Giovani del 2000

Giovani del 2000

Informazione per i giovani del III millennio

ANNO XXV numero I (88) marzo 2023

Direttore
Alessandra Delle Fave
Vice Direttore
Maurizio Martini
Capo Redattore
Mario Lorenzini
Redattori
Massimiliano Matteoni
Luigi Palmieri
Giuseppe Lurgio
Stefano Pellicanò
Sito web
Mario Lorenzini
sede
via Leonardo Fibonacci 5, 50131
Firenze (FI)
Telefono e fax 055 580523
E-Mail redazione@gio2000.it
Sito internet www.gio2000.it
Tipologia: periodico trimestrale
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4197 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.

Rubriche


In questo numero:

Editoriale
Le cooperative… insane di Mario Lorenzini
Cucina
La mela di Giuseppe Lurgio
Cultura
CURCUMA & CANNELLA per rimanere giovani di Anadela Serra Visconti
La giacenza media per il calcolo dell'ISEE di Angelo De Gianni
Filosofia
Acquirente compulsivo: tratti di personalita' di !Lista Mente.Gruppo Sublimen
Amare il proprio animale domestico più di qualsiasi altra cosa al mondo di !Lista Mente Gruppo Sublimen
Aspetti dell’Islam di Franco Giovi
RITO E SIMBOLO. LO STATO GESUITA IN PARAGUAY Berlino, 9 maggio 1916 di !Rudolf Steiner
Informatica
Smishing: Come difendersi di Mario Lorenzini
Medicina
Novità in Farmacopea: XXVI parte di Stefano Pellicanò
Novità in Sanità Pubblica: XVIII parte di Stefano Pellicanò
Novità in Medicina: XXVI parte di Stefano Pellicanò
Racconti e poesia
Memoria da ricordare di Patrizia Carlotti
Corsica nel cuore di Antonella Iacoponi
Se Gesù nasceva a Roma... di Annalisa Conte
Il finto morto di Giuseppe Furci
Città della luna, via delle Stelle N. 9 14/16/1700 di Maurizio Martini
Quella panchina di Vito Coviello
Riflessioni e critiche
TIM: continua lo stalking di Mario Lorenzini
Tempo libero
Noi giocavamo così di Giuseppe Lurgio
Finalmente Angela! di Giuseppe Lurgio
Per sorridere un pò di Giuseppe Lurgio
La comunicazione è importante di Annalisa Conte
Francesca Ceccherini, la sua vita dalle stalle alle stelle di Mario Lorenzini
Libri
Non voglio morire di Mario Lorenzini
Amici a quattro zampe
Come parlare coi gatti facendosi capire di Renata Calzone

Editoriale

Le cooperative… insane

di Mario Lorenzini

Da tempo si parla di mala sanità. Ma la Sanità non è solo compiuta da medici incapaci. Mancano le strutture, le apparecchiature, insomma, sempre meno soldi a questo ministero o meglio, alle sue diramazioni. Non ci stupiamo. In Italia tagliano fondi da anni in questo settore, così come nel campo dell’istruzione. Le scuole versano in condizioni fatiscenti, non sono certo alla pari con gli istituti di altre nazioni europee. I soldi non ci sono… ceeerto che ci sono, avrebbe detto il Greggio degli anni ‘80! Ma ci compriamo gli armamenti per fomentare una bella deflagrazione atomica. Il tutto con la scusa (l’hanno capito tutti ormai) di difendere un paese, nel nome della NATO (che della NATO non fa parte) che è in guerra, in realtà, da 8 anni passati. Ma se tutti sappiamo, se tutti non siamo ebeti come ci dipingono i luoghi comuni che ci raccontano, allora perché? Perché (pare) una buona fetta di italiani crede agli UFO che sarebbero stati abbattuti da un caccia supersonico statunitense? Il nocciolo della questione è che le risorse ci sono ma ci vorrebbero far credere di no. E se la cultura è in pericolo, anche per colpa degli insegnanti sottopagati, la Sanità Pubblica ha prestato il fianco alle critiche da molto molto tempo, toccando il fondo nel periodo pandemico. Personale sanitario inutilmente sospeso, medici oberati da turni inumani e, come risultato, pazienti non curati efficacemente, nei tempi e con gli approcci terapeutici giusti. Se non abbiamo le attrezzature diagnostiche e curative per deficit economici, non possiamo aspettare la manna dal cielo? No, da un influencer? E se non abbiamo dottori e infermieri in numero sufficiente che dobbiamo fare? Prenderli dall’estero, come è accaduto? O come sta accadendo da qualche parte, servirsi delle cooperative? Siamo alla follia. Non perché ci siano riferimenti alle tristemente note cooperative rosse; semplicemente, a ognuno il suo. La cooperativa è un fondamento autonomo, con capitale condiviso, senza grandi finanze a disposizione. La conseguenza è che, nella norma, le cooperative sono nate per offrire certi servizi, come la vigilanza e la pulizia di immobili. Reclutare dipendenti di qualità, come medici specializzati, è difficile da credere. Ma il vantaggio delle cooperative è lo stesso della spada sul nodo di Gordio: recidere ancor di più le spese. Eh sì, le cooperative hanno pacchetti di servizi concorrenziali… e dubbi professionisti della salute. E gli ospedali si riempiono di personale “very cheap”, ma con un sottilissimo velo di infarinatura medica. Tutto ciò, sempre sulla pelle dei cittadini comuni, quelli che non possono permettersi cliniche e professoroni privati. Abbiamo, da un lato, chi non ha problemi di budget e prenota istantaneamente visite specialistiche da nomi famosi. Dall’altro, chi deve aspettare mesi per una diagnosi che, con l’andare del tempo, potrebbe divenire infausta. Vogliamo davvero una sanità composta da medici che non conoscono i farmaci del nostro paese o hanno conseguito una scarsa specializzazione è quindi sono nelle cooperative a prezzi stracciati?


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Cucina

La mela

di Giuseppe Lurgio

Ed è giunto anche il momento di parlare di un frutto che è tra i più consumati e forse anche tra i più antichi che l'uomo conosce. Sto parlando della mela naturalmente. Compare in tanti manoscritti ed è la protagonista di tantissimi episodi del nostro passato e anche del presente. Secondo la leggenda Guglielmo Tell pose una mela sulla testa del figlio affinché la potesse colpire con una freccia. Altro aneddoto, una mela cadde in testa a Isaac Newton, ispirandogli la legge di gravitazione universale. Nel cartone animato di Walt Disney Biancaneve e i sette nani, ispirato all' omonima fiaba dei fratelli Grimm, Biancaneve cade in un sonno profondo mordendo una mela avvelenata; Nella mitologia greca il principe troiano Paride diede in premio ad Afrodite una mela d'oro ritenendo la dea dell'amore la più bella dell'Olimpo. Sempre nella mitologia greca l'undicesima fatica di Eracle consiste nel cogliere tre mele d'oro dal Giardino delle Esperidi. Non dimentichiamo inoltre che la mela è il frutto che fece cadere in tentazione Adamo ed Eva Ma anche oggi la mela la fà da padrona! La Apple Records ("mela" in inglese) è la casa discografica inglese fondata dai Beatles nel 1968. La mela morsa sul lato è il simbolo dell'azienda statunitense Apple Inc. (il cui nome significa, appunto, mela). La mela è il simbolo della città di New York, appunto soprannominata “Big Apple”, Grande mela. Un noto proverbio riguardante questo frutto afferma che "una mela al giorno toglie il medico di torno", in riferimento alle proprietà benefiche sulla salute dell'organismo possedute da tale frutto; La mela, dal latino malum è il falso frutto del melo "Malus domestica", infatti, il vero frutto è il torsolo. Il melo ha origine in Asia centrale (attuale Kazakistan) e l'evoluzione dei meli botanici risalirebbe al Neolitico La mela è il "frutto" più destagionalizzato (lo si trova tutto l'anno) e ciò richiede la presenza di impianti che provvedono alla conservazione e ne distribuiscano la disponibilità su di un ampio arco di tempo. La maturazione naturale varia da fine agosto a metà ottobre. La disponibilità alla conservazione naturale dei frutti è drasticamente diversa nelle differenti varietà; dati gli elevati contenuti in acidi organici, di norma la conservazione va da uno a quattro mesi. Nella conservazione industriale sono importanti le condizioni fisiche in cui questa avviene. Dopo il raccolto, i frutti sono conservati a temperature da 1,0 a 3,5 °C con umidità relativa del 59-68%. Per conservazioni prolungate si ricorre a conservazioni in celle con atmosfera controllata (più ricca di azoto). La produzione di mele nel 2018 in Italia si è attestata intorno a 2,4 milioni di tonnellate che non è poco considerando che gli STATI UNITI nello stesso anno ne hanno prodotto circa 4,7 milioni di tonnellate. Nel mondo esistono circa 7000 varietà di mele di diversa origine differenti per colore, consistenza, sapore e contenuti nutrizionali. Alcune di queste varietà sono tradizionali, altre sono note per la loro denominazione commerciale. Ecco alcuni esempi: Annurca: frutto di piccole dimensioni rispetto alle altre mele, di forma tondeggiante con epidermide rossa striata. La polpa è bianco-giallastra, compatta, croccante, succosa, dolce, gradevolmente acidula; Ambrosia; Blanche Nège; Braeburn: frutto con buccia colore rosso scuro o scarlatto, polpa compatta e croccante, sapore dolce-acidulo; Costa's Trade; Courtland; Cox; Elstar: frutto di colore rosso e giallo, saporita, succosa; Fuji: frutto dalla forma tondeggiante, buccia colore rosso-rosato, polpa croccante e succosa, sapore dolce, ricca di fruttosio; Golden Delicious: frutto dalla forma tondeggiante, buccia colore giallo, polpa croccante e compatta, sapore dolce leggermente acidulo, varietà di origine americana; Granny Smith: frutto con una buccia dal colore verde intenso, polpa croccante, particolarmente ricca di magnesio; Imperatore; Jonathan; Jonagold: mela dal sapore succoso, agrodolce, molto aromatico, incrocio fra Golden Delicius e Jonathan; Pink lady: questa varietà è nata dall' ibridazione di due varietà già note quali la "Lady Williams" e la "Golden Delicious". La sua buccia ha delle sfumature di colore rosa; Red Delicious: buccia di colore rosso; Renetta: mela dalla forma irregolare, buccia rossa e verde; Renetta Grigia: prodotto tipico della zona di Barge, ha forma schiacciata, buccia ruvida e rugginosa, polpa grossolana dal colore bianco-crema, sapore dolce-acidulo; Rome Beauty; Rosa dei Monti Sibillini; Royal Gala: frutto con una buccia rosso intenso con venature giallo chiaro, polpa soda e croccante, sapore dolce leggermente aspro; Seuka: mela autoctona della provincia di Udine e molto diffusa nelle Valli del Natisone; Stark; Stark Delicious: mela dalla buccia rossa, polpa fine e croccante, sapore aromatico, particolarmente ricca di carotene e retinolo; Stayman Winesap: frutto con buccia ruvida di colore giallo-verde punteggiata di rosso, polpa soda e croccante, sapore agrodolce. Noi ci fermiamo qui ma ci sarebbero tantissime altre varietà da menzionare. Ora vedremo i benefici per la salute che la mela notoriamente apporta al nostro organismo. Le mele sono veramente frutti ricchi di benefici. In particolare, sono utili nelle diete dimagranti, abbassano il colesterolo, prevengono le malattie cardiache, sono di aiuto nel tenere sotto controllo la glicemia e svolgono azione prebiotica, favorendo la salute della flora batterica intestinale. Tenendo conto che una porzione di frutta equivale a circa 150 grammi o, in modo più pratico, ad un frutto di medie dimensioni. Ricordiamo, tuttavia, che le linee guida per la sana alimentazione consigliano di consumare almeno 2 porzioni di frutta al giorno. In questo contesto, quindi, si consiglia di consumare anche 2 o più mele al giorno o consumarle insieme ad altra frutta di stagione Le mele sono molto versatili in cucina e possono essere consumate crude, cotte, essiccate, sotto forma di succhi al 100%, ma è bene ricordare che la buccia non dovrebbe mai essere scartata, in quanto rappresenta un vero concentrato di molecole ad azione benefica per il nostro benessere come, ad esempio, la quercitina e le antocianine. Provate un buonissimo succo preparato con una mela (della varietà granny smith), 2 carote medie, un pezzetto di zenzero fresco e il succo di mezzo limone. Inoltre, la mela può essere utilizzata per preparare in casa maschere di bellezza antietá e impacchi nutrienti per capelli secchi. Proseguendo il nostro viaggio alla scoperta della mela ci soffermeremo sul SIDRO che è un altro prodotto che si ricava proprio dalla sua fermentazione. Il sidro, infatti, è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione alcolica dei frutti delle mele e talvolta anche delle pere. La sua origine in Francia e in Normandia risale al Medioevo, ma la sua invenzione è antecedente. Questa bevanda è molto diffusa nel Regno Unito, maggior consumatore e produttore al mondo. La gradazione alcolica varia da 2 a 7%; il sapore acidulo è conferito dalla presenza di acido malico. Il sidro era un tempo ampiamente prodotto anche in Italia, e precisamente nelle regioni melicole del nord. Purtroppo, ci fu un marcato declino durante il dominio fascista, a causa dell'introduzione di una legge che vietava la produzione industriale di bevande alcoliche derivate da frutti di grado inferiore al 7% vol., che aveva lo scopo di proteggere i produttori di vino. Dopo quel periodo non ci fu mai una ripresa della produzione del sidro in chiave industriale ma si limitò a qualche piccola produzione piu che altro a carattere familiare. Si può provare a fare in casa un buon sidro seguendo il classico metodo basato sulla fermentazione naturale partendo dalla spremitura di mele o pere.Si parte mettendo in una piccola damigiana da 5 litri circa 4 litri di succo di mela non zuccherato, succo di limone per correggere l'acidità, lievito di birra (in bustina. La fermentazione deve durare circa due settimane, a una temperatura attorno ai 20 °C. Ove la temperatura fosse più alta, come capita normalmente nell' Europa meridionale al termine del periodo di maturazione delle mele o delle pere, il periodo di fermentazione dovrà essere un po' più breve. In alternativa alle mele si possono usare le pere: la bevanda così ottenuta nei paesi anglosassoni prende il nome di Perry. È anche possibile semplificare il processo partendo dal succo di mela preconfezionato che si trova in commercio. Non dimentichiamo che esiste anche l'aceto di mele. L'aceto di mele non è solo un condimento. L'aceto di mele è molto utile in cucina e può essere utilizzato in diversi modi per condire e insaporire le pietanze, soprattutto i secondi piatti e i contorni. Non tutti sanno però che l'aceto di mele è utile anche per la salute: è un alleato della linea, aiuta a saziare e a ridurre il consumo di sale, contiene antiossidanti ed è anche utile per la cura della pelle e dei capelli. Nello specifico contiene: magnesio, potassio, calcio, fosforo, vitamina A, vitamina C, vitamina E, vitamine B1 B2 B6, acido acetico, beta-carotene e acidi della frutta. In particolare, il suo utilizzo aiuta a eliminare le tossine e a pulire il fegato e l'intestino. Favorisce infatti la digestione e impedisce le fermentazioni, evitando così il gonfiore addominale grazie agli enzimi digestivi di cui è ricco. È molto utile in caso di bruciore di stomaco e digestione lenta. Inoltre, all'azione disintossicante si unisce poi quella diuretica, con il risultato di evitare accumuli di grassi e liquidi che appesantiscono il corpo. L'aceto di mele è anche ipocalorico e stimola il metabolismo, diventando così un prezioso alleato della dieta e della salute. È considerato un aiuto per dimagrire non solo perché contiene poche calorie e favorisce la depurazione, ma anche perché rappresenta una valida alternativa al sale e può essere per questo usato per condire le verdure, crude e cotte, senza dovere utilizzare neanche un pizzico del sale, tanto nocivo per la ritenzione idrica e la cellulite. E ancora, l'aceto di mele ha un elevato potere saziante, grazie all'acido acetico, e aiuta a digerire meglio un pasto particolarmente pesante. Per ottenere i risultati desiderati e massimizzare gli effetti benefici, oltre a utilizzarlo all'interno di ricette nella propria cucina, il modo migliore è consumarlo direttamente ogni mattina diluendone un cucchiaio (20 ml) in un bicchiere d'acqua (200 ml), preferibilmente a digiuno. Ricordiamo anche la mela Cotogna. A seconda della forma, perfettamente tonda o leggermente allungata, il frutto viene chiamato mela cotogna o pera cotogna, anche se il gusto è identico, in assonanza con le forme dei frutti da noi meglio conosciuti. All'interno della mela cotogna sono presenti molti semi neri disposti al centro non commestibili e la sua polpa è bianca, dal gusto acidulo, astringente. La mela cotogna è un frutto tipicamente autunnale, che matura tra settembre e ottobre e che non si presta molto ad essere mangiato fresco, date l'astringenza e la durezza eccessive della sua polpa, quindi solo una parte del raccolto italiano va a finire sui mercati principalmente affinché sia consumato cotto: la marmellata di mele cotogne è uno dei piatti più diffusi a base di mela cotogna, nel parmense, invece, si produce un liquore a base di questo frutto, lo "sburlon", a Cremona è usato per ottenere la tipica mostarda. Ma la maggior parte delle mele cotogne viene impiegata dalle industrie per produrre la pectina, un addensante di cui la mela cotogna è molto ricca. Bene e ora e giunto il momento di inserire alcune facili ricette a base di mela. 1) Tartine di mele con formaggio e speck Ingredienti: 2 mele Delizia 150 grammi di formaggio spalmabile, tipo Philadelphia light o caprino light o stracchino light mezzo scalogno 5-6 steli di erba cipollina 1 limone 1 cucchiaino di miele fluido 100 grammi di speck sgrassato a fettine sale e pepe. Preparazione Prepara le mele. Lava le mele, asciugale e privale del torsolo, aiutandoti con il levatorsoli. Tagliale a fette di circa 1/2 cm di spessore, nel senso della larghezza, e irrorale con succo di limone, in modo che non anneriscano. A piacere, puoi sagomare ciascuna fettina con un tagliapasta a forma di mela. Fai la crema. Disponi il formaggio scelto in una ciotola. Aggiungi l'erba cipollina tagliuzzata con le forbici e lo scalogno spellato e tritato molto finemente, un pizzico di sale e una macinata di pepe. Monta con la forchetta, in modo da ottenere una crema ben omogenea. Componi le tartine. Spalma un velo di crema di formaggio su metà delle fettine di mela. Fai colare su ciascuna fettina qualche goccia di miele e copri con le fettine rimaste. Distribuisci a cucchiaiate la crema di formaggio rimasta al centro delle tartine di mela. Taglia le fettine di speck a striscioline sottili, nel senso della larghezza, con un coltello o con le forbici. Disponi lo speck sulla crema di formaggio e servi come antipastino o snack. 2) Salsa di mele alle spezie Ingredienti per mezzo litro di salsa grammi 750 di mele Granny Smith una cipolla grammi 50 di zucchero un cucchiaino di zenzero mezzo cucchiaino di cannella mezzo cucchiaino di chiodi di garofano e senape ridotti in polvere un decilitro di aceto di mele mezzo cucchiaino di sale e pepe bianco macinato al momento. Preparazione Pulite la cipolla, tagliatela a dadini e tritate lo zenzero. Sbucciate e tagliate a spicchi le mele, mettetele in un pentolino con acqua a filo e portatele ad ebollizione su fiamma media. Fate cuocere per cinquanta minuti circa. Ritirate dal fuoco, passatele al passaverdure e raccogliete la purea nuovamente nel pentolino. Aggiungete alla purea di mele tutti gli altri ingredienti, riportate su fuoco medio e, mescolando, fate cuocere finché si addensa. Ritirate dal fuoco e lasciate raffreddare. Tenete la salsa in frigorifero per 24 ore prima di servirla. Questa salsa è molto adatta ad arrosti di maiale e salsicce. 3) Trenette alle mele Ingredienti per 4 persone grammi 500 di pasta tipo trenette, ma volendo si possono usare anche altri formati una mela grammi 30 di burro grammi 60 di grana padano grattugiato un bicchiere di latte intero un bicchierino di brandy una cipolla farina bianca sale. Preparazione In un tegame con il burro, fate rosolare la cipolla tritata; quando questa sarà appassita, aggiungetevi la mela sbucciata e tagliata a dadini. Spruzzate con il brandy, spolverizzate di farina e mescolate, lasciando cuocere per qualche minuto. Quindi, riducete il tutto in purè, unitevi il latte e fate cuocere per 5 minuti, mescolando ogni tanto. Poi, aggiungetevi il grana e, sempre mescolando, fate addensare a fiamma molto dolce. In una pentola con abbondante acqua bollente e salata quanto basta, fate lessare la pasta: scolatela al dente e versatela in una zuppiera tenuta in caldo. Conditela con la salsa preparata, rimescolate con cura e servite. 4) Spezzatino alle mele Dosi per 4 persone 600 grammi di spezzatino di vitello 100 grammi di burro un bicchiere di latte una mela renetta un dado da brodo farina q.b. Preparazione In un tegamino soffriggete piano piano, con metà dose di burro, la mela sbucciata e tagliata a pezzetti. Nel frattempo, in una padella rosolate con il rimanente burro i pezzetti di carne infarinati, aggiungete quindi il soffritto di mela, passato al setaccio o al passaverdura a fori piccoli, il latte e il dado. Coprite e cuocete a fiamma bassa rimestando finché il latte non sarà evaporato. Se necessario, aggiungetene dell'altro finché la carne e cotta. 5) Salsicce con le mele Dosi per 4 persone: 12 salsicce sottili 1 kilogrammo di mele golden 1 bicchiere di vino bianco secco sale. Preparazione Lavate le salsicce. Mettetele, arrotolate, sul fondo di un tegame; bucherellatele e copritele d'acqua. Ponete il recipiente sul fuoco (a fiamma moderata) e lasciate cuocere piano, finché l'acqua non sia assorbita. Levatele e trasferitele nel piatto di portata, da tenere in caldo. Sbucciate le mele; tagliatele a quarti e liberatele dei semi e del torsolo. Mettetele nel tegame di cottura delle salsicce e bagnatele con il vino bianco secco. Coprite e fate cuocere. Se necessario, aggiustatele di sale. A cottura ultimata, versate le mele sulle salsicce ancora calde e servite subito in tavola. 6) Pollo al marsala con mele e mandorle Ingredienti per 4 persone 4 petti di pollo 2 mele annurche 60 grammi di mandorle già sgusciate e tritate finemente 1 noce di burro Vino marsala Sale Farina Preparazione Infarinare il pollo e dorarlo con il burro. Bagnare con il marsala e lasciare evaporare. Unire un po' d'acqua e le mele a pezzi. Coprire e portare a cottura aggiungendo eventualmente acqua. Frullare, se necessario, la salsetta e dividerla nei piatti nei quali avete gia messo i pezzi di petto di pollo. Spolverizzate con le mandorle in polvere e servite. 7) Pollo al curry con mele Ingredienti per 4 persone. 1,5 kg di Pollo cosce e sovracosce 500 grammi di Mele Fuji 1 spicchio di Aglio 1 Cipolla ramata 200 grammi di Panna fresca liquida 150 grammi di Yogurt greco 6 grammi di Curry 2 grammi di Peperoncino in polvere facoltativo. 30 grammi di Zenzero fresco 150 grammi di Acqua Olio extravergine d'oliva q.b. Sale fino q.b. Pepe nero q.b. Prezzemolo q.b. Preparazione Per realizzare il pollo al curry con mele per prima cosa mondate la cipolla e affettatela, sbucciate anche lo zenzero fresco e tritatelo. Lavate, quindi tagliate la mela a pezzi irregolari di circa 2 cm mantenendo la buccia. Versate un filo d'olio in casseruola, aggiungete la cipolla, uno spicchio di aglio e lo zenzero e fate soffriggere a fuoco dolce. Quando la cipolla risulterà appassita abbastanza alzate la fiamma e fate rosolare i pezzi di pollo. Girate il pollo così da farlo rosolare bene su tutti i lati e poi eliminate l'aglio. Aggiungete dunque i pezzi di mela e mescolate il tutto. Proseguite la cottura e intanto in una ciotola unite lo yogurt, il peperoncino in polvere, il curry e la panna fresca. Mescolate per amalgamare la salsa. Una volta che il pollo risulterà leggermente dorato versate la salsa alle spezie, salate, aggiungete l'acqua e cuocete con il coperchio per almeno 20 minuti a fiamma media (smuovendo la casseruola di tanto in tanto per non far attaccare il pollo sul fondo). Trascorsi i venti minuti togliete il coperchio e proseguite con la cottura per altri 10/12 minuti. Trascorso questo tempo aggiungete il prezzemolo tritato e il pollo al curry con mele sarà pronto, servitelo ben caldo! 8) Pasta con crema di verdure alle mele Ingredienti per quattro persone: 350 gr. di pasta un peperone giallo grammi 200 di passato di pomodoro due cipolle due mele renette vino bianco secco panna da cucina olio burro grammi 100 di prosciutto crudo tagliato a fettine sale e pepe. Preparazione. Mettete nel frullatore il peperone, le mele e le cipolle; quindi frullate fino ad ottenere un composto omogeneo. Fate scaldare in un tegame trenta grammi di burro con tre cucchiai di olio, aggiungete la crema preparata in precedenza e bagnate con due cucchiai di vino. Aggiustate di sale, aromatizzate con una macinata di pepe e mescolate. Unite il passato di pomodoro e fate cuocere per dieci minuti a fiamma piuttosto vivace, mescolando di tanto in tanto. Nel frattempo, mettete sul fuoco una pentola con abbondante acqua; salatela quanto basta appena bolle e gettatevi la pasta. Scolatela ancora molto al dente e trasferitela nella pentola con il sugo. Aggiungete quattro cucchiai di panna ed il prosciutto ridotto a listarelle. Fate saltare per due minuti circa su fiamma vivace e servite subito. 9) Riso freddo alla mela Ingredienti per quattro persone: grammi 300 di riso parboiled grammi 150 di emmenthal una mela un cuore di sedano due cipollotti cinque cucchiai di olio extravergine di oliva limone erba cipollina un ciuffetto di prezzemolo sale e pepe. Preparazione Portate sul fuoco una pentola con abbondante acqua salata quanto basta e, appena bolle, gettatevi il riso e fatelo lessare. Scolatelo e passatelo sotto il getto dell'acqua fredda. Disponetelo in una terrina e sgranatelo con l'aiuto di una forchetta. Aggiungete al riso l'emmenthal tagliato a dadini, i cipollotti, la mela ed il cuore di sedano affettati molto finemente. Irrorate con il succo di limone e l'olio. Aggiustate di sale, aromatizzate con una macinata di pepe e rimescolate con cura il tutto. Decorate con l'erba cipollina ed il prezzemolo tritati, date ancora una buona mescolata e servite subito. 10) Risotto con mele e noci Ingredienti per 4 persone: 320 gr. di riso 100 gr. di formaggio tipo fontina 70 gr. di gherigli di noci 2 mele 2 scalogni 3 cucchiai di burro mezzo bicchiere di vino bianco un dado vegetale 2 rametti di prezzemolo sale pepe Preparazione portare a bollore in una pentola un litro d'acqua e sciogliervi il dado. Togliere la crosta al formaggio e tagliarlo a dadini. Tritare grossolanamente le noci. Sciacquare, strizzare e tritare il prezzemolo e, a parte, gli scalogni. Lavare, sbucciare e tagliare a tocchetti le mele. In una casseruola insaporire il burro con gli scalogni, tostarvi il riso per 3 minuti. Bagnare con il vino e lasciar evaporare per 2 minuti. Coprire con una parte del brodo e cuocere per 5 minuti. Unire le mele e proseguire la cottura per altri 8 minuti circa, aggiungendo altro brodo quando il risotto si è asciugato. Versare le noci e il formaggio. Spegnere il fuoco, amalgamare, coprire e lasciar riposare il risotto per 3 minuti. Completare con il prezzemolo tritato, mescolare e servire subito. 11) Strudel di mele Ingredienti per 6 persone (2 strudel): Ingredienti per la pasta: Acqua tiepida: 100 ml Farina: 250 grammi Olio: 2 cucchiai Sale: 1 pizzico Uova (grandi): 1 Ingredienti per il ripieno: 100 gr. di burro 100 gr. di burro liquefatto Cannella in polvere: 2 cucchiaini Limoni: 1 (scorza grattugiata) 1,5 kg di mele Golden 150 gr. pangrattato 50 gr di pinoli 4 cucchiai di Rum 150 gr di uvetta sultanina 150 gr di zucchero Ingredienti per la ricopertura: Zucchero a velo: q.b. Preparazione Versate la farina a fontana su di una spianatoia (o in una ciotola) e unite l'uovo, il sale e l'olio. Impastate energicamente aggiungendo lentamente l'acqua, quanto basta per rendere la pasta consistente, liscia ed elastica. Quando avrete finito, formate una palla, ungetela con dell'olio, copritela con la pellicola trasparente e lasciatela riposare per mezz'ora al fresco. Intanto mettete a bagno l'uvetta nel rum, o se preferite, in acqua tiepida, e tostate il pangrattato nel burro. Sbucciate quindi le mele, togliendo il torsolo, e tagliandole prima in quattro spicchi, poi a fettine sottili. In una ciotola capiente le mescolerete con l'uvetta strizzata, la cannella in polvere, lo zucchero, i pinoli e la buccia grattugiata del limone. Quando gli ingredienti saranno mischiati, lasciate riposare. Accendete il forno a 200°. Dividete la pasta in due parti uguali e con il mattarello stendetela per il lungo (come un rettangolo) su di un canovaccio infarinato. Dovete cercare di ottenere una sfoglia sottile come un foglio di carta. Una volta che l'avrete tirata al massimo utilizzate le mani per allargarla fino a renderla quasi trasparente. Ungete una sfoglia con metà del burro liquefatto, lasciando tutto intorno un bordo di 2-3 cm, e cospargetela con metà del pangrattato tostato precedentemente nel burro, sul quale adagerete metà del composto di mele. Arrotolate lo strudel dalla parte più lunga, aiutandovi con il canovaccio per non rompere la pasta. Sigillatelo anche sui lati, affinché il contenuto non esca durante la cottura. Ponete il rotolo in una teglia imburrata (o sulla carta da forno) con la chiusura rivolta verso il basso e, prima di infornarlo a 200° per circa 40 minuti, irroratelo con un po' di burro fuso. A cottura ultimata, cospargetelo di zucchero al velo e servitelo ancora tiepido, tagliato a fette. · consiglio Lo strudel si può preparare anche con la pasta sfoglia, ma la versione tradizionale della ricetta prevede la pasta apposita che ho indicato in precedenza. Se volete arricchire la presentazione del vostro dolce, accompagnatelo, sempre tiepido o caldo, con della panna semimontata spolverizzata di cannella. 12) Sfogliatine di mele Ingredienti per 8 10 persone: 3 mele 1 limone 60 gr di zucchero 50 gr di uva sultanina 60 grammi di savoiardi 1 confezione di pasta frolla surgelata 2 bicchieri d'olio d'arachide 1 busta di zucchero vanigliato al velo sale e cannella. preparazione Ponete la pasta a scongelare sul piano di lavoro e, frattanto, sbucciate le mele e grattugiatele a scaglie. Raccoglietele in una fondina e spruzzatele di succo di limone; poi amalgamatevi lo zucchero, un pizzico di cannella, l'uvetta e i savoiardi (o altri biscotti) pestati. Spianate la pasta ormai scongelata, ricavandovi un paio di sfoglie sottili. Poggiate su di una sfoglia tante cucchiaiate distanziate del miscuglio di mele; poi poggiate su questa la seconda sfoglia di pasta e ritagliate dei ravioli rotondi, con un tagliapasta o col bordo d'un bicchiere. Poggiate le pasterelle crude sulla piastra unta del forno e cuocetele a 180°, fino a quando non saranno dorate. Servite le pasterelle calde, cosparse di zucchero vanigliato a velo. 13) Mele al forno Ingredienti: Mele, una a persona se sono grandi, oppure due piccole biscotti secchi sbriciolati mandorle tritate finemente farina di cocco marmellata di gusto a piacere zucchero gelato alla vaniglia o altro gusto a piacere panna montata miele cacao in polvere amaro o dolce N.B. Le dosi non sono riportate in quanto variano secondo il numero di mele da preparare. Preparazione: Lavare le mele e levare il torsolo con l'apposito attrezzo o alla peggio con un coltellino affilato. Unire i biscotti in una terrina insieme alle mandorle tritate un po' di zucchero, un po' di farina dicocco e unire infine la marmellata. Inserire il composto nelle mele, adagiate su un foglio di carta da forno, che avrete prima inseritosopra una placca da forno. Cospargere la superficie di zucchero e mettere in forno per una ventina di minuti. Trasferire le mele nei singoli piatti e lasciare intiepidire. Cospargere le mele con del cacao dolce o amaro.oppure si può guarnire le mele con un cucchiaino di miele di acacia o di altro gusto di vostro piacere.Se le mele saranno ben fredde si potranno anche guarnire con panna montata o gelato, scelta adatta nei mesi estivi. 14) Banane e mele caramellate Ingredienti per 8 persone: 250 gr di zucchero un cucchiaino di zenzero in polvere un cucchiaio di succo di limone 4 banane 4 mele biologiche (così si possono usare con la buccia). Preparazione Sbucciate le banane e tagliatele a tronchetti, lavate le mele, asciugatele bene e tagliatele a quarti. Mettete lo zucchero in un pentolino con lo zenzero e il succo di limone, mescolate e lasciate caramellare a fiamma dolcissima. Appena lo zucchero sarà completamente sciolto e avrà preso un colore dorato scuro, spegnete la fiamma e, aiutandovi con un cucchiaio, immergete i pezzi di frutta nel caramello, girandoli in modo da ricoprirli interamente; disponeteli man mano su un foglio di carta da forno ad asciugare. Serviteli caldi o appena tiepidi. 15) Torta di mele alle spezie Ingredienti per 8 persone: 240 gr di farina 1 cucchiaino di cannella 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano in polvere 1/2 cucchiaino di sale 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio 1/2 cucchiaino di lievito in polvere 150gr di noci tritate 130 gr di burro 250 gr di zucchero 1 tazza di purè di mele (fatta cuocendo le mele sbucciate renette o Smith con un po' di acqua e poi schiacciandole) 1 uovo grande 1/2 bustina di vanillina per la copertura: 240 gr di zucchero di canna 180 ml di panna 60 gr di burro 1 cucchiaino di Amaretto. Preparazione Setacciate insieme farina, cannella, chiodi di garofano, bicarbonato, lievito in polvere, sale e vanillina, conservando un po' di farina per mischiarla con le noci. Lavorate il burro con lo zucchero per formare un composto soffice e leggero, unite l'uovo e sbattete per amalgamare il tutto. Aggiungete il purè di mele e unite gradualmente il composto di farina mischiando solo il necessario per amalgamare. Per ultimo aggiungete le noci ricoperte di farina.. Versate l'impasto in una tortiera con il buco in mezzo che contenga circa 2 litri e fate cuocere nel forno riscaldato a 180° per 40 o 45 minuti. Fate la prova dello stecchino, quando è inserito nel mezzo della torta deve uscire perfettamente asciutto. Lasciate riposare nella tortiera per 5 minuti, poi sformate su una gratella e lasciate raffreddare completamente mentre preparate la copertura. In un tegame mettete zucchero marrone, panna e burro e portate ad ebollizione, girando ogni tanto. Fate bollire per un paio di minuti, girando costantemente, togliete dal fuoco e unite l'Amaretto. Sbattete, anche con la frusta elettrica, fino a quando non sarà della giusta consistenza per poter spalmare. Ricoprite il sopra e i lati della torta, lavorando velocemente perché la copertura si indurisce quando si raffredda. 16) Torta allo yogurt e mele senza uova Ingredienti per 8 persone: 400 gr di mele Fuji 250 gr di Yogurt greco 250 gr di Farina 00 130 gr di Zucchero 150 gr di Latte intero 15 gr di Lievito in polvere per dolci 2 gr di Cannella in polvere Zucchero a velo per spolverizzare la superficie q.b. Preparazione Per preparare la torta allo yogurt e mele senza uova, cominciate lasciando per un po' fuori dal frigorifero tutti gli ingredienti freschi: in questo modo sarete sicuri sulla riuscita ottimale del dolce perchè avranno tutti la stessa temperatura ambiente. Quindi versate il latte in una ciotola insieme allo yogurt greco, stemperate con una frusta e aggiungete lo zucchero semolato. Mescolate accuratamente, poi ponete un colino sul recipiente e setacciate la farina mescolate energicamente per farla assorbire evitando così la formazione di grumi. Dopodiché aggiungete il lievito per dolci e la cannella in polvere e continuate ad inglobarli al composto. A questo punto potete sbucciare le mele e togliere il torsolo (otterrete circa 300 g di mele). Affettatele e tagliatele a cubetti di circa 1 centimetro. Man mano che tagliate, versate subito nel recipiente che contiene l'impasto così eviterete che i cubetti diventino scuri. Amalgamate per bene il tutto con una spatola e versate il composto in una tortiera da 24 cm di diametro (se potete utilizzate uno stampo a cerniera), rivestita con carta forno. Spatolate per livellare il dolce e cuocete in forno statico preriscaldato a 170° per circa 55 minuti (per questa ricetta è sconsigliata la cottura in forno ventilato poiché il dolce potrebbe seccarsi troppo; se preferite provare ugualmente, la cottura ideale è a 160° per circa 45-50 minuti), facendo opportunamente la prova stecchino: se questo esce asciutto allora la torta si considera cotta. Far raffreddare completamente prima di sformarla. Se preferite, servite la torta con un abbondante spolverizzata di zucchero a velo. 17) Torta di mele velocissima Ingredienti: 12 cucchiai di farina 00 10 cucchiai di zucchero 3 uova intere 3 mele Un mezzo bicchiere di olio di semi Un mezzo bicchiere di latte 1 bustina di lievito per dolci 1 bustina di vanillina Preparazione Sbatti le uova intere con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso, aggiungi la farina, l'olio, il latte, la vanillina e per ultimo il lievito. Mescola bene con le fruste per evitare che restino dei grumi e tieni da parte questa pastella. Nel frattempo, sbuccia le mele e tagliale a pezzetti non troppo grossi, incorporandole man mano che le tagli dentro la pastella (facendo così, non diventeranno scure). Versa la pastella unita alle mele dentro una tortiera da 26 cm di diametro ben imburrata e infarinata. Metti a cuocere la torta in forno caldo a 170 °C per circa 40 minuti (fai la prova dello stecchino infilando uno stecchino al centro della torta, se ne esce asciutto, vuol dire che la torta è pronta, altrimenti prosegui la cottura per altri 5 minuti e ripeti la prova). Lascia raffreddare la torta prima di servirla. 18) Torta rustica di mele Ingredienti per 8 persone: 700 gr mele Golden 100 gr di burro 200 gr di zucchero 200 gr di farina 2 uova 200 ml di latte Lievito chimico: 1 bustina Limoni: 1 (scorza e succo) Cannella: 1 cucchiaino Vanillina: 1 bustina Sale: q.b. PER COSPARGERE Cannella: q.b. Zucchero a velo: q.b. Preparazione Sbucciate le mele, levate il torsolo, tagliatele in quattro parti e affettatele, quindi mettetele a riposare in una ciotola con il succo del limone, affinché non anneriscano. Versate nel mixer le uova, lo zucchero, il burro precedentemente sciolto a bagnomaria, la scorza grattugiata del limone, la cannella e il latte e frullate fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Potete svolgere questa operazione anche con delle fruste o uno sbattitore, ma correreste il rischio che il burro si divida, formando dei grumi: nel mixer questo non succederà. Versate il composto in una ciotola e incorporate la bustina di lievito e quella di vanillina, la farina e 1/4 di cucchiaino di sale, preventivamente setacciati. Unite quindi le mele dopo averle sgocciolate, sparpagliandole. Versate il tutto in una tortiera di 24 cm di diametro, imburrata e infarinata, poi infornate a 180° per circa 1 ora. Quando la torta sarà cotta, spolverizzatene la superficie di zucchero a velo misto a cannella, poi servite. 19) Sorbetto di mela verde Ingredienti per 4 persone: 1,5 kg di mele Granny Smith 1 bicchierino di vodka al limone 180 gr di zucchero 1 limone 1 bianco d'uovo. Preparazione Fate uno sciroppo con lo zucchero e 2 dl di acqua; lasciate raffreddare. Sbucciate le mele, eliminate il torsolo, tagliate la polpa a pezzetti, spruzzate con il succo di limone, aggiungete un po' di buccia di limone grattugiata e fatene un purè nel frullatore. Profumate con la vodka e versate nella gelatiera seguendo le istruzioni della macchina. A metà congelamento unite il bianco d'uovo che avrete montato a neve densissima. Se a qualcuno l'uovo non dovesse piacere se ne può anche farne a meno.


