più approfonditamente? P.) Il Motto Podcast, che apprezzavo maggiormente nella prima edizione, è indubbiamente una trasmissione inclusiva e di sprone a parecchi non vedenti. Da amante del Giappone, ricorderò sempre con affetto la mia prima puntata, dal titolo La memoria e una geisha, in cui ho potuto condensare in pochi minuti informazioni riguardo alla mia persona e alla straordinaria Madama Butterfly di Giacomo Puccini, studiata nel mio primo corso di drammaturgia musicale a Cremona. La trasmissione di Roberto Lachin è stata un trampolino di lancio per le mie capacità espositive per mezzo di una radio. Ringrazio i soprani Rebeka Lokar, Francesca Pedaci e il maestro Enrico Stinchelli, i quali hanno voluto dar lustro al programma con la loro presenza. G.) In qualche caso abbiamo portato fortuna ai nostri ospiti che hanno risposto alla seguente domanda: Paola ha un sogno nel cassetto che vorrebbe che si avverasse al più presto? Magari ci riusciamo anche con te! P.) Il mio sogno è lavorare con l'Opera in varie forme e in veste di divulgatrice per testimoniare, una volta di più, che l'Opera è tutt'altro che morta o dimenticata. G.) C'è altro che dobbiamo sapere necessariamente su di te? Peso. altezza. numero di scarpe ecc. ecc.! Scherzo, naturalmente. In realtà mi piacerebbe. e piacerebbe sicuramente anche ai nostri lettori sapere qualcosa di te al di fuori della scuola e delle tue attività lavorative. Pratichi sport, ti piace cucinare, ami i social. la tua squadra del cuore, gli hobbies ecc.! P.) io vissi d'arte! Scherzi a parte, trovo i social fondamentali nella nostra vita. Nel mio caso essi sono stati imprescindibili per far rete tra giovani cantanti lirici, professori, persone che con me potessero condividere affinità e interessi comuni, quali quello per la corrispondenza non cartacea, ma con messaggi, sono sempre stata spinta dalla curiosità di conoscere gente nuova. Spesso si demonizza un social come Facebook. Vorrei spezzare in questa sede una lancia a suo favore. Che sia necessario utilizzarlo con molta attenzione e intelligenza, mettendo in atto una dura scrematura è importantissimo e fondamentale. Non tutti possono utilizzarlo al meglio, ma personalmente, ritengo di farne buon uso. Senza Facebook non avrei conosciuto il gruppo di musicologia di Cremona e non sarei entrata in contatto con miti della lirica che ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere personalmente. Non so ancora cucinare, avendo sempre avuto paura del fuoco, ma presto prenderà avvio qui a Matera un corso di autonomia domestica. Amo le lingue straniere, conosco l'inglese e il tedesco abbastanza bene, in particolare avevo cominciato a studiare il tedesco nel 2016 e grazie a Workaway ho potuto ospitare qui ragazze di madrelingua tedesca, con cui ho potuto esercitarmi e trascorrere il mio tempo in conversazioni, ma anche in viaggi. Per tornare al discorso social, Workaway è un sito molto bello che permette di ospitare persone dall'intero globo. In cambio di vitto e alloggio, i volontari offrono il proprio aiuto per svariate esigenze. Non seguo molto lo sport ma, seppur di riflesso, posso dire di essere juventina. Amo tanto passeggiare. G.) Da anni oramai chi partecipa a queste che io chiamo chiacchierate tra amici, lascia a chi legge una frase, un aforisma, o semplicemente un pensiero che ha fatto suo. Credo proprio che tu non possa venire meno a questa tradizione consolidata! P.) Non mi sottrarrò di certo a questa tradizione e l'augurio che faccio è quello di inseguire sempre i propri sogni, anche quando sembra impossibile. Sono dell'idea che con perseveranza e un pizzico di intraprendenza, si possano costruire e realizzare i propri obiettivi. Ognuno di noi ha il diritto di essere felice e ha il dovere di ignorare chiunque provi a recidere sogni e speranze, in particolar modo quelle dei giovani per cui ingiustamente la strada sembra essere spesso in salita. G.) Ed eccoci ahimè. giunti alla fine di questa piacevole conversazione! Ti ringrazio anche a nome della redazione per essere stata così disponibile. R) sono io che ringrazio te e la redazione del vostro giornale per avermi permesso di raccontarmi. Ancora un saluto a tutti!


