Giovani del 2000



Informazione per i giovani del III millennio, numero 34 Settembre 2009

Direttore: Cav. Virgilio Moreno Rafanelli

Vice Direttore: Maurizio Martini

Redattori: Alessio Lenzi, Massimiliano Matteoni

Collaboratori di redazione: Elena Aldrighetti, Cristina Della Bianca e Luigi Palmieri

Redazione: Via Francesco Ferrucci 15 51100 - PISTOIA
Tel. 057322016
E-Mail: redazione@gio2000.it
Sito internet: www.gio2000.it

Tipologia: notiziario

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 4971 del 26.06.2000

Gli articoli contenuti nel periodico non rappresentano il pensiero ufficiale della redazione, ma esclusivamente quello del singolo articolista.


ELENCO RUBRICHE

In questo numero:

Editoriale
Più che privacy... una autentica ossessione
di Maurizio Martini
Comunicati
Ringraziamenti al Cral della Banca Popolare del Mezzogiorno.
a cura della redazione
Cucina
Tutti in cucina (parte diciannovesima)
di Elisabetta Barsotti
Cultura
Oggi, è ancora valido il pensiero sociale di Carlo Marx?
di Antonino Cucinotta
Tutti, pochi, nessuno?
di Renzo Coletti
Filosofia, religione e dintorni
Le sette torri del diavolo
di W A. Seabrook
Hobby e tempo libero
Namibia, la natura da spettacolo
di Gianfranco Pepe
Istruzione
Una scuola che non c'è
di Antonino Cucinotta
Racconti e poesie
Lago nero
di Roldano Pisaneschi
Spazio donne
Il corpo delle donne
a cura di Elena Cinelli

Editoriale

Più che privacy... una autentica ossessione


di Maurizio Martini

Negli ultimi tempi uno dei temi più dibattuti nel nostro paese è quello della privacy e di certi limiti che non dovrebbero essere violati per nessun motivo.
Un dato è certo. Qualsiasi servizio vi capiterà di contattare, telefonico, del
gas o dell'acqua, ascolterete l'immancabile fonia che ci avverte che i nostri
dati sono trattati nel rispetto della legge sulla privacy tal dei tali. E' un
assillo continuo, ormai lo si trova ovunque e per ogni cosa, anche le più banali,
come ad esempio l'attivazione di una promozione sul cellulare, l'operatore
durante la manovra di attivazione, ci ricorda che i nostri dati sono trattati e
garantiti. ma garantiti da cosa e da chi?
Sto attivando soltanto una promozione sul mio cellulare!
Che dire di tanta premura nei nostri confronti? Personalmente trovo tutto
questo stucchevole e semplicemente senza senso, in altre parole ipocrita.
Tanto per esser chiari, della vita privata del signor nessuno, non interessa
niente a nessuno! so che è un po' triste e deprimente, ma questo è. Se per
qualche motivo i nostri dati occorrono, vedrete che la fonia non serve
a garantire proprio nulla.
In passato si diceva che un galantuomo non ha niente da nascondere, ma
appunto questo lo si diceva nel passato e al presente credo non abbia più
validità per mancanza proprio della materia prima., cioè la galanteria e onestà.
Alzando un po' il tiro vorrei parlare della privacy delle persone che
ricoprono ruoli istituzionali. Quali potrebbero essere i limiti da non
superare? Dove inizia e finisce la vita pubblica e quella privata?
Una risposta chiara non credo ci sia, un fatto però è certo, cariche di
importante rilevanza pubblica richiedono una esposizione decisamente maggiore
verso l'esterno, e questo per più motivi, non ultimo, una naturale curiosità
che la gente ha nei confronti del personaggio. Oltre a questo bisogno che
chiamerò istintuale, esiste un sacrosanto diritto di conoscere, di sapere chi
guida un paese almeno per quanto riguarda i settori nevralgici.
Come si dice, tanto onore, tanto onere.
A tal proposito non so se avete notato un particolare a mio avviso importante.
Maggioranza ed opposizione bisticciano su tutto, non ricordo neppure alle
scuole elementari tanta foga nel voler prevalere uno sull'altro, persino su
questioni del tutto puerili. Tuttavia se su tutto c'è motivo di scontro, quando
nominiamo la parola magica, la tanto amata privacy, tutti per incanto
diventano retti e concordi! la vita privata deve essere garantita! nessuno e
per nessun motivo può ficcare il naso negli affari altrui. E tanto è sentita
questa necessità, che persino le intercettazioni telefoniche sono state
regolamentate con apposita legge e tranne poche prese di posizione veramente
ferme, tutti concordano
nel seguire questa strada.
Beh! tanta solerzia la vorremmo in altri ambiti sociali di questo disastrato
paese, e tanto per non essere fraintesi, non intendo dire disastrato paese da
quando abbiamo avuto l'avvento del berlusconismo, questo paese pecca di etica
educazione civica e profonda disorganizzazione forse da sempre.

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Comunicati

Ringraziamenti al Cral della Banca Popolare del Mezzogiorno.


a cura della redazione

La redazione ringrazia il CRAL (Circolo Ricreativo Aziendale Lavoratori) della Banca Popolare del Mezzogiorno Spa per aver accettato un accordo di collaborazione con la nostra rivista.
L’accordo raggiunto nello scorso mese di luglio tramite il nostro membro di redazione e referente del sud Italia Luigi Palmieri, consentirà di raggiungere nuovi lettori, accrescendo la diffusione del periodico.
la rivista Giovani del 2000,” sorta nel 1998 inizialmente come circolare interna tra i non vedenti della Toscana,
dopo l'iscrizione al tribunale di Firenze nel 2000 ha avuto svariati consensi
anche tra i vedenti, molti dei quali hanno contribuito e contribuiscono ancora oggi alla stesura degli articoli pubblicati

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Cucina

Tutti in cucina (parte diciannovesima)


di Elisabetta Barsotti
Cucina d'autunno

Ciao carissimi, rieccoci a voi!

Allora, come sono andate le vacanze? Vi siete riposati e siete pronti per una nuova lunga annata?
Spero di sì! Dal canto mio, proprio prontissima non saprei, l'autunno e l'inverno sono due stagioni che mi mettono sempre un po' di tristezza però, tanto per consolarmi un pochino, con l'arrivo del freddo si ricomincia più volentieri a trafficare in cucina; penso, per esempio, al forno acceso e al buon profumino del fragrante pane preparato in casa, alle focacce che, di solito, mi piace preparare per la cena della domenica, insomma, tutte quelle cose che a prepararle e, soprattutto, a mangiarle, ti mettono allegria!
E' proprio pensando all'autunno che ho messo insieme queste ricette. Il filo conduttore di tutte le portate, dessert a parte, è il gustosissimo fungo che ci accompagna nella preparazione degli antipasti, dei primi e del secondo. Per il dessert o pensato a dei dolcetti preparati con un'altra delle delizie autunnali: la castagna!
Spero che tutto questo sarà di vostro gusto e che, cosa molto importante, vi divertirete a cucinare ogni ricetta!
A me non resta che salutarvi con affetto, e darvi appuntamento al prossimo numero!

Brioche Con Ripieno Di Funghi
Ingredienti per 10 porzioni:

Per La Pasta:

Per Il Ripieno:

Preparazione:

Preparate la pasta: sciogliete il lievito col latte tiepido e mescolatevi la farina necessaria per ottenere un panetto consistente. Lasciatelo riposare per sei ore in una scodella infarinata, dopodichè unitevi il resto della farina, 1 presa di sale, 3 uova e 125 g di burro fuso, tiepido; lavorate bene gli ingredienti e fate lievitare la pasta ottenuta per 12 ore. Trascorso questo tempo lavorate, ancora la pasta per qualche minuto, quindi datele la forma di un rotolo e tagliate quest'ultimo in 10 pezzi uguali. Dividete ogni pezzo in due parti, di cui una 1/4 dell'altra, e sagomatele entrambe a palla. Mettete i dieci pezzi più grossi in 10 pirottini di carta oppure direttamente sulla placca del forno ricoperta di carta forno ben distanziati l'uno dall'altro, spennellateli con l'ultimo uovo, sbattuto, sovrapponetevi al centro una pallina piccola, e spennellate anch'essa con l'uovo. Lasciate riposare le brioche per 10 minuti, quindi fatele cuocere in forno a 170 gradi per 10 minuti.
Quando le brioche sono fredde, tagliate loro la calotta superiore e scavatele leggermente togliendo parte della mollica.
Nel frattempo preparate il ripieno: pulite i funghi, tagliateli a pezzettini e fateli rosolare in una padella con due cucchiai d'olio, salate, pepate e fate cuocere per 10 minuti.
In una casseruola fate scaldare il resto dell'olio e amalgamatevi la farina e il latte caldo, poco per volta per preparare una similbesciamella. Salate e fate cuocere la salsina a calore moderato per 5 minuti, sempre mescolando, quindi aggiungetevi i funghi, ormai cotti, e distribuite il composto ottenuto nelle brioche, chiudetele con i loro "coperchi" e passatele in forno a 200 gradi per 3-4 minuti.
Sfornate e servite subito.