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Cultura

CURCUMA & CANNELLA per rimanere giovani

di Anadela Serra Visconti

La curcuma è una delle tante spezie che troviamo nel curry. Il curry infatti, è un mix di tante spezie polverizzate 8 tra cui curcuma e cumino) ad azione antiossidante e viene ritenuto utile nel prevenire l'invecchiamento celebrale eil morbo di Alzheimer. Gli studi scientifici che lo dimostrano sono stati rivolti all'India dove questa spezia è consumata quotidianamente. I vantaggi sembrano derivare da un principio attivo della curcuma, la curcumina, una piccola molecola che riesce a raggiungere il cervello ed è dotata di una potente attività antinfiammatoria e antiossidante. Possiamo quindi aggiungerlo come anti-aging, anche ai nostri piatti abituali a base di riso, carne, pollo, pesce, verdure, legumi secchi. Per chi non ama il suo sapore, si trova in commercio la curcuma in capsule. La cannella: la cannella che usiamo per aromatizzare i nostri dolci, non è altro che la corteccia dell'albero, essiccata e arrotolata, o ridotta in polvere. Ricercatori americani del USA Department of Agriculture's Human Nutrition Research Center di Beltsville (Maryland), hanno scoperto che un cucchiaino di cannella al giorno è sufficiente per ridurre la quantità di zucchero nel sangue. Questo grazie ad una particolare sostanza presente nella cannella, l' MGCP, un polifenolo antiossidante, che “mima” l'azione dell'insulina, tenendo sotto controllo i livelli della glicemia. Questa meravigliosa spezia, quindi ,è utile a livello preventivo, poiché ci aiuta a controllare il tasso di insulina, ma soprattutto per tutti coloro che soffrono di diabete alimentare , chiamato anche diabete di tipo 2, provocato da una ridotta tolleranza al glucosio.E' stato comprovato, infatti, che l'assunzione quotidiana di integratori a base di cannella, nelle persone affette da diabete di tipo 2, può ridurre di circa il 20 % la glicemia.. La cannella ci aiuta anche a ridurre il livello di colesterolo LDL (colesterolo cattivo) e dei trigliceridi, mantenendo “pulite” e giovani le arterie. Un motivo in più per usarla più spesso nelle nostre preparazioni quotidiane.


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La giacenza media per il calcolo dell'ISEE

di Angelo De Gianni

Tra i numerosi appuntamenti dei primi mesi di ogni anno, vi è quello sgradito della compilazione e presentazione dell'indicatore della situazione economica equivalente, più noto con l'acronimo di ISEE. Tutti sappiamo che l'Amministrazione statale o l'Ente locale che devono erogare una prestazione subordinata alle condizioni economiche del richiedente e della sua famiglia, deve verificare non solo il reddito, ma anche la consistenza patrimoniale del cittadino destinatario del beneficio. Quello che, però, non tutti conoscono, per ovvie ragioni pratiche, è il metodo con il quale detti parametri sono ricavati. Focalizziamo, di seguito, l’attenzione sulla procedura contabile, mediante la quale si individuano i cosiddetti valori mobiliari, cioè la consistenza dei conti correnti, dei conti di deposito e degli altri rapporti bancari e postali assimilati, riferibili al soggetto interessato ed ai componenti del suo nucleo familiare. La soluzione più semplice e, forse, anche la più logica, sarebbe quella di prendere a riferimento il saldo di ciascun conto alla fine dell'anno solare: in altre parole, se Tizio ha due conti correnti, si tratterebbe di sommare i due saldi dei conti al 31 dicembre, per determinare il valore patrimoniale ai fini ISEE. Se non che, Tizio, un signore astuto e, soprattutto, poco onesto, d'accordo con un parente o un amico, nei giorni precedenti la vigilia di Capodanno, potrebbe agevolmente svuotare i conti, mediante un bonifico, e ricostituire la consistenza patrimoniale, nei primi giorni dell'anno successivo, risultando nullatenente o quasi alla chiusura di fine anno. È vero che potrebbe facilmente dimostrarsi, da parte dell’Autorità Giudiziaria, la sussistenza di una truffa aggravata, penalmente rilevante, ma, nel frattempo, l'imbroglione, fra disattenzione degli organi amministrativi e prescrizioni del reato, potrebbe considerare che valga la pena di correre il rischio. Quindi, si è optato per il criterio della cosiddetta giacenza media. Vediamo con un esempio di che cosa si tratta. Io ho bisogno di individuare quanti euro sono stati depositati sul mio conto corrente per tre giorni consecutivi: il primo giorno sono presenti 1000 euro, il giorno successivo il mio datore di lavoro mi versa lo stipendio di altri 1000, in modo tale che, alla fine del secondo giorno, sul conto troverò 2000 euro; il terzo giorno, però, devo fare un bonifico al padrone di casa di 500 euro, per pagargli l'affitto, il che farà scendere il saldo a 1500 euro. La giacenza media del mio conto corrente, in riferimento ai tre giorni, sarà costituita dalla somma dei tre saldi giornalieri, 1000 euro del primo giorno, 2000 euro del secondo e 1500 del terzo, che darà un risultato di 4500 euro, diviso 3, l'intervallo temporale di riferimento. Ho, perciò, una giacenza media di 1500 euro. Naturalmente, se l'arco temporale di riferimento è l'intero anno, la giacenza media è costituita dalla somma dei saldi di tutti i giorni, diviso per 365. Siccome, però, non c'è legge senza ingiustizia, vediamo cosa succede, nell'esempio precedente, se io, il terzo giorno, oltre a pagare il canone di locazione, sono costretto a versare 3500 euro, per chiudere una pendenza con il fisco. Io avrò un'esposizione debitoria nei confronti della banca, nel senso che il mio conto sarà in rosso di 2000 euro, ma, ai fini del calcolo della giacenza media, il terzo giorno il saldo sarà pari a zero. Sì, l'ho scritto in lettere per non far sorgere equivoci! La mia giacenza media, per quei tre giorni, è di 1000 euro, 1000 più 2000 più zero diviso 3. Insomma, l'algebra, con i suoi valori negativi, allo Stato proprio non interessa! E pensare che ce la fanno studiare pure a scuola, negli istituti statali! Cosa succede se il conto corrente è intestato a più persone? In questo caso, la giacenza media è divisa per il numero di intestatari, in parti uguali, perché si presume che tutti abbiano quote uguali. Pensiamo alla signora che ha il conto corrente cointestato con i genitori anziani, che si ritrova ad avere nel proprio patrimonio e, quindi, nell'ISEE, valori mobiliari non suoi, solo perché la cointestazione le sembra lo strumento più idoneo a risolvere gli inevitabili problemi burocratici con la banca, al posto dei suoi vecchietti traballanti e che non riescono quasi più a firmare con la mano tremante! Qualcuno sostiene che, in questi casi, il problema si risolve inserendo nel rapporto giuridico di conto corrente la figura del delegato, la figlia appunto! Ma, chi consiglia questa soluzione non tiene conto del fatto che, sovente, gli istituti di credito, per sfiducia nei confronti del cliente, per troppa prudenza o, peggio, per mera ottusità dei funzionari, limitano talvolta ingiustificatamente i poteri del delegato, visto più come un profittatore che come la soluzione a molti problemi pratici. In conclusione, ai rigori delle procedure relative al calcolo dell'ISEE non si sfugge, a meno che non si voglia adottare il più classico e pericoloso dei sistemi: conservare il proprio denaro sotto il materasso e sperare che l'inflazione non renda il gruzzolo carta straccia.


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Filosofia

Acquirente compulsivo: tratti di personalita'

di !Lista Mente.Gruppo Sublimen

Il profilo psicologico di un acquirente compulsivo nasconde una persona con disturbi emotivi e personali che cerca di colmare attraverso lo shopping. Tuttavia, l'atto di acquistare finisce per generare senso di colpa e ulteriore sofferenza. Che ci piaccia o no, viviamo in una società orientata al consumo. Questa realtà ci porta a osservare sempre più spesso un profilo ben preciso: l'acquirente compulsivo. Si tratta di persone che suppliscono ai loro bisogni, che alleviano le loro preoccupazioni, paure o ansie attraverso l'acquisizione di prodotti. L’oniomania, o dipendenza dallo shopping, nasconde nella maggior parte dei casi mancanza di autocontrollo, depressione e bassa autostima. Situazioni molto complesse che possono raggiungere limiti estenuanti per la persona e la famiglia. «Quando hai bisogno di comprare per essere felice, diventi inconsapevolmente un acquirente Compulsivo» Tratti dell’acquirente compulsivo? Per molte persone acquistare beni materiali è fonte di grande piacere. Ma cosa succede quando non possiamo permetterci di spendere grandi somme di denaro per acquistare cose di cui non abbiamo bisogno? Guardare, osservare, provare. Ciò soddisfa, anche se la gioia non è completa. Quando l'acquisto è compulsivo poiché dona felicità, si diventa senza saperlo un acquirente compulsivo. Il bisogno morboso di comprare è anche conosciuto con il nome di oniomania ed è una sorta di fuga emotiva. Tratti dell'acquirente compulsivo L'acquisto offre vero piacere o è una scusa per sentirsi felice? Il secondo scenario è tipico nel caso dell'acquirente compulsivo che cerca una via di fuga in ogni acquisto per non dover affrontare il vero problema. Lo studio condotto dalla dottoressa Jessica V. Bolton. dell'Università di Coventry, rivela che la condotta dell'acquirente compulsivo dipende sempre da una causa di natura emotiva. Tra le possibili motivazioni: Senso di solitudine e di vuoto: la persona acquista credendo che così riempirà il vuoto che prova. Il problema è che l'acquisto provoca un piacere momentaneo, il che innesca un circolo vizioso. Alla persona piace la sensazione di acquistare un nuovo prodotto: le emozioni positive a seguito dell'acquisto spingono a comprare ancora ed è difficile resistere alla tentazione. Paura di perdere un'occasione d'oro: la vita dell'acquirente compulsivo ruota attorno allo shopping, quindi durante la stagione dei saldi la paura di farsi scappare una buona offerta fa provare una voglia irrefrenabile di acquistare. Gli acquisti compulsivi offrono un benessere fugace. Spesso alla base di questa condotta vi sono rimorso, senso di colpa e la sensazione di soffrire di un problema. Al momento dell'acquisto mi controlla Le azioni dell'acquirente compulsivo sono una forma di evasione di fronte a un problema ben più grave. Forse la persona soffre di depressione. Allo stesso modo, può darsi che abbia un serio problema personale, ma la paura di affrontarlo induce l’individuo a distrarsi. Ciò non è un male se avviene in casi isolati, al contrario lo diventa quando si cerca costantemente una via di fuga pur di evitare il problema. Questo, di fatto, non si risolve con l'acquisto, il che provoca frustrazione. Il paradosso è che per alleviare la suddetta sensazione si ricorre nuovamente agli acquisti. Alla fine, l'acquirente compulsivo si trova in un circolo vizioso in cui non trova via d'uscita. Il circolo vizioso dello shopping compulsivo Esiste un modello di comportamento tra gli acquirenti compulsivi? La risposta è sì e prevede quattro fasi che possiamo descrivere come segue. Anticipazione: sorgono pensieri e preoccupazioni attorno a un oggetto, un prodotto specifico o l’effettiva azione di acquisto. Preparazione: si decide dove acquistare, come pagare, i dettagli del prodotto, etc. Acquisto: un'esperienza non solo piacevole, ma anche emozionante. L'acquirente compulsivo attende con impazienza il momento desiderato dell'acquisto. Delusione: non appena si effettua l'acquisto e si spende, sorgono senso di colpa e delusione. Successivamente rabbia, risentimento e la ferma intenzione di non ripetere il comportamento (cosa che non si realizza). Conclusioni Sebbene l'acquirente compulsivo possa credere alla propria menzogna che non si comporterà più così, la verità è ben diversa. Alla luce di ciò, si rende necessario un aiuto, ma non riuscendo a trovare una via d'uscita capita persino di ricorrere all'uso di droghe. L’acquisto è solo la punta dell'iceberg. La cruda realtà, la gravità del problema si trovano appena sotto, invisibili a occhio nudo. L'acquisto compulsivo colpisce molte persone, di solito le donne, sebbene gli uomini non siano esenti dal soffrirne. Il grosso errore è credere che il problema sia l'acquisto, quando è solo una manifestazione di una realtà molto più dolorosa e profonda.


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Amare il proprio animale domestico più di qualsiasi altra cosa al mondo

di !Lista Mente Gruppo Sublimen

Vi siete mai sentiti incompresi quando parlate dell'amore che provate per il proprio animale domestico? Siete arrivati a vederlo come il vostro sostegno principale? Parliamo di queste sensazioni nel contesto della salute mentale. Pensate al vostro animale domestico o se lo avete accanto, guardatelo per un momento. Ricordate quando è entrato nella vostra vita: che aspetto aveva? Come sono stati i primi giorni di convivenza? Amare il proprio animale domestico più di qualsiasi altra cosa al mondo sembra assurdo a chi non ha avuto questa fortuna. Gli animali domestici restano al nostro fianco quando siamo tristi, con loro si condividono giochi e passeggiate al parco. Si trascorrono insieme i grigi pomeriggi in poltrona o le domeniche in cui si è nostalgici per il tempo che passa. Si instaura un legame profondo e speciale con i propri animali, motivo per cui sono spesso considerati parte della famiglia. Al contrario, chi non ha mai avuto un animale in casa difficilmente può capire questa forte connessione. Trovano strano, e persino ridicolo, provare più empatia verso gli animali che verso le altre persone. Tuttavia, la scienza spiega che ciò non solo è possibile, ma anche logico. Amare il proprio animale domestico più del partner? L'amore dei nostri animali domestici è profondo e incondizionato, qualità che è più difficile trovare nelle persone. Per questo non sorprende che molti scelgano il proprio amico peloso invece del partner. Questo amore è fonte di gioia, ma può anche suscitare gelosia in alcune relazioni e può persino diventare motivo di rottura. Uno studio condotto da Link AKC indica che l'80% dei partecipanti escluderebbe qualsiasi potenziale partner se questi non va d'accordo con il proprio animale domestico. Lo stesso studio mostra che oltre il 50% delle persone rifiuta certi inviti per trascorrere del tempo con i propri animali domestici o non lasciarli soli a casa. A sua volta, quasi l'85% indica un miglioramento della propria salute mentale ed emotiva da quando l'animale è entrato nelle loro vite. Alcune persone scelgono il loro animale domestico rispetto a qualsiasi altra relazione perché considerano il loro amore incondizionato. Amore tra esseri di specie diverse L'umanizzazione degli animali è sconsigliata. A rendere speciale il nostro legame con loro è proprio il fatto che apparteniamo a specie diverse. L'amore che proviamo per il nostro cane o gatto è semplice e puro. Al contrario, l'amore che proviamo per le altre persone è più complessa. Perché questa distinzione? Secondo Freud, amiamo così tanto gli animali perché intendiamo il loro affetto per noi come totale e incondizionato. Lo fanno indipendentemente dal nostro aspetto, dalla nostra posizione economica o dalla nostra personalità. Voglio che il mio animale domestico viva per sempre” Siamo tutti d'accordo sul fatto che la vita media dei nostri migliori amici a quattro zampe sia di dodici anni, è una realtà molto ingiusta. Il tempo condiviso con loro non ci sembra mai abbastanza. La perdita di un animale domestico è uno dei momenti più dolorosi; provoca sconforto e profonda tristezza. L'impatto emotivo della loro scomparsa spesso eguaglia o supera l'intenso dolore che proviamo per la morte di un familiare o di un amico. Indipendentemente dalla specie, dovremo sempre affrontare il lutto per elaborare la perdita di qualcuno che riteniamo importante. La perdita di un animale domestico può avere un grande impatto emotivo. Empatia verso gli animali I ricercatori Jack Levin e Arnold Arluke hanno condotto uno studio incentrato sulla comprensione del motivo per cui alcune persone provano un'affinità speciale con i cani piuttosto che con altri umani. In particolare, la ricerca si concentra sullo scoprire se le persone sono più angosciate all'idea di un abuso sugli animali o su un altro essere umano. I risultati ottenuti indicano che tendiamo a preoccuparci maggiormente per il dolore provato dagli animali piuttosto che dagli esseri umani, fatta eccezione per i bambini. In altre parole, l'età è un fattore determinante per quanto riguarda l'empatia verso le vittime umane, ma ciò non vale nel caso degli animali. Questo perché percepiamo sia i cuccioli sia gli animali adulti, così come i neonati o i bambini, come esseri vulnerabili e indifesi. L'empatia aumenta quando la vittima non è in grado di difendersi, bensì dipende dalla protezione di qualcun altro. Conclusioni È naturale amare il proprio animale domestico e preoccuparsi del suo benessere ignorando anche i propri interessi se ciò significa trascurarli. Tuttavia, se è pur vero che il legame con gli animali è molto salutare, può diventare estenuante quando diventa un ostacolo per una sana vita sociale. In questo caso si tratterebbe di una dipendenza emotiva che alla lunga diventa malsana.


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Aspetti dell’Islam

di Franco Giovi

Per quanto consentono poche righe, esaminiamo brevemente qualcosa della struttura interiore dell'Islam in rapporto alla nostra (fuori dalla cultura accademica, che mi sembra abbastanza fuorviante). L’Islam è una religione monoteista -e subito facciamo pasticci, col dire che allora è solo questione di nomi diversi- priva di dinamica. Per capirsi, la Trinità cristiana è dinamica: Dio si esprime in un giuoco attivo di presenza: Padre, Figlio, Spirito Santo; nell'Islam, Allah è una Maestà mono-corpo e basta, da ciò deriva un carattere teologico privo di evoluzione. Certo, Dio nell'Islam è soltanto creatore e tutti gli altri esseri sono diversi (e noi che ci facciamo?), ma poiché è onnicomprensivo degli attributi di un super-califfo, è pure misericordioso, e all'uomo non rimane che la sottomissione che si manifesta nella fede, la quale, essendo manifesta, è uguale per tutti (i cinque pilastri) e ci rende membri di un'unica famiglia (umma). Poi, a scavare un po' più sotto, le cose si complicano, ma per la contaminazione di altre culture e correnti (dallo yoga al sufismo allo zoroastrismo) e, a livello di esoterismo e misticismo, affiorano prodotti suggestivi (vedi i testi di Henri Corbin o del nostro Pio Filippani Ronconi) che non appartengono strettamente alla vita islamica generale. Nel pensiero islamico il libero arbitrio non esiste. La Rivelazione, diversa da quella cristiana, acquista nel concreto la forma di un Diritto esercitato da uomini della legge da cui ogni carattere della vita viene regolato con una finitezza inappropriata per l'uomo occidentale. Nella regola l'uomo mussulmano trova sicurezza e certezza (questa psicologia ricorda da vicino il nostro esoterismo tradizionale e tutto quello che viene fissato e tradizionalizzato, che dice: "Rinuncio alla mia autonomia e mi abbandono alle regole di un mondo di verità e certezza"). Come ho detto prima: parole uguali corrispondono a significati oltremodo diversi; il Diritto, da Roma antica a oggi, è per noi un prodotto razionale in continuo divenire, poiché interpreta l'evoluzione concreta. Nell'Islam, il diritto, emanando dal decreto religioso, non è razionale e tende alla staticità al pari della lingua e delle consuetudini. In un ambiente statico privo di impulsi individuali il consenso della comunità è totalizzante, e ciò che ad essa è estraneo è empio. Con l'assenza del concetto di libertà personale, le categorie sociali sono, in soldoni, assai semplici: il pio e l'empio. E qui vorrei fermarmi, perché dovremmo constatare il carattere imperialistico, ambiguo e contraddittorio di alcune Sura coraniche, l'invasività crudele della Sharia, l'istinto predonesco dell'Arabismo. Per restare nella cultura alta, è interessante la favola, sostenuta pure dagli ebeti in Occidente, che ammira la capacità intellettuale nell'accogliere il corpus aristotelico per poi passarlo a gli sprovveduti zucconi occidentali: ciò non è vero, giacché i teologi arabi avevano incistato -o mescolato- Aristotele nei propri testi; fu una grandiosa impresa intellettuale dell'Occidente quella di disincastrare la sua Opera dalla fusione perpetrata -quanto dico non è una opinione: i testi esistono e possono essere controllati; questo esempio vale come metro per l'astronomia, la numerazione, l'arte ecc. Nell'occidente moderno questo modo di procedere andrebbe chiamato, all'incirca, possesso da rapina a mano armata. Tornando al contingente attuale, i problemi che persone brave e buone d'area islamica si portano dentro e fuori, sono in sintesi questi: il trascendentalismo astratto, dal quale deriva che mentre noi avvertiamo il pensiero -e le altre forze dell'anima- come nostro prodotto, e quindi per la nostra coscienza dietro al pensiero c'è l'Io, ecco che per l'islamico dietro al pensiero c'è Allah -si immagini questo e s'intuirà una differenza colossale. Poi, più pragmaticamente, abbiamo nell'islamico integrato di seconda generazione, una persona che pencola tra il mondo in cui vive e gli obblighi e i doveri verso la famiglia e la comunità originaria, la quale approverà il suo successo ma mai legami formali o rituali con infedeli: uso il termine canonico, perché nel concreto gli aggettivi che si sprecano verso le donne occidentali, sono ben peggiori.