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Per sorridere un po

di Giuseppe Lurgio

1) Un ingegnere si presenta sul posto di lavoro. è il suo primo giorno... Il principale gli mette una scopa in mano e gli dice: «Ecco, questa è una scopa, come prima cosa potresti dare una spazzata all'ufficio...». L'ingegnere replica: «Una scopa? Ma guardi che io sono un ingegnere!». E il principale: «Hai ragione, scusa, vieni di là che ti faccio vedere come funziona...». 2) La maestra sta facendo lezione di scienze. Mentre sta spiegando i mammiferi fa delle domande agli studenti: «Paolo, sapresti farmi un esempio di un mammifero senza denti?». «Sì... mia nonna!». 3) Ritornando a casa dal lavoro, una donna scopre con sorpresa che la sua casa è stata scassinata e saccheggiata. Telefona alla polizia e denuncia il fatto. Il poliziotto alla centrale lancia una segnalazione via radio a cui risponde una pattuglia cinofila. Quando l'agente col suo cane si avvicina alla casa della donna, questa si precipita fuori sul portico, rabbrividisce alla vista del poliziotto e si accascia sugli scalini. Con la testa fra le mani, inizia a lamentarsi «Torno a casa, trovo che mi hanno rubato tutto, chiamo la polizia e loro cosa fanno? Mi mandano un poliziotto cieco...». 4) Una vecchietta sull'autobus è in piedi di fronte a un giovanotto che mastica una gomma. La vecchietta lo osserva per alcuni minuti e poi si rivolge al ragazzo ad alta voce: «è inutile che insiste giovanotto... non capisco... sono sorda!». 5) Un francese si lamenta con un americano degli oneri fiscali. «A furia di tasse, siamo ridotti come la nostra bandiera: rossi dalla rabbia, bianchi dall'esaurimento e blu dalla paura». «Tale e quale a noi - dice l'americano - solo che noi vediamo le stelle». 6) Studio del professore universitario. è orario di ricevimento degli studenti. Bussano alla porta ed entra una stupenda bionda, alta, con tacchi alti, minigonna vertiginosa e maglietta aderente. «In che cosa posso esserle d'aiuto?» chiede il docente. La ragazza si siede accavallando le gambe e lasciando vedere bellissime gambe inguainate da calze e reggicalze neri e, rivolgendosi al professore con voce suadente, dice: «Ho bisogno di parlarle perché desidero superare l'esame a tutti i costi. Sono disposta a qualsiasi cosa». Il professore la guarda malizioso e le chiede: «Ma lei è proprio disposta a fare qualsiasi cosa?». «Sì, pur di essere promossa!». «Ma lei che cosa intende per qualsiasi cosa?». E la ragazza, avvicinandosi al viso del professore gli sussurra in un orecchio: «Qualsiasi cosa è… qualsiasi cosa!». Il professore allora si alza dalla sua cattedra, si avvicina alla ragazza passandole dietro le spalle e le sussurra anche lui nell'orecchio: «Allora anche studiare?». 7) Un tizio viene fermato dalla polizia stradale in auto con il cane alla guida. «Ma bene, fa guidare il cane!». «Ma veramente io ho solo chiesto un passaggio!». 8) La polizia arresta un piromane. L'ispettore lo guarda e dice all'agente: «Non è lui». «Perché?» chiede l'agente. «Non ha gli occhiali», risponde l'ispettore. «E allora?» ribatte l'agente. E l'ispettore: «Senza occhiali non mette bene a fuoco».