La ricetta è un po' laboriosa, vero, ma decisamente d'effetto e molto gustosa.

Sfogliatine Con Funghi
Ingredienti per 4 persone:

Preparazione:

Pulite i funghi strofinandoli delicatamente con un panno umido. Tagliateli a fettine, spruzzateli con il limone e cuoceteli in un tegame con una noce di burro. Se asciugano troppo aggiungete un cucchiaino d'acqua tiepida. Con il matterello tirate la pasta sfoglia a pochi millimetri di spessore e ritagliatevi con uno stampino tanti dischetti di 10 centimetri di diametro. Tagliate a metà le fette di prosciutto, su ognuna distribuite un po' di funghi, alcuni pinoli, una strisciolina di fontina, un pizzico di pepe; chiudete l'involtino e adagiatelo al centro del dischetto. Ripiegate la pasta, premete bene i bordi per sigillare. Disponete le sfogliatine sulla placca leggermente unta del forno, spennellatele con l'uovo e lasciatele dorare in forno preriscaldato a 200 gradi per circa un quarto d'ora.
Servite caldi.

Pasticcio Di Maccheroni Ai Funghi
Ingredienti per 4 persone:

Preparazione:

Mondate i funghi, affettateli e stufateli in un po' di olio fatto precedentemente insaporire con lo spicchio di aglio schiacciato; una volta cotti togliete l'aglio e condite con sale, pepe e prezzemolo finemente tritato. Amalgamate la besciamella all'emmenthal tagliato a dadini e a una metà dei funghi precedentemente preparati. Lessate la pasta in acqua salata, scolatela bene al dente e conditela con i funghi, quindi disponetela a strati in una teglia da forno alternandola con la besciamella e parmigiano grattugiato. Terminate con besciamella, parmigiano e qualche fiocchetto di burro; passate a cuocere in forno caldo a 180 gradi per 25 minuti circa o finchè non si sarà formata sulla pasta una bella crosticina dorata.

Risotto Funghi E Asparagi
Ingredienti per 4 persone:

Preparazione:

Rosolare in metà del burro la cipolla tritata, il prosciutto a striscioline, le punte di asparagi, i funghi a fettine e il pomodoro a dadini. Salare e far cuocere per qualche minuto finchè gli asparagi non saranno teneri.
Unire il riso, far tostare per due minuti, bagnare col vino bianco e lasciare che evapori alzando un poco la fiamma.
Dopo 2 3 minuti, cominciare a unire il brodo bollente e portare a cottura bagnando poco per volta. A cottura ultimata ncorporare il restante burro e il formaggio grattugiato.

Filetto Di Vitello In Crosta Di Patate E Funghi
Ingredienti per 4 persone:

Preparazione:

Sbucciare le patate, grattugiarle con una grattugia media, aggiungere i funghi porcini tritati o altrettanto grattugiati. Condire con sale e pepe e un filo d'olio ed unire il prezzemolo e l'erba cipollina. Amalgamare il composto per bene e lasciare riposare.
Nel frattempo, in una padella con l'olio ed 1/3 del burro, scottare i filetti di vitello 1 minuto per parte, salare e pepare leggermente. Mettere il composto di patate e funghi in un piatto e inpanarvi i filetti premendo per bene in modo da far ben aderire la panatura.
Riporre i filetti in una padella con il resto del burro e rosolarli da ambo i lati facendo attenzione a non rompere la crosta. Adagiarli ora su una teglia e finire la cottura in forno per 10 minuti circa a 200 gradi. Servire i filetti croccanti con sotto la salsa d'arrosto ed accompagnati con degli spinaci freschi fatti al burro.

Pastine Di Castagne All'amaretto
Ingredienti per 6 persone:

Preparazione:

Le dosi sono per 12 pastine. Incidete la buccia della castagne con un coltellino appuntito e mano a mano che sono pronte mettetele in una casseruola; alla fine copritele di acqua fredda e fatele cuocere per circa 30 minuti a partire dall'ebollizione. Levate il recipiente dal fornello ed estraendo poche castagne per volta pelatele; a lavoro finito passatele dal passaverdure con il disco più fine raccogliendo la purea in una ciotola. Incorporate alla purea ottenuta il latte freddo e lo zucchero, mescolando bene. Sbriciolate gli amaretti e distribuitene la metà sul fondo di 12 larghi pirottini di carta; in una tasca di tela impermeabile munita di bocchetta rotonda liscia mettete i tre quarti del composto di castagne, premendolo poi nei pirottini. Montate la panna ben soda e suddividetela su ogni pastina, spolverizzatela con lo zucchero vanigliato e cospargetela con tutte le briciole di amaretti. Mettete a poco per volta il restante composto di castagne in uno spremiaglio e fate cadere questi sottili fili a monticello sui dolcetti, per ultimospolverizzateli con pochissimo cacao amaro fatto cadere da un setaccino. Disponete le pastine in un piatto di portata e in attesa di servire conservatele in frigorifero per un paio d'ore.

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Cultura

Oggi, è ancora valido il pensiero sociale di Carlo Marx?


di Antonino Cucinotta

Il secolo XIX è caratterizzato da un profondo sommovimento tecnico-scientifico e da una profonda trasformazione organizzativa del lavoro e dei lavoratori nel campo aziendale ed economico. Ciò fu opera della prima rivoluzione industriale che trasformò i tradizionali opifici artigianali in fabbriche industrializzate meccanizzate, fondate non più sull’utilizzazione di telai manuali, ma sull’uso di macchine automatizzate. La funzionalità delle macchine non richiedeva più una particolare forza fisica, dote del sesso maschile, in quanto esse potevano essere manovrate anche da donne e da ragazzi.
Con ciò non si può dire che la conduzione umana e sociale della manodopera sia migliorata rispetto alla precedente organizzazione lavorativa, dove l’artigiano e i suoi collaboratori, vivevano in perfetta sintonia e trovavano piena soddisfazione nella realizzazione delle opere da loro prodotte.
Va, comunque, detto che l’introduzione e l’uso delle macchine ha consentito una forte espansione produttiva e commerciale, favorita, a tutto vantaggio del proprietario, dal liberismo economico imperante. Di conseguenza, furono migliaia i lavoratori che trovarono occupazione nelle nuove fabbriche, seppure in condizioni disumane e di estrema miseria. Essi costituirono la nuova classe del proletariato che disponeva solo della forza-lavoro che vendeva, come una qualunque merce, al capitalista che lo compensava con un salario; salario che, comunque, non consentiva ai lavoratori neanche di soddisfare i loro bisogni spirituali e materiali.
Si ha così quella che Marx (1818-1883) chiamò “alienazione” nel senso che il lavoratore non veniva trattato come persona e veniva spogliato di ogni valore, ridotto a semplice merce, deprivato della sua libertà e sottoposto a sfruttamento. Fu questa la condizione sociale che impegnò Marx e che fu oggetto in tutte le sue opere di una serrata critica e una forte opposizione al sistema lavoro introdotto nelle fabbriche dalla meccanizzazione.
Marx aveva una chiara visione della situazione determinatosi con la rivoluzione industriale che portò ancor più all’egemonia della borghesia sul proletariato. Egli, peraltro, non disconosce alla borghesia molti meriti per l’evoluzione impressa all’organizzazione del lavoro con l’eliminazione, prima, del sistema feudale e poi dell’organizzazione artigianale. Comunque, i meriti riconosciuti non poterono impedirgli di intraprendere una incessante lotta contro la classe dominante che aveva reso ancora più dura la vita del proletariato, sottoposto a soprusi e sfruttamenti continui. Infatti, l’operaio, trattato come una merce, era valutato secondo le leggi economiche di mercato, fondate sulla domanda e sull’offerta. Era naturale che il lavoro meccanizzato assorbisse un gran numero di lavoratori e la maggiore disponibilità di manodopera consentiva ai padroni di stabilire l’entità del salario, di solito ridotto quindi al minimo indispensabile. In conseguenza, il lavoro non riservava all’operaio né soddisfazioni materiali né spirituali. Infatti, produceva, ma il prodotto non gli apparteneva; non gli appartenevano gli utensili né le macchine che consentivano la produzione. L’oggetto realizzato non era neanche il risultato di un lavoro personale, quanto piuttosto il concorso di una molteplicità di individui, secondo l’organizzazione del lavoro in serie.
Marx vede tra le due classi un contrasto insanabile e incessante che, secondo lui, dovrebbe avere la sua conclusione nell’abbattimento della borghesia e nell’abolizione della proprietà privata, causa per lui di tutti i mali del proletariato e mezzo di arricchimento sempre maggiore del capitalista. Peraltro, la realizzazione della grande industria pose i lavoratori uno accanto all’altro, consentendo loro di acquisire consapevolezza dell’importanza del loro lavoro e del danno che ne sarebbe derivato alla proprietà con la sospensione della produzione. Si resero pure conto che ciò si sarebbe potuto verificare con il ricorso allo sciopero anche se ancoro per lungo tempo proibito e punito.
Marx auspica che tale consapevolezza porti i proletari di tutto il mondo ad unirsi per provocare la rivoluzione mondiale che dovrà portare il proletario al potere e alla realizzazione della società senza classi, senza Stato, senza leggi e quindi anche con la soppressione dello stesso proletariato. Come ciò possa realizzarsi, Marx non dice esplicitamente. Non si può negare che si tratti di un pensiero utopistico e quindi irrealizzabile, così come la storia del Movimento ha confermato.
Marx, comunque, non ammetteva che la rivoluzione mondiale fosse opera di un’elite. Così come non avrebbe riconosciuto, come attuazione di una fase del suo pensiero, la rivoluzione bolscevica che un’elite di rivoluzionari, con a capo Vladimir Lenin (1870-1924), attuò nel 1917 nella Russia zarista; cioè, nel Paese preminentemente agrario, arretrato e ancora scarsamente industrializzato.
A conferma, possiamo rilevare che nell’Unione Sovietica dominata per lunghi anni dalla dittatura e dal crudele dispotismo di Giuseppe Stalin (1879-1953), si è realizzata solo la fase socialista che, peraltro, non ha dato ai suoi cittadini il benessere e la tranquillità promessi.
E’ chiaro quindi che lo scopo finale del pensiero marxiano in tutti i suoi aspetti, ha dimostrato il suo carattere utopistico poiché, contrariamente a quanto preconizzato da Marx, ancora oggi continuano a sussistere nella realtà sia gli Stati, sia le leggi e sia le classi.
Ma il fallimento dell’ideale marxiano venuto totalmente meno con lo scioglimento dell’Unione Sovietica nell’ultimo decennio del XX secolo, non può impedire di attribuire a Marx il merito di aver sollevato e propugnato il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Egli può senz’altro considerarsi un benefattore e benemerito della classe lavoratrice. Infatti, senza il suo impegno di progresso sociale, costantemente perseguito durante tutta la sua vita, difficilmente i lavoratori avrebbero potuto raggiungere i traguardi ormai da decenni bene affermati. Così, il rispetto in fabbrica dell’operaio come “persona”, il trattamento salariare non più imposto dalla volontà del capitalista, ma concordato con i sindacati, democraticamente eletti; non più solo doveri, ma anche diritti riconosciuti, fra cui il godimento della pensione di vecchiaia, delle ferie pagate, del riconoscimento del diritto alla salute, all’istruzione e alla organizzazione sindacale democraticamente eletta.
Ciò, però, non deve fare abbassare la guardia perché sono sempre in agguato i rischi di ricadute involutive, dovute: a banchieri e finanzieri dissipati, eccessivamente ottimisti e imprevidenti; a ingordigia egoista di imprenditori, incuranti di gettare sul lastrico con le loro rischiose speculazioni borsistiche, chi ha dato loro fiducia; a politici impreparati e anche corrotti, lontani dagli interessi dei cittadini. Sarà quindi sempre necessario avere sindacati seri, preparati e autonomi, sempre pronti a tutelare l’occupazione lavorativa e gli altri benefici connessi con il lavoro.