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RITO E SIMBOLO. LO STATO GESUITA IN PARAGUAY: Berlino, 9 maggio 1916

di Rudolf Steiner

Il compito dell’insegnamento dei Misteri all’epoca greco-latina. L’influenza dei gesuiti sul corpo astrale degli uomini, illustrato dalla loro azione in Paraguay (1610-1768). Come viene manipolata l’opinione. Uno studio “scientifico” dei piccoli annunci. Come un uomo può essere nello stesso tempo molto intelligente e debole di spirito. L’Euritmia ridicolizzata e la difficoltà di presentare in modo corretto la Scienza dello Spirito. Come si è dimostrato nelle nostre precedenti conferenze, mi sforzo di utilizzare il tempo di cui disponiamo per fare chiarezza, grazie alla Scienza dello Spirito, su un certo numero di fatti della vita umana. Viviamo in effetti in una epoca in cui è necessario acuire il nostro sguardo per comprendere meglio quello che agisce nella storia degli uomini. Ho già tentato di darvi qualche indicazione sul modo in cui delle confraternite occulte o delle confraternite che risalgono ad ogni sorta di occultismo, hanno agito sull’anima umana in modo diverso da quello che dovrebbe corrispondere alla nostra epoca. L’ultima volta, vi ho parlato del caso di Thomas More e della sua Utopia, ho tentato di mostrarvi come, tenendo conto delle influenze che dai mondi soprasensibili agiscono nella vita umana, possiamo introdurre più verità in questa “fiaba convenuta” che chiamiamo storia e che spesso non è altro che un accumulo di leggende e di concezioni staccate dalla realtà. Oggi ci chiederemo come sia possibile agire in modo preciso sull’anima umana con questa idea della risurrezione e della perdita del Verbo che deve essere ritrovato, tramite la pratica di certe cerimonie rituali svolte nelle confraternite occulte. Di fatto, questo è in relazione con il modo in cui, alla nostra epoca, l’anima umana lascia agire le cose su di sé e così sarà sempre di più via via che ci addentreremo in questo quinto periodo post-atlantico di cui non abbiamo percorso nemmeno il primo terzo. Per prima cosa tentiamo di comprendere in quale modo si agisce sull’anima umana in questa quinta epoca. Tutti gli sforzi degli uomini tendono, finalmente, a eliminare certi fatti che una volta erano considerati del tutto naturali. Prendete ad esempio un’opera scientifica datata nel XIII° e XIV° secolo, quindi relativamente recente, come quella di Alberto Magno2, e vedrete fino a che punto questo modo di considerare la natura risulta già adesso sconcertante per l’uomo moderno. E perché? Perché, pur non parlando già più di entità, l’uomo di una volta teneva conto dell’esistenza, in tutta la natura che lo circondava, di certe forze elementari di carattere spirituale eterico. La visione moderna ha per principio di rigettare ed eliminare dalle rappresentazioni umane tutto ciò che è di natura eterico-spirituale, quindi tutto ciò che non è percepibile ai sensi. Questi libri, come quello di Alberto Magno, rimangono completamente incomprensibili se ignoriamo il fatto che prendono ancora in considerazione l’esistenza di forze spirituali nel mondo fisico che ci circonda. Ma la nuova epoca scientifica non estende la sua influenza soltanto sulla concezione che gli uomini hanno della natura, ma regna anche su tutto il loro modo di pensare e di rappresentarsi la realtà, compresa la gente più semplice. Ciò che caratterizza la nostra epoca scientifica, in effetti, è che oramai l’uomo basa le sue rappresentazioni del mondo esteriore soltanto su quello che si palesa ai suoi sensi, su tutto ciò che si svolge nel campo della percezione dei suoi sensi. Quando oggi si dice che l’estetica, la storia dell’arte, la sociologia e anche la storia sono delle scienze umanistiche, ossia delle scienze dello spirito, ovviamente questa è una definizione del tutto inappropriata. Possono essere definite scienze dello spirito soltanto quelle in cui si parla di spirito, ossia di ciò che non si svolge nel mondo sensibile. Orbene, tutto ciò che oggi la storia ci racconta si svolge esclusivamente nel mondo sensibile, anche se proviene da certi pensieri, sentimenti ecc. In realtà non abbiamo a che fare con delle scienze dello spirito, ma piuttosto con delle scienze dei sensi. La nostra quinta epoca post-atlantica si caratterizza dunque dal fatto che ci si limita, nelle rappresentazioni che ci facciamo, a ciò che ci dà la natura esteriore accessibile ai sensi. Ma non dovete neanche pensare che avrete fatto una cosa particolarmente notevole se vi sarete precipitati sulla nostra epoca per rimproverarle le sue concezioni grossolanamente materialistiche! Poco si è detto, infatti, finché non abbiamo contrapposto a queste rappresentazioni materialistiche qualcosa di altrettanto reale. Questa quinta epoca è qui precisamente per forgiare il materialismo e rigettare fuori dalle rappresentazioni umane tutto ciò che non proviene dal mondo sensibile. L’uomo acquisirà la possibilità di sviluppare totalmente la sua libertà, potrà svolgere autonomamente un’attività spirituale autonoma soltanto se, durante più di 2000 anni – in effetti è ciò che dura una tale epoca – si dedicherà ad un’esistenza in un mondo che, come abbiamo detto, resterà privo di forze elementari. Gli eccessi del materialismo che stiamo vivendo nel primo terzo di questi duemila anni, provengono semplicemente dal fatto che siamo soltanto all’inizio di questo periodo, il che fa sì che l’uomo, sommerso dal flusso del sensibile, non ha ancora saputo estrarre lo spirituale dal suo essere interiore. Questo spirituale deve precisamente arrivare grazie ad una vera Scienza dello Spirito. L’epoca greco-latina, che precedette la nostra, aveva un tutt’altro compito. Tutti gli esseri umani erano allora capaci di percepire il mondo elementare – la realtà eterica spirituale – che li circondava, e potevano di seguito lasciare questa realtà agire su di loro. Per quanto riguarda le relazioni tra gli uomini, erano ancora tali che ognuno percepiva lo spirituale-elementare attorno a sé così come oggi si percepisce l’aria. Durante questi 2160 anni che precedettero la nostra quinta epoca post-atlantica, il corpo umano è stato preparato per diventare lo strumento dell’attuale modo di pensare a proposito della realtà esteriore, poggiando unicamente sui sensi. Durante il periodo grecolatino, il lavoro che si fece sull’essere umano riguardava soprattutto il corpo. Si trattava di formare il corpo dell’uomo in modo tale che di seguito, alla nostra epoca, quest’ultimo potesse applicare il suo pensare a quello che percepisce con i sensi. Ad esempio, quando si insegnava nelle scuole dei misteri oppure nelle istituzioni che dipendevano da esse – e in quell’epoca ciò rappresentava ancora tutti i luoghi di insegnamento e di cultura –, non ci si accontentava, come avviene oggi, di comunicare qualcosa di cui gli allievi dovevano poi convincersi, ma si aveva come compito di trasmettere ad ogni partecipante delle forze che potessero lavorare sul suo corpo. Se oggi qualcuno volesse intraprendere un’azione di questo genere, ossia se volesse comunicare direttamente all’allievo una forza che agisca sul suo corpo fisico, farebbe qualcosa di illecito nell’ottica del nostro attuale spirito del tempo. In effetti oggi l’uomo attuale rifiuta che sia esercitata qualsiasi influenza sul suo corpo. E giustamente, considerato che si tratta qui di un tratto caratteristico della nostra epoca. Si ha il diritto di agire soltanto sull’anima. Tutto il resto significa esercitare un’influenza magica illecita, che per contro era del tutto permessa una volta, durante l’epoca grecolatina. Lo strumento corporeo dell’uomo era allora meno indurito, più malleabile, più semplice, e bisognava ancora lavorarvici. Adesso è indurito, il che implica che quando si vuole insegnare o comunicare qualcosa a qualcuno, ci si deve rivolgere soltanto alla sua anima. Ma quando si voleva lavorare sul corpo ancora malleabile, non lo si poteva fare tramite cose tratte esclusivamente dal mondo sensibile esteriore. L’epoca greco-latina non avrebbe mai potuto compiere la sua missione con l’unico aiuto di ciò che contengono le nostre scienze naturali. Se, all’epoca, fosse stata insegnata l’astronomia copernicana, oppure il darwinismo, ne sarebbe risultato soltanto l’indurimento dei corpi ancora malleabili degli uomini, invece della loro preparazione per la quinta epoca. Sarebbero stati formati in modo scorretto. Bisognava disporre di una tutt’altra scienza, di una scienza che, invece di proporre delle specie di fotografie della natura esteriore, come fa la scienza attuale, presentasse dei simboli, una scienza che invece di proporre agli uomini degli esperimenti come vengono realizzati oggi, proponesse loro dei culti e dei sacramenti. I sacramenti, le cerimonie cultuali, i simboli e i miti afferrano l’uomo in parti del suo essere completamente diverse da quelle afferrate da ciò che troviamo oggi nelle nostre leggi naturali, come la teoria copernicana oppure il darwinismo. Orbene, le confraternite di cui vi ho parlato hanno conservato gli antichi simboli, il simbolismo, le pratiche sacramentali e le cerimonie rituali. Proseguono le loro azioni ancora oggi. In modo particolare agiscono su una parte costitutiva della natura umana che non dovrebbe essere toccata quando si rimane nel campo di ciò che è lecito, se non in modo molto indiretto. Alla nostra epoca in effetti, quando rimaniamo nei limiti di ciò che è lecito, rivestiamo l’insegnamento con parole che giungono all’orecchio dell’altro. Di seguito, tocca a lui forgiarsi la sua propria convinzione, partendo da ciò che ha udito. Andrebbe fatto così. Con questo insegnamento si agisce quindi prettamente sul corpo fisico e quando tutto si svolge in modo corretto, quest’ultimo non perde più la forma a lui conferita durante l’epoca greco-latina. Ma con i simboli, le pratiche sacramentali e le cerimonie rituali, si agisce più in profondità, si tocca anche il corpo eterico. Detto in maniera diversa, il modo in cui pensa l’altro viene influenzato direttamente. Comunicandogli qualcosa, agendo in un particolare modo sul suo ambiente, si agisce sul suo corpo eterico, e da lì, si orienta il suo pensiero in una certa direzione. Questo è ciò che succede in linea di massima nelle confraternite occulte di cui vi ho parlato. Ebbene, esiste ancora un’altra sorta di confraternite, che dobbiamo lo stesso definire occulte, e che obbediscono agli stessi principi, ma su un altro terreno. Anche esse conoscono il modo per agire più in profondità sugli esseri umani. L’ordine dei gesuiti, ad esempio, ne fa parte. Perché è così: l’ordine dei gesuiti si basa assolutamente su degli occultismi. Nel ciclo di conferenze che ho presentato a Karlsruhe3, ho descritto gli esercizi che l’allievo gesuita deve praticare per diventare gesuita, appunto. Questi esercizi permettono a chi insegna, o chi celebra il culto, di agire sul corpo astrale, e non più sul corpo eterico. Tutta la disciplina dei gesuiti è volta a dare al gesuita la forza di utilizzare le sue parole e di condurre il suo discorso in modo tale che quello che espone o quello che fa si infiltri, potremmo dire, negli impulsi astrali degli altri uomini. Orbene, l’influenza gesuita non deve essere confusa con la presenza di certi gesuiti qua e là. Esistono in effetti, nella vita umana, dei canali attraverso i quali si può agire, anche in posti dove è proibito sostare. E non credere che, se abbiamo sentore di certi pericoli nel gesuitismo, tutto sarà stato fatto per disfarsene, anche se avremo proibito ai gesuiti di stabilirsi in tale o tale altro territorio. Chi pensa così mostra semplicemente che ignora quello di cui si tratta. Orbene, possiamo saperlo soltanto richiamandoci alle conoscenze che può darci la Scienza dello Spirito. Non è di certo facile mostrare il modo in cui il gesuitismo agisce, perché bisogna parlare di tanti tipi di canali misteriosi, e le persone faticano a credere a colui che parla in questo modo di questo genere di cose. Ecco perché vorrei in primo luogo citare un esempio che potrà mostrarvi il modo in cui il gesuitismo procede quando può tranquillamente realizzare i suoi impulsi senza essere disturbato e quando può applicare, senza restrizioni, i suoi metodi di azione sul corpo astrale. Si tratta della fondazione dello Stato gesuita nel Paraguay nel 1610, un bel esempio che si colloca anche lui alla svolta dalla quarta alla quinta epoca postatlantica. Sapete che dopo la scoperta dell’America, gli europei civilizzati hanno bramato l’oro e gli altri tesori del nuovo continente, e che il periodo che seguì fu particolarmente fiorente per tutti quelli che affluirono allora in America; per contro lo fu di meno per le popolazioni indiane! Spesso si è raccontato di come gli europei “civilizzati” trattarono questi poveri indigeni americani. È allora che in Paraguay, una regione dell’America del sud dove la civiltà europea si impose in un modo non particolarmente glorioso, i gesuiti fecero la loro apparizione in grande numero, con l’intenzione di offrire agli indiani che vivevano lì, i Guarani, un trattamento di gran lunga migliore, secondo loro, di quello che avevano ricevuto da parte di altri europei. I gesuiti non parlavano il guarani, così come i guarani non parlavano nessuna delle diverse lingue conosciute dai gesuiti, compreso il latino, ovviamente. Non si trattava quindi di sviluppare un’azione facendo semplicemente agitazione politica, come succedeva solitamente. Cosa fecero allora i padri che si erano insediati in grande numero in Paraguay? Risalirono i fiumi con barche e battelli per addentrarsi nelle regioni selvagge dove vivevano soltanto indiani, regioni che gli europei speravano di colonizzare un giorno per impiantare il loro capitalismo. Così, navigando per penetrare nella foresta vergine, i padri gesuiti si applicavano prima di tutto a diffondere una bella musica e dei canti tutt’attorno, e mescolavano a questa musica e a questi canti le pratiche cultuali e sacramentali che conoscevano bene e che si propagavano sulle onde sonore, in qualche modo. Il risultato fu che gli indiani andarono verso di loro spontaneamente. Si radunarono in grande numero, tant’è che in un tempo relativamente breve i padri poterono distribuire una massa di uomini e di donne in regioni molto diverse, e perfino creare villaggi che organizzarono a modo loro. Costituirono così una sorta di Stato che strutturarono, anche esso, a modo loro, tanto bene che nel 1610 fu fondato il celebre Stato gesuita del Paraguay, i cui unici abitanti erano i dirigenti gesuiti e gli indiani. Vennero costruite delle chiese. Una di queste, dedicate a Santo Saverio, poteva contenere dalle 4 alle 5 mila persone. Tutto, nello stato gesuita, era rigidamente regolato in modo tale che il culto vi fosse onnipresente. Ovunque, fin nei più piccoli abitati, si badava a che la vita tutta fosse influenzata non soltanto dalla musica, ma anche dagli atti cultuali, e che il tempo fosse regolato in modo tale che le azioni degli uomini fossero scandite dalle campane della chiesa. Per tale occupazione, la campana suonava, per tale altra occupazione, la campana suonava ancora... Per citare soltanto un esempio: la gente non doveva semplicemente alzarsi la mattina, strofinarsi gli occhi, lavarsi e poi andare al lavoro nei campi. No, la campana della chiesa suonava. Si alzavano e si radunavano sulla piazza del villaggio. Lì, venivano accolti a suon di musica. In mezzo alla piazza si ergeva una statua oppure un’immagine della vergine o di un altro santo per il quale il padre gesuita, o il suo vicario, aveva già risvegliato negli indiani una certa comprensione. Si celebrava allora una sorta di funzione religiosa. La folla in preghiera alzava gli occhi al cielo. E poi tutti si avviavano dietro al santo o alla vergine, in processione. È in questo modo che si andava nei campi a lavorare. E quando la giornata giungeva a termine si riprendeva il santo o la vergine e si ritornava sulla piazza grande. La gente veniva allora congedata a suon di campane. Il culto era onnipresente. Atti simbolici si intrufolavano ovunque; perfino i lavori dei campi erano accompagnati da riti per i quali erano stati appositamente formati certi padri. Tutto era avvolto in un’atmosfera di culto. Di conseguenza, le relazioni che si tessevano tra i padri e questi popoli di indiani, afferravano sempre direttamente i corpi astrali così bene, che codesti erano preparati nel modo corrispondente. Tutto lo Stato gesuita in Paraguay era immerso così in un’aura astrale che risultava dal simbolismo, dai sacramenti e dai riti cultuali, i quali erano, ovviamente, diretti nel senso che i gesuiti volevano dare loro. Si ottennero in questo modo risultati eccellenti. Pensate! Si aveva a che fare con dei selvaggi che, fino ad allora, avevano conosciuto soltanto la caccia o altre occupazioni altrettanto primitive, e in un tempo relativamente breve, questa gente era diventata “intelligente”, nel senso dei gesuiti, ovviamente. Ad esempio poterono ben presto fabbricare loro stessi tutto ciò di cui avevano bisogno. Da lì a poco i padri si sarebbero attirati il rancore degli altri europei. Ebbero allora bisogno di un esercito. Presto ne radunarono uno, i cui ufficiali erano in parte indiani e in parte europei. Questa armata respinse con successo un attacco organizzato all’epoca contro il Paraguay da parte dell’Inghilterra. Le cose erano infinitamente più semplici di oggi, non di meno questo accadde. E gli indiani Guarani impararono ben presto a produrre tutto ciò di cui i padri avevano bisogno per fabbricare i propri fucili, e perfino i cannoni. Impararono anche a fabbricare strumenti musicali, a costruire organi, a dipingere, e si può anche dire che i loro dipinti e le loro sculture su pietra non avrebbero stonato nelle chiese spagnole. Però immaginatevi quale aura astrale avvolgeva tutto ciò! Quelli che coltivavano i contatti diretti con gli indiani erano soltanto intermediari. I padri, loro, abitavano in disparte, ma tiravano le fila e dirigevano tutto. Si mostravano soltanto nelle loro vesti di cerimonie, coperti d’oro, durante la messa, e gli indiani li scorgevano allora soltanto attraverso il fumo dell’incenso. Non c’è da stupirsi se in queste condizioni gli indiani vedessero in loro degli esseri superiori. Tutto questo faceva parte di questa azione diretta sul corpo astrale. Per dire il vero, la situazione morale di questo Stato gesuita sembra essere stata piuttosto buona. Ci viene raccontato che la maggior parte del tempo gli indiani non avevano da temere di essere traditi per ciò che facevano di male, perché prendevano sulla loro coscienza la responsabilità di denunciarsi loro stessi e si badava ad infliggere al colpevole soltanto la punizione con la quale lui si trovava d’accordo. Ignoro se l’applicazione di questo principio farebbe la felicità delle nostre società! Non ci si rende conto, in realtà, fino a che punto il modo di pensare sia cambiato nel corso del tempo. Pensate che più o meno nello stesso periodo, l’italiano Campanella4 immaginava uno stato abbastanza simile a quello di cui parlava l’inglese Thomas More. E Campanella non pensava affatto che questo stato potesse essere realizzabile alla sua epoca. Lì, vi imponeva come regola essenziale che nessuno potesse essere impiccato se non era d’accordo e se non dichiarava, prima di tutto, che era pronto per esserlo! Non è uno scherzo. Soltanto nella nostra epoca vi si vede uno scherzo. Tante altre cose furono realizzate dai gesuiti. Ad esempio si sono interrogati sulla quantità di lavoro che doveva essere richiesto agli uomini quando essi utilizzavano la loro energia. E tutti gli uomini lavoravano, come ho spiegato, eccezione fatta per i gesuiti che, per conto loro, dirigevano. Si sono quindi chiesti per quanto tempo l’uomo dovesse lavorare, quando tutti lavorano, per fare in modo che l’intero fabbisogno di una tale società, chiusa su sé stessa, fosse soddisfatto. E sono arrivati alla conclusione che, in condizioni normali, ognuno doveva lavorare due giorni alla settimana. In uno stato chiuso come il loro, se gli uomini lavoravano due giorni alla settimana, producevano tutto ciò di cui la società aveva bisogno. Ecco perché i gesuiti lasciavano la gente lavorare per loro stessi due giorni alla settimana, e tutto ciò che producevano gli altri giorni doveva essere dato allo stato. Tutto questo era utilizzato, di fatto, per la propaganda gesuita nel mondo. Questo dobbiamo riconoscere del gesuitismo: per più di un secolo, i gesuiti hanno avuto la possibilità di espandere la loro azione ovunque nel mondo grazie a ciò che veniva fornito loro durante quei cinque giorni di lavoro settimanale degli abitanti di questo stato, o perlomeno quattro, visto che alla domenica lasciavano le persone riposare, anche se dovevano allora recarsi in chiesa e partecipare a tutte le cerimonie. Grazie a tutto ciò, i gesuiti poterono espandere i loro affari in tutto il mondo. Ma finalmente gli europei che avevano stabilito lì il loro dominio e che si sforzavano di diffondere il capitalismo, si stancarono di questa economia gesuita. Il 22 luglio 1768 arrivarono numerose truppe di cavalieri che imprigionarono i gesuiti, e questo segnò la fine di questo stato. Pertanto, era durato dal 1610 al 1768, sviluppando tutta queste attività di cui vi ho parlato. Volevo raccontarvi questo per mostrarvi fin dove si può arrivare quando si utilizzano dei metodi che manipolano il corpo astrale degli uomini. Certamente era più facile applicare questi metodi sugli indiani piuttosto che su altre parti dell’umanità che non sarebbero state così facilmente manipolabili. Immaginate quello che farebbe la nostra gente se degli sconosciuti risalissero l’Elba e cercassero di impadronirsi di loro a suon di musica! Eppure questo funzionava una volta, quando si aveva a che fare con persone relativamente primitive. Più si va indietro nell’evoluzione dell’umanità, più è facile agire dall’esterno sul corpo astrale e sul corpo eterico degli uomini. Questi popoli avevano conservato il loro carattere influenzabile anche nel corpo fisico. Quando si vuole agire in questo modo, prima di tutto serve agire sul corpo astrale; quest’ultimo entra allora in vibrazione e a sua volta agisce sul corpo fisico. Ed è questo che è veramente efficace. Quando parlate ad un europeo, le parole che pronunciate giungono alle sue orecchie, ma il suo cervello vibra allora nel modo in cui è predisposto a farlo per via di tutta l’educazione e per via delle condizioni di vita nelle quali si trova. Non era il caso degli indiani guarani: qualcosa veniva fatto entrare nel loro corpo astrale, e il loro cervello vibrava allora all’unisono. La musica e le cerimonie cultuali producevano delle vibrazioni dalle quali gli indiani erano completamente presi. Alla fine non erano più altro che degli anelli dentro un’aura astrale collettiva. Noi, gli europei, siamo messi meglio vero? Le nostre teste si sono indurite, in modo da essere meno facilmente influenzabili. Questo è chiaro. Ma tutto è questione di grado e varia a seconda degli individui. Come vi ho appena detto, anche se in Europa non si poteva procedere in questo modo con le persone altamente colte, nondimeno è oggi possibile, in minor misura, ovviamente, intervenire sul corpo eterico e sul corpo astrale degli uomini, in modo tale che questa influenza si prolunghi in seguito fino al loro corpo fisico. Soltanto che, contrariamente a come succedeva nel passato, non può più scaturire da singoli individui. Perché anche se si avvolgessero da una nube d’incenso fisico o spirituale, non avrebbero più molta influenza sull’umanità europea. Ma quello che hanno fatto i gesuiti, mettendo semplicemente all’opera i loro uomini fisici, non ha più bisogno, oggi come oggi, di fruire di questo tramite. Perché come ho detto, là dove il corpo è più indurito, in confronto a quelli degli indiani, non si può più agire a partire dall’uomo fisico. Semplicemente non lo si tollererebbe più. Per tollerarlo bisognerebbe essere veramente creduli e sottomessi all’autorità! Ma tanto l’autorità incarnata in personaggi fisici, così come i gesuiti l’hanno ancora potuta esercitare, scompare, tanto la fede nell’autorità cresce quando gli esseri che agiscono sono meno fisici, o eventualmente non lo sono affatto, ma si accontentano di agire tramite degli uomini fisici. Perlomeno, succede ancora in questo ultimo terzo della quinta epoca postatlantica. Sappiamo che esistono delle entità arimaniche. Sono quelle che vengono chiamate diavolo dal popolo. E anche se, nella nostra umanità civilizzata, non ci sottometteremo mai all’autorità di un uomo fatto di carne – perché questo lo si teme come la peste –, non è esclusa la possibilità di sottomettersi ad una autorità quando le entità arimaniche agiscono tramite ciò che fanno gli uomini. In effetti possiamo dire, modificando leggermente un passaggio del Faust, che l’uomo colto non nota il diavolo, nemmeno quando quello lo tiene per il collo5. Questi esseri arimanici che circolano, invisibili, tra noi, hanno – e devono avere – altri metodi rispetto a quelli che furono usati ad esempio in Paraguay dai gesuiti nel XVII° e XVIII° secolo. Con gli indiani in effetti, si poteva agire sul corpo astrale, e oltre tutto essi avevano un corpo fisico ancora malleabile. Oggi bisogna procedere diversamente. Bisogna prendere coscienza e tenere conto del fatto che il pensiero stesso delle persone viene influenzato senza che se ne accorgano, facendo penetrare certe forze nel loro modo di pensare. Non dico che gli uomini fanno questo. Viene fatto piuttosto tramite certi uomini, così che allora alcune entità arimaniche si addentrino nei pensieri della gente e li orientino. Quando alcuni uomini aderiscono ad una certa opinione, si immaginano che questa è la loro personale convinzione. Visto superficialmente, è probabilmente così, ma in profondità, è tutt’altra cosa. Quando un’opinione si diffonde nella vita pubblica, per via di certe tendenze affettive, certi orientamenti della sensibilità vi sono iniettati subdolamente, – scusate l’espressione –, e le persone credono di averla compresa grazie alla loro intelligenza, mentre in realtà questo giudizio si è semplicemente riversato, per così dire, nelle loro abitudini di pensiero. Di seguito le persone si illudono di aver adottato un giudizio indipendente da qualsiasi autorità, perché non vedono il modo nel quale questo giudizio si è infiltrato in loro. Come è possibile che questo genere di cose possa avvenire? Ebbene ad esempio, in questo modo: nel corso dei tempi, la gente si è fatta una opinione su quello che deve essere il metodo scientifico. Questo proviene, per dire il vero, da ogni sorta di abitudine del pensare, perché se esaminate il modo in cui le cose si sono svolte storicamente, vedrete che questa opinione non è stata edificata sulla comprensione. Di seguito si è aggiunta a questa opinione tutta fondata sulla scienza, quest’altra opinione che la scienza deve provenire da un luogo pieno di mistero: l’università o altra cosa del genere. Ciò che non nasce da lì non si infiltra così bene nelle abitudini del pensare! E poi tutta una serie di nomi vengono ancora ad accalcarsi in queste abitudini del pensare. Non si crede in nessuna autorità, ovviamente, perfino non si crede in niente, ma si crede semplicemente a quello che tale personalità nota, celebre, conosciuta, ha detto! Ed ecco come a poco a poco viene creata una corrente di opinioni che fa meravigliosamente il gioco di Arimane. Perché, allora, vi può agire con tutte le sue forze. Arimane non può trovar posto nella vita cosciente, nella vita veramente cosciente. Quando si mantiene la propria coscienza desta, Arimane non può penetrarvi. Ma se non siamo vigili e se, come ho indicato, ci lasciamo trascinare nella corrente delle abitudini del pensare, Arimane può allora penetrare ovunque e formattare la gente a suo piacimento. E quelli che si sono dedicati con tutta la loro personalità a questa corrente, quelli che, già in tenera età, sono ad esempio stati addestrati alla “scienza esatta”, sono particolarmente esposti a questa formattazione. Supponiamo, ad esempio, che qualcuno sia stato addestrato molto presto al metodo psicologico più severo. La psicologia ha preso in questi ultimi tempi un carattere ben particolare. Nel 1901, Eduard Von Hartmann ha scritto una storia della psicologia moderna6. Già dall’inizio accenna ad una cosa di cui la psicologia ormai non parla più, perché “scientificamente superata”. Oramai in effetti non è più scientifico parlare di questo genere di cose. Così scrive: “Nella seconda metà del XIX° secolo, alcuni filosofi teisti si aggrappavano ancora all’idea dell’immortalità di una sostanza animica cosciente di sé stessa, e quindi anche ad una rimanenza di libertà indeterminista, ma il più delle volte si accontentavano di voler fondare scientificamente la possibilità di un tale desiderio”. Orbene, ai giorni nostri, tutto ciò è superato. È evidente che la psicologia non si occupa più né del problema dell’immortalità, né di sapere se esiste una libertà umana. Non sono più delle domande “scientifiche”! Ecco come veniamo addomesticati al metodo scientifico. Si fondano delle società di psicologia nelle quali, ovviamente, non è permesso di accennare a stupidaggini come la Scienza dello Spirito che non corrispondono a niente di “scientifico”. In questi ultimi tempi forse, avrete dato un’occhiata alla stampa. Qualunque sia il vostro orientamento politico, avrete potuto leggere nei giornali, su più colonne, articoli a proposito di una conferenza appena tenuta all’interno di una erudita società di psicologia di Berlino. Un eminente psicologo moderno, un certo Löwenstein, ha in effetti parlato della psicologia dei piccoli annunci! Bisogna pur ben padroneggiare il metodo scientifico, vero, per poter trattare un tale argomento con spirito perfettamente scientifico! Pensate a quanto sia interessante per la scienza! Un annuncio esce sul giornale: cercasi giovane persona, o qualcosa del genere, che possiede, sicuramente, certe qualità, ed ecco che arrivano un mucchio di lettere. Rivelano la psicologia, l’anima, di tante e tante giovani ragazze. Che sguardo profondo si può gettare in questo modo nella vita dell’anima umana! Sarà veramente molto più rispettabile cogliere questo tipo di rivelazioni, piuttosto che dedicarsi a questioni superate come l’immortalità dell’anima o la libertà umana? Lasciate dunque queste cose superate a quelli che non se ne intendono di scienza! Ma per poter trattare un tale argomento in modo del tutto scientifico, bisogna prima di tutto procedere con degli esperimenti. Il metodo scientifico lo dice chiaro: semplici osservazioni fatte a caso non permettono di “indurre” – non so se conoscete questa espressione – una legge. Orbene, il metodo scientifico esige che si proceda sempre strettamente tramite “induzioni”. Questo significa che non è sufficiente trattare i fenomeni in modo da giungere alle proprie conclusioni tramite semplici dati presi a caso, che potrebbero indurre all’errore. Bisogna quindi sperimentare. Nello stesso modo in cui il chimico, attraverso le sue sperimentazioni, osserva la natura per comprenderne i segreti, così è necessario scrutare la vita dell’anima in modo da scorgerne i segreti quando piccoli annunci svolazzano qua e là e quando le risposte si ammucchiano. E come si può diventare uno “sperimentatore”? Anche questo i giornali lo hanno spiegato in tutti i modi, in lungo e in largo. Prima di tutto si deve essere uno scienziato, uno psicologo, ma non della vecchia scuola, come quelli che parlavano ancora dell’immortalità. Ci occupiamo di piccoli annunci! E per iniziare, procediamo noi stessi a pubblicare un annuncio. Facciamo sapere che cerchiamo una giovane donna idealista, non molto attaccata alle cose del mondo esterno. Poi lasciamo questo annuncio volare via. Riceviamo allora numerose lettere. Lo scienziato molto serio, di cui stiamo parlando, ha ricevuto più di duecento risposte. Già questo permette di conoscere la psiche umana! Possiamo quindi farci un’idea di cosa un annuncio di questo tipo scatena nelle anime. Ecco quindi una fase dell’esperimento. E per giungere ad una “induzione” completa, ossia per cogliere il problema sotto un altro aspetto, pubblichiamo un altro annuncio, ma questa volta non ricerchiamo più una persona idealista, ma una compagna molto terra a terra. Ed ecco di nuovo che arrivano più di duecento risposte! Il nostro scienziato si mette allora seriamente al lavoro. Come prima cosa si dedica alla storia degli annunci matrimoniali partendo dalle origini. Grazie a lui, sappiamo che il primo annuncio fu pubblicato più di duecento anni fa in un giornale di Amburgo. Rendetevi conto… finalmente lo sappiamo! Ne conosciamo perfino la lunghezza: era un vero romanzo. Però bisognava ancora aumentare il numero di questi appassionanti oggetti di studio della nuova psicologia. Per ottenere un “induzione” completa, il nostro scienziato ha anche contato quanti annunci erano stati pubblicati in due giornali diversi, durante 2 giorni consecutivi, e questo non solo una volta, ma per più volte. Addizioniamo tutti i numeri, poi calcoliamo le medie. È indispensabile introdurre ovunque la matematica, se vogliamo essere scientifici! I giornali hanno detto – credo di non sbagliare – che in due giorni i due giornali hanno pubblicato settecento annunci. La scienza esatta ha dunque, lo vediamo, un vasto campo di sperimentazioni da sfruttare. Ignoro se il nostro scienziato fosse veramente così, ma in ogni caso, sempre secondo i giornali, avrebbe insistito sull’importanza dei suoi lavori. La scienza dello Spirito avendo infine raggiunto un certo livello, potrebbe oramai svolgere pienamente la sua missione e intervenire nella vita pratica in un’epoca che impone all’umanità esigenze così grandiose. Chi coltiva questa psicologia dei piccoli annunci potrà diventare uno psicologo pratico in questo ambito. Quanti servizi meravigliosi potranno in effetti fornire ai soldati che, tornando dal fronte, dovranno trovare la loro compagna di vita! Grazie alla sua formazione scientifica lo psicologo potrà finalmente risolvere questo problema: i suoi numerosi esperimenti gli permetteranno di mostrare ai combattenti che tornano dai campi di battaglia, se cercheranno una compagna, come redigere un piccolo annuncio! Questo non è una favola, cari amici. È veramente successo qualche giorno fa. Possiamo vedere che gli uomini ignorano totalmente quello che succede nel loro corpo astrale, perché in realtà non ne sanno nulla. Tutto ciò è possibile soltanto perché esistono queste correnti di natura arimanica che si infiltrano nelle abitudini del pensare degli uomini e li incitano a credere che la scienza può essere applicata a tutto. Quando questo viene accompagnato da un certo umorismo, si può anche scusare. Eccone un esempio, a proposito di uno studio circostanziato pubblicato recentemente negli “annali prussiani”, dove uno scienziato filosofo passa accuratamente al setaccio la letteratura greca di Omero e di Aristofane per sapere quale ruolo vi svolgevano i pidocchi7. Anche se con un po’ di umorismo, il suo studio è prettamente scientifico. Lo si può trovare negli “annali prussiani”! Queste cose, che portano alla luce ciò che sta dietro alle apparenze della vita attuale, sono più gravi di quello che potrebbero sembrare. Prima di tutto importa sapere che abbisogniamo, alla nostra epoca, di una corrente di Scienza dello Spirito, anche se chi è prigioniero delle abitudini del pensare attuale ne ha paura. La Scienza dello Spirito fa paura perché propone una conoscenza dell’uomo di cui la gente ha inconsciamente paura. Questa conoscenza può essere controbilanciata soltanto se, nella vita, quando certi eventi si presentano, non perdiamo mai di vista le nostre relazioni con l’umanità. Ecco perché, in un contesto sociale come quello della nostra Società antroposofica, ci si sforza sempre di coltivare, in parallelo alla diffusione della Scienza dello Spirito, anche dei sentimenti di fraternità. È la controparte necessaria. Altrimenti, le passioni potrebbero avere il sopravvento. D’altra parte però, per poter giudicare dei fatti della nostra epoca, è anche necessario aprire un po’ gli occhi sul modo di essere di molti dei nostri contemporanei. In questo ambito, bisognerà sempre seguire una certa regola che potremmo paragonare al rispetto del segreto postale. Quando troviamo una lettera destinata a qualcun altro, non la apriamo per leggerla. Ebbene, nemmeno si guarda l’anima di qualcuno, o anche tutta la sua vita, almeno che non ci sia un motivo valido, ad esempio questo: vediamo una personalità che ha preso, agli occhi dei suoi contemporanei, una certa importanza, e per aiutare questi stessi contemporanei a vederci chiaro, bisogna fare luce sulla vita dell’anima di questa personalità, con i mezzi che la Scienza dello Spirito può darci. Ecco perché qualcuno come Löwenstein, con la sua psicologia dei piccoli annunci, è capace di diffondere dei concetti tanto stravaganti tra quelli che non accettano per niente di credere in una autorità, che non credono in nessuna autorità, e non sono nemmeno credenti, ma che pure cadono nel tranello appena qualcosa si presenta sotto il nome della scienza. Dobbiamo sapere che l’anima umana è delle più complesse, e che non la si può conoscere finché non si penetra in quella complessità. Pensate: esistono già quattro parti costitutive – facendo astrazione delle parti costitutive superiori – e si tratta ora di sapere come interagiscono nell’uomo. È del tutto possibile, ad esempio, che il corpo fisico abbia conservato qualcosa della malleabilità della quarta epoca Post-atlantica pur dimostrando, nello stesso tempo, una buona ricettività per tutto ciò che produce la vita intellettuale della nostra epoca. Oggi è del tutto possibile che un uomo sia costituito in modo tale che il suo organismo possieda ancora, da una parte, delle caratteristiche rimaste indietro dall’epoca greco-latina e disponga lo stesso di una testa capace di cogliere e di esprimere con una certa acutezza i pensieri della nostra epoca. Questo è veramente possibile! Un uomo di questo tipo verrà considerato in questo modo perspicace e perfino molto intelligente. Però è possibile che allo stesso tempo, per via delle proprietà particolari del suo organismo alle quali ho accennato, sia debole di spirito. Dal momento in cui si sa che l’uomo è un essere complesso, non ci stupiremo che qualcuno possa essere nello stesso tempo sia intelligente che debole di spirito. Vedete come la Scienza dello Spirito sia in grado di aiutarci a comprendere la situazione attuale, che gli uomini rendono talmente complessa. Non credete, cari amici, che io abbia da ridire quando qualcuno che, come in questi giorni, esprime certe riserve a proposito degli affari americani. Ovviamente non sono contrario ad una certa prudenza politica o ad un comportamento che fa si che certe cose che devono succedere possano effettivamente succedere. Ma questo non impedisce di vedere la verità. Ed è la ragione per la quale, anche se queste cose sono successe, e proprio perché sono successe, ho recentemente portato l’attenzione, in una conferenza pubblica, sul modo in cui Wilson8, l’attuale presidente americano, sviluppa certi pensieri. Ho citato nella mia conferenza pubblica9 tutto un passaggio di uno dei suoi libri che mostra cosa pensa a proposito della libertà, il che illustra bene a che punto il suo pensiero – che non chiameremo americano, ma piuttosto meccanicista – sia lontano da ciò che pensatori come Fichte, che hanno posto i primi elementi di una vera teoria della libertà, hanno potuto offrire alla vita spirituale, attraverso la cultura europea. Orbene, ci possiamo chiedere se, nelle condizioni politiche attuali, era veramente necessario che qualcuno si presentasse e citasse, diciamo per puro caso, esattamente le stesse frasi di quelle che ho citato dal libro di Wilson sulla libertà, e aggiunga, per caratterizzare Wilson, che da due anni niente è stato scritto di così importante nel mondo, e che sarebbe meraviglioso aver un tale uomo in Europa perché è il Fichte americano. – Si, cari amici, possiamo leggere questo in questi giorni in una pubblicazione tedesca: Il Sig. Wilson è il Fichte dell’America! Cari amici, se cose come queste possono succedere, è perché gli uomini sono loro stessi talmente complicati. E visto che siamo qui tra di noi, possiamo accennare a questo genere di fenomeni, perché tra di noi ci devono essere persone che, grazie a ciò che la Scienza dello Spirito ci aiuta a capire, sappiano di cosa si tratta. Possiamo disporre di un corpo, come vi ho spiegato, che sia rimasto altrettanto influenzabile quanto lo erano i corpi greci o latini e che quindi non ha ancora raggiunto il grado di evoluzione degli organismi attuali, ed essere anche, allo stesso tempo, qualcuno di intelligente e di perspicace, condividendo tutte le forme di giudizio espresse ai giorni nostri. Si può essere nello stesso tempo sia debole di spirito che superiormente intelligenti! Sicuramente si potrà aver anche molto successo presso i nostri contemporanei – di cui non bisogna dire che credono ad una autorità – se, per via di questo corpo malleabile, si diventa finalmente una sorta di fonografo, sì, un fonografo umano, attraverso il quale ogni sorta di pensiero della nostra epoca può agire amplificato, deformato, caricaturato. Colui che trova stupido scrivere questo tipo di assurdità di cui ho appena parlato, deve di sicuro essere lui stesso ancorato nel proprio tempo e prendere parte alla cultura della propria epoca. Ma per comportarsi da uomo sveglio, è inutile vivere sé stesso nella cultura e nella vita spirituale della propria epoca, è sufficiente essere abbastanza perspicace da capire le forme del pensare attuale e di aver un corpo come l’ho descritto. Come vedrete, questo è proprio il caso di uno dei nostri giornalisti il quale, da decenni, esercita una forte influenza in vasti ambiti, ossia Maximilien Harden. Dobbiamo conoscere le forze che agiscono alla nostra epoca. Dobbiamo sapere in che modo, oggigiorno, l’opinione pubblica è costruita e come viene collegata alla natura umana, e non possiamo saperlo se non appoggiandosi alla conoscenza dell’uomo tramite la Scienza dello Spirito. Infatti, è l’unico modo per non farsi trascinare dalla corrente di cui ho parlato, che formatta le abitudini del pensare e che fa dire: la fede nell’autorità… è da tanto tempo che l’abbiamo superata! Non crediamo più in nessuna autorità, ma crediamo a tutto quello che è scritto nel Zukunft, perché noi facciamo parte di una certa categoria di lettori! Quello di cui abbiamo bisogno, miei cari amici, è che grazie all’aiuto della facoltà di giudizio che poggia sulla Scienza dello Spirito, riusciamo a cogliere i valori che sono in vigore nella nostra civiltà. Peraltro non è necessario lasciare fluire tutto ciò nel nostro comportamento pratico: è la nostra facoltà di giudicare, e non le nostre emozioni, che dobbiamo regolare in modo giusto. Attualmente tutto non è altro che un ammasso confuso e caotico. Certo che non viviamo in regioni dove la maggioranza della gente, come gli indiani di cui ho parlato, alza gli occhi verso i luoghi dove i preti, nei loro abiti dorati, sono avvolti dal fumo dell’incenso. No, non facciamo questo! Ma abbiamo altri altari: i giornali e altri mezzi di comunicazioni di massa del genere. E per quanto ilfumo che li avvolge sia più spirituale – il fumo dell’incenso è ovviamente più materiale di quello che avvolge le autorità della nostra epoca –, l’odore spirituale che ne scaturisce è sicuramente meno buono del profumo dell’incenso! Ecco dunque questa massa, questa massa caotica, che agisce con autorità sugli uomini “che non credono più in nessuna autorità”. Ma è difficile fare valere nel modo giusto l’unico mezzo che potrebbe permettere all’uomo di scappare da ciò che lo cattura cosìfacilmente. Per questo bisogna in effetti accettare di legarsi con diversi tipi di cose, e le difficoltà che la Scienza dello Spirito incontra per penetrare nella vita così come dovrebbe fare, sono tante. Dovrebbe prima di tutto prendere parte ai diversi ambiti della vita. Siccome possiamo dedicarci soltanto ad un ambito dopo l’altro, l’azione che possiamo esercitare sugli uomini non può essere che lenta e progressiva. Ad esempio, visto che il karma ce lo ha permesso, abbiamo provato ad elaborare questa sorta di arte gestuale che conoscete bene; ne abbiamo spesso trattato sotto il nome di Euritmia. Certamente si può pensare quello che si vuole di questa Euritmia, ma la prima esigenza è che sia presentata agli uomini in modo degno. Ebbene, ecco che qualche giorno fa, abbiamo dovuto leggere che uno dei nostri membri – sì, uno dei nostri membri! – si è appena esibito su un palcoscenico di Monaco. Questo personaggio lungo e esile… ha prima di tutto recitato a modo suo qualche poesia, poi è scomparso dietro le quinte per riapparire tutto di bianco vestito e, come lo racconta in modo beffardo il giornale, declamare di nuovo mentre si adoperava ad ogni sorta di contorsioni, agitando un velo. Poi scomparve ancora una volta e tornò con un costume blu con i galloni dorati. Sotto una pioggia di applausi e di risa, ha continuato a declamare in questo modo. Tutto ciò era presentato sotto il titolo di “Arte euritmica della recitazione”. Questo signore è uno dei nostri membri! Abbiamo dunque fatto in modo che questa Euritmia, a noi così cara, diventasse, grazie ad uno dei nostri membri, lo scherno del pubblico. Uno degli articoli apparsi nel giornale di Monaco aveva come titolo: “Euritmia… e altre pesti dovute alla guerra”. Vedete quanto è difficile fare passare la Scienza dello Spirito nella vita, quando quelli che vogliono cooperare non hanno compreso il giusto spirito delle cose. Cari amici, è veramente necessario considerare molto, molto più seriamente di quanto sia stato fatto fino adesso, quali impulsi devono animare il nostro movimento. Proseguiremo con queste riflessioni la prossima volta. 1 Traduzione di Muriel Noury della oo 167 Fatti presenti e passati nello spirito umano dalla versione francese La liberté de penser et les mensonges de notre époque (La libertà di pensare e le menzogne della nostra epoca) Ed. Triades – giugno 2000 dall’opera tedesca Gegenwärtiges und Vergangenes im Menschengeiste – 2° edition, 1962, Rudolf Steiner Verlag, Dornach 2 Alberto Magno, conte di Bollstädt (1193-1280), Doctor universalis, maestro di Tommaso d’Aquino. 3 oo 131 Da Gesù a Cristo – 13 ott 1911 4 Tommaso Campanella (1568-1639). Fu imprigionato per 27 anni. Scrisse La città del Sole in prigione 5 Goethe, Faust I Cantina di Auerbach, v. 2181 seg. 6 Eduard Von Hartmann, Die moderne psychologie Leipzig, 1901. 7 Theodor Birt, Die Laus im Altertum (Il pidocchio nell’antichità), Preussische Jahrbücher. t.164, p. 271, Berlino 1916. 8 Woodrow Wilson (1856-1924), nel 1917 trascinò gli Stati uniti nella guerra contro la Germania, essendo appena stato rieletto “presidente della pace”. Die neue Freiheit (la nuova libertà), Munich, 1914. 9 oo 65 Vita spirituale dell’Europa centrale – 13 aprile 1916