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Libri

SEO work book Search Engine Optimization succes in seven steps

di Mario Lorenzini

McDonald analizza la questione dell'indicizzazione dei siti web. Google la fa da padrone e si parla, in effetti, non tanto e non soltanto di interfaccia e usabilità per umani, ma anche di progettazione per il meccanismo attuato dal motore di ricerca. Dall'utilizzo di applicazioni per la statistica alla descrizione dei tag chiave, l'approccio del libro è incentrato in primis sull'analisi approfondita dei bisogni dell'utente, trasferiti nelle parole chiavi più comuni che portano al successo della ricerca, tendendo a posizionarsi tra i primi posti, nella prima pagina mostrata da Google. Un libro che va a colmare lacune forse nemmeno immaginate dai web developer. Indubbiamente un testo completo che si fonda sulla continua ripetizione di concetti esaminati da diverse angolazioni. Non solo utile agli ingegneri del software avanzati ma anche a chi non conosce i linguaggi di programmazione e di markup e vuol affidarsi a CMS come Wordpress. Troverete nei capitoli riferimenti online a video, esempi, guide, che completeranno il percorso di assimilazione dei fondamenti espressi da Jason. Alla fine, sarete in grado di avere gli stessi risultati (se non migliori) di quelli che avreste ottenuto rivolgendovi a una società specializzata, senza spendere le cifre, piuttosto elevate, da loro richieste.


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I nostri amici

Storia di Billy, cane veramente fedele

di Renata Calzone

Desidero raccontare la storia di Billy, che non era il mio cane e la cui storia completa ho saputo a posteriori. Circa sei anni fa, quindi in epoca pre pandemia da SARS-CoVid-19, all'ingresso del P. O. di C. apparve all'improvviso un cane di piccola taglia, che non si spostava dall'ingresso, non mangiando e non bevendo. Si vedeva che era un cagnetto tenuto bene, molto affettuoso che accettava volentieri le carezze dei visitatori. Ripetutamente tentò per motivi sconosciuti agli umani di entrare dentro l'Ospedale subito cacciato dagli «umani» talvolta in malo modo. Gradalmente divenne una caratteristica del Presidio, presente a tutte le ore in … attesa di qualcuno. A un certo punto il sig. Mario M., un volontario del P. S. amante di quelli che gli umani chiamano sprezzantemente animali, non sapendo che spesso avrebbero molto da imparare da loro, cominciò a portagli giornalmente acqua e cibo e a un certo punto a un certo orario della giornata si vedeva Billy salire sulla sua autovettura e andava nel giardino del sig. Mario fino alla mattina seguente. Contemporaneamente nel Reparto di Geriatria era ricoverato un anziano in pessime condizioni di salute che parlava e chiedeva sempre del suo amato Billy talvolta tra le lacrime e l'ironia di chi ascoltava in tutt'altre faccende affaccendato. In pratica Billy aveva seguito l'ambulanza del 118 che aveva portato suo «padre» in Ospedale e cercato all'inizio di entrare in Ospedale per andare a trovarlo. Inutile dire che a nessuno balenò in mente, magari con qualche sotterfugio, di introdurlo dentro, sicuramente per non incorrere nel reato, ancora previsto dalla talvolta ingiusta Legge italiana contemplato dall'art. 724 C.P. con sanzione di 309 € (bestemmia in luogo pubblico) alla faccia di chi bestemmia impunemente Dio, la Madonna, i Santi per strada, cosa particolarmente sgradevole se fatto da donne e ragazzi/e. Purtroppo debbo concludere tristemente dicendo che l'anziano morì con l'ultimo desiderio non realizzato di rivedere il suo Billy e dopo qualche mese che Billy non era più fuori dal P. O. il sig. Mario a richiesta spiegava che era morto per un tumore al testicolo inoperabile. Billy sarai sicuramente nel Paradiso dei cani, sei stato veramente un umano fedele! Perdona, se puoi, questi umani disumani!