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Tutti, pochi, nessuno?


di Renzo Coletti

Negli anni 50 iniziava una ricerca ambiziosa di rrisposte; era l’inizio di quella che poi divenne la corsa verso lo spazio, sia brama di potenza, sia ricerca di altra vita intelligente. L’universo appariva uno spreco assurdo, se ad usufruirne era solo l’Uomo, ovvero come complessità intelligente ed evoluta. Nasceva quindi la domanda spontanea: “Dove sono Tutti quanti?”. Questa domanda divenne il famoso paradosso di Fermi. Quindi i primi viaggi spazialiavevano due motivazioni. La prima era l’istinto migratorio e la conoscenza, il secondo la ricerca di una vita alternativa e possibile. L’Uomo condannato da una solitudine esistenziale, cercava un potenziale compagno di viaggio in una sfida verso il tempo e il suo controllo. Il Dio consolatore e protagonista del sogno oltre la morte, veniva messo così a confronto con una nuova concezione che era la probabilità di un essere superiore avvicinabile e con cui iniziare un dialogo. Nasceva così anche la fantascienza e gli orizzonti più sfrenati e ambiziosi che la mente umana potesse concepire. L’Uomo immaginava quindi, una nuova solitudine ed una avventura nello spazio con i suoi inevitabili pericoli e le sue nuove sfide. Nuovi pianeti affascinanti e a doppio risvolto, come l’esperienza poteva collocare in categoria di amico o nemico, erano in nuovo orrizzonte. Il pianeta Terra, da piccolo puntino luminoso e simbolico, si allontanava sempre più e diveniva passato da cui si fuggiva tranciando tutti i ponti. L’Astronave nuova arca dell’Umanità, era il fulcro di una vita oltre la vita sino ad oggi pensata e proponibile.
Cosa sto cercando di trasmettere al possibile lettore? Est Ovest, Nord Sud, Oriente ed Occidente, sono solo punti cardinali o alba e tramonto? Cosa contiene una parola come occidente? Cosa ha significato l’Oriente e cosa sono oggi il nord ed il sud del mondo? In quale direzione scorre il tempo e dove si colloca il passato ed il futuro? Questa nostra madre comune che chiamiamo Terra, è inserita nell’Universo, in una posizione privilegiata rispetto al Sole, come pure contiene una infinità di diversità biologicamente rappresentative di quanto siano le differenze e le complessità forse rintracciabili nell’intero panorama universale, oggi proponibile e riscontrabile. L’evoluzione propone ciò che definiamo progresso e tecnologia, mentre il pianeta sta giungendo ad un livello di degrado che ci condurrà inevitabilmente alla catastrofe. Catastrofe non è solo fine della vita sul nostro pianeta, è invece impossibilità di andare oltre la nostra madre Terra, quindi raggiungere uno stato avanzato e ristretto da diversi fattori, per lanciarci in un viaggio nel sistema solare. Ciò che ci ha fatto giungere sin qui, sono proprio le diversità che ogni valore intrinseco dei significati racchiusi nei sopra citati punti cardinali, possono e potranno significare e trasformarsi in piattaforma di lancio verso l’infinito concepibile. L’extra terrestre che stiamo cercando o immaginando, non è che una nostra proiezione oltre il limite che è natura umana oggi conosciuta e concepita come tale. La specie umana si è estesa e moltiplicata, attraverso l’istinto migratorio e il superamento di quel che definiamo confine sia territoriale che mentale. L’Uomo ad immagine e somiglianza di dio, è il frutto immaturo di un disvelarsi della coscienza, la cui origine e il cui limite è ancora incerto e emotivamente inafferrabile o razionalmente concepibile. Domandarsi se l’umanità sarà in grado di estendersi nello spazio, appare cosa superba e improponibile, sia ad un lettore tendente alla ricerca scientifica, sia a quello più versato verso la Spiritualità. Delegare è il quotidiano, come il vivere politico o il partecipare sindacale. Ancor peggio, sono i pochi tentativi spesso ininfluenti o inadatti, di dare alla religiosità una direzione oltre il confine tra tradizione e progresso. Come caotici sono i flussi migratori, caotica è l’economia e il Diritto o il suo contrario. Innalzandoci oltre l’atmosfera, avremo forse una immagine più rialistica del caos che sono le nostre traiettorie di marcia, sia personali, sia delle merci, sia dei mezzi di collegamento sia terrestri che spaziali. Nel microcosmo lavorativo o casalingo, o se preferite di qquartiere, una rappresentazione fotografica ritmata, non rivelerebbe molto o non creerebbe immagini inconscie particolari, ma alcune foto scattate dallo spazio ad un certo ritmo, trasformerebbero il panorama immortalato su schermo o carta, rappresentazioni infinite di realtà possibili verso una nuova dissoluzione e un nuovo aspetto fenomenico. Questo potrebbe essere un esercizio utile, sia per noi cittadini comuni, che per le èlit del mondo. Forse una rappresentazione geometrica o artistico dell’insieme, aiuterebbero a trovare un senso ed una ecologia mentale di cui abbiamo estremo bisogno.
Uno dei miei sogni, è incontrarmi con il Generale Grant. Non sto pensando ad un viaggio nel mondo dei morti, ma solo verso il nuovo mondo, (l’America), in cerca del passato e del presente, in un dialogo epidermico tra me ed una sequoia di 4000 anni, a cui hanno affibiato questo nome così minuscolo della Storia. Noi con la nostra presunzione e la nostra visione antropocentrica, davanti ad una testimonianza di vita di 4000 anni, cosa possiamo provare e emotivamente assimilare in una tale situazione? Noi viviamo questa condizione, intesa come rapporto, ogni istante della nostra vita, ed ad ogni istante la respingiamo come un incubo o un trauma da rimuovere. Una visita al Generale Grant, puo essere considerata l’equivalente di un viaggio nello spazio per un astronauta. Seduti all’ombra di una sequoia di miliaia di anni, è vedere la propria immagine sulla Terra da una distanza che ci rende simili ad un formicaio. Noi calpestiamo le formiche, come ne fossimo i giudici ed i carnefici, ma non vediamo l’Universo che potrebbe calpestare noi con la stessa indifferenza e casualità. Quanti Uomini sono necessari per abbracciare il Generale Grant? Quanti saranno in grado di salire a diverse altezze dei suoi rami? Quanti giungeranno alla vetta? Diamoci la mano e formiamo un girotondo intorno al mondo, poi iniziamo a separarci e a inalzarci verso lo spazio e lasciamo che altri prendano il nostro posto. Alla prima piattaforma creiamo un nuovo cerchio e un nuovo girotondo, mentre alcuni proseguono e lasciano il posto a altri che stanno giungendo dalla nostra base di partenza. Una piramide, non è molto differente da una secuoia, o un cipresso al margine di un cimitero. Una astronave può essere a forma di piramide, o è solo la tomba di un Faraone che può divenire veicolo verso l’infinito? Forse è meglio tornare ai nostri punti cardinali e immaginare una rotta che ci ha condotto sin qui, poi… Ciò che ha garantito l’evoluzione sul nostro pianeta, quindi anche la nostra, è una posizione privilegiata rispetto al sole,un satellite grande come la Luna che ha fornito una stabilità al nostro asse, una
Una forte presenza di macchie tettoniche, una biodiversità capace di produrre una complessità in cui emergere come specie intelligente. Questo rivela quanto vi sia di visione antropocentrica nel nostro pensiero, quanta megalomania e ambizione di potenza domini le nostre scelte comportamentali e di ciò che definiamo progresso e civiltà. Solo sino ad un secolo fa, le culture presenti nel mondo, erano più o meno 5000, tutte con una forma diversa per giustificare il mito delle origini e la creazione. Quindi l’occidente, l’oriente, il nord o il sud del mondo, non sono che l’ultimo aspetto del nostro pianeta e dei suoi abitanti, che sono un piccolo segmento della conformazione della Terra e della storia umana. Come giustificare nella definizione del linguaggio, una frase come la “cultura occidentale,” , come giustificare la presunzione di un credo politico o religioso? Siamo davvero, in una graduatoria gerarchica, la specie prediletta da un dio, o siamo solo parte di un progetto evolutivo di cui sappiamo ciò che il nostro limite ci consente? Se l’Uomo, oggi detiene il dominio apparente del mondo, è dovuto al prodotto di milioni di evoluzione sia materiale che psichica e spirituale di riferimento. Il vincitore nel lungo periodo, non può essere un punto cardinale e la sua cultura dominante, ma sarà chi al fine riuscirà ad uscire dalla trappola del sistema solare, inteso come possibilità di habitat per le future genrazioni.Vivere la realtà è saperne distinguere gli aspetti verso cui si tende, come una pianta che piega il suo tronco verso la luce ed il sole. L’ombra e infine il buio totale, sembrano essere il nostro destino. Incapaci come siamo di piegarci al senso della vita e della luce,nel suo significato più profondo, stiamo usando il nostro tempo a disposizione, che dovrebbe condurci nello spazio e nel tempo, distruggendo ogni forma di possibilità capace di donarci questo panorama ancora neppure concepito o sognato. Sul nostro pianeta, forse più di una volta, una specie intelligente, ha avuto la possibilità di uscire dalla trappola dell’entropia, quindi raggiungere il punto critico per compiere il salto di qualità. La società capitalista e liberista, ha in sé il germe della sua rovina. La competizione e lo sfruttamento sia umano che della natura, saranno presto al limite della tollerabilità sia umana che della natura tutta. Questo dimostra, qual’ora ve ne fosse stato bisogno, quanto siamo parte del tutto e quanto sia demenziale ed egoista il nostro vivere quotidiano. Quanti si stanno domandando cosa sta accadendo e perché? Tutti? Pochi? Nessuno? Può avere un senso affidarsi ad una tecnologia senza una base etica e morale? Può la traduzionedel mezzo in fine, essere una risposta responsabile alle nostre scoperte scientifiche e biologiche? L’uomo del terzo millennio sarà strumento o fine del nostro viaggio sulla Terra? Un corpo protesi e una mente artificiale, può manlevarci dalla responsabilità dell’auto distruzione? Se l’attuale situazione politica e sociale, ha il suo potere più grande e oppressivo tra le mani di pochi, quanti potrebbero essere in grado di compiere il salto nello spazio? Ancora una volta: tutti? Pochi? Nessuno? Ci sarà davvero un Popolo eletto per il viaggio da qui all’eternità? Quante risorse sono necessarie per una avventura umana nello spazio? Ancora una volta: sarà la competizione, la volontà di potenza, la Fede, il patrimonio culturale, la tecnologia, la speranza, la biologia teorica, la forza o la violenza, che renderà possibile un domani prima che l’oggi non esista più? Ancora due gradi di calore, poi la Terra si ribella, ancora consumi sfrenati e le risorse per iniziare il nuovo viaggio, non saranno sufficienti. Quale ecatombe potrebbe essere così selettiva da permettere che pochi sopravissuti potessero realizzare il sogno? Credo che ancora una volta l’uomo salirà su una nuova arca con i tesori di un tempo e ripartirà da zero. Forse una nuova specie capirà i nostri errori e riuscirà ad essere la fiaccola dell’utopia sognata dall’Uomo troppo avido ed insaziabile per esserne il portatore. Un bene comune, o una idea celata nel nostro labirinto mentale, potrebbe illuminarci e darci la giusta traiettoria verso l’immortalità oltre il nostro Pianeta, ma saranno come sempre i pochi ad usufruirne, oppure tutti avremo una chance, o nessuno salterà il confine della propria mente ambiziosa e egocentrica o perversa e quindi fallimentare.
C’era l’Oriente, l’Occidente, il nord ed il sud del mondo, c’erano culture e sogni nei cassetti, c’era la paura e l’orgoglio, ma pur parlandone sino all’asfissia, mancava l’Amore.