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Informatica

Smishing: Come difendersi

di Mario Lorenzini

I fenomeni del fishing prima dello smishing poi, stanno ormai dilagando da tempo. Che cosa sono? Detto terra terra, si tratta di imbrogli, fregature o raggiri che dir si voglia. Si cerca nella pratica, di carpire informazioni in modo subdolo, anche dati sensibili, non solo facenti farte dell’anagrafica personale, ma soprattutto codici come username e password per aver accesso ad account utente. In questo modo sarà possibile intrufolarsi nei conti correnti dell’utente, fare acquisti e pagare al suo posto, con la sua carta, disporre insomma delle stesse autorizzazioni del malcapitato. Come si manifesta il fishing? Solitamente sottoforma di e-mail al nostro indirizzo. Nell’oggetto un qualcosa di accattivante come “ritira il premio” con un mittente sconosciuto o falso (es. la nostra banca, ma senza un logo certificato). Se apriamo quella mail non accade niente, nemmeno se l’anteprima è attiva. Ma vedrete sicuramente un link nel corpo del messaggio che sarete invitati a cliccare per “prenotare il premio vinto”. NON FATELO! Non ci sono riferimenti a reali siti di vere e accreditate società che vogliono cedervi un regalo. Quel collegamento metterà in atto uno script che invierà i vostri codici direttamente al furbone di turno. Quindi, non abboccate (fish = pesce, fishing). Spesso questo raggiro è sottoforma di SMS (smishing = SMS fishing). A mio avviso in questo caso il pericolo è ancora maggiore perché è sin troppo semplice lasciarsi andare a un tap del dito e alla curiosità. Qualcuno ci riflette pure: «Tanto è solo un telefono…». Macché! Il vostro smartphone è in tutto e per tutto un surrogato del vostro pc o notebook. L’SMS richiamerà una pagina web, come nella situazione vista sopra. Nella peggiore delle ipotesi, il meccanismo che carpisce le vostre informazioni parte subito dopo il click. Non si tratta di una mail che contiene link, ma di un accesso diretto a un sito, con tutta probabilità malevolo. Soluzioni La cosa migliore da fare è… non fare nulla. Non aprite quel messaggio, quel collegamento. Non cedete alla tentazione di scoprire chi vi vuol proporre una promozione o un regalo. Un proverbio toscano recita: «Regalo è morto e Donato sta male», insomma, nessuno vi dà qualcosa per niente. Non lambiccatevi il cervello tentando di capire chi mai possa essere con quell’improbabile indirizzo e-mail, o con quel numero di telefono sconosciuto: eliminate mail e SMS. Se poi, vuoi per distrazione o altro, vi scappa di premere su quel link, sarete comunque tutelati se avete installato un buon antivirus. Quest’ultima casistica è data per scontata sui pc ma solo una ristretta minoranza di utenti installa un software per la sicurezza sul proprio cellulare. Pensateci. Eviterete un rischio concreto di perdita di dati del vostro account.


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Medicina

Novità in Farmacopea: XXVI parte

di Stefano Pellicanò

A) DIABETOLOGIA a) Nuovi farmaci per il diabete tipo 1 e tipo 2 Il diabete di tipo I diversamente dal tipo II, non ha una base alimentare ma autoimmunitaria in cui il sistema immunitario distrugge le cellule del pancreas che producono insulina. Adesso farmaci biologici, bloccando alcune componenti del sistema, sono validi prima dell’insorgenza della patologia, cioè in presenza di autoanticorpi, in uno stato di prediabete. Altre novità terapeutiche prevedono l’impiego di cellule staminali ingegnerizzate, sperimentazioni che puntano a rigenerare le cellule beta del pancreas che producono insulina e farmaci in grado di migliorare le glicemie, quali gli inibitori o antagonisti del glucagone; infine il pancreas artificiale ha compiuto notevoli progressi. Per il diabete tipo 2, nuovi farmaci come i GLP-1 receptor agonisti e le glifozine, sono in grado di facilitare l’escrezione di glucosio per via urinaria e di indurre un importante calo ponderale con ricadute positive sulle complicanze cardiovascolari, renali e microvascolari del diabete. Grazie a questi trattamenti possiamo ragionare anche in termini di reversibilità della malattia e prolungamento della vita del diabetico. I nuovi approcci trovano indicazione nel diabetico obeso ma anche in quello in sovrappeso. Restano comunque fondamentali gli interventi sullo stile di vita, soprattutto nella fase di pre-diabete infatti un calo ponderale del 7-10 % e un’attività fisica regolare (50’ x 3 volte/settimana di attività moderata) dimezzano il rischio di progressione verso il diabete conclamato, oltre a avere importanti effetti metabolici (fonte: 28° Congresso interassociativo dell’Associazione medici diabetologi, Amd, e della Società italiana di diabetologia, Sid, Lombardia, 2022).   B) EMATOLOGIA a) Tumori del sangue: ibrutinib in monosomministrazione giornaliera per il trattamento di leucemia linfatica cronica, linfoma mantellare e macroglobulinemia di Waldenström La leucemia linfatica cronica è la forma di leucemia più frequente tra gli adulti in Occidente e rappresenta il 30% di tutte le leucemie con circa 1.600 nuovi casi/anno in Italia tra gli uomini e 1.150 tra le donne e è prevalentemente tipica nell’anziano tuttavia il 15% dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni inoltre in più della metà dei pazienti la patologia viene diagnosticata per caso, nel corso di esami di routine. Ibrutinib, inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK), per il trattamento di leucemia linfatica cronica, linfoma mantellare e macroglobulinemia di Waldenström è proposto in una nuova formulazione in compresse rivestite con film che permette, rispetto alla precedente in capsule, un’unica somministrazione/die per tutte e tre le indicazioni e ora disponibile anche per i pazienti con leucemia linfatica cronica di età <65 anni. Con la nuova formulazione si passa da tre capsule da 140 mg ciascuna a un’unica compressa da 420 mg/die e per il linfoma mantellare, invece, il passaggio da quattro capsule a una singola compressa da 560 mg/die. C) NEFROLOGIA a) Glifozine, farmaco per il cuore, rallenta la malattia renale con meno 30% di decessi La malattia renale cronica (MRC) è una delle principali cause di mortalità a livello globale, almeno 5 milioni di decessi/anno con un numero di casi in costante crescita, essendo la MRC strettamente collegata a altre patologie metaboliche e cardiovascolari, tra cui diabete, ipertensione e obesità. Lo studio internazionale EMPA-KIDNEY, condotto dall'Università di Oxford con la partecipazione dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, centro coordinatore per l'Italia ha dimostrato che è possibile contrastare la progressione dell’MRC (che in Italia conta 3 milioni di pazienti), grazie a un trattamento finora approvato solo contro il diabete e l'insufficienza cardiaca e che la terapia non ha controindicazioni e riduce del 28% l'avanzamento della malattia e il rischio di morte cardiovascolare. Lo studio clinico ha ricevuto lo stop anticipato per gli evidenti effetti positivi registrati dopo il trattamento. Le glifozine bloccano il funzionamento delle proteine renali chiamate co-trasportatori sodio-glucosio, fondamentali per il mantenimento dei livelli ottimali di glucosio nel sangue e inibendo il funzionamento di queste proteine prevengono l'accumulo di glucosio in eccesso che viene espulso attraverso le urine innescando meccanismi con molteplici effetti protettivi sulle cellule renali (fonte: The New England Journal of Medicine, 2022).


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Novità in Sanità Pubblica: XVIII parte

di Stefano Pellicanò

A) Rendita per un tumore dopo un uso prolungato del cellulare per motivi professionali Una sentenza della Corte d'Appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Aosta del 2020 che aveva riconosciuto il nesso causale tra l'utilizzo del cellulare e l'insorgenza del neurinoma del nervo acustico e aveva condannato l'INAIL a pagare una rendita mensile di circa 400 €, per malattia professionale a un lavoratore 63enne, ora in pensione, tecnico specializzato delle Cogne Acciai Speciali che, tra il 1995 e il 2008, ha usato, per motivi di lavoro, il telefonino per oltre diecimila ore, con una media di 2,5ʰ/die che ha causato un tumore benigno intracranico e una conseguente “sordità sinistra, paresi del nervo facciale, disturbo dell'equilibrio e sindrome depressiva”. B) Esami radiologici non necessari: è reato il prescriverle La Suprema Corte con la sentenza n° 36820 del 29 settembre 2022 afferma che commette reato il medico che sottopone il paziente a radiografie inutili o comunque evitabili, non necessarie per un’immediata prestazione sanitaria (intervento, trattamento farmacologico, ecc.). Solamente il medico di famiglia e lo specialista possono prescrivere un esame radiologico e soltanto quando ve ne sia necessità. Ricordiamo che è vietata l’esposizione non giustificata ai raggi X. C) I.S.S.: scoperto un marcatore di malattie stress-collegate Ricercatori del Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell'Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.) studiando la proteina MECP2, ovvero Methyl-CpG binding protein 2, fondamentale per il funzionamento delle cellule nervose, nota perché alcune mutazioni del gene che la codifica sono la principale causa della Sindrome di Rett, una malattia neurologica rara, molto grave, che colpisce fin dalla prima infanzia prevalentemente il sesso femminile hanno concluso che la sua riduzione nel sangue sembrerebbe favorire il rischio di sviluppare malattie correlate allo stress, in persone, soprattutto donne, che, durante l'infanzia o l'adolescenza, abbiano vissuto esperienze particolarmente avverse, suggerendo che MECP2 possa essere un marcatore di suscettibilità allo stress. I risultati hanno confermato che esiste una connessione tra i livelli ridotti di MECP2 e gli esiti disadattivi, quali ansia e depressione, delle esperienze avverse vissute in infanzia e che tale legame è più forte tra le donne (fonte: Translational Psychiatry, 2022)


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Novità in Medicina: XXVI parte

di Stefano Pellicanò

A) DIABETOLOGIA a) Diabete: influenza triplica il rischio dei ricoveri ospedalieri A causa dell'influenza, i soggetti diabetici hanno un rischio doppio di infezioni letali, triplo di ospedalizzazione, quadruplo di ricovero in terapia intensiva (fonte: Commissione Diabete A.M.E., 2022). L’infezione da virus influenzale, inoltre, può favorire l’insorgenza di chetoacidosi diabetica, aumento dei livelli glicemici e interferire con le normali attività quotidiane, riducendo il sonno, l’accesso allo studio e al lavoro, l’interazione con la famiglia e gli amici e la capacità di sottoporsi a attività fisica. B) INFETTIVOLOGIA a) Batteri super-resistenti agli antibiotici: entro il 2050 prima causa di morte nel mondo? Gli antibiotici sono una delle conquiste fondamentali della ricerca medica che rischiamo di compromettere a causa di un uso eccessivo e/o improprio. L'antibiotico-resistenza preoccupa in particolar modo l'Italia che continua a essere “maglia nera”' in U.E., con 15mila morti/anno per infezioni ospedaliere da batteri resistenti, quasi la metà del totale dei decessi (fonte: ECDC, 2022). Lo scenario come prima causa di morte, prima di infarto e ictus ci attende se non si mettono in pratica comportamenti individuali responsabili e politiche e interventi mirati pertanto è urgente intensificare gli sforzi delle istituzioni sanitarie e dei professionisti della salute su diversi fronti, quali la promozione di un uso razionale degli antibiotici, dentro e fuori dagli ospedali, supportare la ricerca di nuove molecole e aumentare la consapevolezza della popolazione sul pericolo legato alla comparsa di batteri resistenti. Utilizzarli correttamente è una responsabilità di tutti per evitare di ritrovarci in futuro senza strumenti efficaci per combattere le infezioni, ai danni soprattutto dei più fragili (fonte: Giornata europea e della Settimana mondiale di sensibilizzazione sugli antibiotici,18 novembre 2022).


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Racconti e poesia

Memoria da ricordare

di Patrizia Carlotti

Ascolto il tuo cuore battere
per questo mondo sterile
getto nel mare l'ancora
che salvarci potrà...
Guardo i tuoi occhi vivere
stelle lucenti ridere
specchi di vita semplice
sei nell'anima mia

un'altra vita nasce già
speranza porterà
guerre impunite punirà
questo sole pace porterà
Un seme d'amore tu sarai
vittoria canterai
vesti sorrisi ogni giorno
il cuore si desterà
Piccolo amore fragile
devo lasciarti correre
non ti potrò raggiungere
senza fiato resterò
tanta fatica inutile
volata via da queste stanze
non cvi è memoria da ricordare
se non la nutrirai


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Corsica nel cuore

di Antonella Iacoponi

Ecco, finalmente, la riva del mare!
Il canto delle onde immerge il mio cuore
in un tempo lontano, di infanzia e letizia:
dolci erano le vie che portavano al mare,
lastricate di risa, di affetto,
ornate da vigneti rigogliosi,…
ogni tanto, mentre i volti si aprivano in un sorriso,,
un chicco d’uva volava tra le nostre labbra,
come d’incanto… tutto era incantato, allora!
Le vie si snodavano felici,
innanzi a noi, dal monte al mare,
deliziandoci con panorami idilliaci,
gli uccelli accompagnavano il nostro cammino,
con fresche melodie, mentre farfalle variopinte
danzavano tra i filari, vestite a festa;
una volta giunti al mare, tra i saluti dei gabbiani,
le vie lasciavano la terra e fluttuavano nei cuori,
dove dimorano tuttora,
sfoggiando pregiati asfalti di gioia e serenità.


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se Gesù nasceva a Roma...

di Annalisa Conte

A Marì ma che stai a di’
Mo chi è Sto Gabriele
Che viee qua da te de notte
Si lo ppio ma sai le botte
Ma quale angelo der Signore
M'avessi preso pe n'Fregnone
Marì sta storia nun sta in piedi
Io so N' omo Che te credi
Aspetti n'fio Che nun è mio
E dici che è er fijo de Dio
E te guardo piccoletta
Chiusa dentro a sta stanzetta
T'avvicini poi me strigni
"a Giusè me devi crede
So che pare na congiura
Ma t'o giuro io so pura
A Marì che devo fa?
Io nun posso nun amatte
Vivo solo pe adoratte
Dai Marì nun piagne più
Come è er nome?
...ah sì Gesù...
Io c'ho Fede ner Signore
Starò qui co te Maria
E cresceremo sto Messia