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Sophie, un pezzo (troppo importante) della nostra vita

di Mario Lorenzini e Patrizia Carlotti

Mario Lorenzini Non c'è più. La nostra compagna quotidiana ci ha lasciato il 24 marzo scorso. Viveva al nostro fianco, in sincronia con le azioni di tutti i giorni. Se ne stava «a letto» fino al momento che ci stavamo noi. Solo dopo veniva intorno alle nostre gambe chiedendo «la colazione», il rifornimento di croccantini. Il rito della lettiera e poi il relax, sul terrazzo d'estate, sul divano d'inverno. La nostra gattina non era calorosa soltanto per la morbidezza del suo pelo ma anche per la sensibilità che dimostrava. A volte se ne stava in un'altra stanza per i fatti suoi. Però, se arrivava una brutta notizia, anche lei si avvicinava, condividendo paure e sofferenze, spesso unendosi al nostro pianto con miagolii lamentosi prolungati. Si sentiva parte, era parte, della famiglia. Giocherellona dispettosa da cucciola, ha letteralmente guerreggiato con i divani e le sedie impagliate. Le sue unghie, sottili ma affilatissime, lavoravano a dovere! Non appena Vedevamo (o sentivamo) Sophie grattare di buona lena, scattava la brontolata e lei pronta a darsela a gambe… Ma non appena si allentava la sorveglianza, lei tornava all'attacco, la sua cesta in vimini le serviva da allenamento. Ma il contatto era reciproco. Quando mi spostavo alla scrivania del pc, dopo alcuni istanti arrivava lei e si sdraiava vicino ai miei piedi. E quando Patrizia si chiudeva nella sua cabina insonorizzata per cantare, miagolava al portone, voleva entrare e ascoltare. Buona buona lì, sulla moquette del pavimento, accovacciata tranquillamente nonostante il volume elevato… la prima fan! Voglio ricordarla proprio così Patrizia Carlotti Dopo tanta insistenza da parte di mia figlia Ilaria, decidemmo di accogliere in casa un gattino. Non siamo mai stati propensi ad adottare animali, proprio perché sappiamo quanto sia importante e impegnativo. è un po' come avere un figlio, nel nostro caso un secondo figlio. Ma i bambini hanno un potere enorme nel convincere i genitori. Ponderammo la cosa a lungo e la decisione fu per il sì. Nel luglio del 2005 arrivò la piccola e dolcissima Sophie, una micetta non di razza, figlia della gatta Minnie di mio fratello. Sophie non aveva neppure due mesi quando la prendemmo! Ricordo ancora oggi, dopo 17 lunghi anni, l'emozione nell'avere in casa quell'esserino che non sapeva né salire né scendere le scale. I primi giorni la facevamo dormire nel garage, dentro una cesta in vimini con un cuscino, la mettevamo là dentro alla sera, per poi aprirle la porta al mattino. Questa cosa però durò ben pochi giorni, Sophie diventò presto padroncina assoluta di casa. Compagna di giochi della bambina, ci sembrava d'avere veramente un secondo figlio. Ilaria divenne pure gelosetta per le attenzioni rivolte alla nuova arrivata. Temevamo tanto per l'incolumità della gatta, che preferivamo tenerla in casa senza farla quasi mai uscire nella corte, avevamo troppa paura che potesse finire sotto una macchina. Da cucciola l'abituammo a viaggiare in auto; ricordo che restava buona buona quando la portavamo dai miei genitori per i pranzi domenicali e, in quel caso, la gattina si poteva riunire con la mamma e i fratellini. I micetti si riconoscevano, ed era una festa anche per loro ritrovarsi… Oltre a mamma Minnie, e i due cuccioli ancora da adottare, Sophie ritrovava pure Tobi, il cagnetto di casa, che tra l'altro andava d'accordo con i mici e si divertiva pure lui assieme alla famigliuola riunita. Inoltre, Tobi aveva assistito alla nascita dei gattini, e assieme a Minnie si era preso cura di loro prima dell'adozione. Pare incredibile, ma negli animali si può vedere un amore incondizionato, senza riserve, anche se non sono simili. Tobi e Minnie, cresciuti insieme erano sempre andati d'accordo. Quando venne il momento del parto, il lamentarsi della micia fece sì che il cane l'assistesse, attirando con l'abbaiare l'attenzione dei