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Filosofia, religioni e dintorni

Le sette torri del diavolo


di W. A. Seabrook

Conobbe Crowley William Seabrook  e fu in rapporti più che cordiali anche con altri uomini del mistero del suo tempo. Col mago inglese pare s'incontrasse
per la prima volta verso la metà del 1918 , auspice lo scrittore irlandese Frank Harris. Si sarebbero rivisti anche in seguito, dato il fortissimo interesse
del viaggiatore americano per i fermenti più radicali dal preternaturale; ed è T proprio sulle rotte dell' occulto che si dirige , di ritorno dal fronte
europeo, fra gli anni 20 e 30, Seabrook .  In Africa occidentale , presso gli antropofagi Guere; ad Haiti, donde solleva un velo sui fenomeni sino allora
del tutto celati a gli occhi occidentali , del voodoo; e nei paesi arabi, presso quei settari che leggende del popolino islamico assicurano quali adoratori
del diavolo. Anche Guenon riconosceva a gli Yezidi , misteriosa setta del Kurdistan oggi pressoché  estinta , un carattere sconcertante, peraltro non
arrivando a tacciarli di vero e proprio satanismo. Seabrook, che li visitò T verso il 1924, ne riporta con dettaglio i costumi, specie quelli religiosi,
introducendo per primo verso il pubblico dei curiosi l' ancor più enigmatico tema dell "sette torri del diavolo". Ascoltiamolo.. 
Ad Aleppo un pomeriggio , presso un giardinetto dopo aver giocato al biliardo, mi ritrovai a bere del caffè con Najar Tarek, lo stesso capitano di cavalleria
che mi era stato compagno di viaggio durante la precedente presenza in Anatolia. Ci mettemmo a parlare degli Yezidi, questa setta misteriosa sparpagliata
un po' per  tutto il medio Oriente e specie a nord della penisola arabica , che tanto timore incute al popolino islamico e cristiano di quelle terre poichè
rende culto a satana. Nerek mi raccontò come , tre anni prima, avesse avuto modo di visitare il "sancta sanctorum" degli Yezidi, sulle montagne che a
nord di Bagdad determinano il confine tra la Mesopotamia e il Kurdistan. Vide , senza peraltro avere la possibilità di entrarvi lo strano tempio ricavato
dalla roccia , ove il principe delle tenebre è adorato  nella figura singolarissima del pavone .      
Un tempio , ritenne l' amico, come porta di accesso a caverne sotterranee adibite a riti di sangue in adorazione del diavolo. E ancora , aggiunse, poté
scorgere una delle favolose Sette Torri o Dimore della Potenza . Quella situata nel territorio degli Yezidi (i quali peraltro non ne farebbero personalmente
uso, lasciando questa incombenza ad ogni sorta di pellegrini che vi intendano sostare) assume la forma di una alta e bianca struttura conica, dal cui pinnacolo
emanano di continuo lampi accecanti. Fu a questo punto , che lo interruppi. Difatti avevo avuto modo di udire anch' io, più volte nel mio peregrinare a
Oriente,  di queste Sette Torri, però credevo si trattasse di un racconto mitico, alla stessa stregua del "regno sotterrraneo" cinese o delle caverne
di Sinbad. La tradizione orale afferma in proposito che torno torno al continente asiatico, dalla Manciuria settentrionale al Tibet fino alla Persia e
al Kurdistan, vi siano sette torri, isolate in cima ai monti, in ognuna delle quali un prete di satana mediante irradiazioni occulte proietta forze , appartenenti
al sottomondo delle tenebre, nell' aura del nostro pianeta. Le Torri servirebbero dunque come catalizzatori eterici di queste forze.  Proprio ora , accanto
a me vi era un uomo pronto a confermare, in qualità di testimone oculare e sul tono di una pacata conversazione da salotto, tutto ciò. Secondo Terek,
sebbene egli si fosse travestito all' uopo da mercante curdo, sarei potuto andare apertamente e senza pericolo presso gli Yezidi, e vedere molto più di
quanto a lui fosse stato permesso. Essi, proseguiva l' amico, erano rispettosi oltremodo delle genti di lingua inglese, dal momento che il recente protettorato
britannico sulla regione irakena aveva posto fine ai periodici massacri cui essi furono sempre soggetti durante il precedente, plurisecolare dominio arabo. 