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Il finto morto

di Giuseppe Furci

C'era una volta un uomo molto povero che, per sbarcare il lunario, non aveva altra scelta che quella di comprare con la formula del credito ciò che gli serviva, sorretto dalla speranza di trovare, prima o poi, una via onesta per onorare i debiti. La stoffa dell'imbroglione o, peggio, del bandito non era fatta per lui, anche se le capacità di vestire i panni dell'uno o dell'altro non gli mancavano. Era inevitabile che alla lunga, non riuscendo a guadagnare dei soldi per pagare, i debiti diventassero sempre più grossi, tanto che alla fine nessuno era più disposto a continuare a fargli credito. Ovunque si presentasse, la musica era puntualmente la stessa: "Mi dispiace, se non pagate quello che avete preso fino ad adesso, non posso farvi altro credito!" Per non morire di stenti, ha pensato bene di trasferirsi in una località dove nessuno lo conosceva, così da continuare ad andare avanti col sistema del credito. Gli dispiaceva parecchio, com'era comprensibile che fosse, abbandonare la casa che lo aveva visto nascere e crescere, ma, se non l'avesse abbandonata con le buone, la fame lo avrebbe condotto in brevissimo tempo alla tomba, costringendolo ad abbandonarla con le cattive. Per mettere a tacere i vecchi creditori era necessario far credere loro che fosse morto, un giochetto da bambini, per un attore navigato del suo calibro. Infatti non ha avuto problemi a mettere a punto un piano d'azione in questo senso. Una volta finito al cimitero, sarebbe stato altrettanto facile abbandonare la misera tomba destinata ai pezzenti del suo calibro. Una cosa, non poteva permettersi di trascurare, l'abbigliamento. Per riuscire a guadagnarsi la fiducia dei commercianti del posto doveva apparire loro sotto le vesti di una persona distinta. Il vestito nuovo ce l'aveva, il sarto lo aveva confezionato da poco tempo e lui lo aveva indossato soltanto per verificare se andasse bene. Accertato che era perfetto, lo aveva conservato gelosamente con l'intenzione di indossarlo in qualche occasione speciale. Non era certo quella, l'occasione speciale a cui aveva pensato, ma, dovendo fare di necessità virtù, era felicissimo di poter scegliere il male minore. Gli mancavano soltanto le scarpe nuove. Quelle che si ritrovava ai piedi erano più che logore. Per fortuna il calzolaio del paese era l'unico che non vantava alcun credito nei suoi confronti. Fino a quel momento il nostro uomo era sempre riuscito ad arrangiarsi con ciò che riusciva a reperire gratuitamente in giro, poco importava che il tutto fosse usato e strausato. Il calzolaio non stava nella pelle dalla gioia, appena lo ha visto entrare nella propria bottega, talmente rari erano i clienti che si rivolgevano a lui per farsi fare un paio di scarpe nuove. Fortuna ha voluto che avesse appena terminato di farne un paio per un altro cliente e che calzassero a pennello anche al nuovo arrivato. Avendo sperimentato sulla propria pelle che nei periodi di vacche magre non si può andare tanto per il sottile, è stato più che felice di cedergliele anche senza il pagamento immediato.. Il cliente che gliele aveva ordinate un paio di giorni prima poteva aspettare benissimo qualche giorno in più. Se, al suo arrivo, il calzolaio aveva toccato il cielo con le dita, il povero, al momento di abbandonare la bottega col proprio trofeo, sprizzava gioia da tutti i pori. Rientrando alla base, era ormai sera, come al solito ha augurato la buona notte ai vicini e si è barricato in casa. La mattina seguente, come da programma, si è guardato bene dal dare segni di vita.. I vicini, che conoscevano bene le sue abitudini mattiniere, non potevano che allarmarsi di brutto e bussare sempre più freneticamente alla porta. Nessuna risposta, ed allora non hanno esitato a buttarla giù, la porta, ed a precipitarsi su per la scala. Una volta giunti nella camera da letto, sono stati costretti a prendere atto che i loro timori erano fondati: il vicino era morto, talmente morto che più morto non poteva! Come succede normalmente, in questi casi, tutti hanno incominciato a compiangerlo e a cantare le sue lodi, facendo a gara a chi la sparava più grossa nell'attribuirgli delle qualità che andavano ben oltre i suoi meriti effettivi. Di fronte ad un simile spettacolo, non sapeva nemmeno lui come riusciva a non tradirsi, a resistere alla tentazione di abbandonarsi alla più fragorosa delle risate. Per sua fortuna, gli amabili vicini non hanno perso tempo a mettergli addosso vestito e scarpe nuove, a sistemarlo nella bara e a trasportarlo in chiesa, come imponevano le consuetudini del paese. A quei tempi, infatti, non si usava allestire la camera ardente in casa, ma il cadavere veniva portato in chiesa e lasciato lì fino alla celebrazione del funerale. Il tutto era programmato per il giorno successivo. Il calzolaio, appena appresa la notizia della morte del proprio cliente, non ha potuto fare a meno di scagliarsi contro la malasorte che lo perseguitava. "E' proprio vero che, quando un poveraccio come me è convinto di farsi una buona mangiata, va a finire che resti digiuno! -ha commentato sconsolatamente tra sé e sé.- Per una volta che mi era capitato di vendere un paio di scarpe in quattro e quattr'otto, l'acquirente ha pensato bene di andarsene all'altro mondo prima di pagarmi!" Lo sconsolato ciabattino si è recato in chiesa ufficialmente per fare una visita di commiato al morto, era meglio non correre rischi di fronte a chi faceva la guardia alla salma, ma in realtà per gettare, on certo con piacere, un'ultima occhiata al prodotto del proprio lavoro. Osservando le scarpe ancora nuove di zecca, il morto non aveva fatto in tempo ad usarle neppure per un solo istante, e prendento atto che non c'erano parenti o conoscenti interessati a fare la guardia al cadavere, la chiesa era deserta, si è convinto che poteva e doveva riprendersele. "A lui non servono più, -ha concluso per mettere a tacere la propria coscienza, - mentre a me procureranno quei soldi che lui non ha fatto in tempo a darmi!" Ha programmato tutto per la tarda nottata, quando era certo che tutti dormissero, per non correre il rischio di essere scoperto e preso per ladro, come dire "cornuto e bastonato!" Ha atteso che si facesse quasi mezzanotte, prima di passare alle vie di fatto, partendo da casa già parecchio indeciso, per nulla allettato dalla prospettiva di doversi avvicinare al morto da solo ad un'ora affatto propizia a tali tipi di incontri. Era inevitabile, dunque, che diventasse sempre più titubante, sempre più timoroso, mentre si avvicinava alla chiesa. Il silenzio, sia all'esterno che all'interno del tempio, regnava sovrano, e ciò ha permesso, al finto morto, di avvertire la presenza del viandante parecchio prima che si avvicinasse. Fin lì si era potuto rilassare alla grande, non correndo alcun rischio che qualcuno scoprisse la sua magagna. Sperava ardentemente, dunque, che il tizio fosse solo di passaggio. Si può immaginare qual è stata, la sua delusione, nello scoprire che la meta dello sconosciuto fosse proprio la chiesa! Si è affrettato a riassumere l'aspetto del morto, quindi ha atteso con irritazione di scoprire chi era e cosa voleva. Il calzolaio, appena varcato il portone, si è bloccato di colpo in preda al terrore più nero, sebbene non riuscisse a vedere ancora il cadavere, tremendamente impressionato dalla fioca luce delle candele posizionate attorno alla bara. In giro non c'erano altre luci accese. La tentazione di abbandonare l'impresa era grandissima, più volte è stato sul punto di ritornare indietro, ma la voglia ardente di riprendersi le scarpe ha finito per imporsi alla paura e per convincerlo a continuare ad andare avanti. Sfortuna ha voluto che, giunto nei pressi della bara, il suo sguardo si posasse sul volto del morto contro la sua volontà, provocandogli la netta sensazione che quegli occhi semiaperti lo fissassero con cattiveria. Pensare di battere in precipitosa ritirata e farlo è stato tutt'uno. Scoperto chi era l'intruso, il finto morto non aveva avuto problemi ad intuire dove intendesse parare, e si è preparato a vendere cara la pelle. "Quanto sono stupido! -ha mormorato il calzolaio tra sé e sé, nel tentativo di farsi coraggio, fermandosi qualche attimo prima di varcare il portone.- In fondo non è altro che un morto, ed i morti, proprio perché sono morti, non possono fare nulla, qualunque cosa si faccia loro. E' dei vivi, che bisogna avere paura, non dei morti!" Com'è noto ed arcinoto, però, dal dire al fare c'è di mezzo il mare. Fatti pochi passi in direzione della bara, gli è mancato il coraggio di proseguire ed è ritornato indietro. Aveva già messo un piede oltre la soglia, quando ci ha ripensato, decidendo di effettuare un nuovo tentativo. Le scarpe le voleva con tutta l'anima, ma la paura lo fregava alla grande. Il tira e molla si è così ripetuto parecchie volte. Alla fine, gli è balenata l'idea di avvicinarsi alla bara con l'accortezza di concentrare il proprio sguardo esclusivamente sulle scarpe. Era perfettamente cosciente che, se avesse guardato il morto anche per un solo istante, avrebbe fallito miseramente. La tattica ha funzionato egregiamente fino al momento di accingersi ad impossessarsi della prima scarpa. E' riuscito, seppur tra mille esitazioni, ad afferrare uno dei due piedi, non avrebbe saputo dire neppure lui se era quello destro o quello sinistro, ma, prima che potesse sollevarlo, il finto morto se l'è ritirato con un improvviso strattone. "Aiuto, il morto si è mosso!" ha mormorato con uno sforzo sovrumano per non urlare, così da evitare di richiamare gente e di correre il rischio di essere preso per ladro. E' superfluo dire che non ha perso tempo a lanciarsi come una saetta verso l'uscita della chiesa. Il desiderio di gettare un'ultima occhiata alle scarpe, anche fugacissima, lo ha convinto ad arrestare la propria folle corsa nei pressi del portone e a girarsi verso il morto, pronto a riprendere a darsela a gambe al primo accenno di pericolo. Un'occhiata furtiva gli ha consentito di notare che attorno alla bara tutto era estremamente tranquillo. Ciò lo ha indotto a mormorare con un sorriso di autocommiserazione: "E' proprio vero, come mi diceva sempre mio nonno quando ero bambino, che la paura faccia vedere anche delle cose che non esistono! Come poteva muoversi, se è morto? No, non si è mosso, è stata soltanto una mia impressione!" A dispetto del proprio credo, però, ce n'è voluto, prima che si convincesse che attorno alla bara era realmente tutto tranquillo, che si decidesse a ritornare alla carica. Stavolta il finto morto gli ha assestato un bel calcione in una mano, sperando che il colpo lo convincesse definitivamente ad andarsene. Purtroppo, con sommo disappunto, lo ha sentito fermarsi per l'ennesima volta vicino al portone. "Se ritornerà, avrà da fare i conti con me!" ha pensato, predisponendosi perfino ad aggredirlo fisicamente, se fosse stato necessario, pur di non farsi fregare le scarpe. Al calzolaio, per contro, sembrava duro, durissimo, abbandonare l'impresa proprio quando si trovava in dirittura d'arrivo, dovendo fare i conti con la fame che la rarità di clienti rendeva sempre più pungente. Oltretutto, come non bastasse il lavoro che gli era costato fare le scarpe, aveva dovuto spendere dei soldi per comprare suola, filo e cera. Ad assestargli il colpo di grazia ha provveduto nuovamente la convinzione che il morto, proprio perché morto, non si fosse mosso affatto. "No, la colpa non è del morto! Non può essere del morto! È stata solo la paura, a rendermi talmente maldestro da sbattere la mano con violenza contro la scarpa!" Si è accostato nuovamente alla bara e, seppur terrorizzato al massimo, ha afferrato il piede con decisione. Lo strattone che ha dovuto sorbirsi è stato di gran lunga superiore alla propria foga, e c'è mancato un pelo che venisse trascinato all'interno della cassa da morto. Convinto che il morto volesse portarselo con sé, ha mollato la presa con un urlo soffocato ed è fuggito via come un forsennato, fermamente deciso a rinunciare per sempre alle scarpe. Nei pressi del portone, prima di varcare la soglia, si è accorto che stava arrivando parecchia gente. Ha fatto appena in tempo a rifugiarsi dietro un confessionale, prima che entrasse in chiesa un folto gruppo di loschi figuri armati fino ai denti. Si trattava dei tredici componenti di una banda di briganti noti in tutto il circondario per la propria ferocia sanguinaria. Qualcuno ha acceso le luci e tutti hanno deposto per terra le armi e numerosi sacchi strapieni fino all'inverosimile. "Peggio non poteva andarmi! -ha pensato il finto morto con angoscia, facendo di tutto per rimanere perfettamente immobile ed abbandonandosi alle previsioni più catastrofiche. - Proprio stanotte, dovevano venire qui!" Invece i briganti non lo hanno degnato neppure di uno sguardo. Erano lì soltanto per dividere il bottino in santa pace. Il contenuto dei sacchi è stato rovesciato sul pavimento, formando un'impressionante montagna di monete d'oro. Per contare tutti quei soldi non sarebbe bastata tutta la notte, ed i banditi non avevano affatto voglia di perdere tanto tempo. Come sempre, in questi casi, è entrato in azione l'esperto del gruppo, un bandito al quale tutti riconoscevano la capacità di dividere montagne di soldi di quel genere in parti rigorosamente uguali in pochissimo tempo, fidandosi esclusivamente del proprio occhio da chirurgo. Il tizio non li ha delusi, solo che, alla fine, si è accorto di aver fatto un errore: invece di tredici parti, una per ogni brigante, ne aveva fatte quattordici. Il capo ha avuto una brillante idea. "Perché non ce lo giochiamo al tiro al bersaglio con la pistola, il mucchio di soldi in più?" ha suggerito prima che l'esperto potesse rimettersi all'opera per riparare al proprio errore. Tutti hanno accolto entusiasticamente la proposta, ben sapendo che di soldi ne avrebbero fatti come sempre a palate, ed hanno lasciato a lui il compito di individuare il bersaglio migliore. "Spero non gli venga in mente di cercare un bersaglio vicino a me! -ha osservato tra sé e sé il finto morto tra i brividi, anche quelli tenuti rigorosamente al riparo da occhi indiscreti.- Non sarebbe certo divertente, rischiare di beccarsi un proiettile!" Il capo ha fatto di peggio, scegliendo proprio lui come bersaglio. "Ormai, pace all'anima sua, non potremo fargli alcun male! -ha commentato con un ghigno.- Ci posizioneremo vicino al portone, a mio parere è un'ottima distanza, e spareremo da quel punto, affidando alla sorte il compito di stabilire l'ordine di entrata in scena di ciascuno di noi. Avrà diritto al premio chi riuscirà a centrare il caro estinto perfettamente in un occhio." La posizione del finto morto non poteva essere più disperata: se avesse dato segni di vita, i briganti si sarebbero accorti del suo imbroglio e lo avrebbero ucciso senza pietà. Se avesse continuato a fingere, la propria fine sarebbe stata ugualmente segnata. Che fare? "Signore, abbi pietà di me, ti supplico! -ha pregato accoratamente nel proprio intimo, non sapendo che pesci prendere, mentre i briganti si adoperavano per stabilire con l'aiuto della sorte l'ordine d'ingresso in scena di ciascuno di loro.- Nessuno, meglio di Te, sa che non ho mai fatto del male a chicchessia, se non per necessità!" Il bandito risultato ultimo, ricevuto l'incarico di preparare il cadavere per il tiro al bersaglio, non ha esitato a mettere a sedere il morto, appoggiandolo con la schiena alla bara, e a sistemargli la testa ben eretta sul collo in modo che guardasse fissa verso l'uscita della chiesa. Quindi lo ha abbandonato a se stesso e si è posto a distanza di sicurezza, così da evitare il rischio di essere lui, a fare involontariamente da bersaglio. Di fronte alla pistola già pronta per l'uso del primo brigante, il finto morto non ha trovato di meglio che rovesciare la testa all'indietro, così da porre fuori tiro gli occhi. L'addetto alle sue cure lo ha raggiunto nuovamente e sollecitamente, rialzandolo e puntellandolo a dovere con un fucile alle spalle. Il finto morto si è piegato prima sulla destra, poi sulla sinistra ed infine in avanti, puntualmente bloccato di volta in volta con un fucile da parte di un aguzzino sempre più incavolato nero. A quel punto, non avendo alcuna possibilità di movimento, ha gridato con quanto fiato aveva in gola: "Aiuto!" Il calzolaio, che non aveva avuto difficoltà ad afferrare l'antifona, pur sapendo di rischiare la vita, non ci a pensato due volte a soccorrerlo con l'unica arma che si ritrovava a portata di mano, il confessionale. "Che Dio ce la mandi buona!" ha mormorato tra sé e sé, mentre assestava un violentissimo spintone al mobile, che si è rovesciato per terra con un fragore assordante. "Si salvi chi può!" ha urlato il capo banda, fuggendo via come una furia in preda al terrore, convinto che il morto avesse chiesto aiuto agli spiriti e che gli spiriti non avessero perso tempo ad accorrere in suo soccorso. Gli altri banditi, non meno terrorizzati di lui, si sono affrettati a seguirlo e tutti hanno abbandonato la chiesa per eclissarsi nel buio come saette. "Vi ringrazio dal più profondo del cuore!" ha sussurrato il finto morto all'indirizzo del provvidenziale soccorritore. "Lasciate perdere! -ha ribattuto il calzolaio. - Ciò che conta, adesso, è di prenderci tutto quel ben di Dio e di andarcene prima che quei delinquenti ci ripensino e ritornino indietro!" "Se dividessimo i soldi e ce ne andassimo via subito, come suggerite voi, amico mio, firmeremmo la nostra condanna a morte, -ha replicato il finto morto con convinzione.- Smaltita un po' di paura, i banditi ritorneranno indietro per accertarsi se gli spiriti ci sono veramente. Non trovando il morto e soprattutto i soldi, capiranno che li abbiamo truffati, ci cercheranno e ci ammazzeranno senza pietà. "Che cosa suggerite di fare?" si è informato apprensivamente il calzolaio. "Semplice! -ha risposto prontamente il finto morto.- Faremo gli spiriti, un esercito di spiriti che, non riuscendo a mettersi d'accordo sulla spartizione del bottino, minacciano tuoni e fulmini contro i briganti, accusandoli di non aver portato una quantità di soldi sufficiente per essere divisa in parti uguali tra quella massa di contendenti. Così, appena i banditi si avvicineranno alla chiesa, apprenderanno che gli spiriti non solo ci sono realmente, ma ce l'hanno a morte pure con loro, e finiranno per sparire dalla circolazione, permettendoci di goderci la vita fino all'ultimo respiro." "Affare fatto, amico mio! -ha convenuto entusiasticamente il calzolaio, giudicando la strategia anti-briganti tanto semplice quanto geniale. - Mettiamoci subito all'opera!" "Prima liberatemi!" lo ha esortato il finto morto, facendogli notare che da solo non sarebbe riuscito a togliersi dalla scomoda posizione in cui lo avevano cacciato i briganti. "Avete ragione, quanto sono stupido!" ha convenuto il ciabattino, affrettandosi a provvedere alla bisogna. A cose fatte, hanno spento le luci e si sono dati da fare alacremente per portare avanti una finta battaglia a base di violente bastonate contro i banchi, camuffando le voci in modo da dare l'impressione che, invece di due, fossero come minimo in cento. "Questo mucchio di soldi tocca a me!" affermava rabbiosamente il finto morto, e giù una tremenda bastonata contro il banco che si ritrovava a tiro. "No, tocca a me!" rispondeva il calzolaio con altrettanta veemenza, assestando un'altra violenta bastonata ad un altro banco. "Ed invece tocca a me!" ringhiava il finto morto cambiando voce e vibrando la solita tremenda bastonata ad un terzo banco. "Non è né tuo, né suo! E' mio!" affermava il calzolaio, cambiando voce a propria volta e non risparmiando la solita bastonata terrificante al banco successivo. Man mano che portavano avanti la messa in scena, arricchivano continuamente il loro dialogo con delle minacce sempre più tremende contro i briganti. Nel frattempo, come aveva previsto il finto morto, i banditi, superata la fase acuta della paura, hanno cominciato a rallentare progressivamente la propria folle corsa, e alla fine si sono fermati completamente. "Quanto siamo stupidi! -ha commentato il capo prendendo per primo la parola. - Abbiamo fatto la figura dei bambini, scappando senza essere certi che quelli fossero veramente degli spiriti!" "Il morto lo hai sentito gridare pure tu, no?" lo ha apostrofato un bandito, rabbrividendo ancora per la paura. "Abbiamo sentito tutti che ha chiesto aiuto agli spiriti e che gli spiriti sono arrivati immediatamente in suo soccorso!" lo ha incalzato un altro. "Ciò non toglie che ci siamo comportati come dei bambini!" ha puntualizzato il capo, concludendo che, da quei feroci briganti che erano, non potevano permettersi di fare una figuraccia del genere. La sua sentenza non si è fatta attendere: uno di loro doveva ritornare indietro, per verificare se le cose stessero realmente come avevano immaginato. "Qualcuno, tra i miei prodi, ha voglia di offrirsi volontario?" Silenzio di tomba. Tutti erano terrorizzati perfino al pensiero di avvicinarsi alla chiesa. Riconoscendo schiettamente che anche lui aveva paura ed essendo sempre convinto che una verifica andava comunque fatta, ha deciso di affidarsi ancora una volta alla sorte, senza tralasciare di puntualizzare che il prescelto non poteva rifiutarsi di onorare l'impegno, pena il suo passaggio per le armi. " È la regola, che lo impone, miei prodi, non io, quella regola che ci siamo dati fin dalla fondazione della nostra gloriosa banda!" E la sorte si è accanita proprio contro di lui, forse come punizione per aver preteso di fare l'unica cosa sensata che andava fatta nell'occasione. Il suo terrore, com'era ampiamente prevedibile, aumentava man mano che si avvicinava all'obbiettivo, raggiungendo la massima intensità nei pressi della chiesa per via del chiasso infernale che giungeva dall'interno. Si è fermato ad una cinquantina di metri di distanza, nel silenzio della notte percepiva nitidamente le voci anche da lì, e non ha perso tempo a rendersi conto che un esercito di spiriti si stava contendendo il bottino a suon di bastonate terrificanti. Ad assestargli il colpo di grazia hanno provveduto le tremende minacce che i fantasmi indirizzavano continuamente a lui e ai suoi compagni d'avventura, rei di aver lasciato loro un bottino che non si riusciva a dividere in parti uguali. Ha raggiunto precipitosamente i compagni, che, da parte loro, lo attendevano con ansia. "Signori, la chiesa è realmente invasa dagli spiriti, e, quel che è peggio, ce l'hanno a morte con noi! Scappiamo e non facciamoci mai più vedere da queste parti, se ci teniamo alla nostra pelle!" Era il segnale che tutti attendevano, pronti a darsela a gambe, ed in men che non si dica sono spariti dalla circolazione, fermamente decisi a tenersi lontani il più possibile dalla zona. Il finto morto ed il calzolaio hanno portato avanti la loro sceneggiata fino a poco prima dell'alba, così da essere assolutamente certi di raggiungere il proprio obbiettivo, dopo di che si sono messi all'opera per spartirsi i soldi. In fase di divisione hanno perso soltanto pochi istanti, dal momento che aveva provveduto l'incaricato dei banditi, a suddividerli in quattordici mucchi uguali, e che, se nessuno, tra i briganti, avesse avuto nulla da ridire, potevano fidarsi anche loro. Un po' di tempo lo hanno perso nell'insaccarli e nel trasportarli a casa, ma molto meno di quello che avrebbero impiegato in condizioni normali. La gioia per l'insperata fortuna ha messo loro le ali alle mani e ai piedi. Hanno portato via pure la montagna di armi con l'intenzione di venderle. Entrambi conoscevano un armiere che pagava più che bene ed in pronta cassa. Con parte dell'enorme gruzzoletto ricavato hanno risarcito i danni provocati alla chiesa, non tralasciando di aggiungere una lauta mancia per il parroco. Il resto, un'altra bella sommetta, se lo sono tenuti per sé, ovviamente dividendolo in parti uguali. Così il finto morto ha potuto pagare tutti i debiti, una vera e propria inezia rispetto a quanto aveva incassato, e condurre una vita agiatissima fino alla fine dei propri giorni. Stessa cosa dicasi del calzolaio, che, com'era facilmente prevedibile, da quel momento in poi non ne ha più voluto che sapere, di fare il ciabattino, nemmeno se qualcuno lo avesse pagato a peso d'oro.


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Città della luna, via delle Stelle N. 9 14/16/1700

di Maurizio Martini

I giorni, per la principessa Gherarda, trascorrevano senza che niente e nessuno turbasse la sua profonda ma anche melanconica solitudine. Oramai da tempo la nostra principessa viveva in solitudine, nel castello ereditato dai suoi genitori ormai passati a miglior vita. I genitori di Gherarda, erano stati dei sovrani che avevano saputo governare i loro sudditi con grande saggezza, e allo stesso modo, avevano cresciuto la loro unica figlia insegnandole il rispetto per il prossimo e rendendo anch'ella profondamente buona e timorata di Dio. Così, dopo la dipartita dei genitori, giunti ormai a veneranda età, la fanciulla decise di continuare la sua vita lì, dove era nata, e dove tanto aveva imparato ad apprezzare e metter in pratica l'arte della saggezza. Il castello dov'ella risiedeva era situato nel cuore di verdeggianti colline. Era una costruzione medievale, a più piani, il cui tetto, era punteggiato da vari comignoli, i quali svettavano orgogliosi come sentinelle sempre in posa, nella loro tenuta rosso scura; chissà da quanto tempo erano lì? quanti inverni rigidi avevano sfidato, uscendone sempre vittoriosi. Per i viaggiatori che transitavano lungo il sentiero sottostante, lo spettacolo che si donava ai loro occhi era molto bello da vedere. Infatti, tutt'attorno al castello, si stendeva un giardino perennemente acceso di colori e calore. Bisogna infatti sapere che tal giardino, era stato fatto costruire molti molti anni addietro, dai nonni di Gherarda, da misteriosi giardinieri provenienti dall'Oriente. Per chi osservava, era facile capire che quel giardino era suddiviso in quattro sezioni, composte da cerchi concentrici che racchiudevano il castello esattamente nel mezzo di un'immensa distesa di colori e profumi delicatamente mischiati fra loro. Queste quattro sezioni rappresentavano le quattro stagioni dell'anno. Ogni cerchio che componeva il giardino, era formato da fiori e piante appartenenti ad una precisa stagione. Il primo cerchio, quello più vicino al castello, era composto da una miriade di rose multicolori. Rose bianche, gialle, poi rosa per giungere al rosso, al blu. Ve ne erano di alte, affiancate da più piccole che si attorcigliavano fra loro, creando così una barriera quasi impenetrabile per chi voleva entrare o uscire dal castello. Dieci, cento migliaia erano quelle rose, che al massimo della loro fioritura accarezzavano l'ANIMA della principessa Gherarda. Il secondo cerchio era un complicato gioco di glicini, piccole acàce inframezzate da qualche rosa solitaria. Poi un terzo cerchio di peschi, di vite, di gardenie, fino a giungere agli abeti e agli olivi, che maestosamente chiudevano il tutto con la loro superbia. erano del tipo piangenti, con foglia larga e lucida. Quel giardino per la sua strana e varia composizione, in qualsiasi stagione lo si vedesse, risultava sempre verde con colorazioni sfumate a misura, creando così giochi misteriosi, che non potevano lasciare indifferenti. era veramente un giardino incantato. Almeno così doveva essere per la nostra Gherarda, che trascorreva intere giornate a contemplarlo, stando in religioso silenzio, o suonando la sua arpa, strumento da lei amato. Quell'arpa era costruita tutta in argento, con corde in oro. Il suono che ne scaturiva, era caldo e si espandeva per i corridoi del castello, prolungandosi in dolcissimi e nostalgici echi e rimbombi, carichi d'antica saggezza. Per la nostra principessa, la giornata cominciava al mattino presto con la recita del rosario nella cappelletta di famiglia situata al pian terreno del castello. Dopodiché, la si poteva vedere mentre ricamava fini abiti da indossare... chissà quando!.. altre volte si dedicava alla lettura di vecchi e preziosi manoscritti, altre volte passeggiava fuori per il gigantesco parco. Questo però, il passeggiare all'aperto, accadeva molto raramente, infatti la nostra Principessa, nonostante fosse completamente realizzata, e niente mancava alla sua vita, era come dolcemente melanconica. La giovane principessa, non indossava abiti sfarzosi, tuttavia la seta che avvolgeva il suo corpo esile e ondeggiante, era stata lavorata da mani profondamente esperte. I suoi capelli color mogano scendevano giù come un fiume in piena, che crea vortici e mulinelli tutti ordinati nella loro cascata che sembrava infinita. Gherarda aveva un gatto a cui era profondamente legata, infatti gli era stato regalato dai suoi genitori quando ancora erano in vita, in occasione del suo ventisettesimo compleanno. Chiamò quel gatto Filos, e da quel giorno non se ne separò più. Quando lei stava per lunghe ore seduta, Filos s'acciambellava sulle ginocchia, altre volte si poneva in equilibrio sopra una spalla della principessa e, col suo musetto, le muoveva i capelli. Gherarda non intratteneva nessun tipo di vita sociale, quasi fosse in esilio a scontare chissà qual pena. L'unico momento che la vedeva impegnata col mondo esterno era quando ospitava nel suo castello i pellegrini più poveri e bisognosi di ospitalità, i quali si recavano al vicino santuario di Nostra Signora. In quelle occasioni, era lei stessa che apriva il grande portone del castello. Portone di legno antico e ricco di storia. Personalmente si recava sulla strada sottostante a ricevere i viandanti carichi di tante sofferenze ma anche di molta Fede e umiltà. In quelle occasioni, senza nessun orpello regale, invitava con molta semplicità quella povera gente a trascorrere la notte in un letto caldo, dopo una fraterna cena, consumata tutti assieme. Quei viandanti rimanevano estasiati per l'accoglienza offerta loro, e per i modi profondamente gentili ed aggraziati con cui la principessa trattava costoro. Oramai questa usanza d'accoglier i pellegrini diretti al santuario, trasmessale dai genitori, andava avanti da molti anni, così la principessa era conosciuta da tanti, e numerosi erano i soprannomi che le erano stati dati: prediletta del Signore, Angelo Custode, Signora dei poveri ecc. Come già detto, la vita della nostra principessa era molto regolare, senza strappi alla normale conduzione quotidiana. Questo vivere si faceva ancor più intimo e solitario nell'inverno quando le giornate brevi e il freddo intenso la costringevano a trovar protezione fra le mura del castello. Inoltre, dobbiamo dire che immancabilmente ogni inverno era caratterizzato da lunghe e maestose nevicate. Oltre al gran giardino di cui abbiamo già parlato, tutta la collina circostante, era molto ricca di verde, perciò, tutte quelle piante, così belle, quando venivano coperte da spessi strati di soffice neve, mostravano uno scenario irreale, magico. I ruscelli, che limpidissimi correvano numerosi giù dalle montagne sovrastanti, nella stagione dei freddi, si ghiacciavano, divenendo così figure severe ma anche bonarie se le si sapeva osservare con occhio profondo. Figure fuori dal tempo, e dallo spazio, aventi in sé l'essenza del Tutto. Ecco! ogni anno, con questo scenario, giungeva il Santo Natale; ricorrenza molto sentita dalla principessa. Spesso, nel periodo natalizio, era solita ripetere: «il Natale deve essere occasione di rinascita interiore, occasione per una nuova partenza, verso mete più nobili e in concordanza col volere del Signore». Certo che tali parole, pronunciate da una fanciulla sì tanto nobile, rallegravano il più profondo dell'Anima. Effettivamente, tutto ciò era riscontrabile nella trasformazione che avveniva nel castello. Le finestre, i portali d'entrata e l'immenso parco che circondava il castello, tutto veniva trasformato come per incanto. Per ogni dove, erano visibili candele ardenti, bracieri accesi in offerta al BIMBO nascente, addobbi semplici ugualmente impregnati di grande e sentita solennità. La chiesetta di famiglia veniva vivificata completamente da abeti, vischio, e da un presepe semplice ma emanante un'espressività conturbante, come quasi i suoi personaggi che lo costituivano fossero VIVI. In questa atmosfera di GIOIA mista ad una sacralità veramente sentita, arrivava la vigilia del Santo Natale. Ecco che, sul far della sera, giungevano i contadini dai campi, portando grossi ceppi di legno, tanti quanti erano i camini del castello. Era tradizione che la vigilia di Natale, tutti i caminetti fossero allegramente accesi, con sulle braci un grosso ceppo che doveva tener vivace la fiamma fin al mattino successivo. Poi, quando la sera era avanti nel suo cammino, la principessa stessa si recava sul portone d'entrata, accogliendo tutto il personale che per un motivo o per l'altro, lavorava nel castello: i contadini, il giardiniere, la sentinella, il maggiordomo, il cuoco, il parroco che si occupava delle funzioni sacre nella cappelletta di famiglia. Dopo, tutti assieme, si recavano nella gran sala reale, per consumare il cenone natalizio. Allo scoccare della mezzanotte, tutti in Chiesa, ad attendere la nascita del SANTO BAMBINO. Allora, ogni anno, la principessa, dopo la sacra funzione, distribuiva doni a tutti i convitati che la benedicevano con grande affetto prima di tornare ognuno alle loro funzioni. Nell'anno del Signore 1700, particolarmente rigido, la neve cadde copiosa come a cristallizzare ogni elemento al mondo. Anche la nostra principessa, all'ombra di lunghe giornate grige e fredde, ebbe molto a riflettere, ma su cosa?... chissà! Sol la sua mente poté balzare di lido in lido come uccel di bosco che mai gabbia conobbe. Nessun seppe mai immaginar, tanto meno comprender fino in fondo tal guisa de' suoi pensieri che pur apparentemente prigionieri in isole sperdute senza possibilità di fuga un dì capirono di non esser materiali in sé, tanto bastava a dar loro libertà grandiosa. Forse Gherarda, in quei lunghi mesi, intravide una libertà mai pensata o cercata prima. Fatto sta che l'arpa suonò lungamente, mentre Filos accovacciato le scaldava il cuore, attenuando brividi ghiacci, come ghiaccio è l'abbraccio di Nostra Signora, “La dama nera”. Gherarda, mai come quell'anno, pensava alla primavera, al parco in fiore, al caldo sole che generoso dona i suoi raggi vivificanti. Raggi che lei già sentiva penetrare dalla pelle fin dentro le ossa. Un abbraccio tanto caldo e rassicurante, quanto al tempo stesso concretamente etereo. Sentiva che la prossima stagione avrebbe riservato qualcosa di SOTTILMENTE DIVERSO DALLA NORMA. E così fu. I minuti quando vissuti son con sofferenza, diventano piccoli sprazzi d'eternità. Pur tuttavia, ai minuti succedono le ore, ad esse i giorni, le settimane i mesi, gli anni, ed in fine, come premio finale di questa spossante maratona, ci è concesso l'abbraccio eterno col Cosmos infinito e indefinibile. Così, anche per la nostra principessa, giunse la tanto attesa primavera dei fiori, e poi l'estate del Sole. In questa situazione, giungemmo al settimo mese nell'anno del Signore 1701. Era il terzo giorno del mese, domenica; la giornata appena trascorsa aveva donato alla principessa tanti colori e tanto calore, di conseguenza, molta tranquillità. Tuttavia la serata doveva riservare qualcosa destinato a canbiare la sua vita, forse per sempre. Quel giorno, il sole era tramontato pochi minuti dopo le ore 20, e mancavano circa due giorni alla luna nuova. Quindi, tramontato che fu l'astro diurno, e non visibile risultava l'astro notturno, la nostra Gherarda si dedicò all'osservazione delle stelle. Lampade eternamente accese nell'infinito ciel estivo. Comodamente seduta su una panchina entro il perimetro del parco, era completamente assorta nella visione, che tanto la faceva fantasticare per luoghi incontaminati. La sua attenzione però, venne quasi bruscamente attirata da un rumore non ben definito, rumore che pochi istanti dopo, fu chiaro. Scalpitio, zoccoli di cavallo, strano, quasi incredibile: non si trattava di un cavaliere di passaggio, perché la tranquilla andatura s'arrestò proprioinnanzi al portone che dava accesso al parco reale. “Chi può essere, a quest’ora così tarda?” Un breve attimo di sgomento percorse la fanciulla che, nondimeno, rispettando il coraggio che le era stato impartito fin da piccola, ancor più non attese, e prima che nuovi eventi accadessero, era già sul portone nell'atto di offrir aiuto a chiunque fosse. Per prima cosa, i suoi occhi scorsero nel buio, rotto soltanto da due lucernari posti ai lati del portone, un destriero, che a prima vista, sembrò non poco stanco, sintomo di lungo viaggio. Poi, i suoi occhi s'incontrarono con quelli del cavaliere il quale, prendendo per primo la parola, si scusò per l'ora tarda e, vedendo davanti a sé una nobildonna, si produsse in un delicato e altrettanto nobile inchino. Gherarda capì subito che, nonostante l'armatura consunta, e impolverata, il sangue che scorreva nelle vene di quel giovane era veramente di nobili origini e antica virtù. “Voglia la bontà vostra perdonare il mio comportamento nel presentarmi a tal ora. Purtroppo, il mio cavallo è allo stremo delle forze, ed umilmente chiederei soltanto dell'acqua e foraggio. La strada che ci attende è ancora lunga e.... Gherarda aveva già familiarizzato col giovane il quale le aveva ispirato fiducia. Con un gesto leggero della mano lo interruppe e, affidando il destriero alla sentinella accorsa nel frattempo, si raccomandò che fosse portato subito nella stalla, e soccorso in ogni necessità. Poi, facendo strada, lasciò accomodare il giovane cavaliere su una delle tante panchine nel parco, invitandolo caldamente a prender fiato e a non preoccuparsi per la tarda ora. I due giovani presero subito a parlare squisitamente e volentieri, l’uno col l'altra. Il giovane era rimasto senza parole per l'accoglienza ricevuta; trovandosi dinanzi a lei ebbe modo di osservare i suoi capelli, rimanendone praticamente estasiato. Gherarda si accorse di questa cosa perché, ad un certo punto, con grande semplicità disse: “Noto che i miei capelli sono oggetto della sua osservazione!” A quell’esclamazione, il giovane, vincendo un forte imbarazzo, non poté far a meno di esprimersi nei seguenti termini: “Sì! I miei occhi mai videro tanta bellezza adornar un viso ancor più dolce del miele più raffinato e innocente più d’una bianca colomba durante un volo estivo. Potrei, sol con una mano, sfiorare quella cascata, affinché l’anima mia possa dissetar ogni sua arsura” La nostra Gherarda, senza proferir parola ruotò il suo esile corpo sulla panchina, mostrando le spalle al giovane, poi chinando struggente il capo in avanti, lasciò che i suoi capelli finissero praticamente di fronte al cavaliere che, solo a stento, riuscì a trattenere il cuore entro i confini del petto. Non osava toccarla, quasi non respirava, per il timore di infrangere quella vera e propria apparizione divina. Sol dopo qualche minuto, d'autentico travaglio spirituale, allungò la sua mano destra verso i di lei capelli, e quasi in maniera impercettibile li sfiorò, una, due, tre volte; poi trasse dall'armatura qualcosa che la principessa non potè mai vedere, essendo voltata. Si trattava di un piccolo pettine d'oro, ricoperto d'argento finissimo, pettine che il giovane aveva ricevuto in dono da sua nonna. Con quell'oggetto, tanto misterioso quanto delicato, accarezzò ancora quella cascata che ora si lasciava ammirare inerme. La principessa non ebbe il tempo di più niente pensar; infatti, sentì tutto il suo essere, fin nella sua essenza più interiore, sprofondare in un sonno che la trasportò in lidi mai visitati dall'umano pensiero. Ma eh! Che cosa, Il niente, forse il tutto. Adesso, il canto dei grilli, era inequivocabile segno di esser in vita, Quella umana. Grazie grilli, pensiero ineffabile, di sfuggevole innocenza e certezza mai messa in discussione. Gherarda non sentiva più nessun tipo di peso, nessuna preoccupazione, aveva il predominio assoluto sopra ogni cosa, il controllo era totale. Ben era consapevole di qualcosa che, per qualche sua fantasia, ancora le sfuggiva. Ora, come una folgore, ebbe presente l'oggetto del suo pensiero sfuggevole. Le fu ben chiaro che, voltandosi, avrebbe visto nuovamente colui che l'aveva tanto rapita. Pur provando un istinto violento, non osava voltarsi. Non osava, guardare colui che... D’altronde, il nostro cavaliere, per qualche strana ragione, temeva di veder girarsi la principessa, pur avendo, nello stesso tempo, un bisogno struggente di guardarla. Dal canto suo, il giovane, anche se artefice dello stato in cui si trovava la principessa, era pure lui rimasto come ammaliato da lei. Con le stesse sue mani, si era introdotto in una gabbia d'oro, o forse, in una torre d'avorio, senza finestre per uscirne fuori. Magari, semplicemente, non aveva alcun interesse a fuggire da quella “prigione”. Un turbinìo di pensieri lo portarono a confondere la sua mente. Lui, ben conosceva, il motivo di tale confusione. Nel suo cuore, era già presente la cruda realtà che lo teneva legato alla pura verità. Ma qual'era questa verità che incupiva e confondeva il cavaliere? Non ebbe tempo d'altro pensare. Infatti, con un brivido, tanto sottile, quanto penetrante, vide muovere la principessa, il di lei corpo, volgersi lentamente verso lui. La principessa, forse per celare il proprio imbarazzo, o per vera comunione di pensiero, chiese al cavaliere: “cos’avete. Cosa turba il vostro nobile animo?” Il giovane non poté rispondere, la domanda era troppo diretta, la risposta troppo complessa. Perché quella domanda, chi era lei veramente, come aveva potuto leggerlo così istantaneamente, dritto al suo cuore, così sempre ben custodito. Tutto ciò, lo aveva messo in grossa difficoltà interiore. “Principessa,” disse il cavaliere, “difficile è esporre le circostanze della vita, ma ancor più difficile è svelare i pensieri più intimi. Inoltre, la notte è già profonda, e molto dovreste ancor attendere, il vostro sonno, se io, a narrar me stesso, dessi avvio. Tuttavia, se convinta siete, io son pronto a togliere il sigillo dalle mie labbra.” La principessa, se pur con un forte senso di agitazione, si disse desiderosa d'apprender tutto ciò ch'egli avesse voluto svelare. “Principessa, il mio nome è Teofrasto Wolfan Mayer. La mia città di provenienza, è Tubinga. Il mio vagar per il cuore dell'Europa, non è per spasso giocoso. La vostra nobiltà profonda, mi rende libero di confidare alla vostra persona che io sono incaricato di compiere una importante opera di riconciliazione fra due considerevoli confraternite. Voi dovete sapere che i miei voti di fedeltà li ho presi nell'Ordine deii Cavalieri di Rosacroce. Questo nobilissimo e antichissimo ordine cavalleresco, sta tentando un’opera di riconciliazione con l'Ordine dei Cavalieri di Malta. Questa, per molti anni, è stata l'unica ragion di vita che mi ha spinto a combattere nei confronti delle avversità della vita. Dovete sapere che, dopo la dipartita dei miei amati genitori, sono stato accolto dai fratelli, guardiani della croce, i quali mi hanno iniziato a molti segreti antichi. Poi, dopo anni di apprendimento, ho avuto l'incarico di mediare la pace fra il nostro ordine e, appunto, quello dei cav. di Malta. Adesso, dopo questi fatti da me narrati, dovreste facilmente comprendere quanto sia fondamentale, per la mia nobiltà d'uomo, compiere fino in fondo questa missione affidatami. Però, il mio scopo unico, (la missione,) questa sera ha visto l'arrivar d'un piacevole imprevisto.” Il cavaliere, a questo punto, ebbe una impercettibile incertezza nella voce. Tuttavia, Gherarda, colse al volo quella piccola incertezza, e chiese: “qual è questa novità tanto inaspettata? Cos'è che tanto turba il vostro essere? “ Il nostro giovane nobiluomo, con una candida gentilezza angelica, rispose: “Voi, principessa. Voi, avete turbato tutto il mio intimo più nascosto. Da quando vi ho vista, poco fa, sì! Ho immediatamente sentito il mio cuore legato al vostro. Da subito, ho sentito il desiderio di mettere ogni mio principio cavalleresco al servizio della vostra anima. Ecco, questi sono i fatti veri e semplici. Pronunciate queste parole, il giovane si chiuse in un silenzio assolutamente impenetrabile, silenzio che durò molti, molti minuti. “Principessa, io DEVO portare a termine la missione. Pur non intendo perdervi. Come? Come potrò trovar pace e felice soluzione a questo complicato intrigo? “ Gherarda, che ben aveva ascoltato i fatti, dopo aver pensato, proferì quelle che sarebbero state le parole, che avrebbero dato inizio a… cosa? “Cavaliere che dinanzi a me siete, ho ben compreso, fin nel più profondo intimo, l'ardore con cui portate avanti la vostra opera. Vi assicurò che ciò provoca molta stima nei vostri confronti. Per quanto riguarda l’altro punto da voi nominato, io... Io.. Sì!... Anch’io, fin dal primo momento, ho sentito il cuore uscire dal petto e correre verso di voi e in voi. Cavaliere, per quanto riguarda la vostra missione, io, Gherarda, desiderio più grande non potrei avere, se non quello di mettere a vostra disposizione QUESTO castello che mi appartiene. Castello che potrebbe divenire sede dei vostri contatti particolari. Ovviamente, se voi lo desiderate, io sono pronta a offrirvi non solo il castello, no. Non soltanto quello”. Fu a quel punto che Teofrasto Wolfan Mayer interruppe la principessa, con un delicato gesto delle mani, dopo di ciò, con le stesse sue mani, le avvolse il volto e, senza null'altro aggiungere s'avvicinò a lei, travolgendola con un bacio, infinito quanto l'universo, e profondo quanto il mare. Dopo quei fatti, il nostro cavaliere partì quella notte stessa diretto a TUBINGA, dove riunì tutti i suoi documenti segreti, e dopo aver informato certe persone del suo cambiamento inaspettato, tornò dopo pochi giorni, al castello dell'ormai sua principessa Gherarda. conclusione Questa storia giunge così al suo termine naturale. Certo sarebbe logico aspettarsi “Che vissero felici e contenti. Vero, i due senz'altro vissero una vita appagante, però, non sarebbe corretto finire con quelle parole sopracitate. Infatti, questo significherebbe limitare in qualche maniera quello che in realtà i due riuscirono a realizzare durante la loro vita, trascorsa in totale unione, fusione mistica. Concluderemo dicendo che, su quei due, aleggiano tutt’oggi più storie, che nessuno sa se siano vere oppure siano il risultato della fantasia popolare. Si narra che la principessa ebbe tre figli,due maschi, che la leggenda vuole siano diventati grandi e valorosi cavalieri, dello stesso ordine in cui era stato affiliato il padre. La terza era una figlia, in tutto e per tutto somigliante alla splendida e saggia madre. Di lei, si dice che tanto venne apprezzata in oriente, che divenne ospite importante e onorata, nella nobile famiglia di SHERAZADE. Storia? realtà? nessuno lo seppe mai. Di certo, sappiamo che in qualche profonda foresta della Germania si trova ancora il castello, dove i due giovani vissero. Lì, aleggia ancor oggi una magia. Chiunque troverà quel castello, vivrà la sua storia d'AMORE, proprio come la vissero Gherarda,e Teofrasto, più di due secoli or sono.