padroni, restando vicino a lei tutto il tempo del travaglio, attendendo anch'esso la nascita dei gattini; quando arrivarono, assieme alla mamma, li cominciò a leccare per lavarli. Il 24 marzo del 2022, Sophie è volata in cielo a causa di un linfoma. Il nostro dolore è ancora vivo, non avrei mai creduto di stare tanto male. Ho avuto tanti animali nella mia gioventù, ma non ho mai provato una sofferenza simile. Mi sono chiesta spesso perché provassi un affetto, un attaccamento intenso per lei, rispetto a tutti gli animali che avevo avuto da bambina, e mi sono risposta che, forse, una volta cresciuta avevo acquisito una maturità maggiore, ero più consapevole, sentivo la responsabilità di una famiglia, si pensa e si agisce diversamente quando si è ragazzini in casa con i genitori. Ricordo ancora quando una mia amica mi disse che un gatto o un cane crescono con le abitudini e i modi di fare che somigliano a coloro che li adottano. Quanto è vera quella cosa; sì, Sophie aveva tutte le nostre abitudini, aveva preso un pochino del suo carattere dai nostri modi di fare. Nei periodi più difficili è stata una compagna fedele, una compagnia inseparabile, consolatrice nel momento del pianto, con le sue fusa rilassanti e terapeutiche, inesauribili. Dicevo sempre: «Ora parte il motore». Non appena la toccavamo, cambiavano di intensità. Ciò dipendeva dal voler comunicare qualcosa; in modo diverso. Oppure usava i richiami con miagoli più o meno prolungati, che sapevamo riconoscere da quello più acuto e breve, a quello grave e lungo, o quello lamentoso che chiedeva attenzioni, dalla voglia di coccole, al comunicare un disagio, la noia, la voglia di giocare. Sophie ruffiana, sapeva come fare per ottenere la pappa, riconosceva la credenza dove stavano i croccantini e le scatolette e, quando ero nei paraggi, alzava le orecchie, immediatamente correva e a miagolare fino a che non cedevo al suo richiamo insistente. Con Ilaria si divertiva un sacco nel nascondersi, adorava rincorrerle i piedi, quelli di mia figlia particolarmente piccoli la incuriosivano notevolmente. Come due sorelle litigavano e facevano pace! Sophie era buffissima e dispettosa quando si sdraiava sui libri mentre Ila studiava, o le faceva cadere con le zampe i vari pennarelli e altri monili che stavano sulla scrivania. Adorava divertirsi con tutto ciò che era piccolo, palline, tappini, amava il metro da sartoria, lo acchiappava come una preda quando lo facevamo scivolare sul pavimento, si nascondeva volentieri nelle scatole vuote degli imballaggi, oppure s'infilava negli armadi in mezzo alla biancheria. D'inverno se ne stava tutta rannicchiata, coperta dal plaid in pile, e la notte balzava sui letti per dormire come i bimbi tra i genitori. Lei non amava il tiragraffi, le unghie se le faceva alle sedie, al divano e, purtroppo, non avevamo messo in conto i vari danni che fanno i gatti quando sono piccoli. Abbiamo cambiato, tra le altre cose, anche le tende e le zanzariere. Sulle ultime si lanciava per prendere le mosche, e subito dopo rimaneva impigliata. Dopo la sterilizzazione ingrassò molto, divenne una gattona di quasi nove kg. Era buffissima, con quella pancia che le strusciava per terra mentre camminava, e con quel musetto piccolo, che faceva notare subito che in realtà la sua natura era quella di essere una micia piuttosto esile, e che era ingrassata troppo. Di lei abbiamo nel cuore e non solo, tanti ricordi belli, momenti indimenticabili. Abbiamo fatto fare un ritratto dipinto su tela che la raffigura mentre dorme, come un gomitolo di lana, e si vede spuntare quel nasetto tanto buffo e particolare, rosa, con quel neo nero che la rendeva particolarmente spiritosa. Alla sua nascita, mio fratello la soprannominò «maialina» proprio perché tutta rosa a macchie nere; poi, crescendo, il manto divenne bianco e nero, ma il naso e sotto le zampette rimasero rosa con le macchioline scure. E quell'immagine di lei rimarrà per sempre nella mia mente.


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