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Hobby e tempo libero

Namibia, la natura da spettacolo


di Gianfranco Pepe
Introduzione

I viaggi sono da molti anni una delle mie grandi passioni, e con estrema soddisfazione ho avuto la fortuna di riuscire a realizzarne parecchi . Al ritorno
da questi viaggi ho da sempre avuto l'abitudine di scrivere un diario, diciamo ad uso personale, e solo negli ultimi tempi ho pensato di redarre un breve
resoconto per me, ma soprattutto per gli amici, con il desiderio di coinvolgerli e di condividere  con loro le emozioni vissute e i luoghi visitati.
 Molti di loro, nonostante mi conoscano bene, rimangono stupiti di come una persona con gravi problemi di vista come me,  possa vivere con grande intensità
e partecipazione le sensazioni, gli ambienti e le esperienze, facendosi un'idea estremamente precisa di quanto visitato. Questo sicuramente grazie alla
preparazione del viaggio prima della partenza, grazie alla descrizione delle fotografie al ritorno, ma anche e soprattutto grazie alle parole, alle reazioni 
e ai sentimenti espressi dagli altri partecipanti e, nel mio caso, in particolare da mia moglie che, con estrema naturalezza ed entusiasmo si rivolge sempre
a me come se io riuscissi a vedere con esattezza quanto mi descrive.  Inoltre, il tempo "risparmiato" nel non essere impegnato a guardare e ad osservare,
mi consente di interiorizzare ed elaborare  le sensazioni trasmesse in modo intenso ed efficace.
 E' chiaro che in questa ottica i luoghi nei quali l'elemento natura è predominante sono quelli più coinvolgenti, e l'esperienza vissuta in Namibia ne
è stata sicuramente la massima espressione.

Gianfranco Pepe

Racconto

Descrivere con le parole, insignificanti parole, la struggente desolata bellezza dei luoghi, dei paesaggi, degli ambienti , nonchè la profonda intensità delle sensazioni e delle emozioni che questo splendido viaggio ci ha donato, è veramente difficile se non assolutamente impossibile.
Tra le tante cose che ci hanno stupito, i molti animali che abbiamo incontrato ovumque, e non solo nel parco Etosha, come gli innumerevoli springbok, piccole, dolcissime antilopi, che con i loro eleganti balzi hanno animato i nostri trasferimenti, ma soprattutto l'incredibile varietà dei paesaggi e dei panorami che si susseguivano davanti ai nostri increduli occhi, con sorprendente diversità anche a poca distanza tra loro.
Quello che invece è rimasto invariato e che ci ha accompagnato costantemente sono stati la nostra continua meraviglia ed il silenzio. Un silenzio avvolgente, spesso totale, a volte assordante che ha suggellato tanti momenti indimenticabili, sia che ci trovassimo persi tra le dune rosse del Kalahari, nell'infinito mare di sabbia tra le altissime dune rosate del Namib, a pochi metri da una mandria di 21 elefanti nel Damaraland, nel mezzo di decine di sinuose giraffe che si rincorrevano come in una danza nel parco Etosha, ai margini di una pozza illuminata nella palpitante attesa che i leoni venissero ad abbeverarsi, o semplicemente estasiati nei tanti tramonti africani sulle terrazze dei nostri lodge, sempre situati in incantevoli ambienti selvaggi e suggestivi, spesso raffinati e con grande attenzione ai particolari e sempre in piena sintonia con la natura circostante, che hanno aggiunto confort e atmosfera al nostro soggiorno.
Altre costanti del nostro itinerario sono state l’assoluta mancanza di traffico sulle polverose ma veloci strade sterrate che percorrono il paese, e quando dico assoluta intendo dire che ci è capitato più volte in un percorso di 300 chilometri di incrociare al massimo 4 o 5 altre macchine, e il clima fresco, a tratti freddo nelle albe e nei tramonti, ma sempre meravigliosamente soleggiato, terso e limpido.