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Quella panchina

di Vito Coviello

Quella panchina era la nostra panchina. Era il luogo dei nostri appuntamenti. Era dove, giovani ragazzi innamorati, facevamo progetti e ci raccontavamo i nostri sogni. Quella panchina era dove d'estate ci incontravamo con le famiglie dei nostri amici, a veder giocare i nostri bambini. Quella panchina era il luogo dove si parlava, accanitamente, di calcio con gli amici. Quella panchina, dipinta di rosso sangue, racconta il dolore, le sofferenze e le morti di tante innocenti donne. Quella panchina dove stá seduto ad aspettarmi il mio amico Lucio, il grande chansonier, è sempre là ad aspettarmi. Ma ora, a quella panchina della villa comunale, vorrei tornare con te dolce amore mio, per raccontarci tutti i momenti belli e brutti della nostra vita passata insieme felici, ed ancora lo siamo, ed ancora lo saremo.


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TIM: continua lo stalking

di Mario Lorenzini

Nonostante la mia precedente denuncia non solo su queste pagine del comportamento oppressivo di TIM, le cose non sono minimamente cambiate. Più volte al giorno, la società di telecomunicazioni telefona, al fisso o al cellulare, con un copione dallo sfondo simile ma non identico. A volte il messaggio automatico invita a premere un tasto, che può essere l’uno o il cinque, per essere ricontattati. Altre volte il messaggio audio recita l’offerta, declamando il prezzo della proposta, naturalmente, all-inclusive. C’è poi il caso dell’operatore che si presenta subito, annunciandosi col proprio nome di battesimo (vero o d’arte?), tanto per entrare empaticamente nella psiche del malcapitato. Avendo già avuto a che fare, numerosissime volte, con altri operatori che interpretano la stessa parte, con varianti più o meno personali, mi comporto come già detto in precedenza: riaggancio, chiedo gentilmente di non essere più “informato” da TIM o, quando la giornata mi predispone, consiglio loro di recarsi in un paese estero… Ora, a prescindere dal fatto che gli operatori hanno una remunerazione molto bassa e che sono gli ultimi, innocenti, di una piramide economica che cerca di capitalizzare ulteriormente, anche a loro spese, che razza di politica commerciale è mai questa? Davvero una “grande azienda”, anche se ormai non è più l’unica o la numero uno, pensa di accaparrarsi clienti con tale metodologia? Non è tanto la mancanza di tatto, di vera convenienza commerciale, o altra caratteristica che viene o meno reclamizzata. Qui si tratta di atteggiamento. Tutta questa ossessiva e ripetuta persecuzione ai danni del papabile cliente, si trasforma rapidamente in un sentore fortemente sgradevole. Le persone sono disturbate, magari proprio in un momento delicato o doloroso della propria giornata. E a nulla serve dire «avete già telefonato» perché la risposta, oltreché deludente, davvero sciocca, del call center, «sì, ma non ha parlato con me»» dimostra forse anche il grado di preparazione degli addetti. Illusi dal “comitato di selezione”, che magari li “prepara” con corsi a pagamento, di riuscire ad essere pedine importanti e motivate, più che motivanti, nella loro opera; opera non di informazione, non di convincimento, ma piuttosto di coercizione. Il risultato di tutto questa complessa architettura sarà, inevitabilmente, l’irritazione del chiamato, con conseguente cancellazione mentale di quanto ci potrebbe essere di buono nel pacchetto TIM. L’unica cosa che rimane al disturbato. Irritazione che viene mantenuta viva dai prossimi operatori che chiameranno di lì a brevissimo tempo. Ma se a TIM non interessa rompere le scatole al prossimo, forse non gli farà piacere perdere clienti, irrimediabilmente. Consiglio ai dirigenti della società italiana un buon libro di psicologia. Potrebbe giovare ai loro interessi.


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Tempo libero

Noi giocavamo così

di Giuseppe Lurgio

Se ci fermassimo, e dico, se ci fermassimo, perché è diventato difficile fermarsi a riflettere sulle cose passate. Siamo così proiettati in avanti volendo o dovendo raggiungere nuovi traguardi che quasi rifiutiamo il passato quando tutto girava più lentamente e si apprezzavano anche le cose semplici. Avete mai pensato ai giochi della nostra infanzia? Se ci pensiamo bene i nostri bambini non hanno più tempo per giocare, presi dai ritmi frenetici di una vita che in gran parte ricalca quella degli adulti. Ormai siamo sempre più invischiati in un’invadente e insana tecnologia. I ragazzini di oggi, passano le ore seduti a muovere il pollice su tablet e smartphone o al massimo su un joystick. Gli stimoli che i bambini ricevono dai dispositivi non sono positivi, non aiutano a svilupparne l’intelligenza e dar spazio alla fantasia, ma sottraggono loro la possibilità di conoscere e vivere a contatto con la natura. Naturalmente questo articolo non ha la pretesa di demonizzare il modo di divertirsi dei nostri bambini ma piuttosto vorrebbe far conoscere a loro come ci divertivamo noi sperando magari di incuriosirli e magarli anche a stimolarli a provarne qualcuno. Questi giochi a noi intorno alla cinquantina ci hanno fatto vivere il rapporto fisico con le città, ci hanno indotto al movimento e all’interazione. Il recupero dei giochi tradizionali” possono migliorare la società, riportando la gente nelle strade, favorendo l’aggregazione ed il dialogo fra le persone, operando l’aggregazione senza distinzioni. Ecco perché è importante riscoprirli ed adattarli alla società di oggi. C’è stato un tempo, nel quale intere generazioni sono cresciute giocando in mezzo alla strada. Certo, e pur vero che allora rispetto a oggi c’era poco traffico e tanti pericoli in meno. Bastava un pallone e materiali semplici per impiegare ore e ore tra risate e sfide. Nei pomeriggi di estate, il tempo trascorreva tra barzellette, indovinelli, giochi e canzoni. Non ci si stancava mai, non si voleva mai salire a casa. Si giocava con quello che si trovava. Bastava un albero, un cespuglio, una palla, una pietra, in realtà era sufficiente che ci fossero degli amici, anche dei bambini che si conoscevano poco e si giocava favorendo l’interazione, lo scambio, anche se i litigi erano molto frequenti. C’era il piacere di fare parte del gruppo, di mettersi alla prova riuscendo a superare le difficoltà; una “pacca sulla spalla” e un sorriso risolvevano tutto. La strada livellava le diversità e stabiliva un contatto con la realtà; qui la vita diventava un gioco e il gioco era la vita,e se qualcuno si sbucciava un ginocchio non succedeva nulla, bastava un po di acqua ossigenata e una benda e si ritornava a giocare. Inoltre nei periodi nei quali noi stavamo fuori a giocare spesso scendevano in strada anche le nostre madri o le nonne che si riunivano a chiacchierare, o sarebbe meglio dire,a spettegolare! Durante i nostri giochi immancabile la classica signora anziana o signore che guastava la festa, urlandoci dietro di far silenzio, di non schiamazzare, di non distruggere le piante o i vetri della porta di casa. Noi correvamo a nasconderci e spesso, lo provocavamo appositamente, per vedere la sua reazione esagerata. In tutta risposta la signora o l’anziano, chiamava i nostri genitori per farci rimproverare e smettere. Ed era proprio a questo punto che ci poteva scappare pure uno bello scapaccione o una tiratina di orecchie! Ma tornando ai nostri giorni e in particolare a questo mio scritto che vorrebbe semplicemente ricordare e anche far conoscere a chi non era ancora nato come si giocava qualche annetto fa. A tale scopo non mi sono fermato solo ai miei ricordi ma sfruttando per così dire, “un’idea” che mi e venuta all'improvviso ho fatto quanto segue. Usando un piccolo gruppo di whatsap composto da uomini e donne con un’età media di 50 anni sparsi un pò in tutta Italia. Ho chiesto loro di ricordare e descrivere i loro giochi da piccoli; e, in verità, al mio appello hanno risposto in tanticon entusiasmo e ne e venuta fuori una bella lista di giochi che di seguito vi riporterò. Per dovere di cronaca il gruppo si chiama "Girasole" creato da Simona Rigoldi. Hanno partecipato fornendo le notizieda me richieste inerenti giochi oltre alla stessa, fondatrice Simona anche anna, Arianna, Giusy, Carmelo, Cristina, Gaspare, Roberto, Sara, Pinuccia, Monica, Francesca, Simona (detta Simi per distinguerla dalla fondatrice). Naturalmente ho riportato qui sotto i giochi senza specificare chi lo ha suggerito per ovvie ragioni legate alla scorrevolezza del testo. Spesso specie nei giochi dove si era intanti si faceva la cosiddetta “conta” che serviva proprio a determinare chi era a dover incominciare. Ciascuno dei presenti, disposti in cerchio, allunga la mano aprendo quante dita vuole; uno fa la somma di tutte le dita presentate e poi conta fra i partecipanti fino ad arrivare a quel numero; colui che viene toccato per ultimo è il designato. La conta spesso si realizzava recitando delle filastrocche tipoqueste che vi riporto di seguito. Passa Paperino con la pipa in bocca guai a chi la tocca. L’hai toccata tu esci fuori proprio tu! La balena senza denti sa contare fino a 20. Sotto il ponte di Baracca ce Mimì che fà la cacca. La fa dura dura e il dottore la misura, la misura è trentatré, un due e tre! Ambarapà ciccì coccò, tre civette sul comò che facevano l'amore con la figlia del dottore. Il dottore si ammalò, ambarapà ciccì coccò! Un due e tre, fante cavallo e re! Poi ve ne erano anche altre che il più delle volte erano in dialettole quali se recitate in italiano non sortivano lo stesso effetto. Ecco ora di seguito alcuni giochi. Aquilone Spesso si costruiva usando due bastoncini di salice legati a croce sui quali si legava un foglio di carta spessa o un foglio di plastica tipo quella dei sacchetti della spesa. Ci si legava uno spago sottile e leggero e poi correndo nei campi si affidava al vento sperando che riuscisse ad innalzarsi. Girandola La girandola spesso si comprava nelle fiere o nei mercati di paese e costava poche delle vecchie lire. Era composta da una struttura di legno leggero di solito rotonda sulla quale vi erano delle girandole di plastica fissate al legno con un chiodino. Nella parte inferiore vi era il manico. Bastava correre con la girandola in mano o semplicemente metterla in una corrente di aria che le girandole incominciavano a girare vorticosamente creando un gioco di colori. Trottola La trottola di solito era di legno, spesso costruita artigianalmente, che veniva caricata e lanciata mediante uno spago di canapa. Aveva la forma di un cono con la punta rivolta in basso e con u gambo in alto. Il giocatore doveva avvolgere la cordicella intorno alla strozzatura della parte superiore (riuscendoci meglio se si era stati bravi a realizzare delle apposite scanalature). Una delle estremità della cordicella doveva essere appoggiata verticalmente contro la parte della trottola su cui verrà poi arrotolata tutta la corda, orizzontalmente. Se si fossimo stati bravi a costruirla e a usarla, girava come una “trottola!”. Fionda La fionda era di solito fatta in casa utilizzando un rametto di legno duro come ad esempio la quercia. Era a forma di y e sui due braccetti veniva fissato un elastico che di solito era una vecchia camera d'aria di bicicletta opportunamente tagliata. Si prendeva un piccolo sassolino e si metteva sull'elastico e quindi si tendeva tirandolo dietro e poi si lasciava andare e il sassolino partiva a razzo. Il più delle volte il sassolino si fermava a pochi metri senza fare danni, ma a volte andava a colpire qualche vetro e allora si spariva tutti in un batter d’occhi! Arco e frecce Anche in questo caso l'inventiva e l'arte di arrangiarsi la faceva da padrona! Bastava un ramo flessibile, un ramo diritto e sottile e la vecchia camera d'aria della bicicletta che l'arco era già bello e pronto! Un pezzo di legno a forma di pistola e si giocava a indiani e cow boy, e che battaglie con tanto di morti e feriti! Bolle di sapone Altro gioco che andava forte era quello di fare le bolle di sapone. Ognuno aveva il suo modo di preparare il liquido. Di solito si ricavava da un pezzo di saponetta o di sapone da bucato sbriciolato e messo in ammollo in acqua per un paio di giorni, poi si rimestava per bene e se si era fortunati ad avere un pò di detersivo per i piatti o per i panni vi si aggiungeva. Quindi si prendeva un filo di ferro e se ne piegava un’estremità ad anello che poi veniva immerso nel composto. Bastava tirarlo fuori e soffiare dolcemente nel buco del fil di ferro che si innalzavano tante bollicine! Carretta La carretta consisteva in un piano di legno al quale venivano applicate quattro ruote che di solito erano dei vecchi cuscinetti presi dal meccanico del paese. Spesso veniva costruita con l'aiuto determinante di un adulto. Si trainava in cima alle salite e poi ci si metteva sopra in due o tre secondo la grandezza e poi ci si lasciava trasportare giu per la discesa usando spesso un bastone o i tacchi delle scarpe come freno. Certo qualche volta si finiva tutti a gambe in aria ma ci si rialzava e si ricominciava perché era troppo divertente! La corda La corda, che di solito era un pezzo di fune, veniva tenuta alle due estremità da due bambini che la facevano roteare intorno a un altro bambino che saltava. Si poteva pure usare da soli facendo roteare la corda intorno a sé stessi. Era anche possibile saltare a piedi uniti o alternati, o intervallando il salto della corda con piccoli salti. Si poteva giocare a squadre decretando la squadra vincitrice, ovvero quella che aveva effettuato più salti senza toccare la corda. Cavallina Un bambino si piegava mettendosi a carponi o regolandosi in base all’altezza dell’altro. Il primo bambino non doveva far altro che prendere un po’ di ricorsa, appoggiare le mani alla schiena del bambino, allargare le gambe e cercare di scavalcarlo. Un due tre stella Questo e un gioco in cui tutti i giocatori, salvo il capo-gioco, si pongono dietro una linea, mentre il capo-gioco si pone di spalle appoggiato a un albero o a un muro a circa una ventina di metri. Il capo-gioco scandisce a voce alta e chiara “Un, due, tre … stella” e quindi si volta verso i giocatori. Questi ultimi possono muoversi fintantoché il capo-gioco è di spalle, ma devono immobilizzarsi quando questi si volta a guardarli. Se un giocatore si muove mentre osservato deve tornare alla linea di partenza. La cosa si ripete fino a che uno dei giocatori vince raggiungendo o superando la posizione del capo-gioco. Pallone Il mitico pallone Sandoz si vendeva a poche lire nei negozi ed e stato il protagonista di infinite partite di calcio e di palla a volo e anche di palla a canestro. La capanna La capanna veniva costruita specie in estate dai ragazzi che vivevano in campagna o nei piccoli paesini… Di solito si usavano materiali riciclati come scatoloni di cartone o vecchie coperte o rami di pino appoggiati a dei paletti di legno conficcati alla meglio nel terreno. Poi si portava dentro qualche cianfrusaglia e ci si metteva dentro in due o tre immaginando di vivere in foreste tropicali o in accampamenti indiani! Penna-pistola Si usavano le vecchie penne di marca BIC. Si potevano usare in due modi diversi. Innanzitutto, si toglieva il pennino e il tappino posti alle due estremità della penna, quindi si facevano dei piccoli proiettili con la carta dei quaderni e se inseriva uno alla volta a un estremità e poi si soffiava dentro come se fosse una cerbottana. L'altro modo invece era più bello perché si produceva pure il botto! Si prendeva la penna sempre privata del tappino e del pennino e si schiacciavano le due estremità su una buccia di arancia. I due fori restavano tappati dalla buccia e a questo punto bastava chiudere il forellino laterale della penna e inserire il pennino che spingendo la buccia creava una forte compressione che faceva esplodere la buccia dall'altro lato della penna! Certo questi giochi non erano del tutto innocui ma allora nessuno ci badava. O forse eravamo noi stessi più responsabili e sapevamo badare a noi stessi? Ora invece parleremo dei giochi per così dire più “tranquilli”! Biglie di vetro Le biglie erano delle palline di vetro colorato con le quali si poteva giocare come se fossero delle bocce semplicemente dando a ciascun giocatore un colore diverso, oppure si creavano delle piste in discesa e poi vinceva chi riusciva a far rotolare la biglia piu lontano. Figurine Panini E chi non conosce le mitiche figurine della Panini! Obiettivo del gioco era far capovolgere le figurine dell’avversario, impilate e leggermente incurvate, per facilitare il ribaltamento e la vincita. La mossa vincente era il soffio o il colpo di mano, per conquistare le figurine con cui riempire l’album. Bambole di cartone Erano delle bambole piatte fatte di cartone molto resistente. In effetti era solo la sagoma che rappresentava una donna, un uomo o un bambino sulle quali ci si divertiva a crearci tanti vestiti tramite dei fogli di carta bianca che venivano ritagliati, disegnati e applicati poi alle sagome di cartone tramite linguettine di carta lasciate nel vestito e poi girate all'indietro sul cartone stesso. Ci si poteva divertire tantissimo perché si potevano creare addirittura intere famiglie con tantissimi vestiti! Corsa delle lumache Dopo qualche temporale si usciva nei campi o nei giardini e si andava a raccogliere una dozzina di lumache ciascuno mettendole in un barattolo. Poi si portavano a casa e con un pennarello o con un pezzettino di nastro adesivo colorato si segnavano per sapere a chi appartenessero, quindi, si mettevano in posizione di partenza dentro una specie di pista alla cui estremità opposta si posizionava un po’ di insalata che avrebbe dovuto attirare le lumache. Chi arrivava prima vinceva,ma il piu delle volte le povere lumache prendevano altre strade e allora ci si scocciava e si riportavano nella terra. La tenda in casa Chi non aveva la possibilità di farsi la tenda all'aperto se la costruiva in casa! Bastava prendere un paio di lenzuola o coperte e stenderle su un tavolo. Metterci sopra un pò di libri per evitare che se ne scendano, aggiungere qualche cuscino sotto il tavolo ed il divertimento era assicurato! Le carte da gioco Altro divertimento che oltretutto contribuiva a tenere insieme persone di diversa età come ad esempio nonni e nipoti, era il gioco delle carte sia napoletane che francesi. Quante partite si sono disputate a scopa briscola masso pigliatutto, scala quaranta, ecc. ecc.! Canta tu! Spesso si organizzavano anche imitazioni di programmi televisivi come gare canore dove con tanto di microfono fatto conuno spago legato a un pezzo di legno si esibivano giovani cantanti con tanto di applausi! Il divertimento era assicurato anche per i grandi che ascoltavano! Ora per terminare questo viaggio nei giochi del passato e giusto che dia un accenno a qualche gioco degli anni 80 e 90. Grazie a una iscritta del gruppo che e molto piu giovane rispetto alla media del gruppo la quale ci ha elencato qualche gioco di questi anniin cuivi era abbondanza di giocattoli grazie anche alla televisione e al benessere economico del momento. Era molto in voga giocare con il Cristal ball; questo era una sostanza molliccia dall’odore molto simile a vernice, che una volta spalmata su un buco posto in cima ad una specie di zufolo di plastica, soffiando all’altra estremità, la sostanza si gonfiava fino a formare una palla. C’erano quattro colori diversi: rosso, giallo, verde e blu. Poi molti avevano l'Hop Hop che era una grossa palla fatta di gomma morbida, sulla quale un bambino poteva sedersi e saltare dandosi lo slancio con i piedi, mentre le mani si tenevano ad una maniglietta del medesimo materiale, situata in cima alla palla. Un ruolo importante negli anni80 90 lo ebbero i giochi di società. Dall’allegro chirurgo a Indovina chi, da Forza Quattro a Sapientino, dal Gioco dell’Oca al Monopoli. Altro gioco che e giunto fino ai nostri giorni dopo tante evoluzioni sono i famosissimi mattoncini della LEGO. Ci si potevano costruire case macchine aerei e tanto altro tanto che spesse volte anche i grandi si cimentavano nella costruzione! Per finire e doveroso ricordare i meno famosi ma ugualmente divertenti chiodini. Consistevano in tanti chiodini di plastica colorata che venivano infilati in una tavoletta con migliaia di fori e così da poter costruire un’infinità di figure. Pur sapendo che ci sono ancora tantissimi giochi che non abbiamo riportato il nostro viaggio nei giochi del passato termina qui. Oltre a incuriosire i più giovani questo scritto abbia fatto ricordare ai meno giovani i tempi passati dove regnava incontrastata la spensieratezza e l'allegria.


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Finalmente Angela!

di Giuseppe Lurgio

Prima di iniziare questa intervista voglio fare una piccolissima, ma doverosa precisazione, riferita al titolo che ho voluto dare a questo mio articolo. Confesso che da tempo mi sarebbe piaciuto conoscere e farvi conoscere Angela Trevisan, ma non riuscivo mai a combinare una bella chiacchierata con lei. Poi, grazie a un cosiddetto “gancio” chiamato Anna Comito sono riuscito a mettermi in contatto con lei, ecco spiegato il termine "finalmente". È stato bellissimo scoprire tante cose di lei che non sapevo, ma soprattutto avere la conferma che Angela è una persona straordinaria sotto ogni punto di vista. Ecco qui di seguito riportata la nostra bella chiacchierata! D) Eccoci qui, io e Angela in questo bel salottino che se pur virtuale e molto accogliente. Abbiamo anche la musica di sottofondo e aria climatizzata! Siamo seduti uno di fronte all'altra e dopo aver gustato un bel caffè mi appresto a fare la prima domanda ad Angela. Prima di addentrarci nelle domande, Angela puoi fare una breve presentazione di te per i nostri lettori che non ti conoscono? R) Sono Angela Trevisan, vivo a Leini, una cittadina nei pressi di Torino. Abito con i miei genitori e il mio cagnolino juventino, di nome Chicco. Chicco è l’amore della mia vita, sempre pronto a riempirmi di bacini in cambio di coccole e crocchette da parte mia. Chicco è attento a tutti i miei movimenti, capisce al volo se sto bene o se sto male. Quando cambia la mia assistente, è lui ad occuparsi di indicare le cinghie del sollevatore o dove devono accompagnarmi, ormai conosce perfettamente le mie abitudini. Viaggio su quattro ruote; infatti, oltre a non vedere, non cammino. Tuttavia, con la mia Ferrari testa rossa, faccio dei chilometri. Ecco perché non ho voluto una carrozzina tradizionale, amo il rosso perché allegro e vivace, proprio come me. Per me la vita è un dono stupendo che, nonostante le difficoltà che giorno per giorno si presentano sul nostro cammino, vale sempre e comunque la pena di essere vissuta e di cui sono infinitamente grata al buon Dio. Occorre essere in grado di cogliere il positivo che, giorno per giorno, incontriamo, come il sole che sorge al mattino, una allegra risata, il cantare del gallo o degli uccellini, ecc. Quando mi si presentano delle avversità, cerco di cogliere la botte mezza piena, da inguaribile ottimista quale sono. Ho un profondo senso dell’amicizia, è la forma d'amore più bella e perfetta che io conosca. Sarei in grado di buttarmi nel fuoco per aiutare un amico; se però poi questa persona tradisce la mia fiducia, allora lo pungo, da vero scorpione, essendo nata a novembre. Sono un autentico vulcano in piena, mi piace tanto fare nuove esperienze e conoscere gente di altre culture, per ampliare i miei orizzonti. Nonostante io non cammino, mio padre mi ripete spesso che la casa in testa non mi crollerà mai, il mio motto è ed è sempre stato: “chi si ferma è perduto”. La mia famiglia è estremamente importante per me. Se sono quella che sono, una donna fortemente determinata che non si arrende, lo devo indubbiamente anche ai preziosi insegnamenti e all'aiuto dei miei genitori. Un altro dono che illumina i miei passi costantemente, è la fede, che mi aiuta a guardare gli avvenimenti con un'altra luce. I miei amici dicono che sono una donna eccezionale, io invece mi ritengo una persona come tutte le altre, che cerca di vivere appieno la vita. Quando devo prendere una decisione importante, mi lascio guidare esclusivamente dalla voce del cuore, a mio parere seguendo i suoi preziosi consigli non si sbaglia mai. Spesso mi capita di dire: “come sono fortunata!” Non tendo certo a lamentarmi della mia condizione anzi, sono sempre estremamente attenta a chi ha meno di me, con l’intento di dare loro una mano, anche solo donando un sorriso o una buona parola. D) Nonostante tu non veda e non cammini dalla nascita so che pratichi numerosi sport. Lo fai semplicemente perché ti piace o sono importanti per il tuo benessere fisico? R) Io non vedo e non cammino dalla nascita a causa di un errore medico. Sì, pratico numerosi sport, quali la danza in carrozzina, il nuoto e tanta fisioterapia. Amo danzare, il mio sogno sarebbe stato diventare una ballerina. Quando lo dicevo ai miei genitori, loro mi rispondevano di farmi furba, perché nella mia condizione, non avrei potuto ballare. Però lungo il mio percorso di vita, ho avuto la fortuna di conoscere Marisa Bettassa, (persona in carrozzina, psicologa, sposata, un autentico maremoto. Lei proprio come me, amava ballare, pertanto date le sue numerose conoscenze, è riuscita a creare un gruppo di danza in carrozzina, di cui io faccio parte. Quando danzo, il mio ballerino in piedi che mi aiuta, mi fa fare delle capriole e delle giravolte incredibili, credo sinceramente che se non fosse per la "fiducia cieca" che ho in lui, me la farei letteralmente addosso dalla gran paura. Non siamo un gruppo agonistico, il nostro scopo principale è stare insieme e divertirci. Tuttavia, abbiamo già preso parte a numerose esibizioni, durante le quali possiamo contare sugli applausi e sul sostegno del nostro fantastico pubblico. Inoltre, pratico il nuoto: l'acqua è il mio elemento, la adoro, è il mio ambiente preferito. Infatti, in acqua riesco a fare dei movimenti, che mi sono totalmente preclusi sulla terra ferma, dato che per effetto della forza di gravità il mio peso è inferiore, ecco perché in acqua cammino. Certamente se fossi nata pesce, avrei risolto un sacco di casini. È proprio in acqua che faccio i sogni più belli. Il più ricorrente è quello di camminare in un sentiero di montagna, con la mia amica Francesca che mi guida e mi descrive minuziosamente tutto il panorama. In acqua mi diverto un sacco e perdo anche la nozione del tempo. Tuttavia, nuotare mi è anche utile per il mio benessere fisico, infatti riuscendo a muovermi agevolmente la mia muscolatura si rilassa e tutto diventa più semplice, anche nella mia vita quotidiana. Vado a nuoto in piscina tutto l'anno, anche se non è semplice, dato che per ottenere dei buoni risultati, è necessario trovare una piscina accessibile per me, priva di barriere e con una sedia apposta che mi permetta di scendere in acqua. Inoltre, l'acqua di tale piscina deve essere calda, altrimenti anziché farmi bene, rischio che la mia muscolatura si irrigidisca e mi faccia male. Adoro anche il mare, con mio padre ci divertiamo a nuotare anche fino alla boa, suscitando l’invidia dei numerosi bagnanti rimasti a riva. Io e mio padre chiacchieriamo in continuazione, quindi sentendo la sua voce, capisco in che direzione devo dirigermi. D) Angela è impegnata anche nel volontariato con molte associazioni. Una persona che dovrebbe essere aiutata riesce ad aiutare gli altri? R) Si certo, io sono fortemente persuasa del fatto che, ciascuno di noi, ha tanto da offrire agli altri. Spesso è sufficiente un sorriso o una buona parola per donare un po' di conforto nei momenti difficili. Inoltre, facendo volontariato, si ha modo di donare tanta gioia ricevendo, così, in cambio, amore e gratificazione da parte di chi abbiamo aiutato. In effetti, si finisce spesso col ricevere assai più di ciò che si dona. D) C’è un episodio o un avvenimento che ha fatto scaturire in te la voglia di fare del volontariato? R) Con vivo piacere, voglio raccontare come è nata la mia decisione di fare volontariato e, in particolare, la mia esperienza con l'associazione “Volare Alto”. Un giorno, in piscina, una signora che nuotava con me, mi parlò di due suoi amici in carrozzina, che, nonostante le difficoltà, si erano sposati e vivevano a casa loro, aiutati da alcune persone amiche e volontarie. Avevano fondato "Volare alto", una associazione di volontariato, con l'intento di avvicinare persone in difficoltà e i loro genitori. Offrivano un aiuto sia materiale che psicologico, per favorire al massimo il raggiungimento della serenità e l'autonomia individuale. Il principio su cui si basa l'associazione è quello di rendere il disabile protagonista della propria vita, delle proprie scelte. Essergli a fianco per permettergli una esistenza il più "normale" possibile. Uno degli obiettivi principali è, soprattutto, far emergere le sue capacità residue tramite un ruolo attivo all'interno della collettività. Proprio tale principio, mi fece comprendere che, ciascuno di noi, può donare tanto agli altri. Da qui nacque, in me, il desiderio di diventare una volontaria. D) Qualche tempo fa hai scritto un libro intitolato Io non mi schiodo, nel quale tu raccontavi un po’ la tua vita. Ce ne puoi parlare un po' più dettagliatamente? R) Cinque anni fa è stato pubblicato il mio libro dal titolo: "Io non mi schiodo" diario di una donna determinata. Si tratta di un'autobiografia, in cui ho cercato di narrare gli avvenimenti più importanti della mia vita. A partire dalla mia nascita, le difficoltà del parto affrontate e vissute da mia madre, la mia nascita prematura, a causa della quale sono diventata non vedente, dato che mi hanno messa in incubatrice, dove mi hanno bruciato il nervo ottico. Il mio gemello è mancato la notte stessa in cui siamo nati. Inoltre, ho narrato i numerosi viaggi della speranza compiuti dai miei genitori, infatti abbiamo visitato numerose città estere, ma non siamo andati a vedere i monumenti o le bellezze artistiche di quei luoghi, ma bensì gli ospedali. I miei genitori hanno cercato in tutti i modi di ridonarmi la vista o di farmi camminare, purtroppo però, tutti i loro tentativi si sono rivelati vani. Ho raccontato la mia esperienza scolastica, a partire dalle elementari, frequentate nella scuola di Leini, dove non sono stata assolutamente seguita. Durante le elementari ho cambiato 13 insegnanti di sostegno. Una sola è arrivata da me conoscendo già il Braille, però dopo poco è andata in maternità, tutte le altre erano impreparate e per loro era un lavoro di ripiego per fare punteggio per salire in graduatoria. Alle medie pertanto i miei genitori, hanno deciso di fare una scelta decisamente contro corrente per il periodo, durante il quale tutti si battevano per integrare i disabili nelle classi normali; tuttavia, ho frequentato le medie presso la scuola media ciechi di Torino. Era una scuola lontana più di un’ora di auto da casa mia; pertanto, ci siamo complicati non poco la vita, io e i miei genitori. In ogni caso si è rivelata una scelta vincente; se non avessi fatto così, certamente sarei rimasta analfabeta. Durante le elementari sono rimasta a stazionare in classe senza fare nulla. Venivo anche mandata in un’aula a parte con l'insegnante di sostegno, privandomi così di qualsiasi tipo di rapporto con i compagni. Alla faccia dell’integrazione! Durante la scuola media, invece, ho dovuto recuperare il tempo perso, inoltre stavo in classe con i miei compagni, con i quali l'integrazione era perfetta. Gli insegnanti conoscevano il Braille, quindi erano in grado di aiutarci in modo idoneo. Dopo di che ho frequentato il liceo linguistico, l'università, adesso lavoro come centralinista. Tuttavia, non mi sono limitata a tracciare le tappe principali della mia vita, raccontando le difficoltà che ho dovuto affrontare e superare. Ho anche cercato di dare spazio alla Angela che si diverte con gli amici, che fuma la sua prima sigaretta, che si ubbriaca nel cuore di Londra, e mezza svestita canta “la società dei magnaccioni” con un gruppo di romani. Insomma, ho cercato di far comprendere ai potenziali lettori del mio libro, che è ora di finirla con l'immagine stereotipata del disabile chiuso in casa che si piange addosso. Non sono affatto così, sono Angela con pregi e difetti, proprio come tutte le persone di questo mondo, cerco di vivere una vita il più possibile normale. Lo scopo principale del mio libro è quello di trasmettere in chi lo leggerà un po' di ottimismo e di allegria. Soprattutto vorrei donare un messaggio di positività, a tutte quelle persone che pensano che la loro vita sia priva di senso e non valga la pena di essere vissuta. Vi posso dire senza vantarmi, che sono riuscita in tale scopo: molte persone, dopo aver letto il mio libro, mi hanno contattata per fare la mia conoscenza e ringraziarmi per aver dato loro coraggio in dei momenti difficili della loro vita. Ho anche parlato della Angela che fa volontariato, che non va in associazione per chiedere aiuto, ma per donare qualcosa agli altri. Per me poter essere utile, è estremamente gratificante, mi fa stare bene e spesso ricevo più di quanto riesco a dare. Soprattutto quando faccio delle esperienze di sensibilizzazione alla disabilità nelle scuole, i bambini sono veri, sinceri, puri, credo che se tornassimo tutti un po’ bambini, il mondo sarebbe decisamente migliore. Pensate che una volta, mi hanno chiesto come facevo a riconoscerli senza vedere. Ho detto loro che li riconosco dalla voce. Poi se prendo maggiore confidenza, chiedo loro di poterli toccare, per crearmi un'immagine più curata e dettagliata di loro. Allora, i miei piccoli amici si sono bendati gli occhi spontaneamente, per provare a vedere con gli stessi occhi con cui vedo io. Credo di non essermi mai emozionata e commossa così tanto. Poi, una bambina, in quella stessa giornata, mi ha donato una rosa vellutata e profumata, sono certa di non averne mai ricevuta una così bella. Per di più mi ha detto di toccarla tranquillamente, tanto le spine le avevano già tolte lei e la sua mamma. Non ho potuto fare a meno di chiedermi, quanti adulti avrebbero avuto un pensiero simile. Per non parlare dello stupore dei bambini, quando scrivo i loro nomi in Braille. I miei piccoli amici provano a toccare quei puntini che per loro sono privi di significato, mentre io leggo assai velocemente. Ai bimbi poi, piace disegnare con il piano di gomma e vedere a modo dei ciechi cosa percepiscono. Insomma, il mio libro è discretamente lungo e articolato. Vengono trattati molteplici argomenti. Naturalmente parlo anche della disabilità e delle difficoltà che la sua presenza comporta nella mia vita. Non sta a me giudicare se è interessante o meno, ciò che posso assicurarvi è che ha ottenuto un successo da me insperato, infatti, ne ho vendute quasi 600 copie. Se lo vorrete, sarà per me un vero piacere, se lo leggerete e mi darete un vostro parere in merito. D) Dunque, chi si aspettava un libro per così dire "strappalacrime" non ci ha pe nulla azzeccato! Ci racconti un o dei tanti episodi divertenti che hai riportato nel libro? R) Nella mia autobiografia sono presenti numerosi episodi divertenti o comunque ironici. Credo tuttavia valga la pena raccontarvene uno in particolare. Durante il liceo linguistico, un liceo normalissimo, istituto privato, in cui sono stata integrata fin da subito con la mia classe e con gli insegnanti. Nessuno dei miei compagni sapeva il Braille, almeno io credevo così. Un giorno l'insegnante di francese mi disse che non poteva valutare il mio compito, poiché era identico a quello di un mio compagno. Io rimasi sgomenta. Dopo qualche attimo di riflessione però, le risposi che lei credeva nei miracoli. Le assicurai che se avessi potuto copiare dai miei compagni, lo avrei fatto con vivo piacere, proprio come tutti gli studenti di questo mondo, ma purtroppo non vedendo non mi era possibile farlo. Lei continuava a ripetermi che i nostri due compiti, il mio e quello del mio compagno, erano identici, quindi io avevo copiato da lui, poiché a suo dire, era impossibile il contrario. Quella volta mi rassegnai, accettando il brutto voto. Dopo poco tempo però, la storia si ripeté, allora dopo attente valutazioni, riuscimmo a scoprire che in realtà, a copiare non ero certo io, ma bensì lui che, dato che non era particolarmente portato per lo studio e non ne aveva assolutamente voglia, decise di studiarsi il Braille, così con il pretesto di venire a darmi una mano a riordinare i fogli, se li sarebbe presi e avrebbe copiato da me. Devo ammettere che inizialmente provai una profonda rabbia nei confronti di quel mio compagno, che con il pretesto di fare il mio cavaliere e darmi una mano, in realtà approfittava della situazione per copiare da me. Adesso, a distanza di così tanti anni, mi viene da ridere al pensiero di quel mio compagno che, pur di non studiare e vivere di rendita, si prese il mal di pancia di imparare il Braille. Tengo a dirvi che quella stessa insegnante, particolarmente illuminata, un giorno mi accusò di non aver copiato ciò che lei aveva scritto alla lavagna. Io le risposi molto tranquillamente che non avevo potuto copiare dato che il rumore del gesso era sempre quello, considerando che lei non mi aveva dettato proprio niente. Naturalmente a tale mia risposta, tutti i miei compagni scoppiarono a ridere. D) Credi che ci sarà una seconda edizione di questo tuo libro con altre storie, altri aneddoti e soprattutto con altri traguardi raggiunti da tè? R) Non lo so, al momento no, non ho voglia di ricominciare quest'avventura che per quanto bella ed affascinante, è di tutt'altro che facile realizzazione. Infatti, per scrivere un libro, occorre prima fare un primo progetto. Poi scriverne una prima bozza, poi rileggerla e correggerla per dieci, venti, cinquanta volte, dato che ogni volta in cui la rileggi noti delle cose da correggere. In certi momenti ti verrebbe da smontarlo tutto e da ricominciare, non ti ci ritrovi più in ciò che hai fatto in precedenza e ti fai anche prendere dallo sconforto. Per non parlare della ricerca di un editore, disposto a credere in te, nel tuo lavoro, che sia però allo stesso tempo una persona seria, responsabile, che lavori in un certo modo e che non ti ponga delle condizioni contrattuali impossibili. La prima casa editrice a cui mi sono rivolta era assolutamente inaffidabile, perdeva continuamente le bozze del mio lavoro. Il secondo invece, è fallito prima di giungere alla fine del mio lavoro. Il terzo, finalmente me lo ha pubblicato, ma evidentemente non ha creduto abbastanza in me e nel mio lavoro; infatti, non lo ha messo in vendita né nelle librerie, né tanto meno online, sostenendo che sarebbe stato un libro che avrebbero letto solo amici e parenti. Con le mie sole forze e con il prezioso aiuto di persone da me conosciute, ne ho già vendute circa seicento copie che non è poco. D) Per concludere il discorso libro, ci dici come possiamo leggerlo e quindi acquistarlo e se lo troviamo anche in formato elettronico. R) Il mio libro come accennavo in precedenza non è stato messo in vendita nei canali di distribuzione; pertanto, per acquistarlo potete fare riferimento a me, o tramite mail, o scrivendomi nella mia pagina Facebook che si chiama Racconti a ruota libera, dove avrete modo di leggere altri racconti da me scritti. Si tratta di racconti di fantasia, li ho scritti così come mi sono venuti in mente, ecco perché ho chiamato la pagina Facebook Racconti a ruota libera, anche con riferimento al fatto che mi muovo grazie alle ruote. Anche se non siete di Torino, non preoccupatevi, se siete interessati, chiedetemelo pure, sarà per me un vero piacere inviarvelo. Oppure potrete acquistare il mio libro, rivolgendovi all'editore e cioè alla Alfa edizioni. No, non è stato fatto un audiolibro che si trovi in vendita, sempre per lo stesso motivo, cioè l'editore se ne è fregato completamente e purtroppo avendolo pubblicato lui, con il suo nome e il suo codice, non posso rimediare io alle sue mancanze. Tuttavia, lo ho fatto registrare per i non vedenti presso il libro parlato della biblioteca civica di Torino e presso il libro parlato di Brescia, quindi se siete abbonati a uno dei due servizi del libro parlato, potrete trovarlo comodamente lì. D) Hai frequentato le scuole elementari e medie con ottimi risultati, poi hai voluto continuare con il liceo linguistico anche qui con risultati ottimi! Infine, hai voluto proseguire con l'università laureandoti in lingue straniere con 110 su 110. Veramente ammirevole tutto ciò che hai realizzato grazie anche alla tua intelligenza e testardaggine. Ora però, come qualcuno direbbe, “la domanda mi sorge spontanea”, come mai non hai usato i tuoi studi linguistici per inserirti nel mondo lavorativo preferendo il ruolo di centralinista? R) Non è stata una mia scelta, io avrei voluto lavorare come traduttrice o interprete, utilizzando gli studi linguistici, come dici giustamente tu. Purtroppo però, sono rimasta disoccupata per anni, allora mio malgrado, ad un certo punto, pur se tra mille reticenze, ho deciso di andare a frequentare il corso per centralinisti non vedenti, giacché ho compreso mio malgrado, che trattandosi di una categoria protetta, avrei potuto probabilmente trovare un lavoro. Certo, non è il lavoro dei miei sogni, ma meglio quello di niente. In fondo anche la professione di centralinista è assolutamente onorevole e dignitosa. Tante persone mi chiedono come mai non mi sono buttata nel mondo dell'insegnamento. Strano ma vero, questa volta sono io a non essermela sentita. Ho pensato che non sarei stata adeguata al ruolo, avendo una doppia disabilità, credo che non sarei riuscita a seguire in modo adeguato, i miei potenziali allievi. D) Per te e stato molto importante avere un cosiddetto “assistente personale”. Ti va di parlarne? R) La figura dell'assistente personale ha cambiato la qualità della mia vita. Mi è stato dato dal consorzio del mio comune, un assegno di “vita indipendente”, con il quale devo pagare il mio assistente personale. Pertanto, ho presentato un progetto con le mie necessità, io lo ho presentato all'assistente sociale. Tale mio progetto è stato valutato da una commissione apposita. In seguito a tale valutazione, hanno stabilito di quante ore avevo bisogno alla settimana e di conseguenza quanto darmi per pagare il mio assistente. Inutile dire che le ore che mi sono state assegnate non sono sufficienti. Pertanto, poi occorre aggiustarsi diversamente. In ogni caso io credo profondamente nel progetto di "vita indipendente", poiché tu diversamente abile sei il solo padrone della tua vita. Io stessa posso scegliere il mio assistente sulla base delle mie necessità, con cui mi trovo meglio e non è necessario che sia una figura qualificata. Infatti, si parte dal concetto che sarai tu diretto interessato a formare il tuo assistente, sulla base delle tue necessità. L'assistente personale ha la mansione di accompagnarti e venirti a prendere dal lavoro, portarti alle varie visite mediche o terapie e naturalmente se rimane del tempo, tu e il tuo assistente personale potrete dedicarvi a delle attività ludiche. Mi sento di dire che l'assistente personale ha cambiato la qualità della mia vita, perché adesso non devo più contare esclusivamente sull'aiuto dei miei genitori per i vari spostamenti, dato che purtroppo io a differenza di un non vedente tradizionale, non riesco a muovermi autonomamente. Sfortunatamente, i genitori non saranno eterni, quindi è giusto abituarsi a muoversi e ad interfacciarsi con altre persone. D) Angela stai lavorando a un prossimo obbiettivo che a breve si realizzerà? R) Non so dirti se il mio prossimo obbiettivo si realizzerà a breve oppure no, ad essere sincera non so neanche se si realizzerà. Tuttavia, un mio prossimo obbiettivo in cui credo molto, è quello di avere un cane di assistenza. Per cane di assistenza, si intende un cane che possa aiutarmi a svolgere le azioni della vita quotidiana, come ad esempio raccogliermi gli oggetti da terra, aiutarmi a vestirmi o svestirmi, portarmi la bottiglia d'acqua ecc. è un progetto in cui credo tanto, dato che ho sempre avuto dei cani e ho avuto modo di constatare che sono gli amici più fedeli che abbiamo. Loro ti capiscono al volo, molto più di tante persone e il loro amore è assolutamente disinteressato. Si tratta però di un progetto di difficile realizzazione, dato che ho due disabilità; pertanto, le scuole che addestrano i cani guida per i non vedenti, non sono in grado di addestrare i cani di assistenza per i disabili motori e viceversa. Tuttavia, una scuola di cani guida è disposta a provare quest'esperienza insieme a me, grazie all'aiuto e alla collaborazione di una scuola per cani da assistenza che si trova a Pisa. La scuola cani guida dell'APRI si collegherà con quella di Pisa e vedremo cosa verrà fuori. Il progetto dovrebbe iniziare a breve. Ci credo molto, investirò tutta me stessa in questo progetto, poi staremo a vedere cosa accadrà. Sono anche molto felice di fare da apripista per altre persone che magari si trovano a vivere una situazione simile alla mia. D) Angela ha un sogno nel cassetto? Se ce lo confidi magari ti portiamo fortuna e chissà mai si potrebbe pure realizzare! R) Il mio più grande sogno sarebbe quello di trovare un uomo che mi valorizzasse e mi amasse, facendomi sentire importante. In questo modo sarei anche più tranquilla per il mio futuro, per quando i miei genitori non riusciranno più ad aiutarmi. Sono profondamente angosciata dal pensiero di come sarà il mio futuro, non riesco ad immaginarmi la mia vita senza i miei genitori. Poi io sono una persona, dolce, sensibile, molto romantica, diciamo pure un’inguaribile romantica. Mi rendo conto che nella mia situazione non è facile costruirmi una relazione con un uomo. Tutte le volte in cui ci ho provato, a lungo andare si sono rivelate delle esperienze fallimentari. Tuttavia, a mio parere non bisogna mai perdere la speranza. D) Quando hai un po' di tempo libero ti dedichi a un hobby? R) Mi piace tanto leggere libri, soprattutto audiolibri, in particolare storie romantiche. Inoltre, adoro la musica, canto volentieri, ciò non significa che io sia intonata. Mi piace ballare con la carrozzina e fare giochi di società come la tombola e giocare a carte. Grazie a questi giochi, si ha modo di stare in mezzo alla gente. D) E oramai consuetudine che i miei ospiti lascino una frase, un motto o un aforisma ai nostri lettori, vuoi farlo anche tu? R) La frase che amo sempre dire quando vado a fare dei percorsi di sensibilizzazione alla disabilità è: “noi non siamo un mondo a parte, ma parte del mondo”. D) Bene terminiamo qui questa piacevolissima chiacchierata. Io e la redazione ti ringraziamo per averci dato l'opportunità di conoscerti meglio scoprendo tante cose su di te! R) Grazie a te per il tempo che mi hai dedicato e a tutti coloro che avranno la pazienza di leggere questo articolo, nel quale mi è stata data l’opportunità di presentarmi. Alla prossima.


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Per sorridere un pò

di Giuseppe Lurgio

1) Al telefono: “Pronto, polizia? Venite subito! C'è un gatto che sta entrando dalla finestra!”. “E ci disturba solo per un gatto?”. “Certo! Io sono un pappagallo”. 2) Un uomo sul punto di morte si rivolge alla moglie: “Cara ricorda che se mi tradisci io mi rigiro nella tomba”. “No caro, non ti preoccupare, ti sarò sempre fedele”. L'uomo muore e va in paradiso. Dopo un po' di tempo muore anche la moglie che desiderosa di ritrovare il marito si presenta da San Pietro: “Mi scusi S. Pietro sto cercando mio marito Mario”. “Sia più precisa. Sa qui di Mario ce ne sono moltissimi”. “Sì, era alto, biondo, prestante”. “Ma non ha qualche indicazione in più”. “È arrivato qui circa un anno fa”. “Non basta. Non può dire qualcosa in più?”. “Sul punto di morte mi ha detto che se lo avessi tradito si sarebbe rigirato nella tomba”. “Ah, adesso ho capito. È laggiù in fondo. Qui lo chiamano trottola!”. 3) Lancashire, castello di Lord Fountleroy. Il piccolo Lord ha compiuto quindici anni e sua madre pensa che sia giusto spiegargli nel modo più adatto i misteri della vita. “È un compito imbarazzante” - replica il marito- “Puoi sempre ricorrere all’esempio delle api con i fiori...” Poche ore dopo, il lord e suo figlio cavalcano nel parco del castello. Dopo un lungo silenzio, il Lord si decide a parlare e fa: “Charles, ti ricordi quando l’anno scorso ci siamo rifugiati nella casa del guardiacaccia per sfuggire al temporale?..” “Oh, sì” “Ricorderai anche che la moglie e le figlie del guardiacaccia furono molto gentili e ci prepararono un ottimo tè...” “Certamente.” “E ricordi anche cosa facemmo, subito dopo il tè, con la moglie e le figlie del guardiacaccia...” “Lo ricordo benissimo, padre.” “Ebbene, tua madre vuole che ti spieghi che le api ed i fiori fanno le stesse cose.” 4) Un ragazzo si presenta all'ufficio anagrafe e chiede: “Vorrei rinnovare la mia carta d'identità”. “Bene, ha portato la vecchia?”. E il giovane: “Certo! Nonna, vieni, che vogliono anche te!”. 5) Un signore sta percorrendo una strada residenziale, quando vede in un giardino un bambino che gioca a scacchi con un cane. Poiché è un fatto alquanto insolito, il signore si ferma a guardare i due che giocano. Dopo 5 minuti, il cane fa scacco-matto. Così il signore dice: "Hai davvero un cane intelligente!”. Il bambino gli risponde: “Non tanto... questa è la prima volta che vince”. 6) Un matto al bar: “Avete del caffè freddo?”. Il barista: “Certo, signore”. “Allora, me ne scalda una tazzina? “. 7) Il paziente: “Dottore, non mi sento bene. Eppure faccio una vita molto regolare: mi alzo come un gallo, lavoro come un bue, mangio come un lupo, vado a letto come una gallina, dormo come un ghiro. Insomma, dottore, che cos’ho?”. Il dottore: “Ma io non saprei, però ora la mando per una consulenza dal veterinario!”. 8) Un tizio arriva con la macchina, abbastanza scassata, davanti a Montecitorio e posteggia proprio in mezzo alla strada. Un vigile gli si avvicina e gli dice: “Ma cosa fa? Non si può parcheggiare qua!”. “Perché?”. “Come perché?”. “Perché qui passano ministri, deputati, senatori...”. E il tizio: “E che mi frega? Tanto io ho l'antifurto!”. 9) Tra cannibali. “Il tuo amico non mi piace!”. “Ma no, e buonissimo! Almeno mangia le patate!!”. 10) Un ragazzo entra in un bar e dice: “Ho una nuova barzelletta da raccontare sui carabinieri”. Un uomo, seduto a un tavolo, dice: “Guarda ragazzo, io sono un carabiniere. E vedi il mio amico là? Anche lui è un carabiniere. E quell'uomo grosso seduto al tavolo è un carabiniere. Sei sicuro che vuoi raccontare questa barzelletta?”. Il ragazzo pensa un po' e dice: “No. Non ho voglia di raccontarla tre volte”. 11) Il mio psicanalista mi ha raccomandato tanto di evitare il più possibile gli stress, e così ho smesso di pagare le sue parcelle. 12) “Dottore, soffro di continue amnesie”. “Allora conviene che mi paga la visita in anticipo, non si sa mai dovesse dimenticarsene”. 13) Undici persone si trovarono appese alla corda di un elicottero: dieci uomini e una donna. Dal momento che la corda non era sufficientemente resistente per sostenere tutte e undici le persone, decisero che uno doveva lasciarsi cadere nel vuoto altrimenti sarebbero dovuti morire tutti. Non riuscivano a mettersi d'accordo su chi dovesse compiere il gesto fino a quando la donna tenne un commovente discorso dicendo che sarebbe stata lei a lasciare andare volontariamente la corda dal momento che le donne sono abituate a rinunciare a tutto per i loro figli e i loro uomini, senza ricevere nulla in cambio. Appena finì di parlare tutti gli uomini iniziarono a battere le mani. NON SOTTOVALUTATE MAI IL POTERE DI UNA DONNA! 15) L’anziano signor Smith e sua moglie, rimpiangendo i bei giorni della loro infanzia, decidono di visitare l'asilo dove si sono incontrati la prima volta. Cercano l'albero dove hanno inciso il cuore con le loro iniziali e si baciano ancora nello stesso angolo dove si sono baciati la prima volta. Sulla strada di casa trovano una borsa piena zeppa di soldi e, senza pensarci due volte, se ne impossessano. Il giorno seguente due poliziotti suonano alla porta degli Smith e dicono: “Stiamo chiedendo a tutte le persone che abitano da queste parti se per caso ieri hanno trovato una borsa piena di soldi”. La donna nega, ma il marito, sentendosi in colpa, inizia a confessare. “Dovete scusare mio marito” interviene la signora Smith, “è vecchio e la testa...capite”. Ma il marito insiste: “No, sono perfettamente lucido. Ieri mia moglie e io tornavamo dall'asilo, quando...”. “Capisco” interrompe il poliziotto “Proviamo in un’altra casa”. 16) L’onorevole durante il comizio: “Cittadini, voi sapete che i miei oppositori parlano male di me. Eppure, vi assicuro che da queste tasche non è mai passato denaro illecito...”. Una voce dal fondo della piazza: "VESTITO NUOVO, EH?”.


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La comunicazione è importante

di Annalisa Conte

Ci sono un italiano un cinese e un bengalese... So che dall’incipit potrebbe sembrare, ma vi assicuro che no, non è una barzelletta, È quello a cui ho assistito personalmente, qualche anno fa, in uno dei tanti momenti di shopping condivisi con il mio compagno, attualmente mio marito, sì perché nonostante questi episodi io me lo sono pure sposato, ma questa è un’altra storia… Tornando al mio racconto, qualche anno fa, durante il periodo natalizio, io e mio marito usciamo per acquistare qualche addobbo per la casa, per l’albero e anche qualche luce di Natale per illuminare il giardino. Decidiamo di andare in uno di questi fornitissimi negozi gestiti da negozianti cinesi. Scegliamo inizialmente un tubo di luci per l'esterno e poi un po' di altre cose. Inizia a servirci questo commesso bengalese. Ed è stato subito evidente che non parlasse una parola di italiano, ma più o meno a gesti, siamo riusciti ad indicargli cosa ci servisse. Dopo un po’ ci avviciniamo in cassa e mentre il cassiere di origine cinese ci fa il conto, il commesso bengalese continuava ad indicare il primo tubo di luci scelte dicendo: "questo no?" Mentre mio marito e il cassiere cinese, ognuno nella propria lingua, rispondevano in coro: "sì, pure quello"... ma evidentemente il commesso bengalese non era convinto, o molto probabilmente non capiva, perché parlava un’altra lingua. Così, quando era evidente che si stava per verificare una seconda babele, e dopo il terzo "questo no?"... del commesso bengalese, mio marito, rompendo ogni indugio e con il suo impercettibile accento romano e con la delicatezza che in genere lo contraddistingue, gli ripete: "ti ho detto di sineeeeee", poi rivoltosi al cassiere cinese domanda: "ma questo Che è de Cappadocia?" Adesso io non credo, Che gli altri due abbiano compreso il senso della "parola" Cappadocia in quel contesto, Che a Roma è utilizzato per dire che sei de coccio, o se hanno pensato che mio marito volesse sapere se davvero il tizio provenisse dalla Cappadocia, fatto sta che la scena si È conclusa nell’ilarità generale e con il bengalese che aveva finalmente compreso che il tubo di luci lo volevamo. Insomma, in un mondo sempre più multietnico, mio marito sì che è un esempio di comunicazione!!!