A poche ore dal nostro arrivo e a pochissimi chilometri dalla capitale Windhoek, ci siamo ritrovati con sorpresa ad ammirare da vicino su un fuoristrada scoperto un rinoceronte bianco e a camminare nel crepuscolo verso una grande mandria di gnù, nella splendida riserva di Gocheganas. Il giorno successivo è iniziato il vero e proprio viaggio a bordo di una bestia 4x4 bella e confortevole, che ci ha consentito percorsi alternativi, sbandando rabbiosa su piste di sabbia o sobbalzando gentile su letti pietrosi di fiumi asciutti. E così i 4 partecipanti alla spedizione, io, Frediana, Amelia e Annarita, sempre in compagnia del fedele e bravo autista Marki, viaggiando verso sud abbiamo raggiunto il deserto del Kalahari tra paesaggi caratterizzati dalle dune che corrono parallele in un continuo sali e scendi, con le cime rosse che fuoriuscivano da un mare giallo chiaro di erba seccata che, con il blu intenso del cielo formavano uno spettacolare gioco di colori. E proprio sulla cima sabbiosa di una di queste dune, il nostro cottage di legno affacciato sul nulla e sul vento. Qui abbiamo fatto conoscenza con i simpatici springbok, con i grandi kudu e coi possenti cornutissimi orici nonché con il popolo dei boscimani e la loro impossibile lingua.
Proseguendo verso est, abbiamo poi raggiunto il deserto del Namib, il più antico deserto del mondo con le dune più alte del mondo, sulle quali ci siamo arrampicati anche per più di 400 metri lungo le loro soffici pendici, volendo acciuffare all’ultimo istante un faticoso tramonto o, ai margini del grande spettacolare bacino sabbioso di Sossusvlei, vincere il forte vento risalendo la lama di sabbia di una cresta per poi tuffarsi a capofitto dal punto più scosceso , volando leggeri in un infinito mare di sabbia color albicocca.
Attraversando poi il parco del Naukluft, tra scenografiche montagne, pianeggianti praterie e martoriati canyons, e sfociando in un piatto, ghiaioso e bollente deserto, solcato come una profonda, lunga ferita dalla spettacolare Valle della luna, siamo approdati sulla riva dell’oceano Atlantico nella teutonica cittadina di Swakopmund. Qui, faticosamente a piedi o in sella ai divertenti quad-bike, ci siamo inoltrati in un labirinto di altre dune, questa volta color sabbia, che aggiungevano al fascino del deserto il fantastico contrasto del blu del mare sullo sfondo. Lasciando l’unica oasi di vita civile, abbiamo puntato verso nord, seguendo la costa e rituffandoci prepotentemente nella pace e nel silenzio. Silenzio per la verità fragorosamente interrotto dal belare di migliaia di otarie, litigiose e giocherellone, mollemente e pesantemente adagiate sulla lunga spiaggia di Cape Cross, la più grande colonia del mondo di questi animali. L’odore era intenso, quasi nauseabondo e il sole brillava come al solito luminoso ma, nel giro di pochi minuti tutto è stato avvolto dalla nebbia, che ha pervaso di ulteriore atmosfera questo luogo selvaggio. La nebbia, che è una costante in questo tratto di costa chiamata Skeleton Cost, - la costa degli scheletri-, così definita per le numerose navi che qui hanno fatto naufragio disseminando le spiagge dei loro scheletri di metallo, ci ha avvolto impalpabile anche durante una lunga magica passeggiata sulla spiaggia nella fioca luce dell’imbrunire, che solo la presenza di alcuni sciacalli sbucati dal nulla ha interrotto, convincendoci a fare ritorno in albergo.
Ancora verso nord, sfiorando giacimenti di diamanti, all’altezza di Tora Bay abbiamo piegato verso est in direzione del Damaraland ritrovando presto il sole e serpeggiando tra monti di rocce rosso ruggine e scogliere di arenaria che si stagliavano nel solito blu intenso del cielo, ovviamente sempre in quasi totale solitudine.
Interessanti, antichissimi graffiti e bizzarri giochi della natura come le formazioni di basalto nero simili a canne d’organo, non reggono al confronto delle intense emozioni provate nel “game drive” – safari fotografico su fuoristrada scoperti – organizzato dal nostro bellissimo lodge. Partiti nel pomeriggio alla ricerca degli elefanti, inoltrandoci nel cuore più selvaggio di questa regione, abbiamo girato inutilmente per molto tempo. Poi, quando non ci speravamo più, Marki li ha visti da lontano, bloccando la ranger che ci accompagnava. Eccoli, sono laggiù, ancora lontani. Ci avviciniamo, li aggiriamo e quando finalmente spegniamo il motore ritrovando il silenzio sono lì a pochi metri. Sono tantissimi, Frediana ne conta 21 tra grandi e piccoli, uno piccolissimo. Continuano imperterriti a divorare fogliame e a sradicare arbusti ignorando la nostra presenza. La luce è stupenda, il sole sta tramontando alle nostre spalle illuminando dolcemente la scena finchè, formando una lunga fila, i pachidermi si allontanano placidamente dai nostri sguardi sbalorditi. E a noi non rimane che brindare alla fortuna avuta, mentre il sole ci abbandona all’orizzonte.
Ancora poche centinaia di chilometri verso est ed eccoci al parco Etosha, uno dei maggiori santuari naturalistici dell’intera Africa. Molti sono stati gli avvistamenti e i momenti che ci sono rimasti negli occhi e nel cuore ma mi voglio soffermare ai margini della pozza d’acqua, a 30 metri dalla porta del nostro bungalow, dove vengono ad abbeverarsi gli animali e da me battezzata come la “pozza delle meraviglie” . Siamo pronti per andare a cena, usciamo nel buio. La pozza è illuminata e Frediana scorge qualcosa di enorme sulla riva. E’ un grande elefante e accanto a lui c’è una giraffa che al suo confronto sembra piccola. Il bestione si muove lentamente. Restiamo a guardarlo per un po’ e poi andiamo a mangiare. Al ritorno lui è ancora lì, lo capiamo dall’odore che pervade l’aria. Poco lontano ci sono anche cinque giraffe quasi nascoste nel buio. L’elefante con movimenti esasperatamente lenti se ne va e la pozza rimane inanimata. Attendiamo a lungo seduti sperando accada qualcosa e all’improvviso dal buio si avvicina cautamente un animale. Non è possibile. . .è proprio un leone, un maschio che sfiora la pozza e si perde nell’oscurità alle nostre spalle. Pochi minuti e con la stessa calma arriva lei, una leonessa che si ferma sul bordo dell’acqua. E’ lì a 30 metri da noi ed improvvisamente chiama il maschio con una serie di ruggiti cavernosi che squassano il silenzio. Il maschio risponde un po’ più da lontano. Le cinque giraffe sono ancora nelle vicinanze, ma sono immobili, impietrite. La leonessa si stende nell’erba e, incuranti della sua presenza, arrivano ad abbeverarsi 2 rinoceronti, avvicinandosi alla pozza sempre con grande circospezione. Restiamo a lungo incantati a goderci lo spettacolo, mentre decine di scatti fotografici immortalano la scena. Poi andiamo a dormire, ma i ruggiti dei 2 leoni ci cullano con lunghi intervalli per tutta la notte. Al mattino i leoni non ci sono più e, al loro posto, tornando dalla colazione, troviamo le prime zebre che vengono a placare la sete. Siamo in partenza, ma restiamo ipnotizzati a gustare la scena. Le zebre entrano ed escono rumorosamente dall’acqua e piano piano diventano sempre di più. Sono molte, moltissime. Verso destra, verso sinistra, all’orizzonte oltre la pozza lo sguardo si perde in un mare di zebre bianconere. Uno spettacolo fantastico, forse un po’ inquietante per un tifoso interista. . .
Dopo esserci arrampicati tra le rocce rosse del Waterberg, accompagnati dalle grida dei numerosi babbuini presenti, approdiamo nel paradiso di Okonjima, ultima tappa del nostro itinerario. Il lusso, l’eleganza, la raffinatezza, la cura di ogni minimo particolare, l’impeccabile servizio personalizzato, tutto inserito nella solitudine di un posto meraviglioso, sono stati un’esperienza unica, entusiasmante e difficilmente ripetibile. Qui tutto è bello, e il sorridente ranger che ci accompagna alla ricerca dei leopardi non fa eccezione. Questa riserva è votata alla difesa dei felini e i leopardi presenti sono tutti muniti di radio collare, senza il quale questo schivo animale sarebbe quasi impossibile da trovare. Nonostante questo, la caccia è lunga e complicata. Il bip bip della radio si fa più forte ma lui non si fa vedere. Poi eccolo, lo intravediamo nella bassa vegetazione. Lo perdiamo di nuovo, ma l’altro fuoristrada che dalla parte opposta fa un gran rumore lo fa uscire allo scoperto e ce lo troviamo lì, vicinissimo nella sua possente eleganza e bellezza. Che bestia magnifica! Proseguiamo verso un laghetto sperando vada lì ad abbeverarsi. Quando arriviamo, il leopardo non c’è, ma l’acqua del lago è arancione per il sole che ci sta lasciando e la pace regna sovrana lasciandoci incantati ad ascoltare il tramonto.
Il viaggio è al termine, si torna nella piuttosto squallida capitale e ritroviamo la confusione, lo smog e un minimo di traffico e tutto questo ci prepara per il ritorno a casa.
Ci mancheranno Namibia i tuoi grandi spazi silenti, ci mancherà il lento ritmo della tua pulsante natura, ci mancheranno i tuoi grandi alberi contorti che si stagliano nella luce dorata dei tramonti e ci mancheranno i tuoi luminosissimi cieli notturni, con la croce del sud tra milioni di altre brillantissime stelle, a ricordarci di essere dall’altra parte del mondo.
La natura ha messo in scena il suo grandioso indimenticabile spettacolo. Gli spettatori, affascinati, ringraziano.

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Istruzione

Una scuola che non c’è


di Antonino Cucinotta

Non intendo qui parlare delle riforme tecniche che i vari Ministri della Pubblica Istruzione, e da ultimo la Ministra Gelmini, hanno introdotto nella scuola italiana in questi ultimi decenni. Desidero, invece, soffermarmi sul precipuo compito che la scuola dovrebbe svolgere per fornire una istruzione intesa non come contenuto nozionistico e puramente erudizionistico, ma come educazione e formazione del carattere dei giovani.
Dovrebbe, cioè, dare una sapere che penetri nelle menti e venga assimilato in maniera proficua e fortemente sentita. Un sapere che richiede, da un lato, la centralità degli allievi e il desiderio dei giovani di apprendere, dall’altro una preparazione approfondita e una capacità attitudinale del docente di fornire un sapere concreto, il più possibile corrispondente agli interessi esistenziali dei discenti.
Il docente deve essere consapevole della particolare importanza della sua opera di “maestro” che certamente lo diversifica dall’attività di tutti gli altri professionisti. Egli deve sempre tener presente la grande responsabilità che si assume di fronte ad esseri umani che attendono da lui una illuminazione culturale che contribuisca a modificare, a migliorare il suo modo di pensare, di riflettere e di comportarsi. In tale sua opera il docente dovrebbe essere maieuticamente socratico attraverso un dialogo aperto, comprensivo, produttivo di idee e di valori universali da concretizzare e da seguire nella vita.
Egli non deve prefiggersi il compito di dirigere e tanto meno manipolare le menti e le coscienze dei giovani propinando le sue convinzioni personali come verità universali. Nessuno possiede la verità assoluta e quindi egli non ha una scienza da fornire, ma deve sentire l’impegno, certo non facile, di cooperare, in un processo di autoeducazione (educare per educarsi) con l’alunno affinché la sua mente favorisca la realizzazione del proprio “io”, come strumento di vita cosciente e responsabile.
È chiaro che quello dell’insegnante non è un compito facile e rasserenante se non è svolto con amore vocazionale e come spinta interiore verso la realizzazione di una società moralmente sana, altruista, solidale con chi soffre e pronta ad aiutare chi si trova in stato di bisogno.
Una condizione favorevole a tale realizzazione e ad una più tranquilla frequenza scolastica è certamente l’abolizione materiale e spirituale di qualsivoglia barriera che possa ostacolare i contatti e la libera circolazione delle idee in classe. Il professore, pur mantenedo la sua giusta autorevolezza, deve scendere dalla cattedra, simbolo di potere e avvicinarsi a tutti gli alunni per conquistarsi la loro stima e la loro fiducia. Egli deve consentire la libera rielaborazione critica del sapere acquisito. Infatti, è giusto e fecondo che gli allievi possano fare liberamente le loro considerazioni, anche se divergenti con il docente, considerazioni che vanno intese come segni di maturità, di assimilazione, di comprensione dei problemi e di responsabilizzazione nell’affrontare la loro soluzione. Come principio sancito dalle più progredite teorie pedagogiche, l’insegnamento è proficuo quando si fonda sul confronto dialettico delle idee che è arricchimento e chiarificazione del nostro sapere e quando si fonda sull’affermazione dell’ “io” di ciascuno senza che ciò debba democraticamente significare il rifiuto, il disprezzo dell’altro. La scuola non può e non deve mancare a quest’impegno di democrazia; non può non prendere gli atteggiamenti più consoni alla conquista della libertà che consente a tutti di essere se stessi e di non omologarsi passivamente agli altri, il che significa pensare e agire secondo le proprie personali convinzioni. A questo fine il professore non deve mai imporre il sapere suo o di altri senza che gli allievi abbiano il diritto di criticare e rifiutare. Quindi, bisogna astenersi dall’impedire le obiezioni che, per altro, stanno a dimostrare che l’insegnamento impartito è stato recepito, suscitando interesse. Non quindi “zittire”, come purtroppo spesso avviene nelle scuole, ma accettare e incoraggiare gli interventi che i professori devono considerare come gratificazione degli allievi alla loro opera didattica.
E’ così che la scuola può preparare i giovani alla vita con sufficiente autostima, con fiducia e con la sicurezza di poter concretizzare il sapere acquisito. Sul piano morale è particolarmente importante incrementare l’amore alla libertà democratica, alla tolleranza, all’attenzione verso tutti gli esseri e prima di tutto verso i nostri simili. Un tale sapere abbatterà o quanto meno attenuerà l’egoismo che spesso ci domina e darà largo spazio alla solidarietà verso chi soffre, manifestando per loro non pietà ma comprensione e aiuto possibile. Educare, apprezzare, impegnarsi a non arrecare male e danno a chicchessia. Sarà così che la scuola potrà realizzare il sempre valido principio gabeliano di formare lo “strumento testa”. Auspico quindi che i professori di oggi, aggiornati culturalmente e adeguati agli interessi esistenziali della vita contemporanea, tornino alla vocazione didattica dei tempi più floridi della scuola italiana; auspico che i giovani tornino ad amare lo studio, il sapere, la cultura, anche se dovranno affrontare fatiche, sacrifici e privazioni che, comunque, certamente potranno essere successivamente ricompensati da un proficuo inserimento nella vita lavorativa.