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Francesca Ceccherini, la sua vita dalle stalle alle stelle

di Mario Lorenzini

Mario Lorenzini) Buongiorno, oggi abbiamo un’altra intervista di rilievo, un personaggio che a breve conoscerete, vi racconterà la sua vita, ma anche la sua professione. Un personaggio che ha fatto della sua vita, nonostante le avversità, i problemi, ha avuto una rivalsa, ed è riuscita ad arrivare… dove è adesso. Vi presento la psicoterapeuta Francesca Ceccherini. Francesca Ceccherini) Vorrei riagganciarmi a una frase di Martin Luther King, che ha fatto epoca nella storia, «Io ho u sogno – I have a dream». Ecco, direi che tutta la mia vita è stata costellata da questa affermazione, «Io ho un sogno». Quando ero piccola, ovviamente non avevo la consapevolezza di che cosa voleva dire avere un sogno. Però, diciamo che, il mio sogno, è stato sempre quello di studiare. Ma perché studiare? Perché non capivo, mi trovavo di fronte a tante contraddizioni. Nel comportamento delle persone addette alla mia crescita, sono stata in istituto e vedevo queste suore che erano molto severe, usavano anche la frusta! Io non accusavo loro, cioè, non le giudicavo, mi domandavo: «Ma perché? Perché lo fanno?» considerando che mi parlavano della figura di Gesù, amorevole, ecc. e quindi… quindi avevo praticamente in erba la consapevolezza di uno psicoterapeuta; infatti, una psicoterapeuta non giudica, ma si interroga su che cosa ha indotto quella persona, o che cosa induce generalmente le persone, a fare delle cose che sono in profonda contraddizione, spesso, con la loro cultura, io mi ponevo questi interrogativi. Chi mi poteva rispondere? ML) Ti blocco un attimo francesca perché, effettivamente, hai perfettamente ragione. Io, nel mio piccolo, quando ero piccolino, diciamo appunto l’età che si legge anche nel tuo libro, anch’io sono stato all’asilo, non dove sei stata tu, però, è stata una cosa che mi ricordo essere stata parzialmente traumatica. C’erano, appunto, le suore, e avevano una severità, nel mangiare, nel farti finire le cose che non ti piacevano, e questa cosa mi è sempre risuonata un po’ strana. Anch’io mi sono sempre domandato: «Perché? Perché si comportano così?» Perché, in fondo, dovrebbero essere il rispetto della persona, il bene insomma. E quindi, questa cosa mi ha un pochino turbato. Tu invece l’hai presa in un altro modo, hai cercato di approfondire… FC) Sì, l’unico modo, questo ovviamente l’ho capito in seguito, quando ero piccola non potevo capirlo, era leggere. Perché, attraverso la lettura, io trovavo le risposte, nessuno mi dava queste risposte. Forse perché anch’io non facevo le domande, ero una bambina molto riservata, abbastanza chiusa, mi nutrivo di sogni. Ritorniamo al solito motivo del sogno, un sogno. Io, paradossalmente, malgrado che ho avuto una grande sofferenza iniziale, sono sempre stata una persona molto ottimista. Perché? L’ho capito in seguito, quando sono diventata psicoterapeuta. Perché io coltivavo, negli anni, proprio nei primi anni di vita, un sogno, che era quello di essere un eroe. Quindi, come dire, non importa quello che ti capita, l’eroe è chiaro che vive tante vicende dolorose, faticose, ecc. però, poi, alla fine, vince! Quindi, io ho sempre avuto questo convincimento: «Non importa quello che ti accade ma, tranquilla, prima o dopo avrai le tue soddisfazioni, realizzerai i tuoi sogni». Quindi, questo, veramente, sono sempre stata molto ottimista. ML) Ecco, questa è una cosa che non è facilissima da mettere in atto. Perché ci sono delle persone che, ovviamente, hanno un carattere molto debole e poi, vuoi per l’età, ma comunque capita anche da adulti, di essere preda di persone prepotenti che, per la loro personalità, riescono, come dire, a dominarci, a controllarci e hanno poi un effetto negativo su di noi. Questo non è accaduto su di te, anzi, hai avuto la forza di… combattere tutto questo e sei arrivata sino dove sei ora FC) Il fatto di non giudicare queste persone, ma di cercar di capirle, ecco, mi ha portato, intanto, a non avere sentimenti di rabbia, di ribellione, no, perché volevo solo capire, per non fare io quello che facevano gli altri. Capito? Questo è stato sempre un mio leitmotiv, cercare di capire per andare oltre e non soffermarmi, appunto, sulle cose terribili, perché erano veramente terribili le cose che ti capitavano, ecco questo è stato l’esordio della mia vita. Sai, quando tu parlavi del bambino, considera che il bambino è caratterizzato da un pensiero concreto e non astratto. Questo che cosa vuol dire? Gli manca quella capacità intuitiva che permette all’individuo di andare oltre. L’atteggiamento del bambino è proprio bianco e nero. Ecco perché il bambino non ha le risposte, perché si giudica fortemente quando si fanno dei torti ai bambini. ML) Mi viene in mente la figura classica del bambino che si rivolge ai genitori o a tutti quelli che ha vicino, «Perché questa cosa, perché quest’altra?» perché vuole subito una risposta ben definita come hai detto, no? FC) Purtroppo, le risposte non gli arrivano nella maniera in cui lui ne ha bisogno. Perché, appunto, non avendo una capacità astrattiva del pensiero, spesso l’adulto lo liquida in una maniera molto, troppo rapida, non gli dà esaurienti risposte. Ai bambini bisogna parlare facendo degli esempi, calati ovviamente nella sua dimensione mentale, magari recuperando favole e cose. Invece, se uno gli dice: «No, questo non lo fai perché è sbagliato», non ha capito niente. ML) Non si può pretendere certe cose da un bambino, ovviamente. Anche perché l’esperienza di vita, non ce l’ha, per l’età stessa. A proposito di questa esperienza, che cosa ci puoi raccontare, la tua vita che, come dire, arriva ad un bivio professionale FC) Quello appunto che accennavo prima, le mie risposte non le chiedevo alle persone che mi circondavano, le cercavo nei libri. Però c’era un qui pro quo: i libri non ce li avevo. Praticamente, io, uscita dal collegio, ero bravissima. Anche perché le suore pretendevano questo. E, paradossalmente, mentre questo, a volte, potrebbe essere negativo, pretendere delle cose da un bambino, invece, con me aveva un gioco diverso. Aveva un ruolo diverso. Praticamente loro dicevano: «Devi prendere alti voti.» Allora io dicevo: «Se loro pretendono da me voti alti, vuol dire che mi considerano in grado di poterli prendere». Quello era uno stimolo a fare bene. A scuola ero brava per due ragioni: primo per questo motivo, e poi, perché a me piaceva leggere e studiare. Quindi, non era un problema quello. ML) Insomma, il meglio di due mondi, è stato perfetto nel caso tuo. È vero, le suore hanno questa cosa della disciplina, diciamo così. Però, se non vediamo, secondo me, in senso negativo, alla fine può essere anche un qualcosa che ti forgia, anche, per la vita stessa, giusto? FC) Certo, infatti questo è stato un comportamento che mi ha portato a una continua e perpetua evoluzione. Allora, dicevo che i libri non ce li avevo. Quelli che avevo erano quelli scolastici. Anche se io, leggendo una qualsiasi cosa, andavo con la fantasia, non mi limitavo a rimanere lì. Quando sono uscita dal collegio, che avevo quindici anni, le suore, alla fine delle elementari, volevano farmi proseguire perché avevo tutti i requisiti per farlo. Invece, mia madre, continuava a dirmi: «No, no, non la fate studiare, tanto io vengo a prenderla», sembrava che mi venisse a prendere da un momento all’altro e, invece, siamo arrivati all’età di quindici anni. Quindi, sono uscita con una quinta elementare. Ho implorato mia madre, una volta uscita, di farmi studiare ma, lei, io non voglio giudicarla, perché poi noi non dobbiamo mai giudicare nessuno perché, se andiamo a vedere la vita di chi ci ha preceduto beh, non la vorremmo avere, non vorremmo certamente ricalcare le orme, mia madre, a sua volta, ha sofferto moltissimo, ma questo l’ho capito da grande, da terapeuta. E, comunque, lei pensava che la donna dovesse semplicemente starsene a casa, fare i lavori casalinghi, ecc. Tutt’al più, mi ha cercato immediatamente un lavoro, che io facevo diligentemente perché comunque, qualsiasi cosa facessi, la facevo con molta diligenza, non mi ribellavo. E non solo. Mi ha messo in una ditta di artigiani che confezionavano abbigliamento da uomo, soprattutto camicie, e c’erano persone grandi, che mi prendevano come una mascotte, come una loro figlia; mi davano amore, mi davano, quindi mi sono sempre trovata bene. Ero una persona tranquilla, docile, non creavo problemi e, automaticamente, le persone… ecco, ho incontrato amore, direi che, visto che sono molto ottimista, vedo molto più gli aspetti positivi che ho incontrato nella vita che non quelli negativi. Ho lavorato in questa ditta di artigiani e poi sono passata in una fabbrica, dove e perché, sinceramente, non lo ricordo più, perché di questo passaggio se ne occupava mia madre. Probabilmente ha ritenuto che potessi guadagnare di più. E lì, magari, ero più anonima. Eravamo circa 150 persone, si lavorava alla catena di montaggio, si era più dei numeri, come mi succedeva in collegio; ti sembrerà incredibile ma io non venivo chiamata Francesca, venivo chiamata “il numero 25”. ML) Ti sei rivista un po’ al tempo delle suore? FC) In questo anonimato di sembrava di essere, appunto, il numero 25. Non so lì quale numero fossi. Mentre ero lì, io ricordo perfettamente, mi dicevo: »Ma tanto, - tra me stessa – non starai sempre qui. Tu potrai fare tutto quello che vorrai nella vita.» Io me lo ricordo perfettamente. Che per me, quello lì, era solo un momento transitorio. Cercavo libri dove? Ovunque li trovassi. Li mendicavo come un clochard, lui mendica per sostentamento, io mendicavo libri. Quindi, quello che mi davano leggevo. Passavo da qualsiasi tipo di letteratura. Dalla filosofia, che spesso non capivo, perché ero piccola, ancora molto ignorante, però, leggevo, leggevo. ML) Mi sovviene, ora che mi parli di libri, mi ricordo una parola che hai detto prima, fantasia, avevi molta fantasia. Mi viene in mente quel romanzo, che poi è diventata una serie televisiva, Anna dai capelli rossi, questa bambina che, con tutte le sue difficoltà, orfanotrofio, quindi senza genitori in pratica, poi viene adottata, riesce ad avere questa fantasia, si immagina sempre, e poi va avanti anche nel campo scolastico e lavorativo. Quindi, c’è una specie di parallelo, insomma, mi è piaciuta molto questa cosa, mi è venuta alla mente questa reminiscenza. FC) Questa è una risorsa che spesso hanno i bambini. Avrai sentito che il bambino si crea un amico immaginario per supplire a una sofferenza affettiva, ecc. e quindi questa è una cosa buona, anche se sembra terribile. Io mi ricordo quel film che il bambino pretendeva la sedia (dell’amico immaginario) a tavola, i genitori erano allarmati. Invece, quando lui ha superato quella crisi, quello era stato un momento per sopravvivere, c’era appunto la sofferenza per la perdita di una persona cara, Quindi, queste sono buone risorse che ha il bambino. Sono transitorie, temporali, ma che gli servono a sopravvivere in quel momento. ML) Certo, certo, lo aiutano in momenti di grave difficoltà. FC) Ecco, la fantasia serve come grande risorsa. Anch’io, quando sognavo di essere un eroe, giravo il mondo, leggevo la geografia e mi trovavo in questi posti. Questo mi aiutava moltissimo perché io sono stata, bene o male, chiusa in quel collegio. ML) Però, sei riuscita a tramutare i tuoi sogni in realtà. Nonostante questa limitazione della cultura, questa parziale ignoranza iniziale in cui eri tenuta, oi sei riuscita, e ora ce lo racconterai, io ho letto, ci racconterai come sei riuscita, successivamente, a prenderti, e anche velocemente, i tuoi titoli di studio, le tue specializzazioni. FC) Allora, io ti racconterò un grande paradosso. Ho fatto anche molto volontariato. Ricordo, giovanissima, ero presidente della Croce Rossa, avevo la quinta elementare. Nessuno sapeva, perché io mi districavo benissimo, avevo letto comunque tanto, ero un’autodidatta, per carità, tutto ancora da imparare. Quindi, nessuno sapeva di questa mia caratteristica. Praticamente, avevo sotto di me quelli che sarebbero diventati medici. È tutto dire. Però, per me, era un magone incredibile. Era una sofferenza incredibile perché io la sentivo eccome questa sperequazione. Allora, dal cielo, e dico così perché allora non ero credente, non sapevo nemmeno da dove arrivava questo aiuto, con la mia positività e ottimismo, ho sempre pensato che le cose si sarebbero risolte. Un giorno incontrai una signora, non sto a dettagliare l’incontro, comunque fu un incontro straordinario. Perché, a chiunque mi capitava a tiro, quando mi aprivo un po’, esprimevo questo mio desiderio, di studiare. Lei, per l’appunto, era una professoressa di una scuola media. Mi ascoltò e mi disse: «senti, ti voglio mettere alla prova. Tu dici che hai desiderio di studiare. Io ti do il programma della mia scuola dove insegno, e tu impari, tu studi, una materia dietro l’altra, e poi, a giugno (mi ricordo era febbraio) verrai a dare l’esame di prima, seconda e terza media. Per me, era un ostacolo insormontabile, per me non lo era perché ero positiva e fiduciosa; ebbi la fortuna (anche lì il cielo mi veniva incontro), sopra di me, nel mio palazzo, abitava una coppia, io dicevo anziani, magari avranno avuto 45 - 50 anni (io avevo vent’anni). ML) Certo, certo, il paragone era quello. FC) Erano straordinari. Lui era un geometra, un artigiano, la sera arrivava tardi a casa, 20, 20 e 30. Insieme alla moglie, si mettevano lì, io salivo le scale, mettevo le figlie a letto (a 23 anni le avevo già tutte due) ML) Le hai avute da giovanissima? FC) sì, 18 anni sposata, 23 anni le avevo entrambe, e me ne occupavo da sola, non avevo nessuno, lavoravo tutto il giorno. Lui, con una santa pazienza, perché, le materie letterarie me le potevo leggere tranquillamente da sola, ma le materie tecniche… veramente non ce l’avrei fatta. E lui, tutte le sere, si metteva lì, mi faceva lezione, fino anche alle tre di notte. Era straordinario. Aveva avuto un figlio che non aveva avuto voglia di studiare. Quindi, mi ammirava tantissimo. ML) Rivedeva in te, il figlio che non aveva studiato, appunto! FC) A giugno andai a dare l’esame e passai con il massimo dei voti. Lui felice più di me. ML) Che dire, insomma, il guinness dei primati. Perché, in pochi mesi, ti sei fatta le medie. FC) Però leggevo tanto, capito. «Impara l’arte e mettila da parte» come suol dirsi. Dopodiché, questo mi dette il coraggio: «Voglio continuare». Avevo un altro problema. Mio marito non voleva che io studiassi. ML) Nemmeno lui voleva che tu studiassi?! FC) Nemmeno lui. Perché lui era gelosissimo. Ha sempre temuto che studiare, voleva dire affrancarmi da lui e lasciarlo. ML) Esatto. Ma anche perché, penso, qualche anno fa, c’era questa mentalità, la donna doveva essere, un pochettino, un gradino al di sotto dell’uomo. FC) Sì, sì, io non lo colpevolizzo. Perché poi, comunque, era una brava persona. Però, questo pallino di non volermi far studiare ce l’aveva. Allora si fece un patto: «Ti do un anno di tempo». Nel frattempo, dalla fabbrica ero passata a un ufficio, ed ero impiegata proprio dove lui era direttore in un’azienda. Il titolare di questa azienda, che mi prese a cuore perché anche lui aveva una figlia unica che non aveva voluto studiare, mi dette questa possibilità. «Bene, fai un part-time, per un anno». Quindi, la mattina andavo a scuola e il pomeriggio lavoravo e poi la notte, tutta la notte, studiavo. Volevo tentare la sortita di cinque anni in uno. Dormivo una sola ora per notte, mi cronometravo. Questo perché, appunto, mio marito aveva detto «al massimo ti do un anno». Io all’epoca ero una bimba, non osavo ribellarmi a nessuno, né a mia madre, né a mio marito. Ero sempre stata in collegio, tra persone adulte. ML) Beh, eri poco più che ventenne, certamente. Sei stata, come dire, messa alle strette, o fai così, se ci riesci, altrimenti non hai possibilità. E… ce l’hai fatta poi. FC) Sì, ma io non pensavo nemmeno che non ce l’avrei fatta. Paradossalmente, il mio ottimismo, «proviamo». Tant’è vero che anche la stessa scuola mi diceva: «ma perché non cerchi di fare in maniera più graduale», «no, non posso, devo farlo in un anno». Mettevo a letto le figlie, andavo sopra, sempre da questa coppia, perché lì c’erano materie scientifiche, cinque anni in uno non era una cosa da poco. E mi insegnava, veramente era felicissimo di farlo. E la moglie accanto a noi ci preparava un caffè, cercava di tenerci svegli. Arrivati a luglio, quando si danno gli esami, ce l’ho fatta. Io non credevo, dicevo: «ma davvero?» perché veramente era un’impresa, tant’è vero che ero dimagrita tantissimo. Ormai non mangiavo più, non dormivo, quindi… Infatti, sono stata il mese di agosto a dormire tutto il mese, il mese delle vacanze. ML) Hai recuperato! FC) No, macché! Hanno dovuto ricoverarmi in ospedale, non ce l’ho fatta. Il professore mi disse: «Ma che vieni dal Biafra?», all’epoca si diceva questo. E non solo. Quando entrai in ospedale, all’epoca ci si stava tanti giorni, non era come ora che ci mandano via subito, mi portai i libri perché mi ero iscritta all’Università. Il primo esame l’ho fatto a Medicina. ML) Bisogna battere il ferro quando è caldo, no? FC) Ormai ero partita. Infatti, in quegli anni, mi sono separata perché mio marito non voleva saperne, a quel punto, ognuno per la sua strada. Solo perché avevo il desiderio di studiare, non per altri motivi assolutamente. Bastava che mi lasciasse studiare … Comunque sia, ho fatto i cinque anni regolari. Sono passata con 110 e Lode. Il professore, ricordo, al primo esame di Medicina, mi disse: «Io, a chi viene da psicologia, consiglio di fare l’esame al terzo anno». E io gli feci proprio questa domanda: «Senta professore, se io vengo qui e lei mi fa l’esame e io non so rispondere, cosa mi dirà? Mi dirà di tornare. E allora, qual è il problema?» Lui mi guardò e mi disse: «Eccellente, va bene, accetto la sfida» ML) È stata proprio una sfida perché, saprai, oggi ci sono un sacco di lauree brevi, le cosiddette triennali, e la laurea, che prima era l’unica che c’era, la magistrale di cinque anni… FC) Esatto, sì. Ma io ero felicissima. In un esame mi dicevano di studiare sei libri, ma io… venti ne leggevo. Non mi sembrava di sapere mai abbastanza. E quindi, quando andavo all’esame, come facevo a non sapere? ML) Diciamo che eri un treno in corsa e hai ripreso quel tempo in cui dicevi che eri un clochard che che elemosinava i libri, no? FC) Certo, certo. Magari dopo me li potevo permettere. Quindi, sono arrivata alla laurea. A quel punto, però, il mio desiderio, non a caso mi ero iscritta a Psicologia, a quel tempo c’era Pedagogia con indirizzo psicologico, Non c’era a Firenze la Facoltà, avrei dovuto andare a Padova o a Roma ma, con due figlie e lavorando… Allora feci (si poteva fare a quel tempo) inserire quasi tutti gli esami di psicologia e, in teoria, divenne una laurea in Psicologia a tutti gli effetti. A quel punto però, come facevo a diventare psicoterapeuta? Intanto bisognava cominciare a fare specializzazioni. Quelle, io, ne ho fatte cinque, me ne bastava una per fare la psicoterapeuta. Ogni fine settimana, una volta a Milano, una volta a Torino, una volta a Padova, una volta a Roma. L’unica a Firenze, Sessuologia Clinica. Però, dovevo crescere le mie figlie, economicamente parlando. Non potevo, d’emblée, prendere e mettere su uno studio, non ce la facevo economicamente. Mi si sono create invece situazioni molto più agevolate. Mentre ancora ero impiegata, durante il periodo della separazione, ora bene non lo ricordo, nel frattempo, ho avuto la fortuna di conoscere una giornalista della RAI che mi chiedeva di collaborare con lei. Mi ricordo c’era la trasmissione con Maurizio Costanzo Dalla vostra parte, mi chiedeva varie cose. E io l’aiutavo volentieri perché mi piaceva questa cosa. Da quella conoscenza è iniziata la mia vera e propria evoluzione. ML) Poi, ai tempi, la RAI era la RAI, oggi ci sono un sacco di emittenti private FC) Esatto, la RAI nazionale e basta. Lei poii si licenziò dalla RAI, creò una sua rivista, Special 80, mi volle in redazione. Mi ritrovai a scrivere articoli senza aver mai fatto nulla del genere. Andavano Bene. ML) Ma le armi ce le avevi tutte, potevi farlo tranquillamente, no? La conoscenza non ti mancava. FC) Non me lo chiedevo nemmeno. Lei mi diceva: «devi intervistare un certo…». Io prendevo il mio registratore, e così via. Era una rivista mensile, di cultura generale, si chiamava Special 80 perché aveva all’interno un articolo speciale, di circa 40 pagine, e andava a tutte le Università, anche a livello internazionale. Purtroppo, non ebbe grande durata, alcuni anni, tre, quattro e chiuse. Però, da lì, avevo cominciato a conoscere una serie di personaggi, giornalisti, ecc. che apprezzavano molto, e mi fecero le loro proposte. Allora, Paese sera, come collaboratrice esterna, freelance, avevo aperto un ufficio di pubbliche relazioni. Ed era impegnatissimo questo studio, si chiamava FC, Francesca Ceccherini, appunto. Addirittura, avevo tre studi: uno a Firenze, uno a Roma, uno a Nashville. Anche se non sono mai andata a Nashville, c’era la direttrice dell’istituto universitario di Nashville che mi disse: «perché non vieni…». Io, da qui ad andare in America, questo non era possibile. ML) Era una sede, come dire, rappresentativa. Quindi, figuravi anche là. FC) All’epoca si poteva fare, avevo la carta intestata, ecc. Quindi, cosa facevo? Facevo progetti e li rivendevo al miglior offerente. Posso farti un esempio. Natale giovane. Allora, cosa facevo? Io osservavo quello che c’era intorno a me e quelle che erano le esigenze. All’epoca, perché io, attualmente, ho 78 anni, ti parlo di 40 / 50 anni fa? Allora, facendo la giornalista freelance, questo mi apriva tane porte, conoscevo tane persone, assessori, presidenti di Confcommercio, ecc. Vedevo che, nel periodo natalizio, c’era una serie di esigenze. Al tempo, oggi non si fanno più queste cose. Decoravano vetrine, ed altro. Parlai con il presidente del consiglio comunale e, praticamente, si mise in atto un progetto che è durato due mesi. Ho dato lavoro a 1000 giovani, recuperati da tutte le parti come le scuole e i posti di lavoro. Loro facevano per me questa cosa. S’era mandato le mail (tradizionali, il computer non c’era), circa 20000, Firenze e dintorni, dove proponevo, insieme ad un’agenzia di pubblicità, un pacchetto di cose. Aderirono tutti gli artigiani. Si vedevano tutti questi Papà Natale che recuperava il regalo e lo portava nelle abitazioni. Papà Natale che preparava il pacco, musica natalizie nelle strade di Firenze, studenti, anche universitari, che facevano i baby sitter per le persone che andavano ad acquistare i regali. Insomma, ebbe un successo enorme, anche sui giornali. Ecco, questo mi dava un’apertura economica però, non era il mio sogno. ML) Ancora? FC) Io volevo diventare psicoterapeuta. Il cielo, finalmente mi ha mandato anche questa opportunità. Mi ha fatto conoscere una persona straordinaria, che poi è diventata un compagno di vita. Lui era medico. Tutte queste attività di pubbliche relazioni non gli piacevano mica tanto. Sempre a cena fuori… Mi disse: «Senti, ti piace fare la psicoterapeuta, perché non ti metti a farla?» e io gli dissi: «Ma come faccio?» Avevo ancora le figlie a carico. Lui era il direttore di un ospedale. «Facciamo una cosa. Ti presento la classe medica napoletana e vedrai, ti fai conoscere…» E io accettai. Dalla sera alla mattina voltai pagina. ML) C’è da essere, come dire, sbalorditi e commossi allo stesso tempo Francesca perché hai avuto questo connubio che poi, voglio dire, la tua vita si è completamente rivoltata, se pensi all’infanzia. E poi quello che hai avuto nell’evoluzione. FC) Dalle stalle alle stelle. Pensa che avevo una lista d’attesa di 6/7 mesi nel giro di meno di un anno. Io ho avuto la fiducia, il coraggio, di voltare pagina. Avevo un’attività completamente diversa. Qui ho cominciato ad avere tanto tanto lavoro. Poi ho cominciato a lavorare anche a Firenze. All’inizio mi presentavo male perché, fino al giorno prima, ero stata giornalista. ML) Oggi, diciamo che è relativamente più semplice. Non solo con la radio e la TV, ma c’è anche internet. Ci sono vari modi di pubblicizzarsi. FC) Ma non solo. Prima chi andava dallo psicoterapeuta non lo diceva a nessuno. Se vai da un’oculista, c’è il passaparola. Ma lì… ML) Infatti, esatto. Quello che stavo per dire adesso. Oggi c’è anche un’accettazione diversa della figura. È quello. È vero. FC) Anche lì ebbi una fortuna. Entrai alla Misericordia. Sono stata trent’anni in ambulatorio. Conoscevo una persona. Non c’era nessuna terapeuta in nessuna Misericordia. Io sono stata la prima. Quando mi presentai al Governatore, lui mi disse: «psicologia? Ma che è?» Allora era un po’ perplesso. Io gli dissi: «Non si preoccupi, mi faccia entrare vedrà che poi…». Ho sempre avuto lo studio pieno. ML) Ci credo, ci credo. Senti Francesca, purtroppo, il tempo, la frase fatta, a nostra disposizione, è esaurito. Però so che tu hai ancora diverse cose da raccontarci. Quindi ti propongo di risentirci, a breve, per una seconda intervista. Così approfondiremo anche tutto quello che è l’altra parte della tua vita. Bene? FC) Va bene. ML) Io per ora ti saluto e ti ringrazio della partecipazione, del tuo contributo. Ciao per ora FC) Grazie, ciao


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Libri

Non voglio morire

di Mario Lorenzini

La relazione tra paziente e terapeuta diviene un intreccio emozionale coinvolgente e sconvolgente allo stesso tempo. Emozioni così penetranti che scuotono anima e corpo. È questa la storia di Sofia e Chiara. La vicenda si apre con l’inaugurazione dello studio medico di Sofia, sito nel centro di Firenze. La posizione, le mura dell’ambiente di lavoro; condizioni appaganti che rendono stimolante la propria attività. L’altra metà della vita non professionale di Sofia è incentrata nel rapporto con Giovanni, suo eterno compagno che la fa sentire più viva che mai. A corroborare la sfera delle sensazioni forti è “la paziente”. Il percorso travagliato di Chiara sortirà, alla fine delle sedute, in consapevolezza e accettazione. Un cammino tormentato che arricchirà il bagaglio professionale (e non solo) di Sofia. Un racconto crudo e commovente, davvero toccante, da leggere tutto d’un fiato. Ho incontrato l’amore vero Il cammino di Sofia è tutt’altro che prevedibile. La sua esperienza professionale si articola in modo intrigante e variegato, con notevoli spunti di crescita. L’incontro con Annalisa provocherà un tumulto nella vita di entrambe dai risvolti inaspettati; paziente e terapeuta inevitabilmente imbrigliati in un turbinio di avvenimenti che le avvicineranno sempre più. Sarà però Sofia il Deus ex machina della situazione. Pur con un certo turbamento, saprà ricomporre il puzzle che le si era presentato davanti. Il tutto orchestrato dal suo modo diretto al momento giusto, ma pilotato dal cuore. A sostenerla in questo percorso, il compagno di vita, Giovanni, con la capacità di offrire, in modo equilibrato, quanto decantato da San Francesco: Ciò di cui abbiamo bisogno è una tazza di comprensione, un barile di amore e un oceano di pazienza. L’epilogo? Un’altra sorpresa: la riscoperta della fede per mezzo di un sacerdote che pareva fosse lì proprio ad attendere la “passeggiatrice mattutina”. Dalle parole dell’autore, il lettore conoscerà il vero amore: un compagno complice di ogni pensiero, la verità che rivela una figlia e una sorella, la spiritualità ritrovata nella religione.


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Amici a quattro zampe

Come parlare coi gatti facendosi capire

di Renata Calzone

I gatti hanno la reputazione di animali indipendenti che tendono a ignorare i loro proprietari, tuttavia, un numero crescente di ricerche indica che in realtà prestano molta attenzione agli umani, possono imparare moltissimi vocalizzi specifici e sono perfettamente in grado di associare determinati significati. Da sempre molti proprietari di gatti sostenevano che parlare con loro sia del tutto normale, per anni si è pensato che si trattasse semplicemente di suggestione ma si stanno facendo avanti nuove ipotesi su basi scientifiche. Studiosi dell'Università di Parigi-Nanterre hanno valutato il comportamento di 16 gatti domestici all’ascolto della voce preregistrata del padrone o di un estraneo. 10 gatti su 16 (62,50%) hanno mostrato scarsa reattività quando si sentivano chiamare per nome da un estraneo mentre quando a chiamarli era il padrone drizzavano le orecchie, dilatavano le pupille e cominciavano a muoversi nella stanza. Secondo gli studiosi questo comportamento dimostrerebbe che i gatti sanno distinguere la voce del padrone da quella di un estraneo. Nella seconda parte dell'esperimento, dieci gatti hanno mostrato un aumento della loro reattività quando hanno sentito le parole del padrone rivolte a loro rispetto a quelle rivolte a un'altra persona adulta. Viceversa, nessun cambiamento è stato notato nel loro comportamento quando era un estraneo a modificare il tono per parlare con loro invece che con un'altra persona. I felini hanno reagito soltanto alle frasi pronunciate dai propri padroni soltanto quando si sono rivolti a loro con frasi dirette e semplici, pronunciate con un tono di voce più alto della norma, in altri termini si tratta del modo di parlare che viene generalmente utilizzato per rivolgersi ai bambini. Gli studiosi hanno concluso che i gatti capiscono dal tono di voce se si parla a loro o a altri (fonte: Animal Cognition, 2022). Precedenti studi avevano evidenziato risultati simili sia nei cani che nei gatti. Sebbene il campione in esame sia troppo piccolo per trarre conclusioni assolute, questi risultati suggeriscono l'importanza del tono di voce per la formazione di un forte legame tra il gatto e il suo proprietario. Per coinvolgere maggiormente il proprio felino è quindi necessario “parlargli” con frasi secche, dirette e ripetitive, analogamente a come si fa con i bambini molto piccoli che stanno imparando a padroneggiare il linguaggio.


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Articolisti…cercasi


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Se hai una passione che vuoi condividere, un tema da sviscerare o un argomento su cui esprimere il tuo pensiero, ebbene puoi essere dei nostri. Inviaci il tuo scritto e, se ritenuto valido, sar pubblicato. Per poter essere pubblicato, devi tener conto dei punti seguenti:
1) Gli articoli devono essere inviati, via e-mail, al seguente indirizzo: redazione@gio2000.it; non saranno accettate altre modalit di invio; i formati di file ammessi sono i seguenti: testo libero (txt), documento di word (doc o docx), rich text format (rtf) no pdf;
2) eventuali immagini, per la versione pdf, possono essere inviate separatamente in allegato, specificando un nome significativo; diversamente si possono includere direttamente nel file del word processor;
3) Gli articoli devono pervenire in redazione entro il 15 del mese precedente l'uscita del giornale; a tal proposito ricordo che le uscite trimestrali sono le seguenti: marzo, giugno, settembre, dicembre; conseguentemente, le scadenze per la presentazione degli scritti sono: 15 febbraio, 15 maggio, 15 agosto, 15 novembre. E’ importante far comprendee che la rivista pu uscire nell’arco del mese previsto solo grazie alla puntualit degli articolisti. Agli articoli pervenuti oltre tale termine si applica la procedura seguente:
a) pubblicati comunque, in base alla mole di lavoro della redazione e all'interesse dello scritto;
b) pubblicazione rimandata al numero / ai numeri successivi, sempre come sopra, in caso di articolo non strettamente correlato al periodo temporale e quindi valido anche in futuro;
c) non pubblicato a causa di notevole materiale gi presente in precedenza e/o rivista in fine lavorazione;
4) I testi pervenuti in redazione possono essere inseriti nel periodico, cestinati, conservati, in ogni caso non restituiti, senza motivazione comunicata dalla redazione stessa;
5) Se il testo eccede le 15 - 20 pagine, anche in relazione al tema trattato che potr essere valutato pi o meno attraente, la Redazione si riserva la facolt di ridurre o modificare, in ultimo di cestinare lo stesso; in alternativa, lo scrivente pu , di sua iniziativa, o su suggerimento della Redazione, suddividere l'articolo in due o pi tranche da immettere in numeri sequenziali della rivista;
6) Il carattere di stampa del corpo dell'articolo, relativamente al file in formato pdf, il "Tahoma", dimensione 10 punti. In generale, il layout della pagina su due colonne, con formattazione giustificata. Questo tanto perch lo scrittore possa utilizzare lo stesso font per calcolare, orientativamente, il numero delle pagine del proprio articolo;
7) L’articolista non tenuto a calcolare il numero delle pagine del proprio scritto, anche se ci pu essergli utile, al fine della consapevolezza dell’effettiva foliazione del suo scritto, per non scrivere troppo, o troppo poco . Non tenuto altres a rispettare lo stile descritto sopra come il carattere e la sua formattazione; gli articoli nel file pdf vengono tuttavia uniformati nel modo seguente:
a) Titolo dell’articolo in font Times New Roman, dimensione 12 punti, stile grassetto. Il titolo deve inoltre essere il pi corto possibile;
b) nome dell’articolista in font Arial, dimensione 10 punti, stile grassetto e corsivo;
c) corpo del testo in font Tahoma, dimensione 10 punti, paragrafo allineamento giustificato e testo ripartito su due colonne;
altre personalizzazioni proprie di chi invia lo scritto saranno annullate; naturalmente, l’articolista libero di scrivere nel modo e nel tipo di formattazione che pi lo aggrada, al fine di potersi esprimere al meglio, consapevole del fatto che tali opzioni e scelte verranno perse per adeguamento formale alla struttura della rivista; 8) Requisiti minimi. Per poter essere inserito nel periodico, i canoni indispensabili richiesti sono:
a) scrittura in un italiano corretto e comprensibile; errori grammaticali o di sintassi, come alcuni refusi, saranno corretti o meno a discrezione della redazione. In caso di un’eccessiva presenza di queste inesattezze la redazione potr decidere se cestinare il tutto o, in caso di contenuto particolarmente interessante, contattare l’articolista proponendogli di riformulare, in toto o in parte, il suo scritto;
b) Assenza di riferimenti espliciti a inclinazioni politiche. La rivista non schierata o portavoce di una qualsiasi corrente politica. La nostra rivista apolitica;
c) Rispetto della decenza e della morale, inteso come assenza di offese o termini ingiuriosi e di cattivo gusto, rivolti a figure o persone; ammessa la satira o la piacevole ironia, se opportunamente dosata;
9) Inserimento in rubrica. L’articolista pu indicare la rubrica di appartenenza del suo scritto, diversamente la Redazione inquadrer di propria scelta l’articolo; L’elenco delle rubriche riportato vicino al sommario. Gli articoli possono rientrare in una delle categorie ascritte;
10) A pubblicazione ultimata, ossia con gli articoli gi inseriti negli spazi dedicati, l’articolista non pu chiedere la rimozione, tantomeno la modifica dello stesso o la sua sostituzione con una versione pi recente;