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Racconti e poesie

Lago Nero


di Roldano Pisaneschi

Lama torba,

Ancora d' acque corrosa

D'oro al tramonto.

Sale da vento lontano

Silenzio

Che trama di giorno l' attesa.

Ovunque...

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Spazio donne

Il corpo delle donne


a cura di Elena Cinelli

Carissime amiche,
quante volte sulle spiagge avete assistito alla tipica scena di un uomo che osserva estasiato decine di ragazze in costume? Forse vi sarà addirittura capitato di essere oggetto di quegli sguardi di ammirazione e in alcuni momenti probabilmente non ve ne siete neppure accorte. Troppo spesso tendiamo a sottovalutarci e facciamo di tutto per sottolineare i mille complessi che ci creiamo continuamente, riducendo il nostro corpo ad un mucchio di difetti. Eppure sappiamo molto bene quanto fascino può trasparire da un corpo femminile. Lo osserviamo ogni giorno nel quotidiano, non solo nei numerosi apprezzamenti che ci arrivano dal mondo maschile, ma anche nei media che utilizzano sempre le donne per attirare l'attenzione del pubblico.
In questo numero voglio proporvi alcuni frammenti raccolti dagli scritti di Lorella Zanardo, conduttrice del documentario IL CORPO DELLE DONNE di Lorella Zanardo e Marco Chindami, trasmesso nel corso del programma l'Infedele (la7) il 4 maggio 2009.
"Questo documentario" spiega Lorella nel suo blog "è una riflessione sull'immagine della donna nell'Italia contemporanea, attraverso i volti e i corpi femminili che vediamo ogni giorno nel nostro televisore. Qual'è l'immaginario femminile proiettato oggi dalla televisione italiana? Quali sono i modelli femminili di riferimento? Quali verità comunicano? quale autenticità?"
Negli anni 90, Anna Magnani prima del ciak diceva al suo truccatore che stava per coprirle le rughe del volto "Lasciamele tutte, non me ne togliere nemmeno una, ci ho messo una vita a farmele." Oggi sicuramente molte cose sono cambiate e le donne fanno di tutto per nascondere i segni del procedere dell'età, aiutate dai nuovi mezzi tecnologici che, nella maggior parte dei casi, consentono a chi compare in televisione di raggiungere la perfezione, o quantomeno di aspirare ad essa. E allora perché non mettere in mostra il proprio corpo? Come si pongono i giovani di fronte a questa nuova società che ci impone di essere perfetti (adesso anche gli uomini cominciano ad interessarsi all'estetica!), bombardandoci continuamente di richieste assurde che troppo spesso fanno dimenticare l'unicità di ognuno di noi? E' possibile trasformare in positivo questo eccessivo richiamo sul corpo femminile?
Lorella Zanardo racconta: "Silvia ha 22 anni, bionda, alta, bella. Frequenta l'Università e ogni tanto alla sera lavora come baby sitter. Le ho dato il dvd de IL CORPO DELLE donne qualche settimana fa perché il suo parere mi interessa; passano i giorni, ci incrociamo, Silvia abbassa gli occhi, saluta e si allontana. E' chiaro che è imbarazzata, probabilmente il documentario non le è piaciuto. Finalmente una sera la fermo e lei, occhi bassi, spiega. Spiega che non è che il documentario non le sia piaciuto, in parte è vero ciò che viene detto però forse siamo un po' troppo severi. sorride. "In questi giorni" mi dice "va in onda una pubblicità di biancheria intima che mi piace moltissimo. C'è una ragazza stupenda che in mutandine e reggiseno, balla a ritmo di musica: è bellissima, si muove come una dea, è sexy. Questa no, vero?" mi chiede "Questa pubblicità va bene, questa ce la lasciate?"
Belen parla di ecologia. Belen recita Marquez. Belen sale le scale del trasporto con la telecamera tra le cosce. Belen si toglie il copricostume. Belen sorride radiosa. Belen Rodriguez non appare mai succube della situazione spesso imbarazzante in cui gli autori delle trasmissioni la costringono. Riesce ad esserne scanzonata padrona. Se c'è una certezza che emerge dalla visione di Sarabanda, trasmissione quotidiana di Canale 5, è che Teo Mammuccari fa la valletta mentre in teoria ne dovrebbe essere il conduttore. Belen in bikini riesce a dominare la scena molto più di Mammuccari in giacca, ed è una grande novità. Flavia Vento sotto il tavolo ci provocava indignazione, anche per il suo sguardo smarrito e sottomesso; la nostra reazione era di rabbia verso chi in quella posizione la umiliava. Belen invece conosce le potenzialità del suo fascino e ci gioca con leggerezza, forte del potere del suo corpo sul pubblico maschile e femminile. E' da sempre enorme il potere d'attrazione del corpo delle donne, oggi ne abbiamo maggiore consapevolezza e ne restiamo noi stesse sorprese. In particolar modo le giovanissime, come Silvia, paiono godere di questa scoperta: la loro è forse la prima generazione a nascere e crescere dentro un corpo liberato che non ha dovuto lottare per uscire da costrizioni e sottomissioni millenarie. Io credo ci sia qualcosa di vero e forte in questa scoperta. Intendo che Silvia, Belen e molte altre si avvicinino ad una scoperta potentissima senza riuscire a portarla a compimento. Per secoli abbiamo assoggettato il corpo alla mente. A tratti oggi il corpo pare finalmente ribellarsi, liberarsi, aprirsi a nuovissime esperienze portandoci a scoperte rivelatrici.
Anni fa frequentai un lungo corso di espressività corporea in Germania con un grande maestro Dominic De Fazio con cui sondavamo la possibilità di esprimere e percepire la vita attraverso i corpi. Spesso per me il lavoro era frustrante, imprigionata com'ero da anni dominati dalla mia mente ingombrante. Un giorno, dopo 6 ore di training faticoso, salivo le scale del condominio in cui vivevo, a testa bassa. Arrivata al secondo piano alzai gli occhi verso la finestra che stava davanti a me e, intendo veramente cio' che scrivo, per la prima volta vidi il cielo. Fu in assoluto una delle emozioni più grandi della mia vita. La scoperta del corpo non è una novita' assoluta ma per noi donne puo' esserlo, e' foriera di cambiamenti rivoluzionari e conduce a cammini di percezione e conoscenza grandiosi. La televisione attrae proprio per la sua proposizione ossessiva di corpi, lontani da ogni forma realmente espressiva perchè imprigionati in gesti ripetitivi e costretti dalla finzione intrinseca al mezzo televisivo. E' importante non arginare il cammino verso l'espressione del corpo che molte donne stanno intraprendendo, spesso sbagliando direzione, offrendo loro la proposizione di percorsi di ricerca alternativi al mezzo televisivo......"
"La statistica è una scienza piena di sorprese" commenta Lorella "Materia per nulla arida, ad appassionati detective puo' rivelare dati interessantissimi che spiegano molto più di lunghi
articoli. Ottomilionisettecentomila. 8.700.000 sono le donne di 60 anni e oltre che vivono in Italia secondo gli ultimi dati Istat. Ottomilionisettecentomila. 8.700.000 sono i giovani (totali maschi e femmine) dai 18 ai 30 anni, che vivono in Italia secondo gli ultimi dati Istat. Interessante vero? Una multinazionale su questi dati ci costruirebbe la sua strategia: due target di consumatori, stesso peso numerico, diversa propensione al consumo, diversa possibilità di consumo. Campagne pubblicitarie diversificate. Uguale attenzione per i due target, poiché potenziali consumatori. E i partiti politici Italiani? Del target giovani i politici italiani di entrambi gli schieramenti, discutono molto. Ciclicamente si va alla ricerca del candidato giovane che possa attirare gli elettori giovani. Da un punto di vista operativo, le politiche sul lavoro per i giovani stentano a decollare con le conseguenze gravi che tutti conosciamo. Sorprendentemente del target donne 60enni e oltre i politici non parlano mai: 9 milioni di persone invisibili. Circa il 15% della popolazione di cui ci si è dimenticati, se non per qualche articolo sull'età pensionabile. Le nostre città
sono piene di donne ultrasessantenni in piena attività, i giornali non ne parlano. L'aspettativa media di vita femminile è di 84 anni, le nonne tengono in piedi le famiglie, badando gratis ai nipoti e facendo le veci di strutture carenti. Sessantenni che si sposano, risposano, vanno in vacanza, si iscrivono a corsi di tutti i tipi, frequentano università della terza età. Ognuno di noi conosce anche 80enni donne vedove, che vivono sole con la pensione sociale, molte difficoltà che non vanno mai in vacanza, con molti acciacchi e nessun aiuto. 9 milioni di persone di cui non sentiamo mai parlare, a cui non viene mai proposto un piano politico che tenga conto delle loro esigenze. Nessun discorso politico che almeno per convenienza, le citi, le menzioni. Tutte queste donne votano, è bene ricordarlo. Non sappiamo a chi vanno i loro voti. Sappiamo che per molte di loro la televisione e' una forma di compagnia. Nel vuoto di considerazione che le circonda, non è difficile ipotizzare che alcune di loro si sentiranno riconoscenti verso ciò che quella tv e dunque quella compagnia fornisce loro. Da anni ci siamo accorti che l'Italia è un Paese di adulti, anziani e vecchi. Si possono esortare i partiti a prenderne atto e a farsi carico di politiche che dei bisogni di questi 9 milioni di donne, cioè 9 milioni di voti, si facciano carico?..."
Secondo Lorella Zanardo, mettere la faccia in ciò che si fa può significare metterci la propria vita.
"Natalia Estemirova era una giornalista russa che indagava sulla violazione dei diritti umani in Cecenia e per questo è stata uccisa. Aveva ricevuto il premio Anna Politovskaya, un'altra donna che metteva la faccia in cio' che scriveva. Le donne che in questo momento in giro per il mondo sono in prima linea per difendere la libertà sono tante, in Palestina, in Cina, in Iran solo per ricordarne alcune. Donne che spesso hanno famiglia e rischiano la vita perchè vengano rispettati i diritti fondamentali di tutti. La notizia della morte di Natalia l'ho letta mentre preparavo un post su Mercante in Fiera, dove la Gatta Nera in tenuta sadomaso ancheggia davanti ad un pubblico a casa fatto di bambini. E ho provato un forte imbarazzo, una nausea insostenibile pensando al ciarpame di cui ci dobbiamo liberare prima di poterci occupare di cose che contano. Ecco, agli uomini che scrivono al blog chiedendo con affetto come possono contribuire alla nostra denuncia, chiederei solidarietà e comprensione. Solidarieta' nel portare avanti un'istanza che ci permetta di vivere in un Paese dove il rispetto per le donne sia garantito. Comprensione per le tante di noi che anelano ad occuparsi di temi urgenti, belli, importanti ma che sentono il dovere innanzitutto di occuparsi della loro Tdignità di individui, senza la quale diventa difficile costruire un contesto in cui crescere giovani donne e giovani uomini. Quanto tempo dedicato, a volte penso tempo di vita perso, per spiegare che siamo altro, siamo meglio, che potremmo rappresentare molto per la società. Tempo in cui potremmo invece essere chi realmente siamo..."
"Non so voi, ma io ho ormai l'allergia agli slogan ipercitati tipo "yes, we can" "un altro mondo è possibile" e cosi' via. Il problema nasce dall'abuso che se ne fa. "Yes, we can" e' nato per raggiungere un obbiettivo fino a tempo fa impensabile: un presidente nero e democratico alla Casa Bianca. Poi l'abbiamo visto usare da parte di molte aziende per stimolare i propri dipendenti a superare la crisi, a farsi carico del raggiungimento di obiettivi difficili. E allora "Yes we can" ha perso la sua carica emotiva, è diventata un'incitazione svuotata del suo significato profondo ed etico e infastidisce persino perché declinata al raggiungimento del profitto o di una meta sportiva o altre amenità. "Un altro mondo è possibile" dovrebbe essere il memento davanti al nostro letto e che vediamo come prima cosa ogni mattina, anche in questo caso abusato e depredato della sua portata evocativa. Il sottotitolo de IL CORPO DELLE DONNE potrebbe essere uno dei due slogan citati, quando ancora erano carichi di significato."
A questo punto vale la pena raccontare la storia che ha condotto al documentario.
"Lo scorso anno" spiega Antonella "ho risentito parecchio della crisi economica, che ha avuto un unico risvolto positivo: mi si è liberato del tempo. Nella lingua cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo wei significa problema, il secondo ji significa opportunità. Il modo migliore per uscire da uno stato di crisi sembrava dunque quello di cogliere le opportunità di crescita in esso contenute. Improvvisamente si sono liberati degli spazi durante il giorno, che potevo riempire a mio piacimento. Non c'è stato un attimo in cui chiedermi cosa fare del tempo che si liberava nella mia vita. Da anni mi occupavo di tematiche legate al femminile, all'estero per lo più poiché in Italia il dibattito su queste tematiche mi pareva trattato troppo superficialmente. Un amico proprio in quel periodo mi ha provocato stimolandomi a guardare la tv, da me abolita da anni, perché "solo guardando la tv avrei capito le donne italiane". L'ho preso in parola. Durante le vacanze di Natale ci siamo chiusi in casa io Marco e Cesare con 2 tv, videoregistratori, scorte alimentari e abbiamo registrato centinaia di ore tv. Il lavoro poi si è arricchito con la visione di filmati su youtube e di archivio. Ci appassioniamo, ci dimentichiamo del tempo, le giornate si susseguono veloci. Qual'era il nostro obbiettivo quando siamo partiti, mi chiedo ora a distanza di 5 mesi dalla fine del montaggio. Un obbiettivo minimo, apparentemente. Preparare un documentario di circa 20 minuti da far girare nelle scuole e nelle associazioni per stimolare la riflessione. se ci penso con attenzione l'obbiettivo era proprio quello di cambiare il mondo, niente di meno. Ciò che mi ha mosso è stata proprio una fortissima volontà di cambiare il mondo e la certezza di poterlo fare. Si può obbiettare che il mondo sta andando avanti così com'era, che non è cambiato. Io non lo credo. Noi stiamo cambiando il mondo, così come stanno cambiando il mondo le molte persone che hanno avviato progetti in questa direzione e hanno la
volontà di incidere sulla realta' che li circonda. Il problema e' l'ansia di volere raggiungere gli obbiettivi a breve che contraddistingue la nostra epoca. Io sto incidendo fortemente sulla realtà che mi circonda, questo non significa che ne vedrò gli effetti nei prossimi mesi. La logica del mercato con la spinta feroce a raggiungere risultati sempre piu' a breve termine ci influenza e ci impedisce di darci obbiettivi importanti i cui effetti conprensibilmente si manifesteranno a lungo termine e di cui non è nemmeno detto che potremo essere testimoni. Questo non deve togliere energia e mordente a quanto facciamo, se ho forte la consapevolezza di essere nel giusto e se non misurerò l'efficacia della mia azione solo in base al ritorno economico che ne ricaverò. Tornando al racconto, finito il montaggio abbiamo iniziato a presentare il documentario nelle associazioni e da subito è parso evidente che il pubblico reagiva, che molte donne italiane erano pronte al dibattito e, con mia sorpresa, anche molti uomini. Da questi incontri è partito un veloce passa parola ch è arrivato all'orecchio di Gad Lerner, che l'ha mostrato a L'Infedele, che ci ha condotti a proporre il documentario sulla rete, ad aprire un blog, a continuare altri dibattiti, forse a scrivere un libro ecc. Non avevamo previsto nulla di tutto questo. L'investimento economico è stato minimo, l'investimento di tempo ed emotivo enorme."
La Storia de IL CORPO DELLE DONNE parte da un soggiorno di casa, due pc, due videoregistratori, 3 amici: due uomini e una donna, tantissima passione, energia a 1000, a volte tanta rabbia per quello che emergeva, più spesso tanto entusiasmo per quello che si immaginava la tv potesse diventare. 220mila persone hanno visto il documentario in due mesi. Un fiume di persone che si sono ritrovate nella critica alla tv e si sono sentiti parte di un gruppo. Un piccolo passo avanti verso un nuovo mondo.

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